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Autore: Cleaver    28/04/2015    3 recensioni
Levy ha da poco perso il padre e, assieme alla madre, si trasferisce da Osaka a Nagayo, una cittadina portuale dove vive lo zio materno.
La ragazza appena diciassettenne deve lasciare alle spalle una vita faticosamente costruita e soprattutto la sua migliore amica, Lucy, con la quale stringe un patto: una volta a settimana devono scriversi una lettera, per colmare la distanza.
Attraverso le lettere di Levy, la bionda, capirà che a Nagayo le cose sono ben diverse da Osaka, la vita scorre più lenta e tutti sono più legati alle tradizioni.
Levy crescerà, grazie a questo trasferimento forzato, ma soprattutto grazie alle persone che incontrerà. E magari anche grazie all'amore, che si sa, è sempre dietro l'angolo.
"Cara Lucy, oggi è successa una cosa particolare..."
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil/Levy, Levy McGarden, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Una lettera per Levy
.Prologo.



 


 
Per Levy non era un bel periodo. Sembrava che tutte le sue convinzioni fossero crollate quella brutta mattinata di giugno. Il cielo pioveva.
Chissà perché ad ogni funerale piove sempre si chiese, stringendo il manico dell’ombrello nero.
Sua madre ne aveva uno uguale, davanti a lei. Sembrava distrutta, ma aveva le spalle alte e lo sguardo basso.
Le spalle di sua madre erano forti, Levy lo sapeva. Portava su di esse il peso della famiglia, essere una biologa marina non era semplice e con il padre sempre lontano crescere una figlia lo era ancora di meno.
E ora il padre era morto e la madre doveva ricominciare tutto daccapo.
Levy non sapeva come reagire, mentre lacrime calde solcavano le sue guance durante quella brutta mattina di giugno.
«Ci trasferiamo» le aveva detto la madre, le braccia sui fianchi e due biglietti per la nave.
«Andiamo a Nagayo» aveva continuato.
Levy e la madre avevano vissuto ad Osaka da quando era nata, trasferirsi in una cittadina piccola come Nagayo non era certamente semplice, considerando che a diciassette anni stringere nuove amicizie era complicato.
E soprattutto avrebbe dovuto lasciare Lucy, la sua migliore amica. Non sapeva se ce l’avrebbe fatta.
Aveva litigato con la madre, per quello. Poteva capire la necessità della donna di cambiare aria, ma non sarebbe riuscita a resistere ad un trasferimento così lontano.
Ovviamente non aveva potuto niente contro l’autorità della donna e sarebbero partite subito dopo il funerale.
Lucy era con lei, sotto l’ombrello nero, che le stringeva una mano.
«Ci scriveremo delle lettere» le aveva detto, Lucy mal sopportava la tecnologia e persino quando doveva mandarle una e-mail sapeva che la bionda ci avrebbe messo un’eternità per rispondere.
Levy aveva accettato di buon grado, in fondo anche lei adorava scrivere e ricevere lettere.
A Nagayo aveva degli zii che non aveva mai incontrato, sapeva che era una città marittima e che lo zio era un pescatore, probabilmente vedovo, non ricordava ciò che la madre le avesse detto.
La cerimonia non era durata molto, giusto qualche commiato dai colleghi di lavoro e dopo che ebbero bruciato l’incenso tutti se ne andarono.
Levy salutò Lucy con un abbraccio, la bionda aveva gli occhi lucidi, ma non pianse.
«Una lettera ogni settimana, ok?» le disse prima di salire sulla Mitsubishi grigia.
«D’accordo» annuì la turchina. La tinta iniziava a scolorirsi e avrebbe dovuto rifarla.
«Ti voglio bene, ricordalo!» affermò la bionda seduta sul sedile, il finestrino che si stava per chiudere.
Lucy aveva un accento strano, lei veniva dalla California, ma scriveva giapponese quasi meglio della media dei loro compagni di classe.
Ex compagni si corresse mentalmente la giovane, stringendosi nella sua giacca nera come la pece.
Lanciò uno sguardo al feretro del padre, mentre un groppo le saliva in gola.
Doveva essere forte per sua madre, altrimenti non sarebbe riuscita a farcela da sola.
In più non sapeva come sarebbe stato vivere a Nagayo, avrebbe potuto piacerle e magari lo zio non era così antipatico come si era mentalmente dipinta il vecchio pescatore.
Già, avrebbe dovuto vedere la situazione in maniera più positiva e non solo accumulare negatività nel suo piccolo corpicino.
Salì sull’Honda blu della madre, scrollando prima l’ombrello.
«Passiamo un attimo a casa per cambiarci, poi prendiamo il traghetto per Kyūshū, va bene?» le sorrise forzatamente.
Levy annuì, guardando il proprio riflesso sul finestrino bagnato di gocce di pioggia.
I capelli turchesi, tinti dopo continue insistenze, erano raccolti in due trecce basse e la giacca nera le arrivava fino a metà coscia. Nonostante fosse giugno, quella mattina, faceva freddo come agli inizi di febbraio.
Le scarpe erano lucide di pioggia, nere anch’esse e le calze leggere che portava non bastavano per riscaldarla.
Levy non pensava fosse causa del tempo, quel freddo che sentiva. Forse era proprio la situazione generale che le faceva venire freddo.
Si strinse nelle braccia, asciugandosi le guance ancora bagnate di lacrime.
La madre sembrava piangere ancora, mentre guidava. L’espressione era determinata e seria, ma le lacrime che scendevano erano terribilmente tristi.
Una volta giunte al loro piccolo appartamento al centro di Osaka salirono in silenzio le scale. La vicina aveva lasciato, davanti alla porta, una lettera di condoglianze. Aveva il profumo di gelsomino che indossava sempre la donna.
A Levy sarebbe mancata quella fragranza.
Entrarono nell’appartamento, già spoglio della maggior parte dei mobili.
Avevano venduto quasi tutto, tranne i libri del padre e quelli utili alla madre. Alcune suppellettili se le erano tenute e persino un vaso di fiori che Levy detestava.
«Cambiati, tesoro. Il traghetto parte alle quattro» le disse la madre, togliendosi le scarpe e avviandosi verso la stanza che una volta era la sua camera da letto.
Levy annuì, dirigendosi verso la sua stanza, era piccola e aveva i muri verde prato. Aveva staccato tutti i poster dei paesaggi del Giappone, tolto tutte le statuette dei samurai che aveva sulla libreria.
L’unica cosa che era rimasta intatta era il letto, aveva ancora sopra le sue vecchie coperte a fiori gialli, che la mamma aveva detto di lasciare perché tanto a loro non servivano e non sarebbero riuscite a venderle.
La ragazza le accarezzò, sentendo un’improvvisa voglia di stendersi e piangere.
Non lo fece, si limitò a cambiarsi.
«Levy, vestiti leggera, a Nagayo farà caldo!» sentì urlare dall’altra parte dell’appartamento.
La giovane annuì, ricordandosi solo dopo che la madre non poteva vederla.
«Sì!» disse poco dopo, infilandosi la maglietta con sopra un orso vestito all’hawaiana e dei pantaloncini a pinocchietto bianchi.
Prese anche una felpa di cotone gialla con le stringhe verdi.
Aveva le calze bianche ed una cavigliera di perline arcobaleno.
Le trecce le ricadevano alla rinfusa sulle spalle e qualche ciocca di capelli le era sfuggita, ma non aveva voglia di rifarsele.
Sentì il telefono vibrare e quando lo prese sorrise nel vedere che era un messaggio di Lucy.
“Mi manchi già (╥_╥)” diceva.
Digitò in fretta.
“Pure tu (╥︵╥)”
Le faccine rendevano tutto più difficile da prendere seriamente, ma le dispiaceva davvero lasciare la sua migliore amica.
Altro messaggio da Lucy.
“Scrivimi una lettera non appena sei arrivata”
“Sì, certo” rispose, con uno strano sorriso sulle labbra.
Era triste, eppure sorrideva perché quest’affare delle lettere le piaceva e non poco.
«Levy, sbrigati. Dobbiamo andare» le urlò la madre, che già stava per chiudere la porta.
La turchina salutò l’amica, dicendole che doveva andare. S’infilò il telefono in tasca, prendendo anche la borsa dove aveva infilato un libro preso a caso dalla libreria.
Si mise le Converse azzurre, senza allacciarsele. Superò la madre e scese le scale.
«Sei particolarmente energica» le sorrise la donna, un poco di amarezza nella voce.
Anche a lei, in fondo, dispiaceva lasciare Osaka.
«Oh, sì... dopotutto lo facciamo per il bene di tutti, no? Se continuo a fare il muso non posso esserti utile, mamma» la figlia abbracciò la mamma, trattenendo le lacrime.
«Giusto, Levy»
Uscirono dal condominio, che già aveva esposto sulla porta l’avviso di un appartamento sfitto.
Entrarono nell’Honda blu e, dopo un po’, raggiunsero il porto.
Il tragitto era stato silenzioso e per colmare quel vuoto la madre aveva acceso la radio, stavano dicendo che nelle isole a sud il tempo era molto migliore che sulla costa giapponese e questo rese più tranquille le due, che già temevano in un acquazzone sul traghetto.
La barca era abbastanza grande e rosso mattone, non c’erano molte persone sopra, nonostante fossero leggermente in ritardo.
Nagayo non è propriamente una meta turistica... pensò Levy, sorridendo. Forse le sarebbe piaciuta la tranquillità della cittadina.
Salirono sul traghetto con la macchina, che lasciarono poi nell’apposito piano.
«A Nagayo non ci servirà tanto, in realtà» le disse la madre, chiudendo a chiave la vettura.
Quando la nave partì e raggiunse il mare aperto il cielo si schiarì e Levy trovò un ripiano per poter iniziare a scrivere la lettera a Lucy.
Cara Lucy,” iniziò.
Si accorse solo in quel momento che non aveva idea di come continuare, e quindi chiuse la carta colorata che aveva, riponendo la penna con la quale aveva iniziato a scrivere nella borsa.
Controllò il telefono: nessun messaggio.
Sospirò, godendosi la brezza marina che le sfiorava il volto. Era decisamente un toccasana sentirsi così bene, a contatto con il mare.
Qualche lacrima rischiò ancora di uscire, ma tirò su con il naso ed osservò due gabbiani che stavano pescando.
Sembravano litigarsi una sardina e rise, trovando comica la strana danza che i due volatili facevano, sfiorando l’acqua.
La madre le giunse al fianco, passandole una mano sulle spalle.
«Siamo quasi arrivate, ci abbiamo messo poco, vero?»
Levy annuì, abbracciando la madre.
Nessuna delle due era molto alta e la donna poteva benissimo essere scambiata per sua sorella.
«A Nagayo ho già trovato lavoro, quindi oggi non ci sarò per via dei colloqui. Ti lascio con lo zio, va bene?» chiese, portando una ciocca di capelli azzurri della figlia dietro all’orecchio.
La ragazza annuì, un tenero sorriso che si faceva largo sul suo volto.
«Fatti valere!» disse, strizzandole l’occhio.
La madre rise, annuendo felice, una nuova forza che si impossessava del suo corpo.
Una voce elettronica annunciò che lo scalo al porto di Nagayo era arrivato e avvertì ai passeggeri di prepararsi a scendere, raggiungendo le proprie vetture.
Levy e madre scesero, sedendosi di nuovo in macchina.
Quando la barca si fermò uscirono, trovando il parcheggio del porto.
«Lascio la macchina qua, raggiungeremo la casa dello zio a piedi» affermò.
«Come hai detto che si chiama, lo zio?»
«Makarov»
«È un nome strano...»
«Perché la nostra famiglia ha origini russe, tesoro. Anche Levy è un nome straniero» sorrise, girando le chiavi e spegnendo la macchina.
La turchina annuì, guardando il telefono.
Segnava le cinque ed un quarto, non pensava fosse passata già un’ora da quando erano partite da Osaka.
Le valige non erano molte, giusto due, più un altro borsone pieno di libri e caricabatterie.
Per fortuna non erano bagagli a mano e riuscirono a trasportarle facilmente fino alla casa dello zio, che non era molto lontana dal porto.
Percorsero qualche stradina secondaria, il sole picchiava forse a Nagayo e portava il buonumore a Levy e alla mamma.
La casa di Makarov era abbastanza grande ed era una casa tradizionale, di quelle che si trovavano nelle campagne di Osaka, che però Levy non aveva mai visitato.
Il portico di legno, il giardinetto interno e le campane a vento, quasi come fosse stato un quadro.
Lo zio era seduto ingobbito, davanti ad un cumolo di reti che cercava di districare, con una sigaretta in bocca.
«Zio Makarov!» salutò la madre, alzando una mano ed agitandola.
L’uomo, piccolino e coi capelli canuti, alzò lo sguardo dalla rete fra le mani callose, e sorrise alle due donne.
La voce era gracchiante e bassa a causa del fumo.
«Ciao, cara. Era da un po’ che non ci vedevamo. E questa è Levy, bambina, sei di certo cresciuta da quando ti ho incontrata per la prima volta» le sorrise.
Levy trovò subito simpatico lo zio, stringendogli la mano.
«Beh, che fate qua fuori? Entrate, su» si scostò dal portico.
Aveva una canottiera ed un paio di pantaloni grigi, rattoppati in più punti.
Le due si tolsero le scarpe e raggiunsero Makarov in cucina, attorno ad un tavolino basso e sporco in più punti.
«A questa casa mancavano delle donne, sapete?» scherzò, togliendosi la sigaretta dalla bocca.
«Ma ora che ci siete voi sento già il profumo di gelsomini» rise, di una risata gracchiante e secca, proprio come la sua voce.
«Ne sono molto felice! Io fra poco dovrò andare per un colloquio di lavoro, ti dispiace se lascio Levy nelle tue mani?»
«Ma certo che no, tranquilla! Farò fare un tour della casa alla mia nipotina» il buon umore di Makarov sarebbe stato di sicuro molto utile a portare via la tristezza dalle due.
«Bene, Levy allora io ti lascio il compito di disfare le valigie. Devo proprio correre, grazie ancora!»
Levy e Makarov parlarono ancora e l’uomo le disse di essere un pescatore in proprio, ma che aveva anche degli orti sulle colline che gli fornivano praticamente il necessario per vivere. Le spiegò anche che avevano una televisione, ma che non l’accendeva mai.
L’aiutò a sistemarsi in camera e le chiese se volesse qualcosa da bere, la turchina accettò scendendo di nuovo in cucina.
Assieme bevvero della cedrata, Levy non l’aveva mai assaggiata, ma le era piaciuta.
«Lui – Makarov indicò un bambino piccolo e biondo in una foto impolverata – è tuo cugino Luxus. Si è trasferito a Tokyo assieme al padre, diciamo che fra me e mio figlio non scorre buon sangue...» disse, un po’ incupito.
«E lui chi è?» chiese, indicando un uomo massiccio, che aveva tutta l’aria da scaricatore di porto o di muratore.
«Oh, Metallicana. Era un bravissimo meccanico, aggiustava i motori delle barche in nemmeno tre minuti! Sfortunatamente è mancato qualche anno fa, di parenti aveva solo un figlio e i suoi tre nipotini... uhm, i figli maggiori hanno qualche anno in più di te, mentre la più piccolina deve avere quasi la tua età... quanti anni hai, quindici?»
Levy rise.
«Ne ho diciassette» finì di bere la sua cedrata.
«Oh, sei piccolina. Ma dopotutto anche tua madre è proprio minuta» annuì, lo zio. La madre avrebbe passato la notte fuori, aveva subito concentrato tutte le sue energie nel lavoro.
«Beh, immagino sarai stanca. Che ne dici di andare nella tua camera a riposare?»
Levy guardò l’ora: erano quasi le nove di sera.
Le venne in mente la lettera che doveva scrivere a Lucy ed annuì.
«Ci vediamo domani mattina, zio Makarov»
Salì le scale ed entrò nella sua stanza. S’infilò il pigiama – una maglia troppo larga e lunga – e si sedette alla scrivania un po’ storta.
Tirò fuori la penna e iniziò a scrivere.

 

Cara Lucy,
oggi sono arrivata a Nagayo che erano le cinque.
Lo zio Makarov (che nome strano!) è molto gentile e anche simpatico. Un classico vecchietto giapponese!
La mamma, invece, si è tuffata a capofitto nel lavoro e io sono davvero esausta. Spero che qua a Nagayo le cose possano andare bene per lei.
Ha fatto bello tutto il giorno e domani penso che andrò a fare un giro in paese.
Un mondo di bene,
Levy”

















Ciao!
Questa long è nata un po' dalla precedente one-shot che ho scritto (già, sono proprio cattiva >.>) e mi son detta "perché no?" quindi è nata!
Spero vivamente che possa piacere, dato che a me piace molto come progetto e siccome questo prologo mi soddisfa spero che possa piacere anche a voi
(ω)
Quindi, yey, spero che questa strana AU possa interessarvi!
Ja ne!
   
 
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