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Autore: Javaadda    28/04/2015    2 recensioni
"E’ che lo sento indistintamente presente in ogni mio gesto, come se fosse la ragione di ogni sorriso, lacrima, e gioia, come se l’avessi odiato a tal punto da amarlo. Ma non lo amavo nel modo giusto. Lo volevo possedere come fosse un pezzo da vetrina, il pezzo che ero riuscita ad aggiustare. Ed ero ossessionata da quell'idea. Ma l'ho volontariamente allontanato da me. E potrei perfino continuare a scrivere di noi sui muri, sui libri, in ogni pagina, frase o parola ma non ci siamo più, e non ho forze per inventarci di nuovo."
|Loe|
Genere: Drammatico, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oggi ho diciassette anni, e domani mi crederò migliore.

Probabilmente crederò di poter gestire la mia vita, e di riuscire a prenderne le redini, che ormai da tempo ruotano in mani altrui. Mi crederò capace di abbandonarlo tra queste mura, e fingerò di sentirmi adulta, umana dopotutto. Crederò di riuscire a lasciarmi questa vita alla spalle, e forse un giorno, ci riuscirò sul serio.

Fingerò che andrà tutto bene, anche se non sarà così, ma ne avrò bisogno per andare avanti.

Tra solo poche ore mi raggiungerà l'attesa mezzanotte, e saranno quelle tenebre a segnare la mia libertà. Trovo strano che il semplice e lento scorrere del tempo, ora, abbia assunto così tanto spessore per me.

Il tempo non mi aveva mai fatto paura, prima d'ora.

Distruggerò i piani passati, le pagine che sono state scritte al posto mio, la vita che non mi sono scelta. Osserverò il fuoco lento della carta che brucia, e ricoprirò le mie ferite con la cenere ardente prodotta da quelle parole.

Tutto quello che ho sbagliato, lo so bene anche io.

Mi curerò con le menzogne dette, e quell'amore che non mi sono meritata.

Ma prima, devo completare l'ultimo schema, terminarlo. Non è un evento al quale posso ancora sfuggire.

Percorro la strada che mi condurrà alla sua casa, mura oscure di ricordi.

Io penso, a quattordic'anni non si dovrebbe imparare questa vita. Ci si dovrebbe divertire con poco, ma non con una pistola. Non si dovrebbe credere che la vendetta sia il traguardo di una serie di sconfitte. Eppure si ha l'infanzia che ci danno.

Afferro le chiavi che il giorno precedente avevo sfilato con cautela dalla sua giacca di pelle color nocciola, e apro la serratura. Avrei potuto scassarla ma non volevo presentarmi in casa sua come un'assassina, anche se era mia intenzione diventarlo.

Per questo non me lo meritavo, perché mi aveva insegnato ad amare ogni parte di lui mentre complottavo la sua distruzione, e questo non mi aveva portato a distogliere l'attenzione dallo scopo finale.

La metà di una bugia non fa la verità.

Avremmo potuto cambiarci, ma non avevamo mai preteso così tanto dall'altro. Ci andavamo bene com'eravamo, messi in piedi sul ciglio di un burrone. Potevamo cadere assieme, ed invece sono stata tanto egoista da decidere di farlo cadere solo.

Non è vero che tutte le rose fioriscono. Le nostre sono appassitemarcite insieme al nostro amore. |

Era una serata spenta, il cielo non lasciava intravedere luce al suo interno. C'era un impercettibile silenzio che accompagnava ogni sospiro, ed ogni cosa parlava di lui. Lui che aveva un nome, e nient'altro per me. Lui che era l'imbottitura del vuoto. Noi che eravamo attimi, e respiri trattenuti.

E poi c'era il mondo, che non era più uno. C'era il suo, e c'era il mio.

Il suo corpo, rude e cupo, ed il suo volto in lotta con quest'ultimo. Il riflesso della banalità. Era il suo carattere a rovinarlo. Cercava prede, scelte minuziosamente studiate. Poteva segnarti, o annullarti con un solo contatto. Era l'acqua di un mare in tempesta, era ciò che non volevo essere. Era lineare alle mie aspettative, ma non ci aspettavamo.

Avevo delle regole da rispettare, ed avrei gestito la mia vita in base a quest'ultime. Ero conscia del motivo per cui mi trovavo in quel luogo, lontana dai miei ideali. Ero consapevole che quelle mura dalla struttura instabile, e quel suolo dall'irregolare uniformità, non avrebbero dovuto racchiudere un odore al suo interno. Ero il frutto del mio lavoro, e quella concezione temporale aveva rivestito la mia vita.

Ma era in serate come quelle che avveniva la magia, e il cielo si contornava di una miriade di costellazioni che costituivano lo sfondo neutro al nostro incontro. E le sue labbra che incespicando si schiudevano interrottamente, costituivano il ritmo irregolare del mio respiro. Quello che impercettibilmente mutò l'andamento regolare della sua vita.

I suoi piedi si scontravano periodicamente, rendendo il mio battito nervoso, come se a sollevarli da terra richiedessero uno sforzo di un valore a cui non riuscivo ad intercedere. I suoni si ovattavano ad ogni suo avvicinamento, ed il corrompente rumore esterno mi procurava fastidio all'udito. Ma la sua voce, fece tremare il suolo fino a stabilire la quiete richiesta dal mio corpo.

< Piacere, Lorenzo. > affermò spavaldo. 
Un sorriso solcò il suo volto, e la sua mano sfiorò impercettibilmente la mia. 
< Noemi. > accennai, avvinghiandomi ad essa. Il suo contatto, procurò un'ardente scossa sul mio corpo.

La mia vita aveva uno scopo, portare a termine un lavoro che necessitava di essere concluso, e Lorenzo avrebbe dovuto scriverne la fine.

Aveva i capelli di un biondo cenere, e le sue mani erano pallide come il latte. Il suo sorriso era un'impercettibile linea sbilenca che divideva le sue labbra a metà, e le sue guance accennavano un lieve rossore che alleviava l'impatto dei minuscoli nei presenti sul suo volto.

Era una mappa, dalla quale avrei tentato di estrarre il tesoro.

Il suo corpo, sembrava fremere ogni volta che i miei occhi si stanziavano nei suoi, e il suo sguardo era puro ghiaccio dell'Artico.

C'era una rampa, nella parte posteriore di quel luna park. I lampioni riflettevano la luce sufficiente a distinguere i volti delle marionette che roteavano in essa, senza una meta, ed il buio puzzava di sporco.

Era di un colore sbiadito da cui si intravedevano piccole aste di legno marcio. Aveva una forma circolare che permetteva un inclinazione stabile per i salti con lo skateboard, e davanti ad essa, era posizionata una transenna di ferro barcollante, arrugginita dalla pioggia frequente.

Il suolo era lurido, ricoperto di cenere e mozziconi di sigarette. E quest'ultime giacevano a terra con fare disinvolto come fosse loro permesso prendere parte a quel logoramento.

Distava solo pochi metri dai giochi adibiti ai bambini, ma racchiudeva un pericolo al suo interno. Avevo trascorso l'intera adolescenza a distanza di sicurezza da tutto ciò, a proteggermi da ciò. Restando inerme davanti a quello spettacolo, tentavo solo di evitare il problema.

< Sali? > echeggiò la sua voce alle mie spalle. 
< No. > fremetti, evitando la sua mano alla cieca ricerca del mio polso.

La luce rifletteva una figura innocente estranea al suo corpo, ed osservai la mia ombra allontanarsi da esso. Mi avvicinai alla rampa, e lo affrontai con uno sguardo famelico, come a voler divorare le sue interiora, leggerlo dentro.

Volevo sciogliere i suoi occhi che parevano ghiaccio immutabile a prova di fuoco. E anche se non tolleravo le osservazioni, il suo sguardo puntato sulla mia esile e instabile figura, il suo sorriso compiaciuto come se già calcolasse ogni mia mossa, quegli occhi che credevano di conoscermi già, mi divertivano.

Mi ricordavano chi era.

Frederic invece mi osservava dal sopra di quella struttura barcollante, messa in piedi com'era. Mi porse l'enorme mano che oziava dolcemente nelle sue tasche di feltro, e mi aiutò a salire.

Era alto e muscoloso, incombeva su chiunque a Venturina, per questo non si lasciava intimidire dalle persone. Le sue spalle erano possenti ed il suo sguardo crudo era temibile, il tutto accompagnato da bicipiti scalfiti.

Possedeva una voce capace di demolire schiere di coraggio, eppure non era che un sottomesso, perchè qualcuno lo temeva e rispettava, Lorenzo. Lui, a dispetto di Fred, era minuto ed il suo fisico non era affatto allenato. Deteneva un porto d'armi nella piccola cittadina, e questo gli bastava per condurre una vita da sottomissore.

Lorenzo raggiunse con gesti controllati la mia posizione. 
< Di dove sei? > chiese, evitando il mio sguardo. Rielaborai mentalmente le informazione a cui mi era permesso intercedere, e mi assestai sullo scomodo suolo ai miei piedi. 
< Donoratico. > risposi, sistemando un ciuffo maldestro dietro l'orecchio sinistro.

Non appartenevo a quel luogo, non mi sentivo parte del degrado che mi si estendeva attorno, eppure distesi affianco su quel legno impregnato di fango, tra ragazzi che avevano paura persino di sognare, con gli sguardi persi nel buio della notte, mi sentivo parte di quella generazione che aveva imparato a convivere con la sensazione di poter perdere tutto.

Mi sentivo parte di quella società che non ci prometteva neanche un futuro, mi sentivo uguale a lui.

Infastidita dal silenzio accumulato, decisi di riprendere parola. 
< Elisa? > chiesi insistente, mentre le mie mani roteavano con inelegenza nella brezza estiva. 
< Ci sono andato. > rispose ammiccando un sorriso. 
< Tutto qua? > sbuffai. 
< Non costruirti una figura differente da quella che vedi. > 
Si formò una piccola incurvatura sul lato destro del suo labbro, e controllai la mia mano nell'inevitabile istinto di sfiorarla.
< Non hai da offrire altro? > Girai nervosamente i pollici, in una lotta contro me stessa. 
< No, le persone mi stancano. > Si stiracchiò velocemente le braccia, come ad essere realmente scocciato dalla conversazione. 
< Io ti stanco? > Agitai gli occhi, disturbata dal suo comportamento. 
< Non sei diversa dal resto. > sputò. 
< Neanche te. > Gli mantenni testa, e lui sorrise divertito. 
Si eccitava a vedermi gestire la situazione.

Mi vedeva debole come fossi incapace di difendermi, ma non mi conosceva affatto.

Allungai le gambe, fino a farle ricadere rozzamente sull'inclinazione della rampa. 
< Dicono che sei uno stronzo. > puntualizzai. 
< Si dicono certe cose sul mio conto? > domandò, incurante della risposta che gli avrei dato. 
< Si, lo dicono tutti. > affermai con disinvoltura, come a voler trafiggere con un ago la sua bolla di protezione.
< E ti piace omologarti, Noemi? > ancorò i suoi occhi ai miei, senza chiedere il permesso. 
< Perché dovrei pensarla diversamente? > soffiai, mentre il cielo sembrava finalmente assestarsi sopra di noi. 
< Non sai nulla di me. > sbuffò, in un'impercettibile risata che mi aggrottò la pelle. 
< Ti piace giocare con le persone, e questo mi basta. > sussurrai. 
< Mi piacciono le sfide. > Persi un respiro.
< Che tipo di sfide? > sfuggii al suo sguardo, per riaffrontarlo nuovamente l'attimo dopo. 
Tipo te. >

Il tempo sembrò puntualmente bloccarsi, e con intermittenza la mia mente impostò re-wind
< E che tipo sono io? > Sentii un calore estraneo, affollare il mio volto. 
< Hai paura del buio, ma non delle persone che si muovono in quell'oscurità. > 
< Che vuoi dire? > stridetti. 
< Che alle nostre spalle c'è la luce, e tu hai preferito stare nel buio con me. > disse, e le sue labbra sembrarono trovare l'equilibrio giusto a formare un perfetto segmento. 
< Ti ho preferito al vuoto, non vantarti dell'inesistente. > affermai. 
Il suo sguardo si impietrì bruscamente, colorandosi di un sentimento sconosciuto.

Era Lorenzo, quell'emozione.

Strinse bruscamente le mani in un pugno, e osservai la sua pelle lasciar intravedere le scure vene al suo interno.
< Non ci provo con tutte, se è ciò che ti hanno riferito. > andò sulla difensiva. 
< Non è affar mio. > alleggerii il tono. 
< C'avrei provato con Alessia, se così fosse. > affermò, beffeggiando.

Avrei voluto irritargli la pelle, prenderlo a pugni. Avrei voluto fargli del male, fargli provare i suoi stessi giochi sul proprio corpo.

Non si meritava mia cugina, eppure l'amore ti colpisce, ti penetra, ti disintegra.

L'amore non lo chiedi.

Lo trovi per la strada, per le vie sperdute di un luogo che neanche credi possa appartenerti. L'amore, Alessia non l'aveva cercato in lui.

Affrontai l'istinto di ferirlo, e mantenni un'instabile calma.
< Non te la prendere. > sbuffò, posando una leggera pacca sulla mia spalla sinistra. 
< Non mi toccare. > borbottai. 
< Era una battuta. > si difese, nuovamente. 
< Non era affatto divertente, allora. > Lo guardai come ad attendere un gesto di arresa
< Non ti chiederò scusa, se è ciò che stai aspettando. > Sembrò quasi decifrare il miei gesti. 
< Io non mi aspetto niente da te, Lorenzo. > mentii.

Fece roteare fastidiosamente gli occhi, ed io mi sistemai più comodamente al suolo. 
< Hai intenzione di continuare così tutto la serata? > chiese innervosito. 
< Così come? > brontolai, irritata. 
< Fingi che le mie parole non ti feriscano, ma ti fai prendere da ognuna di esse. > Scandì con disinvoltura le parole, attendendo una risposta alla loro altezza. 
< Il mondo non gira attorno a te. > fissai l'azzurro dei suoi occhi. 
Siamo noi a girare, Noemi. > affermò, e qualcosa nel modo di guardarlo mutò.

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Spero inizierete ad amare i Loe. Fatemi sapere che ne pensate sotto :)

  
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