Ciao a tutte!-quanto tempo
XD-
Questa one-shot è la mia versione (molto fedele come ogni
volta cerco di fare) dei capitoli 18 e 19 di Breaking Dawn visti dal
POV di Esme.
A chi già mi conosce per aver letto qualche mia storia
dirò solo che spero che anche questa possa essere di vostro
gradimento.
Per chi invece è la prima volta che legge qualcosa di mio,
beh, vorrei dire che questa storia è nata ieri mattina verso
le 4 e mezza, mentre non riuscivo a dormire. Spero possa piacervi e
magari che vi faccia venir voglia di andare a leggere anche qualche
altro mio lavoro (forse sconsiglierei la storia da 47 capitoli, non per
altro se non per la lunghezza. Leggerli tutti insieme –tutta
la mia stima alle tante che ci sono riuscite- fa venire mal di testa. O
per lo meno così mi hanno scritto quelle che lo hanno fatto.
Stare per sei ore incollate al PC non fa bene…)
Vorrei
chiedervi di non spaventarvi per la lunghezza che è solo
apparente. (ad ogni dialogo o quasi vado a capo, per questioni
meramente grafiche.)
Spero che la lettura vi risulti scorrevole.
Di solito mi cimento in storie lunghe ma questa doveva essere scritta
in un solo capitolo dato l’argomento trattato.
Che dire?
Spero che vi piaccia!
Appena possibile comincerò a postare una nuova storia (di
pochi capitoli) sempre riguardo Breaking Dawn.
Sarà incentrata sul periodo che
Un bacio a tutte e auguri di buon anno nuovo!
Erika
Gli ospedali citati esistono, sono nello stato di Washington e sono
davvero a Tacoma e a Forks (tanto per non smentirmi mai…
questa minuzia è una deformazione professionale. sapete
com’è, il greco provoca danni cerebrali)
Scusate per eventuali errori di ortografia… le quattro di
mattina non sono un buon orario per mettersi a scrivere ma
l’ispirazione va colta quando viene, se no sfugge!
Our
Little Beloved
(perché
per un figlio, una madre è disposta a rinunciare a
tutto…)
La
telefonata era arrivata all’improvviso, mentre eravamo
diretti all'Allenmore Hospital di Tacoma in cerca di altro sangue per
poter nutrire Bella e il bambino che portava in grembo.
Al Forks Community Hospital dove Carlsile lavorava non potevamo
comprarne più di una certa quantità. Avrebbero
fatto troppe domande…
Bella, quella che per me ormai era diventata una figlia, avrebbe
resistito ancora poco ma nonostante le sue condizioni fossero ancora
critiche stava un po’meglio…
Negli ultimi giorni era migliorata a vista d’occhio grazie al
sangue umano di cui avevamo scoperto avesse bisogno e che Carlsile
aveva acquistato non appena Edward ci aveva avvisato della situazione,
mentre ancora si trovava in Brasile.
In quel momento Carlsile pensava di dover operare Bella, di dover
farla abortire. Il sangue gli sarebbe servito nel caso ci fossero state
complicazioni.
Solo quando Bella ed Edward ci avevano raggiunto avevamo scoperto che
lei non avrebbe mai permesso una cosa simile, scatenando la rabbia di
Edward e poi il suo dolore…
Nonostante i netti miglioramenti, era però palese che Bella
soffrisse e che la vita non l’avrebbe accompagnata ancora a
lungo.
Sia io che Carlisle eravamo partiti sapendo che dovevamo sbrigarci a
cacciare, recuperare abbastanza sangue per Bella, tornare in fretta ed
aspettare che il bambino fosse pronto.
In quel momento, Carlisle lo avrebbe fato nascere ed Edward avrebbe
fatto in modo che Bella raggiungesse le soglie
dell’immortalità, per sua stessa mano.
O per lo meno, questi erano i progetti iniziali…
Questo se Bella avesse resistito fino al nostro ritorno…
Quando eravamo partiti con Alice e Jasper, Rosalie l’aveva
appena fatta sdraiare sul divano.
Pallida e sofferente, mia nuora si era lasciata accudire da Edward.
Persino muoversi per lei era doloroso. L’avevo osservata
mentre stavamo per andarcene. Il suo viso emaciato era spento,
incorniciato da capelli disordinati. Privo di vita. Si era
raggomitolata su se stessa e aveva poggiato la sua mano su quella di
Edward, stringendogliela leggermente.
Il sangue umano le aveva dato quel minimo di forza che le era
necessaria per poter resistere almeno qualche giorno.
E con quel sangue che le serviva per sopravvivere, la nostra sete si
era fatta sempre più bruciante, frustrante,
tormentosa…
Per Edward doveva essere una sofferenza restarle accanto a quel modo.
L’ultima volta che aveva cacciato, era stato quasi un mese
prima, in luna di miele.
Da quando Bella aveva scoperto di essere incinta, lui non
l’aveva abbandonata nemmeno un istante, nonostante la sete
ardente che gli bruciava la gola ogni istante in modo più
atroce.
Temeva che potesse succederle qualcosa nel breve lasso di tempo in cui
lui fosse stato lontano…
E come lui,anche Rose soffriva la sete. Non si allontanava mai dal
capezzale di Bella. La proteggeva, impedendo a chiunque di interferire
con la gravidanza, di far del male al bambino.
Bella stessa l’aveva implorata di aiutarla, andando contro le
decisioni di Edward.
Lei voleva quel bambino a costo della sua stessa vita.
Io, più di chiunque altro, potevo capire la sua decisione e
non potevo non appoggiarla nelle sue scelte.
Un figlio…
Quando si ama qualcuno così tanto, la propria vita perde
significato.
La si offre per proteggerlo,
La si offre per stargli accanto…
Perdere un bambino è un dolore dilaniante, che non permette
nemmeno di respirare…
Come potevo biasimarla?
Ma allo stesso tempo, non potevo non dare ragione ad Edward, non potevo
non comprendere le sue angosce…
La situazione di Bella era troppo precaria, troppo incerta.
Il bambino si faceva sempre più grande. La feriva, le
impediva di mangiare…
La stava consumando.
Il sangue che le avevamo somministrato le aveva permesso di
riacquistare un po’ le forze ma non sarebbe bastato a lungo.
Lui la amava e non voleva vederla in quelle condizioni. Non voleva
rischiare di perdere lei che, per tutti quegli anni di solitudine,
aveva cercato senza neanche saperlo.
Le condizioni di Bella erano troppo gravi, lei era troppo debole.
Aspettare ancora era una follia.
Al nostro ritorno, Carlisle avrebbe fatto nascere il bambino.
Jasper ed Alice, insieme ad Emmett, erano tornati a casa con il sangue
umano che eravamo riusciti a comprare.
Noi avremmo cercato di acquistarne ancora.
Quello che avevamo trovato era troppo poco.
Proprio
mentre stavamo per raggiungere un centro ospedaliero però
arrivo una chiamata improvvisa.
Era Alice.
<
Carlisle! > gridò disperata e lasua voce fu come una
pugnalata al cuore.
< Alice, calmati, che cosa succede? > Nonostante il tono
distaccato, la sua mano si strinse intorno al volante con forza,
provocando una crepa.
< Calrisle, Carlsile!!! > Era nel panico < Bella!
Il feto! C’è sangue dappertutto! Edward
l’ha portata di sopra ma dovete tornare subito. La placenta
si è staccata! Rosalie è di sopra con loro.
>
Le strade erano deserte a quell’ora. Carlsile
invertì la rotta con un’inversione ad U e a tutta
velocità corse sull’autostrada, verso
Forks…
Io, pietrificata dalle parole di Alice, mi tenevo al sedile.
< Alice, ascoltami. Adesso vai di sopra, aiuta Edward seguendo
le mie istruzioni. >
< No, Carlisle,no, non ci riesco a restare lì. Il
sangue! > Non riuscì a proseguire.
Carlisle fece un respiro profondo cercando di calmarsi e riprese a
parlare, lentamente e con fare rassicurante. < Metti a Rose
l’auricolare. La guiderò io. Edward
avrà bisogno di aiuto. Io sto arrivando. Sono vicino a
Tacoma. Tra circa venti minuti saremo arrivati. >
< Va bene. > Sussurrò Alice. < Edward
sta cercando di farla respirare… Rose dovrà farlo
uscire. > Nel suo tono colsi una nota d’odio.
Aveva salito le scale.. oltre la sua voce adesso sentivamo i singulti
di Bella.
Sentii Edward che sibilava: < La morfina… > E
un istante dopo Bella urlò: < No, ADESSO…
> poi sentimmo il suono di sangue che viene riversato sul
pavimento.
Una porta cigolò e i rantoli divennero facilmente udibili.
Era entrata nello studio.
Sentivo la voce di Edward, quella di Jacob…
Le mani di Rose che si muovevano, stracciavano la stoffa…
Bella che ansimava.
Il sangue che goccia dopo goccia, con un suono sordo ed attutito,
macchiava il pavimento in legno.
Un frusciare di capelli.
Rose era in ascolto.
< Carlsisle > sussurrò angosciata.
< Rose, ascoltami. >
< Sì. > La voce di lei tesa, al limite della
concentrazione.
< Afferra il bisturi e pratica un incisione sul ventre,
orizzontale rispetto all’ombelico, circa dieci centimetri
più in basso. >
< Va bene. >
< Non premere troppo. Rischi di peggiorare la situazione.
Attenta, quando incontri una membrana dura.
È la placenta. Lì il bisturi non
basterà. A quel punto lascia che subentri Edward. Sbrigatevi
o il bambino soffocherà.
Pronta? >
< Sì. Ho preso il bisturi > la sua voce era
frenetica, ansiosa. Tremava impercettibilmente.
< Bene, incidi, piano, delicatamente. > Poggiò
lo strumento sulla pelle di Bella. Ne colsi il suono.
Edward disse ansioso: < Aspetta che entri in circolo la morfina!
>
Ma evidentemente Rose lo ignorò. Gli rispose: < Non
c’è tempo. Il bambino sta morendo. >
E un attimo dopo sentimmo la pelle sottile lacerarsi. Rabbrividii.
Carlisle, al mio fianco, era rigido. Il tachimetro sfiorava i
centonovanta all’ora.
Altro sangue si rovesciò sul pavimento.
Poi udii un ringhio basso. Proveniva da Rose.
Il sangue… la sete…
< Oddio! No! > Rantolai portandomi le mani alla bocca,
terrorizzata.
Edward ruggì: < No, Rose! > ma non lo sentii
muoversi.
Un attimo dopo una serie di suoni confusi.
Ringhi,
urla, oggetti che si fracassavano.
Poi il silenzio.
Totale, assordante.
Il
cellulare di Carlsile emise un bip ed una voce metallica ci
informò che il numero non era momentaneamente disponibile.
Mio marito fece scattare il telefonino e me lo passò.
Composi il numero di Jasper con dita tremanti. Ci misi qualche secondo
e lui mi rispose al quarto squillo.
< Pronto Jasper, cos’è successo? >
< Rose ha perso il controllo. Alice ed Emmett la stanno portando
qui. Adesso cercherò di tranquillizzarla. >
< Bella? >
< Edward sta… tirando fuori il feto…
>
Deglutii a vuoto. < Saremo lì fra una decina di
minuti. >
< Vi aspettiamo. > E riattaccò.
Singhiozzai e Carlsile mi appoggiò la mano sulla spalla.
< Vedrai, andrà tutto bene… > Mi
sussurrò senza staccare gli occhi dalla strada. Non trovai
la forza di annuire.
Quando,
dopo un tempo che mi parve infinito sebbene fossero passati solo
quindici minuti dalla telefonata con Jasper, intravidi casa nostra
respirai a fondo.
Parcheggiamo
ed uscimmo nell’oscurità. Il vento mi
scompigliò i capelli e mi sospinse verso il portico.
Carlsile mi prese la mano ed entrammo.
Trovammo Alice in cima alle scale. Sul volto un’espressione
indecifrabile. Sentivamo Rose ed Emmett litigare in giardino. Non volli
ascoltarli. Temevo ciò che avrei potuto sentire.
Alice colse le nostre preoccupazioni e ci fece cenno di salire.
Non sentivo altri suoni oltre alle voci di Jacob e Rosalie. Mi sembrava
che mi scoppiassero le orecchie.
Perché Bella non urlava? Non gridava, non implorava
così come avevamo fatto tutti noi altri?
Non erano riusciti a salvarla?
Sentii le ginocchia tremarmi per la paura. Carlsile mi strinse la mano
per farmi coraggio. Lui era molto più bravo di me a modulare
le emozioni.
Ad ogni gradino che salivo, sentivo la sete aumentare nonostante avessi
cacciato da poco.
L’odore del sangue era fortissimo, chissà se ne
aveva perso talmente tanto da morire dissanguata? Le mani di Alice
sapevano di disinfettante. Tra le dita stringeva delle pezze rosse, un
tempo bianche. Stracci per pulire…
I suoi abiti bianchi erano macchiati in più punti.
Arrivammo davanti alla porta chiusa dello studio e sospirai quando,
veloce, faticoso ed irregolare, riconobbi il respiro di Bella. Il suo
cuore pareva battere a stento.
Sentii
anche il respiro di Edward e poi, uno nuovo, sconosciuto.
Carlsile
guardò Alice che abbozzò un sorriso: <
Edward è riuscito a far nascere il bambino e a iniettare il
veleno a Bella. Ora possiamo solo attendere e sperare che sopravviva
alla trasformazione. Non si muove, non grida. >
< Non si è mossa minimamente? >
< No… Edward l’ha chiamata a lungo ma lei
è restata immobile. Non le risponde.. non ha nemmeno
dischiuso le labbra. Edward era … disperato. Forse
è la morfina. Per lo meno, così crede Edward,
anche se non ne è molto convinto. >
Lui annuì e lentamente abbassò la porta.
Venni investita da un’ondata travolgente. L’odore
di sangue mi dava alla testa. Forte, potente, tentatore.
Proibito.
La stanza
sembrava un mattatoio.
Alcuni schizzi avevano macchiato il muro bianco dietro il tavolo
operatorio. Le venature del parquet erano intrise di sangue.
Gli sforzi di Alice per pulire non erano stati sufficienti.
Alla fine mi decisi a compiere il gesto più difficile di
tutti.
Alzai lo
sguardo.
Alzai lo
sguardo e vidi Bella, esamine, sdraiata sul tavolo verde che era stato
il suo letto di martirio.
Era immobile, nuda, coperta da un lenzuolo bianco macchiato di rosso
che le lasciava scoperto il capo e le spalle. Le braccia poggiate sopra
la tela che la copriva. Vedevo il buco provocato dalla siringa sulla
sua pelle. La mano bianca di Edward le stringeva la sua.
Se non fosse stato per il leggerissimo alzarsi e abbassarsi del petto
avrei detto che fosse morta.
Intravidi la sagoma di una ferita a mezzaluna sopra il seno sinistro.
Il sangue aveva macchiato il lenzuolo.
I capelli erano sparsi disordinatamente intorno al volto sudato.
Qualcuno le aveva pulito il viso. Intravedevo ancora le ombre rossastre
sulla sua pelle, lasciate dalle scie di sangue di cui si era impregnata
la sua pelle.
Le occhiaie violacee erano inquietanti proprio come il suo respiro
rotto.
Le carezzai la guancia poi alzai lo sguardo.
Edward accennò un sorriso spento.
Carlsile era chino su nostra nuora.
Poi mi
accorsi del minuscolo fagotto che Edward,con il braccio libero, teneva
poggiato al suo petto.
Quella
piccola creatura si mosse e una manina minuscola sfiorò con
un movimento sonnolento il mento di Edward che sorrise, le labbra
piegate in modo più naturale rispetto a prima.
Un gemito provenì dal fagotto e lui cominciò a
cullare dolcemente il minuscolo fardello bianco.
< Come sta il bambino? > Chiese Carlisle che nel
frattempo stava finendo di esaminare Bella.
< Bene. Si chiama Renesmee Carlie. È una bellissima
bambina. >
Sorrisi dell’orgoglio nella sua voce.
Edward le scostò la copertina scoprendole il visetto
perfetto. < è forte e sana. È
già cresciuta rispetto a mezz’ora fa…
Questa cosa mi inquieta, ma al momento… >
lasciò la frase in sospeso, fissando Bella. Il suo silenzio
era eloquente. Il suo dolore palpabile.
La bambina sonnecchiava tranquilla tra le braccia gelide del padre che
era tornato a guardarla,.
< Edward, è splendida. > sussurrai a mezza
voce, colpita dalla perfezione di quel visetto innocente.
< Sì. > asserì lui perso nella
contemplazione della bambina.
Non lasciava però la mano di Bella,neanche per un istante.
La bambina si mosse, socchiuse gli occhi e si guardò
intorno, guardinga.
Appena ci vide, sobbalzò e si rannicchiò tra le
braccia di Edward, spaventata.
Aveva lo sguardo più intelligente che avessi mai visto in un
neonato.
<
Non avere paura Renesmee, queste persone sono molto importanti e ti
vogliono molto bene. Vero? > E alzò lo sguardo verso
di noi con un mezzo sorriso.
Mi
inginocchiai davanti a lui di modo da essere alla stessa altezza della
bambina. Le sorrisi e le dissi: < Ciao Renesmee. Come sei bella.
>
< Capisce già? > Chiese Carlisle, notando lo
sguardo attento della bambina.
< Qualcosa. Già oggi, come ti dicevo al telefono, ero
in grado di capire alcuni suoi pensieri, mentre era ancora nel ventre
di Bella. Ma guarda: Renesmee, fai vedere al nonno quello che hai fatto
vedere a me. >
Lei, sentendosi chiamare, lo guardò e lui, sorridendole, le
prese la manina e se la poggiò sulla guancia. Lei
ridacchiò come fanno i neonati, con un gorgoglio, e
lasciò che Edward le posasse la manina sulla guancia di
Carlisle.
Lui rimase in silenzio per alcuni istanti e poi sussurrò:
< Fantastico. > Entrambi si sorrisero.
< Che dono meraviglioso. > bisbigliò Carlisle,
colpito.
< Già. > Fu Edward a parlare. Dopo aver detto
questo, si rivolse a me e disse: < Guarda anche tu…
> E poi fece come con Carlsile. La mano della bambina era
bollente, profumava ma non come quella degli umani. Nel suo odore
c’era un retrogusto strano, che mi ricordava il profumo dei
vampiri. Di Edward.
Un istante dopo smisi di vedere con gli occhi. Tutto era nella mia
testa.
Capii che era Renesmee a mostrarmi quelle immagini. Rividi la scena del
parto dal suo punto di vista. I suoi ricordi erano così
vividi, così intensi da darmi il capogiro. Il ricordo
dell’odore del sangue, sia quello di Bella, sia quello con
cui Rose l’aveva nutrita, mi riaccese la sete ma non me ne
curai, così rapita com’ero dalle immagini che si
susseguivano nella mia mente.
Mi fece vedere il volto sudato e distrutto di Bella che si apriva in un
sorriso splendente e sofferente mentre sussurrava il suo nome e
percepii la gioia della bambina. Lei sapeva che quella ragazza era sua
madre.
Percepii la sua impazienza, la sua attesa nervosa spettando che Bella
si risvegliasse e in quel momento, più che mai, sperai che
Bella sopravvivesse.
Non per
noi, non per sè stessa e nemmeno per Edward (che sapevo che altrimenti
si sarebbe ucciso) ma per la bambina che aspettava sua madre. Una madre
che ancora non conosceva…
Mi
mostrò di quando suo padre le cantò una
ninnananna mentre Alice lavava via il sangue dal corpo martoriato di
Bella.
Poi vidi Rosalie che la accudiva, Jacob che la voleva tenere in
braccio.
Notai lo sguardo adorante di quest’ultimo, e capii
perché lui e Rose stessero litigando.
< Ha avuto l’imprinting con vostra figlia? >
Domandai attonita e vidi Carlisle irrigidirsi.
Edward ringhiò piano, stringendo più forte la
mano di Bella. La piccola, attirata dal suono, si
immobilizzò e voltò il capo per osservare il
padre che le sorrise e le accarezzò il nasino perfetto con
l’indice. Si chinò e le baciò la fronte
prima di aggiungere: < Per il momento, non mi interessa. Dopo,
insieme > e guardò Bella < vedremo come
comportarci. Il debito che avevo nei suoi confronti non può
spingersi a tanto. Non l’ho cacciato solo perché
riesco a leggergli i pensieri. >
< Ma è solo una neonata! > Sussurrai
scandalizzata, accarezzandole il visetto. Lei si strinse contro la mia
mano inspirando il mio odore.
< Sì, ma lui non la vede come… amante.
Vuole che sia felice… in questo, devo dire che non si
discosta da me. Il suo amore non è carnale, non ancora.
Tutta la faccenda dell’imprinting è molto
complessa. Se fosse stato altrimenti, l’avrei già
fatto a pezzi. >
< Edward… >
< Sì? >
< Posso tenerla un po’ in braccio? >
< Oh, ma certo. Tieni. > E me la passò. Lei
inizialmente si sporse verso il padre ma poi, dopo che Edward
l’ebbe baciata in fronte e l’ebbe rassicurata
dicendole: < Non mi allontanerò. > la piccola
si rilassò contro il mio petto. La manina stretta saldamente
intorno al dito di Edward.
< Ciao Renesmee. Io sono la nonna. > e poi strofinai il
mio naso sul suo.
Gorgogliò e mi afferrò i capelli, ridendo. Mi
sfiorò la guancia e vidi, sentii che aveva sete.
Edward, che aveva letto quanto la bambina mi aveva mostrato, disse:
< Rosalie ne ha messo prima a scaldare un po’, sai, a
temperatura corporea… Potresti andare tu? Vorrei restare
qui, con Bella. >
Certo, con
Bella. Bella meritava di sopravvivere. Bella doveva farcela. Era un suo
dovere verso sua figlia. Edward sorrise ai miei pensieri.
<
Beh, allora noi andiamo a mangiare. > Sussurrai alzando la bimba
che sorrideva. Anche Edward fece lo stesso, sfiorandole il visino con
il palmo della mano.
Uscii e scesi le scale lasciandomi alle spalle Edward e Carlisle,
impegnati a discutere e visitare Bella.
Lei, incosciente, respirava a fatica ma il suo cuore acquistava forza
con lo scorrere del tempo.
Ogni battito era una speranza in più.
In cucina
trovai Rose intenta a scaldare del sangue. Ne ignorai l’odore.
Jacob mi
venne vicino. Il suo corpo enorme emanava calore.
< Posso tenerla? > Mi chiese.
< Non ci pensare neanche, cane. > Sibilò Rose
posizionandosi al mio fianco, dal lato opposto rispetto a Jacob.
< Esme, potresti occuparti tu del cibo della bambina? >
< Ma certo. > Ed automaticamente mi sporsi per affidarle
la minuscola neonata.
Le sue braccia, proprio come avevano fatto le mie, si curvarono a
formare una culla in modo molto naturale. Istintivo.
< Ciao piccolina. > le sussurrò gioiosa.
Renesmee le carezzò la guancia e Rose rimase in silenzio per
alcuni istanti poi, facendosi forza, si ricompose e la fissò
negli occhi, con un sorriso rassicurante sul volto.
< Non preoccuparti. La mamma verrà da te presto.
Aveva tanta voglia di conoscerti. Ti vuole tanto bene... >
E poi se la strinse al petto, coccolandola come se fosse stata figlia
sua.
E in un certo senso quella bambina
era come se fosse diventata la figlia di tutti. Quella che
né io ne Rose o Alice avremmo potuto avere.
Quella per cui Bella non aveva esitato a mettere la sua vita su un
tavolo operatorio, a farsi dilaniare, a lasciarsi tutto alle spalle per
affrontare un futuro incerto e rischioso.
La vita per la quale Bella non aveva esitato a barattare la sua.
<
Esme, è pronto? > Domandò Rose cercando di
far star tranquilla Renensmee.
Io cercai
di ritornare con i piedi per terra, mi passai un dito dietro le
orecchie per sistemare una ciocca di capelli e poi versai il sangue
tiepido nel biberon di ferro che era poggiato nel lavandino.
< Si certo, ecco. Vieni Renesmee, vieni che la nonna ti da da
mangiare. > Dissi prendendola tra le braccia e poggiandole la
tettarellla sulle labbra che si dischiusero immediatamente, avide,
affamate.
Che strano pensare a me come nonna. Io che non avevo potuto essere
realmente madre.
Non molto lontano, al piano di sopra, il cuore di Bella batteva con
vigore sempre maggiore.
Alice, seduta ai piedi delle scale con gli stracci ancora tra le mani,
sospirò e si appoggiò al corrimano.
< La vedo. > sussurrò infine, tranquillizzata
e rasserenata.
La bambina riconoscere il nome della madre, allentò la presa
delle manine e mi sfiorò con il palmo liscio. Era
già leggermente, impercettibilmente più grande di
prima.
Mi mostrò il volto di Bella.
Le presi
la manina nella mia e la rassicurai: < Non preoccuparti. Vedrai.
Fra non molto sarà la mamma a tenerti in braccio. E anche
papà sarà più tranquillo. >
Quasi a sottolineare quello che avevo detto, il cuore di Bella mi parve
battere in modo più ritmato, tranquillo... La piccola
sbadiglò ed io la accarezzai, sfilandole il biberon dalle
sue labbra soffici e rosse, piegate in un sorriso inconsapevole.
Poi la
passai a Rose, impaziente di tenerla con sé.
Jacob ci fissava con lo sguardo perso lontano, negli occhi semichiusi
di Renesmee.