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Autore: PuccaChan_Traduce    24/04/2015    5 recensioni
Bilbo Baggins torna a casa profondamente addolorato dopo la Battaglia delle Cinque Armate. Tutta la Terra di Mezzo ha saputo che Thorin Scudodiquercia e i suoi due nipoti sono caduti in battaglia. Sembra che a Bilbo non resti altro da fare che vivere un’esistenza tranquilla, seppur solitaria; una notte però il Fato, sotto forma di una giovane Elfa incinta, bussa alla sua porta...
Bilbo Baggins, a quanto pare, non è destinato ad avere una vita tranquilla.
Disclaimer: questa fanfiction è una TRADUZIONE che viene effettuata con il permesso del legittimo autore; tutti i personaggi citati appartengono ai rispettivi autori.
QUESTA STORIA È INCOMPIUTA!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bilbo, Kili, Tauriel, Un po' tutti
Note: Movieverse, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Autrice: Garafthel (Tumblr / Profilo AO3)
Fandom: Il Signore degli Anelli / Lo Hobbit
Coppie: Kìli/Tauriel; Bilbo Baggins/Thorin Scudodiquercia

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(Nota dell’autrice): ho scritto questa storia prendendo spunto sia dal libro che dai film e la maggior parte è stata ideata prima dell’uscita di BOTFA (La Battaglia delle Cinque Armate); molte delle vicende narrate sono perciò da considerarsi AU e non-canon.
A dispetto di quel che potrà sembrare dai primi capitoli, questa storia è in realtà una fix-it; ci vorrà solo un pò per arrivare a quel punto. E aggiungo anche che il personaggio di Dàin Piediferro non sarà così malvagio come potrà sembrare a prima vista.
Desidero infine ringraziare Runakvaed e Irrel per aver creato delle bellissime cover art ispirate alla mia storia!
 
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Bilbo Baggins fece ritorno a Casa Baggins all’incirca dieci mesi dopo essere uscito correndo dalla porta di casa per seguire il canto di un re della montagna.
Alla gente della Contea egli non parve eccessivamente cambiato da quell’avventura, semmai era un pò più ricco di quando era partito (si favoleggiava che i corridoi del suo smial fossero pieni d’oro) e meno socievole di com’era stato un tempo. La gente chiacchierò della faccenda per tre giorni buoni fino a che la novità non venne rimpiazzata dallo stupore per la prolificità della scrofa del fattore Cotton.
Bilbo cercò di riadattarsi ai ritmi di vita della Contea, ma era come voler indossare un paio di guanti troppo stretti. Sentiva che quella vita non faceva più per lui. Il suo cuore avrebbe sempre recato il danno irreparabile inflittogli dalla perdita di qualcosa che in fondo, e non faceva che ripeterselo, non aveva mai avuto.
C’erano voci che non avrebbe mai più sentito risuonare per i corridoi della sua casa, voci che la battaglia aveva messo a tacere per sempre. Nelle prime settimane cercò di riempire il silenzio parlando da solo, raccontando nel dettaglio le sue avventure ad un pubblico inesistente; ma nessuno giunse mai a bussare alla sua porta, e col passare del tempo il ricordo delle risate e di quella canzone iniziò lentamente a sbiadire.
Mentre i giorni trascorrevano in una primavera fredda e piovigginosa, che sembrava ammantare tutto di fango e noia, cominciò a sentirsi come se non avesse più parole del tutto. Attendeva alle proprie faccende dall’alba al tramonto senza mai sprecare più di un “Come va” o un “Buongiorno” rivolti ora al fruttivendolo ora al garzone del macellaio. Alla sera si preparava una cena fredda e mangiava in silenzio, ritirandosi a letto presto solo per restare desto fino a poco prima dell’alba, nelle ore più buie e più fredde, quando sembrava quasi che non potesse più esserci luce nè speranza al mondo.
Fu durante una di queste cene tristi e solitarie, oltre un mese dopo il suo ritorno nella Contea, che Bilbo udì inaspettatamente bussare alla sua porta proprio mentre si chiedeva se fosse il caso di finire il suo piatto di prosciutto e formaggio.
Rimase immobile col cuore che gli batteva forte; ma no, si disse poi. Quella non somigliava affatto ad una forte ed esigente bussata nanica. Era stata una bussata sommessa, quasi esitante – forse uno dei vicini aveva bisogno di qualcosa e si sentiva in colpa a disturbarlo a quell’ora.
“Solo un momento,” esclamò alzandosi e rassettandosi la cintura della vestaglia, un indumento a colori vivaci, dono della sua prozia Pansy, che ora gli stava molto più larga rispetto a quando era partito; non riusciva proprio a recuperare il peso perso durante il suo lungo viaggio.
All’inizio non riconobbe l’alta figura in piedi davanti alla sua porta; era girata a mezzo rispetto a lui e tutto ciò che si vedeva era una ciocca di capelli rossi sulla spalla coperta da un mantello. Una persona della Gente Alta alla sua porta, e a quell’ora di notte?
“Ehm... posso aiutarvi?” chiese Bilbo.
La persona lo sbirciò da sopra la spalla e un sorriso luminoso si diffuse sul suo volto. “Mae g’ovannen, mellon nin.”
La sua presenza nella Contea sembrava talmente incongrua, come un cigno bianco nel bel mezzo di uno stormo di oche scure, che per un bel pò Bilbo non potè far altro che rimanere a fissarla. “Tauriel?”
Girandosi del tutto verso di lui, ella inclinò la testa. “Ti trovo bene.”
Bilbo cercò di trattenere un gridolino di sorpresa. Il bel viso dell’Elfa recava una livida cicatrice che dalla tempia destra scendeva fino alla mandibola, intersecandosi anche con la linea dei capelli. Ricordava bene quella ferita – il viso di lei sfregiato fino all’osso mentre cercava disperatamente di raggiungere Kìli, che ancora resisteva a difendere il corpo di Thorin dagli assalti della terribile mazza ferrata di Azog. Bilbo sussultò visibilmente al ricordo e sperò che lei non pensasse che era dovuto alla vista della cicatrice.
“A–anche tu,” balbettò. “Ma entra, entra! È una serata troppo fredda per restare all’esterno.”
Lei chinò la testa prima di oltrepassare la porta. “Ti ringrazio per l’ospitalità, Bilbo Baggins della Contea.”
“Posso prendere il tuo mantello?”
Tauriel esitò e fece una strana espressione; Bilbo l’avrebbe quasi definita di paura, anche se era inverosimile che la guerriera che si era strenuamente battuta contro Azog il Profanatore, e che aveva messo l’enorme Orco nella posizione giusta perchè un Hobbit pieno di rabbia e in possesso di quello che era poco più che un tagliacarte elfico lo trafiggesse dritto nel petto, provasse paura.
Di nuovo Bilbo si riscosse dai ricordi e si accorse che Tauriel non si era ancora tolta il mantello; ella si morse un labbro e poi, lentamente, lo slacciò e se lo tolse dalle spalle.
Era noto a tutti che gli Hobbit erano un popolo prolifico. Infatti, ‘figliare come un Hobbit’ era un detto abbastanza comune tra gli Uomini di Brea. Durante la sua vita Bilbo aveva visto più donne Hobbit incinte di quante si potessero contarne; non ebbe dubbi quindi circa il significato dell’evidente rotondità della pancia di Tauriel.
“Oh cielo,” fu tutto ciò che fu in grado di dire prima di cadere a terra svenuto.
Tauriel, ex Capitano della Guardia di Bosco Atro, lo osservò con sorpreso sgomento. “E io che pensavo che Kìli mi prendesse in giro quando mi ha raccontato dello svenimento di Bilbo.”

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(glossario) Smial –> ‘casa’ nella lingua degli Hobbit
Mae g’ovannen, mellon nin –> ben ritrovato, amico mio

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(Note della traduttrice) Mae g'ovannen anche da parte mia, amici miei! ^o^
Vi avevo detto che mi sarei presto rifatta viva con un'altra traduzione, e quindi eccomi qua! Questa è un'altra delle mie storie preferite e spero di riuscire a farla piacere anche a voi, perchè merita davvero. Come avrete notato, è presente un tema che personalmente mi appassiona sempre un sacco nelle storie ispirate a questa coppia: l'attesa di un bambino! *o*
Un'altra cosa: come avrete letto dalle note in cima, oltre alla coppia Kiliel sarà presente anche la Thilbo – o Bagginshield che dir si voglia. Per quanto mi riguarda, ammetto di non essere una fan di quest'ultima coppia (quel che vedo io tra Thorin e Bilbo è solo una bella amicizia), ma questa storia mi ha colpita al punto che ho deciso di passarci sopra.
Bene, la smetto di sproloquiare. Fatemi sapere cosa ne pensate! ;)
  
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