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Autore: Starishadow    29/04/2015    4 recensioni
Quanto alla vecchia bambola di pezza, quella rimase a terra - proprio sotto la vetrina - ad osservare con i suoi occhi fatti di bottoni azzurri quella bambina che fino a pochi minuti prima l’aveva stretta forte a sé, l’aveva portata ovunque, l’aveva amata e le aveva fatto conoscere il mondo.
E ora invece tutto quel che le restava era quel marciapiede sporco sotto di lei e il cielo plumbeo che la guardava, e ben presto le riversò le sue lacrime addosso.
Marie aveva adorato quella bambola, ma adesso aveva di meglio.

[11a classificata al contest "Shakespearian quotations contest - II edizione" indetto da _Juliet sul forum di EFP]
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Autore: Starishadow
Titolo: Davanti alla bottega di Madame Desìr
Rating: giallo
Genere: introspettivo
Avvertimenti:  tematiche delicate, triangolo (li metto più perché sono paranoica che per altro ^^”)
Citazione scelta: spesso, per ottenere il meglio, roviniamo il bene”  (King Lear I,IV)
NdA: (facoltative)  anche se penso potrebbe emergere dalla storia, per sicurezza lo dichiaro qui: la storia è ambientata più o meno a fine ‘800 e inizi ‘900 ;)
 
DAVANTI ALLA BOTTEGA DI MADAME DESÌR

Tutti dicevano che Marie era cresciuta coccolata e viziata in quanto unica figlia di due genitori ormai anziani, che bambini prima di lei non ne avevano mai voluti e dopo di lei non ne avevano più avuti.
Aveva gli occhi azzurri come il cielo e i capelli color ambra, mentre il suo visetto pallido e spruzzato di lentiggini si illuminava quando sorrideva, e - quando lo faceva - otteneva qualsiasi cosa desiderasse.
Quando aveva sei anni, sua madre le comprò una semplice bambola di stoffa, con abiti colorati e pochi accessori, ma morbida al tatto e piacevole da vedere.
Marie quella bambola la adorava.
Per una settimana se la portò in giro ovunque: al parco, a lezione di musica, a pranzo, a cena… In qualsiasi luogo andasse e qualsiasi cosa facesse, quella bambola era con lei.
Un giorno lei e suo padre capitarono davanti alla nuova e costosa bottega di Madame Desìr.
La vetrina sfoggiava una bambola di porcellana dal visino paffuto e rosato, gli occhi di vetro dipinti di un bel verde brillante che sembravano quasi veri, i capelli accuratamente acconciati in boccoli che sembravano fatti di sottile filigrana dorata, l’abito sontuoso e curato in ogni particolare.
Marie rimase incantata a fissare quell’oggetto con il capo inclinato e le manine adagiate sul cristallo della vetrina, i suoi occhi che si riflettevano nello sguardo vitreo della bambina di porcellana davanti a lei, poi lentamente si aprì in un sorriso entusiasta, lasciando la presa sulla manina ruvida della bambola di pezza che fino a poco prima aveva tenuto stretta per timore di perderla nella folla.
Ora immaginava già la manina fresca e liscia della bambola che si trovava davanti a lei, il profumo dell’abito che indossava, la delicatezza del suo corpicino sotto quelle vesti sfarzose.
Il suo vecchio giocattolo le sembrava ormai brutto e sgraziato, adatto più al marciapiede di quella strada affollata che alla sua camera.
Alzò gli occhi verso il padre, in piedi vicino a lei, e gli sorrise con gli occhi luminosi. L’uomo non sapeva dirle no, e ben presto Marie camminava baldanzosa per la città stringendo a sé la sua nuova amica di porcellana.
Quanto alla vecchia bambola di pezza, quella rimase a terra - proprio sotto la vetrina - ad osservare con i suoi occhi fatti di bottoni azzurri quella bambina che fino a pochi minuti prima l’aveva stretta forte a sé, che l’aveva portata ovunque, l’aveva amata e le aveva fatto conoscere il mondo.
E ora invece tutto quel che le restava era quel marciapiede sporco sotto di lei e il cielo plumbeo che la guardava e ben presto le riversò le sue lacrime addosso.
Marie aveva adorato quella bambola, ma adesso aveva di meglio.
Più tempo passava, più la bambina capiva che la nuova bambola era troppo fragile e delicata per giocarci: se la stringeva troppo forte, la porcellana delle braccia e delle gambe strideva contro quella del busto e creava un rumore insopportabile; se la teneva da una mano per portarla in giro, quella sembrava quasi staccarsi, se poi per caso sbatteva da qualche parte, la pelle fredda e fragile della bambola si scheggiava, e quello che prima era roseo e levigato diventava chiazzato di bianco e scheggiato.
Marie si annoiava a giocare con quella bambola, che poteva solo star seduta a bere il tè; i suoi occhietti verdi e vivaci - che tanto l’avevano ammaliata - ora le sembravano comuni e banali, i capelli avevano perso la lucentezza dorata che avevano avuto dentro quella vetrina e il suo vestito non era più perfetto e curato come prima.
Lentamente lasciò la bambola su uno scaffale, poi in una credenza, protetta da una vetrinetta.
Diceva di aver paura di rovinarla, e di tenerla nella credenza per non farle prendere polvere.
Ma la verità è che Marie, quella bambola, la detestava.
Dentro di sé cominciava a sentire la mancanza di quella vecchia bambola di stoffa, che aveva avuto meno pretese e più avventure da offrirle.
 
Marie crebbe, diventando una giovane fanciulla affascinante che ricevette molte e varie proposte di matrimonio dai più svariati uomini.
Fra questi, la sua mano andò al più mite e generoso: si chiamava Antoine e stravedeva per lei, faceva del suo meglio per renderla felice e farla sorridere, perché era del suo sorriso soprattutto che si era innamorato. Non era bello - forse - ma aveva occhi sinceri e buone intenzioni, e Marie al suo fianco si sentiva serena, tranquilla e appagata. Viveva la sua vita piena di servitù e comodità, godeva della fedeltà di suo marito e non era preoccupata per il proprio futuro.
Marie adorava essere la moglie di Antoine.
Ma passarono gli anni, e se l’amore di lui cresceva sempre di più nei confronti della fanciulla, lo stesso non si poteva dire di quella creatura volubile.
La gentilezza di Antoine la nauseava, la sua benevolenza la soffocava.
Incontrò Philippe ad una festa: gli occhi scuri, i capelli e la barba chiari, un modo di parlare avvincente. Non le ci volle molto per sentirsi attratta da lui, era un forestiero, aveva belle storie da raccontare, era affascinante… E c’era qualcosa di oscuro in lui; là dove Antoine era luminoso e cristallino, lui era buio e torbido.
Parlarono fra di loro, i primi tempi, poi iniziarono a camminare insieme, vedersi, sfiorarsi, sempre lontani da occhi indiscreti.
Quei tocchi segreti e fugaci divennero qualcosa di più, le dita da timide si fecero sicure, i palmi premevano di più sui corpi dei due amanti, le labbra si cercavano, si assaggiavano, si mordevano.
Marie era innamorata di Philippe.
E Antoine lo sapeva; l’aveva capito durante una festa, quando l’altro uomo gli aveva chiesto cortesemente di poter ballare con la sua dama; lui non aveva rifiutato, conoscendo il legame d’amicizia che lo legava alla moglie. Vederli ballare gli aveva aperto gli occhi: le loro mani non si toccavano, si stringevano; i loro sguardi non si incontravano, si incatenavano; lei non sorrideva, rideva.
Tutte cose che con lui non erano mai successe.
Essendo l’uomo mite e generoso che era, accettò di farsi da parte. Non poteva ripudiare sua moglie, ma poteva fingere di non accorgersi.
Se Marie era felice con Philippe, lui avrebbe lasciato che lei lo fosse. Ma la felicità di lei lo stava lentamente uccidendo.
Lui la amava, ma quando le baciava le guance pensava di sentire le labbra di Philippe che si erano posate nello stesso punto, quando le spostava i capelli dal volto, si chiedeva se le dita dell’altro fossero più delicate, o forse più forti, non era sicuro di cosa preferisse la ragazza silenziosa.
Perché con lui Marie non parlava, sorrideva in silenzio e basta.
Forse non era mai stata effettivamente felice con lui.
Il pensiero lo torturava, lo corrodeva da dentro; non poteva più guardare la giovane donna che era sua moglie senza immaginarla felice con l’altro uomo, non poteva più stringerla e ammirarla senza sentire che non gli apparteneva.
Marie vedeva Antoine impazzire giorno dopo giorno, i suoi occhi si cerchiavano di scuro e il suo volto si faceva sempre più pallido e scarno.
Era preoccupata per il marito, ma ad occupare la maggior parte dei suoi pensieri c’era Philippe, c’era quel fuoco che le cresceva dentro ogni volta che lo vedeva, la sensazione di appartenere a lui, la voglia di stare fra le sue braccia.
Non voleva vedere Antoine star male per lei e non voleva rinunciare a Philippe, così scelse il meglio: lei e Philippe andarono a Londra, fuggirono di notte.
Marie non avrebbe più saputo nulla di Antoine, e Antoine non avrebbe mai saputo dove fosse andata Marie.
Quello che la fanciulla non poteva sapere era che Philippe era ricercato per omicidio a Londra, non poteva sapere che quello che le era sembrato il meglio in realtà sarebbe stata la sua rovina.
Aveva rinunciato ad un uomo che la amava e rispettava, che le prometteva una vita serena e giusta, per averne una fatta di fughe e litigi al fianco di un uomo che di lei voleva solo la bellezza.
Antoine aveva amato il suo sorriso, Philippe desiderava il suo corpo.
Ma questo Marie non l’aveva capito in tempo.
E mentre il primo si spegneva sotto il dolore di averla persa, il rimpianto di non averla saputa far restare, il secondo continuava a fare di lei ciò che voleva. Non fingeva più, non indossava più la sua maschera di fascino tenebroso.
C’era solo buio in lui, buio e pericolo.
Aveva creduto di ottenere il meglio, invece aveva solo rinunciato al bene.
No, non aveva solo rinunciato.
A dire il vero l’aveva rovinato.
Perché Antoine, mentre veniva divorato dal dolore, si rifugiò nell’alcol e nell’oppio, in qualsiasi cosa che avrebbe potuto far calare una patina sui suoi ricordi di quella creatura giovane, fragile, sciocca e incostante.
E così, di quell’uomo buono e generoso non rimase nemmeno l’ombra: il suo cuore si indurì, i suoi modi si inasprirono.
Diventò irriconoscibile.
E quando Marie - sfuggita per miracolo alla rabbia che Philippe aveva riversato su di lei dopo l’ennesimo litigio - si presentò a casa sua, sola e spaventata, ciò che ottenne fu un rifiuto e una porta in faccia.
E lei si ritrovò a piangere su un vecchio marciapiede affollato, proprio sotto una vecchia bottega di giocattoli.
La bottega di Madame Desìr.
E il cielo plumbeo riversò anche su di lei le sue lacrime.
 

 
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Nota dell’autrice:
non ho molto da dire… l’idea mi è venuta un po’ all’improvviso e all’inizio la storia era venuta molto diversa da come pensavo, questa è la versione definitiva… xD
Un grazie in particolare a Lyel per il sostegno e l’incoraggiamento! :DD
Spero che vi piaccia,
baci!
Starishadow

 
   
 
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