A Ene era stata privata ogni forma di felicità sin dal principio. Ene era un’esistenza fatta di tristezza e desolazione, senza possibilità d’uscita da un percorso lineare a senso unico che finiva in un vicolo cieco luminoso e caldo – azzurro come l’estate che la risucchiava. Alla fine era solo il rimpiazzo di quella che fu Takane Enomoto. Ene era nata per ricevere i rimastugli della sofferenza di un essere umano, era la sola coscienza, era i suoi ricordi, era un’entità totalmente a sé stante ed indipendente dalla passata diciasettenne, l’incarnazione digitale di quella che era la disperazione che toccava un essere vivente sentendo anomalo freddo mentre l’abitudine per lei. Ene aveva potuto vivere solo i milioni di tentativi per raggiungerla, la felicità, ma sparì prima di conoscerla ed a prendere il suo posto fu l’esistenza umana di Takane.
   Ene non ha mai saputo cosa fosse la felicità reale, era malvoluta dal destino. Invece la ragazza che veniva chiamata di rado Enomoto era fortunata ed amata. Ene non aveva mai visto coi suoi occhi la vera felicità, ma Takane sì. Ingiusto, ma lo aveva accettato – aveva accettato di essere stata creata al fine di ricoprire il ruolo di capro espiatorio fino al ritorno della se stessa che gli altri volevano, quella che non era lei.