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Autore: Carlos Olivera    29/04/2015    1 recensioni
Dimmi una cosa, principessa Angelise.
Tu sei davvero sicura di aver portato a termine Libertus? Di aver salvato i Norma? Hai condannato i Norma di questa Terra ad estinguersi poco a poco, e abbandonato quelli dell'Altra Terra in balia di una guerra senza fine con gli esseri umani che innalza tuttora montagne di corpi. E ora, in nome del finto ideale di un mondo non tuo, ti frapponi tra noi e l'unica cosa che potrebbe evitare la scomparsa di quel mondo che hai abbandonato, e del quale sembra non importarti più nulla; il mondo dei Norma. Il tuo mondo.
Tu non hai liberato proprio nessuno. Hai fatto quello che ho fatto anch'io.
Hai fallito. In tutto

Sequel di Cross Ange - Il Rondo di Angeli e Draghi, di Mitsuo Fukuda
Genere: Drammatico, Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Ange, Nuovo personaggio, Silvya
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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4

 

 

Ruka continuò a pigiare sull’acceleratore del bulldog per mettere quanta più distanza possibile tra loro e l’accampamento, e vani furono i tentativi di Mayu di convincerla a tornare indietro a cercare Ashley e Sylvia.

«Come fai ad essere così tranquilla?» domandò Mayu ad Helen, notando la sua apparente imperturbabilità. «La tua padrona, Sylvia, potrebbe essere morta.»

«Se è così, piangere e disperarsi non la farà tornare in vita» rispose lei volgendo gli occhi verso i bambini raggruppati sul fondo del veicolo. «Ora la priorità è portare in salvo questi bambini, che Sylvia, Ashley, Viktor e la Signora Carmody hanno difeso fino alla morte.»

Quindi, le sue labbra si piegarono in un confortante sorriso.

«E comunque, sono sicura che la signorina ed Ashley stanno bene. Dopo quello che hanno passato in questi ultimi venti mesi, ci vuole ben altro per ucciderle.»

Purtroppo il bulldog aveva ricevuto una riparazione di fortuna, sufficiente abbastanza per permettergli di muoversi, e fatto qualche altro chilometro si ruppe un’altra volta, costringendo il gruppo a fermarsi nuovamente.

«Maledetto ferrovecchio!» strillò la sua stessa costruttrice assestandogli un calcione. «E dire che ti avevo progettato per superarne di ben peggiori!»

«Puoi ripararlo?» domandò Mayu

«Sperando di aver portato via i pezzi necessari.» e si mise subito al lavoro supportata da un paio di meccanici come lei.

L’occasione si rivelò propizia anche per fare una conta di chi era riuscito a salvarsi, e il bilancio, malgrado tutto, fu abbastanza confortante: i bambini orfani erano quasi tutti presenti, e così anche molte Norma con le loro famiglie.

Il punto in cui il bulldog si era fermato, lungo una strada sterrata che aggirava la collina prospiciente Sophia per poi puntare verso nord, era sufficientemente riparato da risultare un buon nascondiglio, ma anche abbastanza in alto da poter scorgere senza difficoltà l’accampamento che, in lontananza, bruciava ancora, illuminando la notte come un faro.

Vedendo quella luce vermiglia alzarsi nel mezzo del nulla, a molti dei sopravvissuti venne da piangere; erano riusciti a salvarsi, ma molti dei loro amici erano rimasti lì, uccisi da quelle macchine assassine.

«Detesto ammetterlo» disse Helen serrando i pugni. «Ma forse quello che dicevano sul conto delle Norma non era del tutto sbagliato. Quale essere umano sarebbe capace di compiere un simile massacro?»

«Non abbandoniamoci a facili colpevolismi, Helen» la ammonì Mayu raggiungendola sul bordo della strada sospesa sul precipizio dopo aver terminato la conta dei sopravvissuti. «Come hai detto tu, per ora pensiamo solo a restare vivi.»

«Qual è il bilancio?»

«Oltre ai bambini, abbiamo con noi altri venticinque superstiti. Ma forse qualcun altro è riuscito a lasciare Sophia in tempo.»

«Lo spero» rispose la cameriera guardando verso l’accampamento che bruciava. «Lo spero con tutto il cuore.»

 

Sylvia non avrebbe mai immaginato di potersi risvegliare.

Mentre quel mostro d’argento la colpiva già si vedeva nell’aldilà, di fronte a tutti coloro che erano morti quella notte, a dover rendere conto della sua scelta sconsiderata di rimanere.

Invece, prima ancora di riaprire gli occhi, avvertì un dolore generalizzato in tutto il corpo; il segno più tangibile del fatto che fosse sopravvissuta.

Sentiva erba umida sotto di sé, e qualcosa di ruvido dietro la schiena.

Lottando con l’intorpidimento, riuscì infine a sollevare faticosamente le palpebre, e grande fu il suo stupore quando si rese conto di trovarsi nel mezzo della foresta, probabilmente non troppo lontano da Sophia.

Qualcuno doveva averla spostata, poggiandola con una certa delicatezza contro un albero pendente e mettendole delle foglie sotto la testa.

Provò a mettersi in piedi, ma le girava ancora la testa, e vedendosi circondata da rottami mezzi carbonizzati si domandò cosa mai dovesse essere successo: l’ultima cosa che ricordava era quell’urto tremendo contro il muro e il para-mail argentato che la sovrastava, ma per il resto non aveva idea di come fosse finita lì.

Stava cercando di fare mente locale quando sentì un rumore alla propria sinistra, e istintivamente mise una mano dietro la schiena alla ricerca della pistola.

Ma non fece in tempo ad estrarla, perché di lì a breve, da dietro un cespuglio, comparve l’ultima persona che si sarebbe aspettata di vedere in un posto e in una circostanza simili.

Era una bambina. Di dieci, forse addirittura nove anni. I capelli di un candido color lilla, quasi tendente all’argenteo, gli occhi grandi e azzurri pieni di vita, i lineamenti delicati come quelli di una bambola di porcellana.

Vestiva in modo semplice, con solo un abitino bianco senza maniche che scendeva fino alle caviglie, quasi una camicia da notte, bella da vedere malgrado gli strappi e le macchie. Ai piedi portava delle scarpette da ospedale, bianche anch’esse, e teneva maldestramente in mano, cercando di non rovesciarlo, un pezzo di corteccia vombato pieno dell’acqua raccolta da un vicino ruscello.

Come la vide, Sylvia nascose immediatamente l’arma dietro la schiena, guadagnandosi un’occhiata perplessa.

«Onee-san, sveglia!» esclamò la bambina con un sorriso disarmante.

«O… onee-san!?» ribatté Sylvia incredula.

Per nulla intimorita la bambina le si avvicinò, porgendole la sua brocca improvvisata.

«Preso per te. Bevi. Starai meglio.»

Sylvia era effettivamente molto assetata, così, malgrado quella situazione ai limiti dell’assurdo, accettò il dono della sua insolita salvatrice, lasciando che l’acqua le scendesse lungo la gola arrecandole un piacevole sollievo.

«Grazie» disse, ricevendo in cambio un sorriso. «Come ti chiami?»

«Io, Mary. E tu?»

«Io mi chiamo Sylvia.»

«Felice conoscerti, Sylvia onee-san

Quella bambina sembrava l’ultima persona in grado di vivere in un mondo come il loro, pensò Sylvia notando la sua espressione felice ed innocente.

Di sicuro non era una superstite di Sophia, perché non ricordava di averla mai vista, ma allora la domanda sorgeva spontanea.

«Mary, da dove vieni?»

«Io vengo da culla.»

«Culla?»

«Io dormito. Tanto tempo. Poi Eric onii-chan ha svegliato me. Ora noi viaggiamo verso nord. Lui dice io al sicuro quando saremo a nord.»

«Al sicuro da cosa?»

«Non lo so. Ma lui dice molte persone cattive che vogliono me. E così lui protegge.»

«È un bravo onii-chan allora. Protegge la sua sorellina.»

«Lui migliore di tutti. Lui fa zac, e poi bum, e tutti i cattivi scappano via.»

Vederla mimare sguaiatamente le prodezze di un fratello a cui voleva palesemente un gran bene scaldava il cuore, e per un attimo Sylvia quasi si perse ad ascoltare le sue storie.

Poi, però, il ricordo di quanto era successo prese il sopravvento, e capì che non potevano restare oltre da quelle parti.

«Onee-san, tu no alzare» disse Mary quando la ragazza, faticosamente, riuscì a rimettersi in piedi. «Tu ancora debole.»

«Devo raggiungere i miei compagni. E sicuramente quei para-mail ci stanno ancora cercando. Non posso restare qui. Tu invece è meglio che torni dal tuo onii-chan

Al che Mary, dopo un attimo di smarrimento, abbassò gli occhi come mortificata.

«Io non ricordo più dove sta Eric onii-chan. Temo io persa…»

Sylvia la fissò attonita.

«Ti sei persa?»

«Io vista luce nel cielo mentre onii-chan dormiva. Entrata nel bosco e ho trovato te. Ma quando io andata a prendere acqua, resa conto che io persa la strada.»

Ovviamente non era ipotizzabile di lasciarla lì da sola nel bel mezzo del niente, così Sylvia si risolse a prendere l’unica decisione possibile.

«Ascolta, vieni con me» le disse carezzandole amorevolmente la testa. «Quando avrò trovato i miei compagni, ti aiuterò a ritrovare il tuo onii-chan. D’accordo?»

Lei la guardò come perplessa, ma poi fece un cenno di assenso.

«Sì. Anche Sylvia onee-san sembra forte e buona, dopotutto. Io fido di te.»

Detto questo, e presa la bambina per mano, Sylvia si incamminò in direzione di Sophia; sapeva di stare andando in bocca al nemico, ma era anche l’unico modo per capire se qualcun altro si fosse salvato.

 

Intanto, al campo, tutto era ormai finito.

Gli edifici erano tutti crollati divorati dal fuoco, e di quella che sarebbe dovuta diventare la nuova capitale di Misurugi non rimaneva ormai che un inferno di fuoco e cenere circondato da un recinto di lamiere arroventate; quelle mura sarebbero dovute essere una difesa per gli abitanti contro i pericoli esterni, e invece, per molti di loro, si erano trasformate in una trappola.

Le strade erano un tappeto di corpi senza vita: uomini, donne, bambini e vecchi.

Nessuno era stato risparmiato.

Terminato il massacro, i para-mail si erano posati per la maggior parte a terra, con solo un piccolo gruppo rimasto a sorvegliare il perimetro, ma era stato solo allora che il vero orrore aveva avuto inizio.

I tre comandanti atterrarono uno accanto all’altro nella piazza centrale, ed la prima a scendere fu la Norma che pilotava il para-mail nero: era molto bella, coi capelli neri e grandi occhi scuri, ma al tempo stesso nel suo sguardo dimorava una fredda, quasi glaciale determinazione, tale da lasciarla indifferente al macabro spettacolo che aveva di fronte.

Di tutt’altro genere erano invece le emozioni che trasparivano dagli occhi verde smeraldo della pilota del para-mail vermiglio, una giovane a prima vista poco più anziana delle sue due compagne, con lunghi capelli rosati raccolti in una coda sopra la nuca e un fisico scolpito, quasi da modella.

«L’area è sicura» disse la mora alla radio. «Date inizio al recupero.»

I due aerei cargo che avevano lanciato i paracadutisti a quel punto atterrarono a loro volta, e da essi scesero una ventina di Norma armate di una specie di enorme siringa elettronica collegata con un tubo ad una sorta di zaino portato dietro la schiena.

Uno ad uno, cominciarono a dissanguare tutti i corpi, trafiggendoli con i loro apparecchi ed assorbendo loro, oltre al sangue, anche tutti gli altri liquidi, lasciando dietro di sé niente altro che corpi mummificati e scheletrici che poi venivano carbonizzati da alcuni loro compagni provvisti di lanciafiamme.

A quella vista, la ragazza dai capelli rosa distolse lo sguardo, e delle lacrime sembrarono comparire nei suoi occhi.

«Controllati, Jamie» la rimproverò la mora

«Possibile che non ci sia davvero altra soluzione, Yuko? Voglio dire… stiamo massacrando persone innocenti.»

«Lo sai bene che questa è l’unica possibilità che abbiamo. Ne va’ del destino di noi tutti.»

«Però… pensare di dover fare una cosa del genere… cosa ci rende degni di essere salvati se ci comportiamo così?»

«Mettiamola così, è una questione di vita o di morte. È vero, uccidiamo delle persone, ma ne salveremo infinitamente di più quando tutto questo sarà finito.»

«Forse, ma a quale prezzo?»

Yuko poi rivolse la sua attenzione alla donna dai capelli d’argento, intenta a fissare il proprio para-mail con aria decisamente contrariata; l’esplosione del razzo alla fine non era stata troppo grave, ma aveva provocato un’ammaccatura molto vistosa e annerito parte della fusoliera, oltre a danneggiare sensibilmente la manovrabilità del braccio destro.

«Quella schifosa sgualdrina me la pagherà.»

«È solo colpa tua, Ingrid. E comunque, hai contravvenuto un’altra volta agli ordini. Svolgere la missione che ci è stata assegnata è un conto, ma non comportarti sempre in modo tanto sadico. È già vergognoso quello che siamo costrette a fare, ma scherzarci addirittura su come stavi facendo con quei bambini và oltre ogni buon senso.»

«Loro hanno avuto buon senso quando hanno distrutto le nostre vite e fatto di noi carne da cannone?» strillò lei con gli occhi fuori dalle orbite «Quel che è fatto è reso!»

«Comandante Ingrid!» disse uno dei para-mail al suo servizio tornando in quel momento da un giro di perlustrazione. «Ho trovato delle tracce di veicolo che si allontanano in direzione nord.

Deve trattarsi di quel blindato che è fuggito.»

«Che cosa!?» esclamò la donna sorridendo malevolmente. «Perfetto! Raduna le altre!»

Detto questo, e restando sorda ai richiami di Yuko, Ingrid risalì in tutta fretta sul suo para-mail, allontanandosi a gran velocità seguita da tre sue compagne.

«Vado con lei» disse Jamie prima di andarle dietro. «Quella quando si scatena non la fermi più.»

«Buona idea. Almeno a te qualche volta dà retta.»

 

A bordo del bulldog, le riparazioni stavano andando piuttosto a rilento.

Mayu aveva ordinato di fare il massimo silenzio e spegnere tutte le luci non necessarie, perché malgrado fossero relativamente lontani e ben coperti dalla vegetazione il rischio di essere notati dal nemico c’era ancora, così a parte lei, i meccanici e qualche vedetta tutti gli altri sopravvissuti erano tornati all’interno del blindato, immersi nell’oscurità.

I bambini in particolare erano comprensibilmente agitati, e si guardavano tra di loro alla ricerca di un conforto.

«Sylvia onee-chan non tornerà, vero?» disse ad un certo punto una piccola Norma

«Non ditelo neanche per scherzo» li ammonì Hilda vedendo come tutti si stessero lasciando prendere dallo sconforto. «Sono sicura che Sylvia-sama è ancora viva! Lei tornerà, senza alcun dubbio.»

«Però… Mayu onee-chan e gli altri dicono che è precipitata nel bosco assieme ad Ashley onee-chan, e che quei mostri le hanno colpite.

Se è così…»

«Vi dico che Sylvia-sama tornerà. Ne sono sicura. Lei è più forte di quei barbari senza cuore.»

Nel mentre, all’esterno, la situazione non accennava a migliorare.

«Quanto vi manca ancora?» domandò Mayu per l’ennesima volta. «Qui siamo troppo esposti.»

«Qualche altro minuto e dovremmo quantomeno riuscire a muoverci» rispose Ruka senza sospendere il lavoro. «Rimettere insieme i pezzi di questo mostro non è esattamente come cambiare le candele di una macchina.»

 

Sylvia non riusciva a capire come fosse possibile, ma dopo appena pochi minuti da che lei e Mary si erano messe in cammino il dolore che le aveva augurato il buon risveglio era quasi completamente sparito.

Per non parlare delle ferite; per qualcuno che, a sentire Mary, era caduto dal cielo, salvandosi probabilmente solo grazie ai rami degli alberi che avevano attutito la caduta, se l’era cavata davvero con poco.

Ma per il momento questo non aveva importanza: ciò che contava era ritrovare i suoi compagni, a tutto il resto ci avrebbe pensato in seguito.

Dal canto suo Mary si stava rivelando una persona davvero particolare. La sua semplicità era a tratti disarmante, quasi non si rendesse conto del mondo corrotto e ostile in cui viveva.

«Quindi» domandò Sylvia ad un certo punto. «Tu non ricordi niente? I tuoi genitori? La tua casa?»

«Io niente ricordare prima di risveglio da culla» rispose lei avvilita. «Primo ricordo che io ho è volto di Eric onii-chan. Lui svegliato me.»

«Capisco. Mi dispiace.»

«Tu no deve essere triste. Io no triste. Eric onii-chan è bravissima persona. Lui detto porta me da altre brave persone.»

«Tu vuoi molto bene al tuo onii-chan, vero?»

«Conoscere lui da poco, ma io so che lui è molto buono. Lui difeso me tante volte in questi mesi, ma mai ucciso nessuno. Lui dice che uccidere è brutta cosa.»

«È un pensiero giusto. Purtroppo, alle volte, uccidere diventa l’unica soluzione possibile, anche se non si vorrebbe mai farlo.»

«Eric onii-chan dice che lui ucciso in passato, ma ha giurato di non farlo più. E lui sta mantenendo promessa.»

Camminavano al buio, guidate solo alla luce delle stelle, e Sylvia prestava la massima attenzione ad ogni più piccolo rumore, nel timore di veder ricomparire da un momento all’altro quelle macchine infernali. Per questo, quando avvertì un tremolio tra alcuni cespugli accanto al sentiero, fu lesta a prendere la pistola, portando con uno scatto del braccio Mary alle proprie spalle per tenerla al sicuro.

Nello stesso istante, però, un’altra arma comparve dall’oscurità, puntata su di loro, ma riconoscendone il proprietario la ragazza spalancò gli occhi per lo stupore.

«Allora ce l’hai fatta anche tu» digrignò i denti Ashley prima di crollare in ginocchio, sfinita dalla fatica.

Le ferite in tutto il corpo e i vestiti anneriti dicevano che doveva essersela vista davvero brutta, ma era risaputo che ci voleva ben altro per uccidere l’indistruttibile Ashley Lescott, l’unica Norma nella storia ad essere mai riuscita a fuggire da Arzenal.

«Giuro che non mi lamenterò mai più dei combattimenti contro i draghi» disse mentre Sylvia cercava di aiutarla. «Affrontare altri para-mail è tutta un’altra cosa, porca miseria.»

«Come ti senti? Riesci ad alzarti?»

«Onestamente mi domando come ho fatto a venirne fuori. Quando c’è stata l’esplosione la cabina di guida è rimasta miracolosamente intatta, ma sono andata giù come una meteora. Per poco non sono anche finita in un precipizio. Ho fatto appena in tempo a uscire da quella trappola mortale, e subito dopo quello che restava del para-mail è bruciato fino alla cenere.»

«Mi dispiace che io no potere aiutare te» disse Mary mortificata aiutandola a sua volta a stare in piedi. «Ma usata tutta mia forza per aiutare Sylvia onee-chan

«Non preoccuparti. La nostra Ashley non morirà certamente per così poco.»

«Scusa la domanda fuori luogo, ma chi è questa ragazzina?»

«È una lunga storia. Te la racconterò in un altro momento. Ora dobbiamo scoprire se possiamo ancora salvare qualcuno.»

«Mayu e gli altri sono riusciti a scappare, e non dovrebbero essere troppo lontani. Poco prima di venire abbattuta ho visto il bulldog allontanarsi verso la collina a nord.»

«E allora sbrighiamoci. Quando sorgerà il sole sarà meglio essere il più lontano possibile da qui.»

Le due ragazze quindi si misero in marcia.

La collina dove secondo Ashley il bulldog si era diretto non era troppo distante, e infatti nel giro di qualche ora vi furono praticamente a ridosso, con solo poche centinaia di metri a separarle dalla vecchia strada che sicuramente le loro compagne avevano imboccato per cercare di passare la catena e dirigersi a nord.

Il problema semmai era capire se le avevano aspettate, o se invece avessero scelto di proseguire, ed in quel caso significava che da quel momento erano sole.

Stavano per iniziare la salita, quando, come un fulmine a ciel sereno, una luce si levò proprio dalla strada sopra le loro teste, puntando con fare incerto prima nel cielo e poi direttamente sulla foresta.

«Ma cosa…» imprecò Ashley, abbassandosi per sfuggire al cono luminoso

«Lo riconosco, è il faro di segnalazione del bulldog!» esclamò Sylvia. «Forse ci stanno cercando!»

«Sono impazzite!? Così si faranno vedere anche dai para-mail!»

 

Hilda alla fine aveva convinto anche gli altri bambini che Sylvia era viva, e che perciò dovevano assolutamente ritrovarle.

Così, di nascosto, lei e alcuni altri erano saliti sul tetto del bulldog, e armeggiando un po’ con i comandi Hilda era riuscita ad accendere l’enorme faro a torretta girevole, puntandolo subito non senza qualche difficoltà verso il bosco sottostante alla ricerca di qualche segnale, qualche movimento; qualunque cosa potesse essere segno della presenza della loro leader.

Come Mayu e gli altri se ne accorsero, sudarono freddo.

«Che state facendo!» strillò Ruka arrampicandosi in cima e strappando letteralmente i cavi di alimentazione. «Spegnetelo subito!»

«Ma dobbiamo trovare Sylvia onee-san…» tentò di protestare Hilda

Ma era troppo tardi.

Una luce così forte in una zona dominata dall’assoluta oscurità non poteva passare inosservata, e come la vide accendersi sui bordi della collina anche gli occhi di Ingrid si illuminarono di un bagliore sinistro.

«Trovate» sogghignò. «Andiamo!»

Come avvoltoi su di una carcassa, nel giro di pochi attimi Ingrid e le sue tre subalterne furono addosso al bulldog, il quale fortunatamente nel frattempo era stato completamente riparato.

«Presto, entrate!» urlò Ruka.

Ingrid era così eccitata e fuori di sé che per poco un missile terra-aria non la centrò in pieno, ma all’ultimo momento Jamie riuscì ad intercettarlo e ad abbatterlo con un preciso colpo di fucile.

«Ingrid, sei troppo vicina!»

«Levati dai piedi, loro sono miei!»

Il bulldog intanto era partito a tutta velocità, sparando nel contempo tutto quello che aveva in direzione degli inseguitori, ma la sua mole e la strada stretta lo rendevano talmente lento che per Ingrid e le altre non era un problema riuscire a stargli dietro.

«In altri tempi mi sarei eccitata ad inseguirvi, ma stavolta mi avete fatto proprio girare le palle!»

Così, senza perdere altro tempo, Ingrid sparò subito una coppia di missili.

«Andate all’inferno!»

Fortunatamente il bulldog era provvisto di un sistema elettronico di emergenza che entrò subito in funzione, producendo una nube elettromagnetica che disturbò il segnale dei missili deviandone la traiettoria; purtroppo, pur andando fuori controllo, i due ordigni proseguirono la loro corsa in un’altra direzione, oltrepassando il veicolo per poi andare ad infrangersi sulla strada poro più avanti e portandosela via.

Ruka riuscì a fermarsi appena in tempo, con le ruote anteriori e il muso del bulldog che si ritrovarono sospesi sull’abisso, ma a quel punto ogni via d’uscita era preclusa.

«Fine dei giochi, belle mie. E adesso facciamo i conti.»

«Non esagerare, Ingrid» la ammonì Jamie. «Ci serve la loro energia.»

«Ci basta il loro sangue, che i corpi rimangano interi è secondario!»

Dei due phalanx solo quello di prua aveva ancora munizioni, che pur riuscendo a distruggere uno dei para-mail di scorta venne a sua volta fatto esplodere da uno dei suoi due compagni.

Uno dei superstiti, in preda al panico, aprì la porta cercando di fuggire, ma Ingrid gli arrivò sopra, arpionandolo con entrambi i guanti corazzati ed alzandoselo sopra la testa per poi squartarlo orribilmente, lasciandosi inondare da una pioggia di sangue.

«Stupendo! Davvero stupendo! Non c’è colore più bello al mondo di questo!»

Ruka e gli altri non poterono fare altro che osservare inorriditi, consapevoli che fosse ormai la fine.

Ingrid, ancora ricoperta di sangue, si alzò verso l’alto, pronta a vibrare il colpo di grazia.

«Andate all’inferno!»

In quel momento, Sylvia, Ashley e Mary raggiunsero la strada, ma erano troppo lontane per poter fare qualcosa, né Ashley né Sylvia avevano le armi necessarie a fermare quel bestione.

Così, tutto quello che poterono fare fu restare immobili ed impotenti ad osservare.

Ma non Mary.

«Aiutali, mia luce!» urlò distendendo il braccio.

Si udì un suono, come una specie di fischio, poi vi fu un bagliore.

Poi, d’incanto, una gigantesca barriera circolare si frappose tra il bulldog ed il para-mail, e Ingrid, colta completamente di sorpresa, vi andò a sbattere contro, ritrovandosi intrappolata come all’interno di un campo magnetico.

«Co… cosa!?» esclamò attonita

Dopo averla intrappolata, la barriera allo stesso modo la respinse, non prima però di aver provocato una scossa elettrica tale da provocare un corto circuito all’interno del para-mail friggendo letteralmente i comandi del braccio destro; quindi, come era apparso, si dissolse, mentre nella zona si abbatteva un silenzio tombale carico di stupore.

Come lo scudo si dissolse Mary fece per cadere riversa a terra apparentemente svenuta, venendo però raccolta al volo da Sylvia.

«Non ci credo» esclamò. «Questa ragazzina… ha il mana!?»

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua a tempo di record!^_^

Questo capitolo in pratica è quello che ha ispirato la nascita stessa della mia storia, di conseguenza scriverlo è stato particolarmente semplice.

Ora però sono costretto a prendermi qualche giorno di tempo. In primis, perché dovrò prima di tutto tradurlo in inglese per postarlo su di un altro sito, in secondo luogo perché, su suggerimento di un amico, approfitterò di questo lungo ponte per iniziare a scrivere un’altra breve fan fiction.

Grazie come sempre a Taiga per i suoi suggerimenti e le sue recensioni.

 

Ps. Lo strano modo di parlare di Mary è volutamente ispirato a quello di Chaika!^_^

 

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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