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Autore: Yvaine0    23/04/2015    3 recensioni
« Nessuno di voi si è accorto che Giovanna se n'è andata? »
« Davvero? Finalmente! »

Quando Giovanna abbandona il 3b di via Marconi a Urbino, gli abitanti dell'appartamento misto si trovano spaesati e del tutto disorganizzati, alle prese con una routine e delle faccende di cui si era sempre occupata lei sola. L'equilibrio di spezza e loro devono imparare da capo a condividere i propri spazi, con una nuova coinquilina per di più.
Come se se le cose non fossero abbastanza complicate così, ecco che le vite private di ognuno di loro iniziano a penetrare gli invalicabili confini delle loro camere singole per intrecciarsi con quelle degli altri.
E poi era divertente, secondo Marco; insomma quanti avrebbero potuto dire di convivere con una giovane promessa del pallone, la reincarnazione di Cicciobello, l'Anticristo e il futuro Presidente della Repubblica? Mica roba da poco!
STORIA SOSPESA (scusate)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Flat
 
I. Ti presento i miei

 
Erano le otto di mattina di una giornata come tante e, come da copione, all'interno della casa si sentiva solo il quieto brontolare della caffettiera – lei proprio lo odiava, il lunedì mattina – che diffondeva in tutta la casa un rassicurante odore di caffè, la sveglia perfetta per chiunque avesse intenzione di iniziare la settimana con il piede giusto.
Giovanna, l'unica già alzata, era seduta al tavolo e, nell'attesa che l'elemento principale della sua colazione fosse pronto, apparecchiava per il primo pasto della giornata di tutti i suoi coinquilini: cinque tazze, cinque ciotole per i cereali, cinque bicchieri, dieci cucchiaini, il contenitore dello zucchero, quello del cacao, la panna montata, il burro con un coltello, la marmellata, i biscotti, il pane, la frutta... Sul minuscolo tavolo della cucina non c'era praticamente lo spazio per appoggiare i gomiti – e forse questa era proprio l'intenzione di Giovanna, che detestava la mancanza di buona educazione di quasi tutti i suoi coinquilini.
Sbuffò, quando il sordo russare proveniente da una delle due singole divenne così potente da sovrastare il suono complementare della caffettiera. Di lì ad un quarto d'ora, come ogni mattina, quattro sveglie dalla suoneria diversa sarebbero suonate nello stesso momento: due sarebbero state rimandate almeno un altro paio di volte, la terza solo una, mentre la quarta avrebbe scatenato il puntualissimo risveglio del diavolo in persona.
La sua idea per l'inizio di quella nuova giornata era di non permettere a quella strega di farle cominciare la settimana col piede sbagliato, dopo che le aveva già regalato una nottataccia rientrando tardissimo e sbattendo la porta così forte da svegliare tutti. Era stata fin troppo generosa a non piazzare una scenata per quel comportamento del tutto irrispettoso, ma la sua pazienza era davvero al limite – anche, forse, a causa delle poche ore di sonno.
Il resto dei coinquilini era solito rinfacciare a Giovanna l'eccessiva irascibilità, come se la colpa di tutti i litigi fosse tutta sua. E non lo era. Non era per niente colpa sua: Cristina Antonelli era la persona più misantropa, egoista ed egocentrica che avesse mai incontrato in vita sua – e, per Diana, all'università era praticamente impossibile non incontrare un numero esagerato di persone ogni giorno. Trovava davvero snervante la maniera in cui, nonostante lei andasse d'accordo con tutti, proprio non riusciva a sostenere una conversazione civile con Cristina senza poi dare in escandescenze.
Fu lo sbattere nell'aprirsi della porta di una delle camere da letto, qualche minuto dopo, a riscuotere Giovanna dai suoi pensieri; tornata alla realtà, si alzò per versare il caffè nella tazzina e salutare la nuova arrivata nel migliore dei modi, seguendo il suo piano per contrastare la solita aria tesa: « Buongiorno, Cr-- », non ebbe però modo di concludere, perché uno sbuffo e un'occhiataccia la interruppero.
Cristina non si fermò nemmeno, continuando invece a camminare decisa, accompagnata dall'aura più nera che essere umano abbia mai visto, verso il gabinetto dell'appartamento. Gesto che come ogni mattina avrebbe sollevato un gran polverone.
Giovanna prese un respiro profondo e, cercando di mantenere la calma, buttò giù il caffè tutto d'un sorso, salvo poi sgranare gli occhi castani, già diligentemente contornati di eyeliner, e diventare color peperone nel momento in cui quello le bruciò lingua e gola. La pazienza di certo non era uno dei suoi pregi, questo è chiaro fin da subito, no?
Mentre il suono della seconda sveglia proveniva da quella che era anche camera sua, la ragazza riempì un bicchiere di latte fresco e lo ingurgitò alla ricerca di sollievo, mentre la sua testa rimuginava febbrilmente su ciò che sapeva sarebbe successo di lì a poco. Le regole per il bagno erano semplici: la mattina ognuno si alzava ad un orario diverso, più o meno, per cui doveva essere semplicissimo condividere un solo piccolo bagno, nonostante fossero in cinque. O meglio: sarebbe stato semplicissimo se ognuno si fosse degnato di lavarsi in fretta e di rimandare le operazioni meno urgenti ad un secondo momento, quando anche gli altri, per esempio, avessero già svuotato la vescica. Ecco, era questa la piccola gentilezza che Cristina proprio non riusciva a concepire.
Giovanna lanciò un'occhiata all'orologio da parete a forma di tappo di Heineken – portato da Marco dopo che aveva distrutto quello vecchio con una spallonata: erano le otto e dieci precise e di lì a pochissimo Sonia avrebbe fatto il suo ingresso in cucina.
Ecco, Sonia era un'altra di quelle persone che Giovanna proprio non riusciva a capire. Non che non andassero d'accordo – anzi, tutto sommato era la persona con cui era più semplice convivere, in quella gabbia di matti –, solo non comprendeva come qualcuno potesse farsi mettere i piedi in testa sempre e comunque senza mai protestare. Sonia la chiamava pazienza, Giovanna mentalmente la correggeva ogni singola volta: stupidità. Assurdo.
Proprio in quel momento uno scricciolo dai corti capelli biondo platino arrancò sbadigliando fuori dalla camera da letto, in un pigiama grigio in cui avrebbe potuto avvolgersi comodamente due volte, tanto le stava grande, e coperta da un plaid coi “colori di Corvonero” (banalmente, blu e marrone) che le era stato regalato dalla sua migliore amica qualche anno addietro.
« 'Ngiorno » bofonchiò soffocando un secondo sbadiglio dietro una manica; ai lati del naso coperto di lentiggini due profondi segni viola annunciavano il suo brusco risveglio. « Cris è in bagno? »
Se state pensando che Sonia fosse una persona loquace e socievole fin dalla prima mattina, vi state sbagliando di grosso. Fino alla fine della prima ora di lezione – intorno alle dieci, quindi – aveva a disposizione un repertorio di sole dieci parole, cinque delle quali se ne andavano con quelle due battute ogni volta.
I logorroici in casa erano altri: Giovanna e Marco, e da sbronzo persino Orfeo, ma di certo non lei. Sonia si limitava a rispondere quando interpellata o a dire la sua quando stavi dicendo una cretinata di dimensioni epiche; parlava sempre a voce bassa, ma guardandoti dritto negli occhi, perché la sua non era timidezza, era pura, semplice e imperturbabile tranquillità. Sarebbe stata tranquilla anche nel bel mezzo di un bombardamento, anche mentre qualcuno la teneva come ostaggio durante una rapina, anche mentre minacciavano di tagliarle tutti i capelli. Era il genere di persona che avrebbe parlato a bassa voce persino in una discoteca, perché urlare proprio non faceva per lei.
« Caffè? » propose Giovanna, di nuovo seduta al proprio posto; quando la coinquilina annuì, lei le indicò il suo posto, le riempì la tazza e iniziò a dare sfogo a tutti i pensieri che fino a quel momento aveva mantenuto taciti dentro la testa. « Sta per succede di nuovo, vero? È incredibile quanto sia egoista. È in bagno già da dieci... tredici minuti! Cosa avrà mai da fare in bagno per tredici minuti? »
I bisogni? pensò Sonia, raggomitolata sulla sedia con lo sguardo perso nel vuoto e una mano a sorreggere la Gocciola immersa nella tazzina del caffè. Prima delle dieci di mattina a Sonia del mondo non importava nemmeno un pochino. Non le importava dell'incontenibile fiume di lamentele che costantemente defluiva dalla bocca un po' troppo grande di Vanna, non le importava di Cristina che occupava il bagno fino alle nove meno dieci, quando veniva poi il turno dei ragazzi per usare la tazza e lavarsi i denti – spesso contemporaneamente – e non le importava di far tardi a lezione tutti i giorni. Non le importava – era mattina, cavolo! Aveva a malapena la forza di respirare appena sveglia!
Alle otto e ventiquattro minuti, dopo aver rischiato di riaddormentarsi per la terza volta, Marco spalancò la porta ricoperta di figurine Panini dei calciatori e si stiracchiò a braccia alte nel bel mezzo del corridoio, mormorando contento. « Buongiorno, principes- oh, pardon – si corresse: – buongiorno principessa Vanna e buongiorno Cicciobello! »
In tutta risposta, senza nemmeno disincantarsi, Sonia morse il biscotto e alzò il dito medio in sua direzione, mentre Giovanna gli rivolgeva un'occhiataccia e attaccava una polemica contro quei nomignoli da cagnolino nei confronti di una ragazza nel bel mezzo della sua ascesa alla carriera. « Ti sembro una ragazzetta sprovveduta, Federzoni? »
Lui ridacchiò, felice di aver innescato una reazione spropositata di quelle tipiche di Vanna, poi trotterellò attraverso la stanza fino al frigorifero, dove aprì lo sportello e: « Ehi, Presidente della Repubblica, dov'è il latte? »
« Sul tavolo, pezzo di deficiente ».
All' « Ah » imbarazzato di Marco seguì un contenuto ma vivace moto ilare di Sonia; per il troppo ridere, nemmeno a dirlo, si strozzò con il boccone di cibo, tossendo tanto che la sua pelle solitamente nivea finì col prendere un colorito tendente al fucsia. Al che partì invece la risata di Marco, chiassosa e singhiozzante. La ragazza, dal canto proprio, gli fece una linguaccia e tornò alla propria silenziosa colazione con tanto di contemplazione del vuoto.
Giovanna sbuffò, stanca della stupidità di chi la circondava, poi rivolse una nuova occhiata all'orologio e « Sono le otto e ventisette! » sbottò esterrefatta: come diavolo era possibile che Cristina non fosse ancora uscita dal bagno? Tutte le mattine la stessa storia!
« Ma sì, che ti frega, Vanna » fu la saggia risposta di Marco, che nonostante fosse degna di nota rimase del tutto ignorata da lei, che proprio non ne voleva sapere di certe usurpazioni in casa propria. Balzò quindi in piedi e si diresse con grandi falcate pesanti fino alla porta del bagno e prese a bussare insistentemente: « Cristina? Esci, per favore? Anche gli altri devono lavarsi ».
Dall'interno si sentì il volume della radio alzarsi fino a coprire qualunque suono proveniente dall'esterno e, per diretta conseguenza, a inondare tutto il resto della casa della piacevole compagnia del jingle dello spot di un supermercato. Fu probabilmente questo suono a destare il nostro Orfeo dal letargo, visto che non più di un minuto più tardi si stava gettando con la sua solita delicatezza da rinoceronte su una delle sedie, per poi rubare la tazza di caffè di Marco e scolarsela prima che lui potesse protestare.
« Certo che sei stronzo » commentò la vittima del furto, guardando l'amico con la fronte corrugata dall'irritazione.
Quando Sonia rise dell'accaduto, Marco pensò bene di vendicarsi della beffa rubando la sua tazzina di caffè: si allungò quindi sul tavolo, gliela sfilò da sotto il naso senza che lei avesse la forza e la voglia necessarie a impedirglielo e si riempì la bocca del contenuto. Nel momento stesso in cui si rese conto di avere la lingua coperta di disgustose briciole di biscotti, poi, risputò tutto nel contenitore. « Ma che schifo! » sbottò esterrefatto; « Cicciobello, che cazzo bevi? Ma c'è una persona normale in questa casa? » si lagnò, mentre riempiva un bicchiere di succo di frutta per rifarsi la bocca.
« Sbrodolina » lo etichettò la ragazza, senza scomporsi più di tanto. Si alzò, invece e si trascinò verso la propria camera da letto, conscia che non sarebbe riuscita a liberare la vescica prima di altri venti minuti – e tutto questo perché la principessa Cristina era troppo egoista per affrettare i suoi tempi di restauro, il che, oltre che un dato di fatto, era ormai parte della loro routine. Solo Giovanna non riusciva proprio a rassegnarsi all'idea: giorno dopo giorno continuava ad arrabbiarsi perché Cristina teneva il bagno occupato troppo a lungo, perché faceva la spesa sempre e solo per sé, lavava solo i propri panni e se in lavatrice trovava qualcosa degli altri coinquilini si limitava a lasciarlo dov'era, di stenderlo ad asciugare non se ne parlava proprio. D'altro canto era anche vero che Giovanna era ossessionata dall'idea di raccogliere cinque estranei in una famiglia, di cui si era auto-eletta madre e legislatrice. Ma come si può fare una famiglia di cinque persone che non si considerano nemmeno amiche? Dunque continuava a gridare contro la porta chiusa a chiave nel bagno, mescolando insulti, ragioni e preghiere a quel suo continuo ciarlare del tutto inascoltato – del suo buon proposito di non innervosirsi non c'era più nemmeno l'ombra.
Mentre Giovanna si disperava, legando e slegando continuamente i lunghi capelli mossi, indecisa su quale delle due acconciature fosse la più minacciosa, in cucina Marco e Orfeo facevano colazione in tutta tranquillità. Circa.
« Mela » commentò piccato Marco, leggendo la scritta sul cartone. « Nemmeno il succo normale comprano, qui si beve quello alla mela ».
Orfeo sbuffò per la seconda volta da quando si era svegliato, fissando l'amico di sottecchi. « Che c'è di male? » domandò, più per esasperazione che per reale interesse nell'argomento di conversazione.
« È succo alla mela, Dalle! Fa tanto “vegani cagacazzo che organizzano proteste fuori dal McDonald's” ».
Orfeo alzò gli occhi al soffitto, poi tirò a indovinare: « È quello che compra tua madre? »
A lui servirono diversi secondi di silenzio prima di rispondere un angosciato « Sì ». Marco Federzoni era semplicemente la persona più cretina a cui si potesse pensare. Nato a Medicina, nei pressi di Bologna, era figlio di due professori universitari dell'Alma Mater; era stato cresciuto secondo regole ferree, nutrito a pane e libri di scuola nel tentativo di fare di lui un piccolo genio. Tentativo miseramente fallito, perché Marco, non troppo sveglio di natura e oppresso da anni e anni di monopolio materno nella sua vita, era fuggito a Urbino non appena finite le scuole superiori – rigorosamente liceo classico – e si era stabilito nel primo appartamento che aveva trovato fin dal primo settembre dell'estate della sua maturità, nonostante le lezioni iniziassero quasi un mese dopo. Si era chiuso la porta della casa dei genitori alle spalle gridando « Hogwarts, sto arrivando! », per poi iscriversi a Informazione, Media e Pubblicità contro il volere di chi lo spingeva a tentare i test per Medicina – « Il mio contributo alla medicina, ragazzi miei, è lasciarla agli altri. Non ridete, sono serio! » diceva sempre, a volte aggiungendo un convinto « Un giorno mi ringrazierete ». Non sapeva bene nemmeno lui cosa voleva fare da grande, al momento tutto ciò che gli importava era sganciarsi dal dominio dei genitori e poi, chissà, magari avrebbe trovato la strada giusta, nel frattempo si era iscritto ad una facoltà che non richiedeva un test d'ingresso né l'obbligo di frequenza, giocava ai videogiochi per hobby e diceva sciocchezze per passione. Tutto sommato, forse, lui era quello che in quella gabbia di matti ci stava più comodo: non aveva aspettative, speranze o regole, a Marco andava bene tutto ciò che gli andava incontro. E poi era divertente, secondo lui; insomma quanti avrebbero potuto dire di convivere con una giovane promessa del pallone, la reincarnazione di Cicciobello, l'Anticristo e il futuro Presidente della Repubblica? Mica roba da poco!
Quando Cristina uscì finalmente dal bagno – erano le otto e quaranta ed era stranamente in anticipo rispetto al solito–, Marco e Sonia si erano già vestiti, spazzolati e lavati i denti nel lavabo della cucina con sommo disappunto di Vanna, che ora, invece di strillare, stava sibilando minacciosi rimproveri seguendo il suo bersaglio passo a passo, senza darle tregua. Era quasi commovente il totale disinteresse di Cristina nei suoi confronti: continuava a passeggiare per la cucina, mentre mordeva un biscotto, versava latte in un bicchiere, aggiungeva caffè, zucchero... Solo dopo aver bevuto tutto si voltò verso Giovanna per freddarla con un'occhiata gelida delle sue. « Non me ne frega niente, non ti è chiaro? Puoi urlare, battere i piedi, bussare finché non sfondi la porta... ma a me non frega niente. Non sei mia madre, mettitelo in testa ».
E, puff, a quelle parole seguì un assoluto silenzio, mentre la temperatura della stanza scendeva allo zero assoluto. Giovanna era sbiancata e, i pugni stretti, tremava per la rabbia, guardando l'avversaria dritto negli occhi. Rispetto! Era tutta una questione di rispetto e non poteva credere che quella stronza di Cristina fosse così... così...
Non aveva mai incontrato in vita sua qualcuno di così indisponente.
Se fosse stata sua madre... ah, se fosse stata sua madre l'avrebbe presa a schiaffi! Ma purtroppo, doveva dargliene adito, aveva ragione: lei non lo era.
« Sai una cosa, Cristina? » sibilò allora, gli occhi castani fissi in quelli azzurri dell'altra, la voce che vibrava d'indignazione. « Mi sono stancata. Da questo momento, potete andarvene tutti a quel paese ».
« A fanculo » la corresse Orfeo, che di tatto non ne aveva mai avuto molto. « Si dice “a fanculo”. Non ti cade la lingua se sei volgare una volta nella vita ».
« Sì, e poi suona meglio » confermò Marco, dandogli una pacca d'approvazione sulla spalla; sembrava essere sempre d'accordo con lui, in qualunque circostanza, tanto che a volte quello lo chiamava “lecchino” accompagnando l'epiteto con un'occhiata compassionevole.
Cristina in tutta risposta scrollò le spalle e consegnò a Giovanna la tazza vuota del suo caffellatte. « Finalmente! » disse solo, poi girò sui tacchi e sparì in camera da letto senza una parola di più.
Con un gemito di frustrazione la tazza fu sbattuta nel lavandino, poi anche Giovanna lasciò la cucina; andò a raccogliere le proprie cose e meno di un minuto dopo stava lasciando il 3b di via Marconi con passo pesante e risoluto, senza salutare nessuno.
Attorno al tavolo della cucina, Marco e Orfeo finivano di sgranocchiare i biscotti della colazione senza minimamente curarsi di ciò che stava succedendo. Erano talmente presi dal loro pasto, che Sonia riuscì addirittura a correre in bagno per far pipì prima di loro, per poi raggiungerli e, dopo aver lanciato un'occhiata all'orologio che segnava le nove meno cinque, appoggiarsi con gli avambracci allo schienale di una delle sedie vuote. « Non ha salutato» fece notare loro, come se quell'unica frase la dicesse lunga sulla situazione.
Orfeo le rivolse uno sguardo di sfuggita, mentre si riempiva la tazza di quel succo alla mela che sembrava irritare tanto il loro coinquilino. Pensò che Sonia presa singolarmente, con quel viso lentigginoso e i lineamenti delicati, col suo metro e mezzo di altezza quasi del tutto privo di curve, poteva forse dimostrare diciotto anni; messa a confronto con fisici e visi come quelli di Cristina e Giovanna scendeva pericolosamente verso i sedici. E dire che ne aveva quasi ventiquattro. « Ed è un problema perché...? »
La questione era piuttosto chiara, se solo qualcuno di quei due zucconi si fosse degnato di farci caso. Giovanna era leggermente maniaca del controllo: tendeva a occuparsi di tutto in casa, tanto, forse, da credersi la responsabile di tutti loro – doveva nutrirli, far trovare i panni puliti, stabilire i turni per le faccende, stilare la lista per la spesa e cercava di fare in modo che la loro vita quotidiana scorresse semplice e lineare, senza alcun genere di intoppo. A volte Sonia credeva che si sentisse un po' davvero la mamma della situazione, cosa che, chiaramente, nessuno dei coinquilini accettava molto di buon grado: si scatenavano liti, ostilità, rancori, dichiarazioni di indipendenza a cui quella americana faceva un baffo e certe volte Marco faceva i capricci proprio come doveva aver sempre fatto a casa dei genitori.
Giovanna li considerava tutti una famiglia, cercava di far funzionare la loro convivenza e non era mai successo che uscisse senza salutare nessuno o almeno ricordar loro di chiudere tutto prima di andarsene.
Si limitò a scrollare le spalle sperando di suscitare nei due ragazzi una qualche reazione consapevole, anche se in fondo lo sapeva, che era tutta fatica sprecata.
Di fatto Marco ridacchiò, gesticolando con un biscotto tra le dita mentre parlava. « Senti, Cicciobello, non devi andare ad ammirare qualche quadro? Non farti problemi che non esistono ».
Stranamente, Orfeo si trovò costretto a concordare con lui: « Siamo alle solite, Sonia » disse: « Cris la fa incazzare e Vanna si comporta da primadonna. Tu sei un caso a parte, ma è così che funziona quando in una casa ci sono due principesse. Fidati, io lo so ».
“Fidati, io lo so” era la frase emblematica di uno come Orfeo. Sotto il ciuffo di capelli biondi sempre accuratamente ingellati, pareva nascondersi una mente profondamente sapiente, esperta in ogni campo e in ogni disciplina. A sentir lui, erano pochissime le cose che quella giovane promessa del pallone non avesse sperimentato nei suoi ventidue anni di vita. Era un ragazzo dalle mille risorse, Orfeo Dalle Monache, oltre che estremamente affascinante; “un so-tutto-io del cazzo”, per dirla con le soavi parole di Cristina.
Sarà – concesse loro mentalmente Sonia, affondando le mani nelle tasche dell'enorme felpa grigia che stava indossando. « La faccenda puzza ».
E poi ecco un insolito rossore colorare le orecchie del buon vecchio Marco: « Scusa, sono stato io » bofonchiò imbarazzato, passandosi una mano tra i corti capelli scuri. 

 
Ed eccomi qua, ci credete?, alle prese con una nuova long. Non aspettatevi aggiornamenti frequenti (*i pochi intenzionati a leggere se ne vanno brontolando*), perché continuo ad avere grossi problemi di ispirazione ed esami da dare. Non sono ancora del tutto sicura di come scrivere questa storia, non so se cambierò sezione, sicuramente introduzione appena avrò le idee un po' più chiare, ma hO UN PLOT! Che non è poco, visti i miei standard ahahah. Eeeee niente. Spero che a qualcuno faccia piacere ritrovarmi tra queste file, spero che a qualcuno la storia interessi e spero di non deludere le aspettative di nessuno, soprattutto le mie. 
Spero di farmi viva presto!
Uh, un paio di note: le mie informazioni su Urbino e la sua università si basano su una gita di un paio di giorni presso un'amica che studia lì e da una ricerca più o meno approfondita sul sito della Carlo Bo. Le informazioni non sono troppo puntuali e non pretendono di esserlo -- insomma, se dovete andare a farci una gita o a studiarci, non basatevi su quello che dirò io in questa storia. Teoricamente un "3b di via Marconi" non dovrebbe esistere, ma non ci metterei la mano sul fuoco. 
Per qualunque cosa, potete trovarmi a uno qualunque di questi contatti: http://yvaine0mich.flavors.me/
Un abbraccio a tutti, spero che il primo capitolo vi sia piaciuto. ♥
  
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