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Autore: Tury    26/04/2015    1 recensioni
Non avvertiva nulla oltre il suo corpo disteso su di un pavimento freddo, un pavimento che immaginava candido e lucente.
Se mai fosse esistito un luogo a cui le anime fossero destinate, per lei, sarebbe stato identico a quello in cui si trovava in quel momento. E se lei era lì, poteva significare semplicemente una cosa. Che la morte l’aveva infine raggiunta.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Silenzio.
Per quanto incredibile potesse sembrare, intorno a lei regnava il silenzio. Nessun suono, nessun rumore, solo quel silenzio innaturale. Un silenzio dolce e rassicurante.
Pace.
Nel suo cuore, nella sua testa, intorno a lei. Quella pace che l’aveva sempre evitata, che era sempre fuggita dalla sua presa, che non aveva mai incrociato i suoi occhi, ora era lì, a cullarla come la più dolce delle madri.
Non avvertiva nulla oltre il suo corpo disteso su di un pavimento freddo, un pavimento che immaginava candido e lucente.
Se mai fosse esistito un luogo a cui le anime fossero destinate, per lei, sarebbe stato identico a quello in cui si trovava in quel momento. E se lei era lì, poteva significare semplicemente una cosa. Che la morte l’aveva infine raggiunta.
«Tranquilla, non sei morta. Non ancora, almeno».
Regina aprì gli occhi per poter comprendere da dove provenisse quella voce, ma fu costretta a richiuderli quasi subito, a causa della forte luce che regnava in quel luogo. Aveva avuto ragione, quel luogo era davvero candido come aveva immaginato e non comprendeva come fosse possibile che ad un’anima oscura come la sua fosse destinato un luogo così idilliaco. Ma ciò che più la sorprendeva, era comprendere di non essere sola, in quel momento. Immaginava che quell’immensa distesa di luce non potesse essere destinata ad un’unica persona, ma mai avrebbe creduto che qualcuno la stesse osservando. Non aveva avvertito la sua presenza, né il suo profumo o il suo respiro. Nulla che potesse farle presagire la presenza di qualcuno. Probabilmente, quella era una delle doti delle anime, giungere in silenzio, senza far rumore.
Regina tentò di aprire nuovamente gli occhi, lentamente, in modo che si abituassero alla luce presente in quel luogo. Quando, finalmente, riuscì a mettere a fuoco l’ambiente in cui si trovava, si voltò verso la sua interlocutrice, seduta a gambe incrociate alla sua destra.
Si trattava di una ragazza dal fisico asciutto, i lunghi capelli neri che le ricadevano su di una spalla. Ma ciò che colpì Regina furono gli occhi, due occhi neri, scuri come la notte, che la scrutavano con curiosità ma senza alcun ombra di  giudizio. E quegli occhi, in fondo, erano l’unico particolare che le veniva mostrato, perché il resto di quel giovane volto era celato alla sua vista da un velo.
«Come ti senti, Regina?» chiese la ragazza, distogliendola dai suoi pensieri.
La donna socchiuse leggermente gli occhi, diffidente.
«Ci conosciamo?»
«Meglio di quanto tu possa immaginare».
Regina studiò ancora quegli occhi, cercando di rievocare nella sua memoria il volto a cui appartenevano. Sapeva di averli già visti, ma non ricordava quando né in quale circostanza. Ma era certa che occhi così innocenti non sarebbero passati inosservati sotto lo sguardo della Regina Cattiva.
«Sei una delle persone che ho ucciso?» si ritrovò a chiedere in un sussurro, mentre un senso di colpa si insidiava dentro di lei.
«No, non mi hai uccisa, anche se tu credi il contrario. Attualmente, mi tieni solo prigioniera».
«E come posso fare per liberarti?» chiese Regina, mentre nei suoi occhi brillava una scintilla di speranza. Forse, sarebbe riuscita a salvare quella giovane vita, portando un po’ di luce nel suo cuore oscuro, prima che la morte sopraggiungesse definitivamente.
Ma, contro ogni sua aspettativa, la ragazza non rispose, continuando a guardarla con quegli occhi così innocenti e limpidi. E, in quel momento, Regina comprese la verità che si celava dietro quel silenzio.
«Non posso» sussurrò più a se stessa che alla sua interlocutrice, mentre il peso delle sue azioni tornava a gravare sul suo corpo, sulla sua anima. E si sentì fragile e debole, come le accadeva sempre in quei momenti. Perché, nonostante il suo enorme potere, Regina era cosciente che nessuna magia, in fondo, sarebbe mai riuscita ad alleviare il peso di una vita distrutta.
«Ti va di fare due passi?»
Gli occhi di Regina saettarono in quelli della ragazza, guardandola come se la vedessero per la prima volta. E, in fondo, era sempre stato così. Quando la consapevolezza dei propri sbagli prendeva il sopravvento sulla sua regale indifferenza, il mondo diveniva solo un mero ricordo, mentre ogni angolo del suo essere veniva lentamente divorato da quel male oscuro che portava il nome di solitudine. Ed era stata la solitudine, in fondo, ad insegnarle il vero significato del dolore.
«Tranquilla, non voglio farti del male».
Regina continuò a guardarla senza rispondere. Anche se portava un velo davanti al volto, avrebbe potuto giurare che in quel momento un sorriso baciasse le sue labbra.
«Quella è una frase che dovrei pronunciare io, non tu» disse infine, mentre valutava l’assurdità di quella situazione.
«Probabilmente è così, ma sappiamo entrambe che tu temi il mio giudizio».
Regina distolse lo sguardo, lasciando che un impercettibile sospiro abbandonasse le sue labbra, mentre i suoi occhi si velavano di una muta tristezza.
«Tu temi il giudizio di troppe persone- riprese la ragazza, avvicinandosi e inginocchiandosi vicino a lei- Anche se non lo ammetterai mai».
Regina tornò a guardarla, con l’intenzione di negare quanto l’altra sosteneva. Ma, appena i suoi occhi incrociarono quelli della fanciulla, comprese che non avrebbe avuto alcun senso mentirle.
«Come fai?»
«A fare cosa?» le chiese di rimando la ragazza.
Regina era sicura che sapesse benissimo a cosa si riferisse, ma le fu ugualmente grata per aver finto di non sapere, permettendole di parlare, di essere finalmente ascoltata. Perché tutti erano pronti ad udire le parole di Regina Mills, come in passato udirono quelle della Regina Cattiva, ma pochi, in fondo, erano disposti ad ascoltarla davvero. E, in quel momento, Regina comprese il grande divario presente tra le due azioni, così simili eppure così distanti.
«A leggermi dentro».
«Non sono io, Regina. Sei tu.- le rispose semplicemente, per poi alzarsi- Allora, questa passeggiata?»
Regina sospirò di nuovo, prima di alzarsi e seguire la ragazza. Camminarono per alcuni minuti in silenzio e la donna ne approfittò per studiare la fanciulla che le camminava a fianco e che sembrava non temere assolutamente la sua presenza. Era leggermente più bassa di lei, ciononostante il suo corpo e il suo modo di muoversi le suscitavano una certa devozione nei suoi riguardi. Quella ragazza si muoveva come una sovrana. Come la sovrana che aveva sempre desiderato di essere.
«Che ne dici di parlarmi un po’ di te?»
Regina distolse immediatamente lo sguardo, cercando di focalizzare la sua attenzione su ciò che le circondava. Ma intorno a loro non c’era nulla, se non quell’eterea luce bianca. E lei non aveva nessun modo per scappare, per evadere da quella domanda.
«Non c’è molto da dire su di me e in ogni caso penso che tu sappia già tutto».
«La verità ha molti volti, Regina, e vorrei tanto sapere qual è quello con cui si mostra a te».
Regina portò lo sguardo in alto, mentre le sue braccia si stringevano intorno al suo busto, come a volerla proteggere.
«Sono una persona orribile. Credo che questa possa essere la sintesi della mia vita».
«Le persone orribili celano sempre un lato buono, Regina».
«Il mio è morto molti anni fa».
La ragazza rise, di una risata cristallina che riempì lo spazio intorno a loro, placando leggermente l’animo inquieto della donna.
«Davvero, Regina? Come mai ti trovi qui, allora?»
Regina si fermò, rivolgendo uno sguardo confuso a quella strana ragazza che sapeva leggerla dentro come nessuno era mai riuscito prima. E, solo in quel momento, si ricordò di non conoscere nemmeno il nome della sua interlocutrice.
«Non ci provi nemmeno, maestà» disse la fanciulla, prima che Regina avesse il tempo di formulare la sua domanda.
«Fammi capire bene, tu puoi fare domande e io non ho di questo privilegio?»
«Esattamente».
Regina emise un verso frustrato, prima di riprendere a camminare.
«Perché tu puoi e io no?» chiese infine.
«Perché tu hai bisogno di qualcuno che ti ascolti ed io sono qui per questo, Regina».
La donna riservò un ultimo sguardo alla ragazza, prima di abbassare la testa.
«Non credo di meritare tutta questa gentilezza da parte tua».
«Solo perché ti ritieni la mia carceriera?»
«I miei prigionieri non hanno mai lasciato le mie celle, ragazzina. Almeno non vivi».
Nel pronunciare quelle parole, un’espressione di tristezza si dipinse sul volto della donna, una tristezza che sparì subito nell’udire di nuovo quella risata cristallina, lasciando il posto alla confusione.
«Credi davvero che sia così debole, Regina?»
«Non si tratta di ciò che io credo. A chiunque finisse nelle mie prigioni era destinata un’unica sorte».
«Una sorte che ho già provato sulla mia pelle, ma come vedi sono ancora qui».
Regina si fermò di colpo, le labbra leggermente schiuse per la sorpresa, mentre i suoi occhi guardavano l’esile figura che avevano davanti, senza vederla realmente.
«È impossibile. Tu non puoi essere viva, non se io ho deciso della tua morte».
«Sarebbe più corretto dire che io non potrei essere viva qualora la Regina Cattiva avesse deciso della mia morte».
«Non cambia nulla. Io e la Regina Cattiva siamo la stessa persona».
«Eravate- la corresse la ragazza- In ogni caso, il risultato non cambia, io sono ancora viva».
Regina si portò una mano sul volto, massaggiandosi piano le tempie.
«Tutto questo è assurdo».
«Non lo è poi così tanto».
«In ogni caso, io non sono mai stata una buona sovrana. Tu, al mio posto, lo saresti stata» disse infine Regina riprendendo a camminare a fianco alla ragazza.
«Come fai a dirlo? Non mi conosci nemmeno».
«Lo sento- rispose la donna, stringendosi nelle spalle- Tu sai ascoltare, ascoltare davvero. Ogni anfratto della tua anima è protesa verso il tuo prossimo, nel tentativo di aiutarlo. E, anche se ora non mi rammento di te, so di averti conosciuta, in un passato ormai troppo lontano».
La ragazza la guardò in silenzio, permettendo a Regina di perdersi nuovamente in quelle iridi limpide.
«Sarei curiosa di sapere cosa dovrebbe fare una buona sovrana per te» disse infine la fanciulla.
Regina abbassò lo sguardo, focalizzando l’attenzione sui suoi passi, prima di riprendere a parlare.
«Una buona sovrana dovrebbe mettere il bene del proprio popolo al primo posto, cercare di far vivere la sua gente in modo agiato e godere della loro felicità. Farsi carico dei loro problemi e cercare di risolverli, dando un aiuto concreto. E, qualora la situazione lo richiedesse, dovrebbe esser pronta a dare la vita per salvare il suo regno, combattendo in prima linea affinché non una singola goccia di sangue dei suoi sudditi venga versata. Tutte azioni che io non ho mai compiuto» concluse, mentre nella sua voce si faceva largo una malcelata tristezza.
«Disse colei che era pronta a sacrificarsi per permettere agli abitanti della Foresta Incantata di salvarsi, che donò alla sua presunta rivale nuovi ricordi, perché potesse vivere una vita serena mentre condannava se stessa alla solitudine più totale e che ora si trova in questo limbo perché è accorsa a salvare il figlio della sua presunta nemica. Devo ammetterlo, davvero una pessima sovrana».
Regina si fermò nuovamente, gli occhi sbarrati, il cuore impegnato in un’incessante corsa. Perché mai, fino ad allora, aveva compreso fino in fondo l’importanza delle sue azioni più recenti. Il suo sguardo si portò istintivamente ai suoi polsi, dove aveva sempre immaginato esserci delle catene invisibili, catene che l’avevano sempre spinta a compiere atti di inaudita malvagità. Una effimera illusione, ne era cosciente. Credere che le sue azioni non fossero altro che il frutto di quella eterna prigionia era solo un’effimera illusione. Ma lei aveva bisogno di credere, di credere che la sua parte umana non fosse andata del tutto persa, che le spire velenose della sua vendetta non le avessero soffocato l’anima, uccidendola, disintegrandola, divorandola. E se questo avesse significato aggrapparsi a quell’effimera illusione, lei lo avrebbe fatto. E avrebbe vissuto la sua vita in quella mera speranza di poter cambiare, di poter, un giorno, decidere della sua vita. Di potersi finalmente liberare da quelle catene invisibili. Catene che, in quel momento, non vedeva più sui suoi polsi, sulla sua anima. Era libera, per la prima volta nella sua vita. Era libera di scegliere. Dopo una vita di prigionia, finalmente era libera di poter essere Regina, semplicemente Regina.
La ragazza rimase ferma, ad attendere, mentre osservava le emozioni scivolare su quel volto provato dalle innumerevoli sfide che si erano susseguite in tutti quegli anni, E lesse, in quelle iridi scure, la consapevolezza di quell’attimo, di quella libertà ritrovata. E ancora, vide gli occhi chiudersi, i pugni serrarsi, la testa muoversi appena, in un chiaro segno di diniego.
«Non ha importanza» disse infine Regina, tornando a puntare il suo sguardo in quello della fanciulla. Uno sguardo pieno di tristezza, di lacrime e di un rimorso che mai nessuno aveva avuto la capacità di leggere in fondo a quelle iridi.
«Cosa non ha importanza, Regina?» chiese la ragazza paziente.
«Tutto ciò che ho fatto. Tutto questo non ha importanza».
«Perché?»
«Perché non può cancellare il passato. Non posso semplicemente dimenticarmi di quelle vittime innocenti, di quelle vite stroncate. Io ero e sarò sempre la Regina Cattiva, qualsiasi cosa decida di essere non cambierà questa realtà».
«Nessuno ti chiede di cancellare il passato, Regina. Ma così come il presente non può eliminare ciò che fu fatto, esattamente nello stesso modo, il passato non può eclissare ciò che sei adesso e le azioni che ti hanno accompagnato. Se è vero che hai ucciso molte persone, è altrettanto vero che ne hai salvate molte altre. Guardati, Regina, poniti dinanzi a te stessa e guardati. Sei libera, adesso. Sei libera dal dolore, dalla vendetta, dalla rabbia. Sei libera dall’appellativo Cattiva».
«Non ha più importanza- rispose per l’ennesima volta la donna, donando alla ragazza un sorriso triste, bagnato da una singola lacrima- Perché io sono morta. E sai qual è la cosa peggiore? Che non sono riuscita a proteggerli, non sono riuscita a proteggere nessuna di quelle persone. Non sono riuscita a salvare nemmeno te».
La ragazza non rispose, limitandosi a voltare il capo, ignorando la donna che le stava di fronte. Regina sospirò, credendo che quell’azione fosse dettata dalla consapevolezza che mai nessuno l’avrebbe più potuta salvare. Avrebbe voluto chiederle scusa, dirle che era pentita, ma rimase in silenzio, incapace di agire.
«Non l’hai ancora notata?» chiese improvvisamente la fanciulla, voltandosi nuovamente verso di lei.
Lo sguardo confuso di Regina saettò nuovamente su quel giovane volto, prima che la sua attenzione fosse catturata da un fascio di luce, ancor più candido e lucente di quel limbo che le circondava. E, in quel momento, comprese cosa realmente fosse successo. Non era dal suo sguardo che stava scappando, non era dalle sue parole che cercava rifugio. Semplicemente, quella giovane fanciulla stava osservando quella porta bianca che, magicamente, era apparsa in quel luogo spoglio.
«Se vuoi, puoi andare».
Regina guardò nuovamente la ragazza, la confusione ancora presente sul suo volto.
«Puoi tornare a casa, Regina».
«Se tornerò, potrò salvarti?» chiese, in un sussurro appena udibile.
La ragazza mosse alcuni passi in direzione della donna, per poi poggiarle una mano sul braccio, cercando di rassicurarla.
«Non è per me che devi farlo, Regina» disse semplicemente.
La donna guardò verso la porta, per poi voltarsi di nuovo verso la fanciulla.
«Vorrei tanto poter tornare- disse, mentre una lacrima accarezzava il suo volto- Ma ho paura. Ho la sensazione che sarebbe meglio se io restassi qui. Nessuno dovrebbe più temere l’ira della Regina Cattiva, nessuno dovrebbe più temere me. Henry potrebbe stare con sua madre, lo desiderava tanto e io gliel’ho sempre impedito. La mia morte sarebbe solo un motivo di gioia, una liberazione».
La presa sul braccio di Regina si fece più serrata, come a volerle infondere una sicurezza che sembrava mancarle.
«Nessuno gioirebbe della tua morte, devi credermi. Hai trovato l’amore, Regina. Hai trovato un’amica, hai trovato una famiglia. E hai un figlio che ti ama. C’è chi ti aspetta, Regina, aldilà di quella porta. C’è chi attende il tuo ritorno. Non dubitare mai di questo».
«Nessuno attende il mio ritorno» disse in un sussurro la donna, abbassando il volto.
Ma appena ebbe pronunciato quella frase, lo spazio intorno a loro si riempì di voci accalcate, di voci familiari che invocavano un solo nome. Il suo. Poteva sentirli, Regina, poteva sentirli uno ad uno. Robin, Emma, suo figlio Henry e addirittura Mary Margaret e David. Regina si guardava intorno, mentre l’eco di quelle voci aumentava, entrandole fin dentro l’anima, scaldandola. Altre lacrime scesero da quei profondi occhi scuri, ma, questa volta, su quel volto di donna brillava un sorriso.
«A quanto pare, ho ragione io. A volte voi adulti dovreste dare più ascolto ai giovani».
«Decisamente» rispose la donna, continuando a guardarsi intorno.
«Ora devi andare, Regina. È arrivato il momento».
A quelle parole, il volto della donna si oscurò nuovamente.
«E se non ne fossi in grado? Se tornassi ad essere la persona di prima? Se un giorno si pentissero di avermi voluta nuovamente con loro?»
La ragazza le prese le mani tra le sue, stringendole appena.
«Loro ti hanno perdonata- disse semplicemente, comprendendo i taciti timori della donna- È giunto il momento che sia tu a perdonarti. Nessuno si pentirà mai di averti voluta nella loro vita, Regina. Anzi, giungerà il giorno in cui chi amerai ti sarà grato per la tua presenza. Ora vai».
Con quelle parole, Regina sciolse la presa, incamminandosi verso la porta. Si voltò un’ultima volta verso quella giovane fanciulla, prima che il buio la facesse nuovamente sua prigioniera.
 
Una fitta alla testa la costrinse a svegliarsi. Sentiva suoni indistinti intorno a lei, lievemente ovattati. Riusciva a distinguere delle voci, delle urla. E la magia, una magia che le aleggiava intorno, una magia che aveva sentito sulla sue pelle, nelle sue narici, sotto la sua carne, prima che l’oblio più assoluto si impossessasse di lei. Con qualche difficoltà, Regina aprì gli occhi, cercando di mettere a fuoco l’ambiente circostante. Intravide le figure di Robin e Emma, in piedi davanti a lei. Guardò i loro volti, volti segnati dalla sofferenza, volti segnati da delle silenziose lacrime. Brandivano entrambi delle armi, Emma una spada, mentre Robin il suo fidato arco, pronto a scoccare la sua infallibile freccia. Le davano le spalle, come a volerla difendere da una minaccia. Sorrise, Regina, mentre si alzava nel più assoluto silenzio. Che senso aveva, in fondo, rischiare la vita per proteggere un cadavere, un freddo e vuoto involucro di carne? Ma lei conosceva bene l’animo umano, conosceva le sofferenze e le illusioni a cui poteva aggrapparsi. E, per quanto inutile potesse apparire, proteggere un corpo senza vita rientrava tra le azioni per cui valesse la pena sacrificarsi. Almeno, si sarebbe morti con la consapevolezza di aver protetto quel corpo che un tempo custodiva un’anima, impedendo che venisse toccato, offeso, violato. E Regina fu loro grata per la loro devozione, per quell’affetto e quell’amore che permeava nei loro gesti. E fu grata per quelle lacrime, perché mai avrebbe creduto che qualcuno potesse piangere per lei, per la sua scomparsa. Un piccolo sorriso si affacciò sulle sue labbra, mentre il suo pensiero tornava a quella giovane ragazza che aveva creduto così tanto in lei. L’avrebbe salvata, ora ne era certa. Avrebbe fatto di tutto per salvarla, esattamente come aveva salvato lei da se stessa. E, finalmente, avrebbe potuto conoscere il suo nome.
Un rumore di passi interruppe il flusso dei suoi pensieri e la costrinse a voltarsi verso il centro di quella costruzione. In piedi, vi era Gold, pronto a sfogare il suo dolore, la sua ira e la sua sete di vendetta sulla donna stesa al suolo. Zelena. Lo sguardo di Regina si posò nuovamente sul volto dell’uomo. Conosceva i sentimenti che si stavano impossessando del suo animo e che, in quel momento, poteva leggere tra le rughe di quel viso così familiare. Sapeva cosa sarebbe avvenuto, sapeva di quale peccato l’uomo di sarebbe macchiato. E fu per questo che intervenne, bloccando l’avanzata dell’uomo, salvando quella donna dalla sua cieca ira. Un tempo, la Regina Cattiva non sarebbe mai intervenuta per impedire a Tremotino di compiere la sua vendetta. Ma quei tempi erano lontani e della Regina Cattiva, ormai, non rimaneva che un ricordo. Un ricordo impresso con il fuoco nella mente e nell’animo di tutti i suoi sudditi, un ricordo impresso con il fuoco nella sua mente e nella sua anima. Un ricordo doloroso, sanguinante, dilaniante. Ma, alla fine, era pur sempre un ricordo. E i ricordi, si sa, appartengono ad un passato che non torna mai, neppur volendo. E non sarebbe tornato nemmeno questa volta. Nel momento in cui la sua magia si frappose tra Tremotino e Zelena, Regina sentì gli occhi di tutti i presenti posarsi su di lei. Occhi sconcertati, increduli. Occhi a cui cercò di non dare peso, perché la sua attenzione, in quel momento, era canalizzata solo su una persona. Zelena, la donna riversa al suolo. La donna che aveva scoperto essere sua sorella.
«Che stai facendo, Regina?» chiese l’uomo, la sua voce ridotta ad un sibilo.
Ma Regina non rispose, avanzando silenziosamente sotto gli sguardi attoniti di tutti coloro che erano presenti.
«Che cosa mi hai fatto, Regina! Perché non riesco a liberarmi?» chiese ancora l’uomo, mentre cercava di divincolarsi da quella presa invisibile.
Ma nemmeno questa volta, Regina rispose. Continuava a fissare la donna, studiandola con quei suoi occhi scuri, brucianti come il più vivo dei fuochi.
«Sei qui per uccidermi, cara sorellina?» chiese Zelena, sfidandola, cercando di celare la sua paura dietro quel suo sarcasmo.
«Perché dovrei, Zelena».
Quella semplice risposta bastò a fermare le proteste di Tremotino e a far sparire il sorriso dal volto della Perfida Strega.
«Perché un tempo eri la Regina Cattiva, cara. Ecco perché» rispose l’uomo, proteso verso la donna che, un tempo, fu la sua allieva migliore.
«Esatto, Tremotino. Un tempo ero la Regina Cattiva ma, come sai, i tempi cambiano. Ecco perché non puoi liberarti dalla mia presa, perché non è magia oscura quella che ti tiene prigioniero».
Solo in quel momento, l’uomo si accorse delle candide sfumature che avvolgevano il suo corpo.
«No, non è possibile. Non può essere. Questa è magia bianca».
Anche gli occhi di Zelena saettarono verso l’uomo, prendendo coscienza della verità di quelle parole.
«Com’è possibile? Tu non sei un’eroina, sei una malvagia, come me» sibilò tra i denti la Perfida Strega.
«Potrei essere una malvagia, Zelena, ma, almeno per oggi, vestirò i panni dell’eroina» detto ciò, Regina mosse lievemente il polso, imprigionando anche la donna con la sua magia bianca.
Solo a quel punto, decise di voltarsi, incontrando gli sguardi di coloro che avevano combattuto per lei anche quando la credevano morta.
«Vi chiedo scusa per avervi fatto preoccupare» disse semplicemente, muovendo qualche passo nella loro direzione.
Il primo a muoversi fu Robin, che la strinse tra le sue braccia, quasi avesse paura di vederla sparire da un momento all’altro, come se la sua presenza lì non fosse altro che una dolorosa illusione.
Emma, intanto, tentava di placare il suo pianto, mentre un sorriso andava a baciare le sue labbra.
Sorriso di cui Regina si accorse subito, una volta sciolto l’abbraccio con Robin. Le sembrava quasi impossibile che proprio lei, proprio Emma, la donna che aveva cercato di distruggere con tutte le sue forze, fosse sollevata nel vederla lì, in piedi. Viva.
«Ehi» disse Emma, asciugandosi l’ennesima lacrima.
«Ehi» rispose semplicemente Regina.
«Che ne dici di andare a casa? I miei genitori saranno in pensiero».
Regina sorrise, prima di annuire.
«Va bene, andiamo a casa» disse, prima di voltarsi nuovamente verso i due prigionieri.
E fu in quel momento, che la vide. Appoggiata alle assi di legno che costituivano una delle pareti di quella stalla, c’era la ragazza che aveva incontrato in quel limbo senza nome.
Il colorito di Regina svanì subito dal suo volto, mentre le sue labbra si schiusero in un’espressione di assoluta sorpresa e incredulità.
«Regina, tutto bene?» chiese Robin, poggiandole una mano sulla spalla.
La donna si voltò appena, notando la preoccupazione sul volto dell’uomo e su quello di Emma. E comprese, in quel momento, di essere l’unica a poter vedere la fanciulla.
«Io… sì, sto bene. Ma dovrei chiedervi un favore».
«Di che si tratta?» chiese Emma, apprensiva.
«Vorrei che portaste via il signor Gold e Zelena. Io vi raggiungerò subito».
«Regina, sicura che vada tutto bene?» chiese Robin, avvicinandosi maggiormente.
«Va tutto bene, davvero. Ho solo bisogno di stare da sola per qualche secondo».
L’uomo annuì e, con l’aiuto di Emma, portò i due prigionieri fuori dalla costruzione.
Solo quando Regina fu certa di essere sola, si rivolse alla giovane ragazza, ancora ferma nella sua posizione.
«Sei qui».
«A quanto pare» rispose semplicemente la fanciulla.
«Sono tornata, come mi avevi detto. Ora, dimmi come posso liberarti».
«Non ce n’è bisogno, Regina».
«Invece sì. Io voglio farlo, voglio liberarti, voglio salvarti esattamente come tu hai salvato me».
«Ma lo hai già fatto, Regina».
«Non è vero. Né Robin, né Emma riuscivano a vederti».
«Ti sbagli, Regina- disse la ragazza, staccandosi dalla parete e avvicinandosi alla donna- Loro mi hanno vista, hanno potuto vedermi e questo è solo merito tuo».
«Io… io non capisco».
La ragazza rise, prima di portare le sue mani dietro la sua testa e sciogliere il nodo che permetteva al velo di coprire il suo volto.
Regina fece un passo indietro, mentre sentiva le lacrime bagnarle le guance. Non era possibile, semplicemente non era possibile. Non poteva credere di star guardando quel volto, un volto che non vedeva da tanto, troppo tempo.
La ragazza rimase immobile, il candido sorriso che finalmente faceva mostra di sé, in attesa di una parola, di una reazione della donna.
«Sto sognando?»
«Credo di no».
«Tu… tu non puoi essere reale».
«A dire il vero, attualmente sono ciò che di più reale possa esistere. Mi hai salvata, Regina. Hai permesso a tutti coloro che erano qui di vedermi. Nei tuoi occhi, loro hanno potuto vedere me».
Regina guardò ancora quel volto, quei capelli corvini, quegli occhi castani, così limpidi, così innocenti. Quel sorriso luminoso, un sorriso che da troppo tempo non vedeva più. Perché, di fronte e a lei, in quel momento, c’erano la sua versione giovane, la fanciulla dal cuore puro che un tempo era stata.
Regina si portò una mano al volto, tentando di soffocare i singhiozzi, mentre la ragazza la stringeva a sé, in un dolce abbraccio.
«È tutto finito, Regina, tutto finito. Sei stata brava ed io sono così orgogliosa della donna che sei diventata».
Regina soffocò l’ennesimo singhiozzo sulla spalla di quella fanciulla che era la testimonianza di quel suo passato di luce.
«Cosa succederà adesso?» chiese la donna, una volta sciolto l’abbraccio.
«Spetta a te la decisione, Regina. Puoi punire Zelena per il dolore che ha procurato o, semplicemente, darle una seconda possibilità».
Regina si asciugò le ultime lacrime, prima di rivolgere uno sguardo deciso alla ragazza.
«Credo che quella che mi stai ponendo sia una delle decisioni più semplici che abbia mai preso nella mia vita».
«E quale sarebbe la tua decisione?» chiese la fanciulla, con un enorme sorriso sul volto.
Regina le cinse le spalle con un braccio, incamminandosi verso l’uscita della stalla.
«Andiamo da Zelena, mia piccola Regina. Andiamo a salvare nostra sorella. Insieme».
 
  
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