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Autore: Caramell_    21/04/2015    0 recensioni
Un giorno lo porterà lontano, lontano da lì, lo caricherà in macchina e partirà senza rimpianti, senza voltarsi indietro. Guiderà fino alla fine del mondo e, insieme, saranno liberi.
Lo promette.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note: E sono due. La mia ossessione per questo telefilm sta peggiorando, lo ammetto. Peccato non averlo scoperto prima. Allora, questa One-shot m'è venuta in mente ieri sera e praticamente è rimasta uguale a come l'avevo pensata all'inizio. Spero che sia quantomeno accettabile e che i personaggi non cadano nell'OOC. Li amo troppo per storpiarli. Beh, non mi rimane altro da dire: Buona lettura













E tutto quello che ho amato, l’ho amato da solo.
Edgar Allan Poe



 

 

~



 


Quando si ubriaca Ian torna se stesso.
Una volta non prende le pillole o le butta nel cesso. Il litio però gli rimane in corpo e gl’intossica il sangue e le birre che si scola gl’arrivano dritte al cervello. Barcolla, s’accascia sul divano e aspetta che Mickey torni a casa e che lo tocchi e che gli abbracci le spalle e s’addormenta così e vede tutto buio e ogni cosa gl’appare terribile e ci pensa un po’, alla morte, ci pensa davvero e poi vede Mickey e ogni cosa svanisce e rimane solo un cuore che batte, un cuore da solo, una mente rallentata, un odore familiare e il fantasma d’una stabilità mentale ormai perduta.
- Addio – singhiozza – addio – ma, dio, a volte vorrebbe solo averne il coraggio.


Mickey torna a casa un po’ più tardi del solito – una casa che non è ancora loro, non del tutto perché è ancora di suo padre, ma per ora va bene così, glielo promette, glielo promette che lo porterà fuori, dove possa prendere il sole tutti i giorni, dove sia felice e non faccia sogni tristi, dove ogni cosa sa di gioia e libertà e ricchezza – Lo trova rannicchiato sul divano, i capelli scomposti, il busto dolorosamente girato. Si chiede dove cazzo sia sua moglie e il bambino e quella stronza che si porta a letto e poi si dice che non importa e che Ian è lì, sotto le sue mani, tra le sue braccia e dorme, forse perché è sbronzo, forse perché non ha preso le sue pillole o perché ne ha prese troppe e, cazzo, pensa che quasi non ce la fa più – ma solo quasi, solo alcune volte, solo durante le crisi, ché Mickey lo ama, lo ama sul serio, adesso sa, e non l’abbandonerebbe mai – allunga una mano e gl’accarezza il viso e gli schiocca un bacio ruvido sulla fronte, ma a quanto pare preme troppo forte – Mickey non è ancora bravo in questo, i baci e le carezze e le tenerezze degli amanti – e Ian stropiccia prima un occhio e poi l’altro, mugugna e stira le labbra – sei tornato – sussurra e – sono a casa – si sente rispondere.
Fa bene sentirlo. Ad entrambi.


Una volta Mickey gl’aveva promesso che sarebbero scappati insieme.
- Un giorno ti porto lontano – aveva detto, l’alba fuori dalla porta e la solita sigaretta tre le mani e le cosce nude. Ian aveva sorriso ma non gl’aveva creduto, non sul serio e s’era sporto a baciarlo, nudo anche lui, rosso anche in faccia e sullo sterno e sulle braccia e tra le gambe – davvero? – aveva chiesto e poi c’aveva pensato, ad un viaggio tutto loro, ad una fuga, di quelle eterne e inspiegabili che si vedono solo nei film, alle loro mani intrecciate insieme, al vento tra i capelli e alle stanze d’albergo di milioni di posti, tutti belli, tutti diversi, c’aveva pensato e aveva baciato Mickey un po’ più forte, un po’ più a lungo – e dove? – aveva snocciolato ad una distanza minima dalle sue labbra.
Mickey aveva solo scosso la testa e se l’era tirato addosso, se l’era stretto al cuore – lontano – e gl’aveva sfiorato le spalle – lontano da qui, dove non possono raggiungerci – non aveva detto cosa, non aveva detto chi e Ian l’aveva guardato un attimo e s’era seduto su di lui e l’aveva sentito, teso, mezzo duro fra le natiche e gl’aveva toccato le braccia e i capezzoli sensibili e gl’aveva baciato il cuore e leccato la pelle e s’erano rotolati su quel letto per un giorno intero e s’erano separati, passato mezzogiorno, e avevano dimenticato.


La notte delle stelle cadenti li trova aggrovigliati a letto. Ian ha gli occhi cerchiati ma sta bene, sta bene come sta bene un malato e ha un ginocchio attaccato al suo fianco e la bocca dischiusa. Gli sonnecchia addosso e ogni tanto sbadiglia. Mickey lo tiene fermo per la maglietta e pensa che potrebbero farlo davvero, scappare da lì, allontanarsi e non tornare più e crescere sotto il sole e fumare sigarette e scopare fino a morirne, scappare insieme e vivere soltanto dei loro respiri e delle puttanate che escono loro dalla bocca e della loro pelle e di soldi rubati e di baci all’ombra delle metropolitane di notte. Sarebbe semplice, forse anche bello e sarebbe loro e non importerebbe altro.
Ian allunga le braccia e gli sfiora una gamba e Mickey lo guarda un altro po’ e gli solletica un orecchio e – Ian – lo chiama e in risposta riceve un mugolio indistinto e un debole pugno sul fianco – vieni con me – gli ordina ma non gli dice dove, ma non gli dice perché e Ian solleva la testa e lo fissa e s’abbassa su di lui e gli lecca il petto e, con quel suo orribile, sfacciato sorriso, poi glielo prende in bocca e succhia e incide la sua risposta sulla schiena e dice che lo seguirà a vita.


Torneranno, Mickey lo sa. Torneranno perché prima o poi Ian avrà bisogno di medicine e la sua malattia è un continuo tormento. Quindi quello non è un viaggio eterno e non è come avrebbe sperato ma, mentre macina chilometri di asfalto e il vento gli sbatte in faccia, mentre il profumo di Ian gli riempie i polmoni e quell’enorme palla di fuoco gli brucia gli occhi, ecco, si dice, va bene, proprio così, e prova ad illudersi e sorride e, ridendo, pensa che lo sia.












 

 

  
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