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Autore: Eriok    29/04/2015    2 recensioni
Non so quando inizió...
… sapevo soltanto che era vero amore, sin dal principio.
«Mamma! Guarda!».
È lei, mi chiama... Dovresti vederla, sai? È tutta uguale a te. Bellissima, con i suoi capelli rosso fuoco. Forte, tenace. E quegli occhi, azzurro verdi - la nostra fusione - un po' miei, un po' tuoi. Nostri.
«Brava, Victoria...brava...».
Sì, perché quella volta abbiamo vinto… la nostra vittoria. E lei è il miglior premio che potessi avere con te, Shepard.
Genere: Fantasy, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri, Slash, FemSlash | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Liara T'Soni, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE

Per correttezza verso la lingua madre di Mass Effect – l’inglese – ho deciso di tradurre indipendentemente dalla traduzione ufficiale italiana i dialoghi del gioco, così da non cadere in problemi di Copyright.

In aggiunta, ove lo ritengo necessario – come in questo capitolo – alcune frasi rimarranno in inglese.

Si può interpretare ciò in svariate maniere: lì dove viene detto da una specie aliena diversa da quella Umana può essere una espressione nella lingua madre che ovviamente non conosco (a differenza di Boshtet, che sappiamo tutti benissimo cosa significa), lì dove invece viene detto da un essere umano, può essere una delle tante lingue parlate sul nostro pianeta – non obbligatoriamente l’inglese e/o l’italiano. Comunque questo non preclude la comprensione di ciò che è stato detto da una parte o dall’altra. È solo un mio modo di mantenere il pathos di una frase che magari non regge o è difficile da tradurre in italiano corrente.

Mi spiace non poter essere più aderente alla trama e qualora troviate delle incongruenze vi prego di segnalarmele in modo così da correggermi. Faccio sempre delle revisioni ma può darsi che qualcosa sfugga al mio controllo.

 

Vi ringrazio e scusatemi ancora,

 

Vi lascio al capitolo,

 

Eriok

 

 

Capitolo 4.

 

«So che forse mi sto preoccupando troppo, ma è importante, Javik.» il Prothean ascolta con un orecchio, ma con gli altri tre ignora completamente il Krogan che gli parla. Ha un occhio fasciato, e sta in piedi grazie ad una stampella. Anche Javik aveva riportato delle ferite, gloriose cicatrici che avevano dato una voce al suo popolo pensato distrutto. La voce dei Prothean aveva rischiarato i lunghi minuti durante la battaglia finale contro i Razziatori e gli aveva tenuto testa egregiamente. Ma durante l’ultimo assalto...

 

«Tieni, prendila.» la voce di Shepard alle sue spalle, il braccio e il peso di Liara T’Soni che passano sulle sue. Gronda di sangue, ed è ferita, zoppica. Eppure fu come se non sentisse niente, quando protestò. Toccandole il braccio capì tutto.

«Shepard!» la sua voce la chiamava, e solo per nome diceva tutto: una supplica, una possibilità di stare ancora insieme prima che lei vada verso l’ignoto, di restare. Di non andare.

Di allevare il figlio che teneva in grembo insieme.

“Liara T’Soni...cosa hai fatto?”.

«Devi andare via da qui.» le dice, con un leggero tono dispiaciuto, mentre si allontana dalla nave indietreggiando. Aveva capito tutto, Shepard, e sorrideva con tono triste. Non poteva. Non adesso.

«Sto bene!» mente, e lo sa benissimo. La guarda con occhi inferociti, il suo essere per un quarto Krogan esce fuori. Sembra quasi indispettita. Se non vuole rimanere con lei, allora sarebbe morta insieme a lei.

Ma Shepard questo lo sapeva benissimo.

«Non discutere con me, Liara.» il suo tono era duro. Quasi peggio di quello di Liara. Sapeva tenerle testa, l’Umana. Ma sentì nella voce una nota triste. Come se potesse leggerle dentro capì. Lei sapeva. Lei lo stava facendo per quel piccolo essere non ancora pronto per la vita. Per quel bambino ancora senza nome.

«Non mi lascerai indietro...» la supplica, di nuovo. Si legge una lacrima tra le note.

«Non importa cosa accadrà...» anche nella rossa c’era tristezza. Come di un destino infausto per loro. Per lei. Sì, perché lei la voleva viva. Lontana dalla morte che le circondava. Lontana dai Razziatori. Javik lo sapeva, quando l’aveva toccata le aveva letto dentro. E sapeva tutto di lei. E dell’Asari.

«...tu significhi tutto per me, Liara. E lo sarai sempre.» le accarezza una guancia, e Liara poté sentire ancora il suo calore per un secondo, la sua dolcezza. Il suo profumo che si elevava al di sopra del sangue e del sudore. E del suo respiro, caldo, affannato. Della sua voce, così melodiosa. E poi, tutto finì. Lei si è allontanata. È troppo lontana. È troppo poco.

«Shepard, Io...».

“No, è ancora troppo poco il tempo passato insieme. Non andare! No!” sono come una voce lontana i pensieri di Liara nella testa del Prothean, ma lui non si muove. Sa che una volta chiuso quel portellone, lei crollerà. E lui sarà la sua colonna.

Liara inizia a piangere. E poi tende la mano, in un impeto di bisogno. Di amore. Le lacrime sul volto, prima che la nave parta senza il suo cuore. Lasciandola lì da sola, senza di lei.

«I am yours.».

“E lo sarò sempre.”.

 

«Va bene, lo farò. Ma non perché me lo hai chiesto tu, Krogan.» gracchiò, con tono stizzito. Wrex sorrise, e tornò alla sua stanza zoppicando. Dal vetro della porta osserva Liara coccolare la bambina dai capelli rossi, sorridendo. Respirò, come raccogliendo le energie, ed entrò.

«Javik!» la sua voce squillò, ma lui rimase impassibile. Poteva sentire la felicità nella sua voce. Dopotutto l’udito acuto dei Prothean era assai sviluppato.

La bambina, come se avesse sentito una presenza estranea nella stanza iniziò ad urlare, come una disperata.

“...forse troppo sviluppato per questo ciclo.” Rifletté il guerriero, resistendo strenuamente alla tortura uditiva della bambina che aveva preso a piangere così dal nulla.

«Shh, calma, Victoria... calma...» e la bambina prese a non piangere più. Il volto della mamma e la sua voce la calmarono subito.

«Come stai?» domandò Javik, in piedi alla fine del letto, le mani giunte dietro la schiena in posizione militare. Le abitudini sono dure a morire.

«Sto bene, ora non mi sento più così debole...» rispose la donna, giocando con le manine paffute della bambina. Il suo blu contrastava in maniera evidente con la pelle rosea di Victoria, battezzata così in nome della vittoria verso i Razziatori.

 

E verso la morte.

Tu sei la nostra vittoria, Victoria.

Mia, e di Shepard.

 

La bambina, presa come da un attacco di sonnolenza, si addormentò con la mano stretta intorno al dito della madre.

«Vieni a vederla, Javik... è bellissima...».

Ma lui non si mosse, anzi guardava quasi con astio l’Asari, e lei alzò gli occhi come sentendo quelle quattro accuse su di lei.

Quattro come i suoi occhi.

«Cosa c’è?» domandò, abbassando la voce, appoggiando meglio la bimba sulla culla di fianco a lei, liberandosi le mani. Victoria non sentì nemmeno il cambio di posto per il pisolino, e continuò a dormire beata nella culla.

«Sai che cosa hai fatto, Liara T’Soni?» domandò, ma il tono che aveva usato era accusatorio. E lei lo aveva sentito benissimo, nonostante stesse parlando a bassa voce per non disturbare l’infante.

«Cosa vuoi dire?» incrociò le mani sul grembo.

«Conosco bene la tua cultura e la tua specie, Liara T’Soni. E so benissimo che avere un parto prematuro non è nella natura delle Asari. Il vostro ciclo riproduttivo è molto rigoroso sotto questo punto di vista.».

«Ah, è vero. Siete stati voi ad “innalzarci” al di sopra delle altre specie, vero?» il ciglio si alzò, lo sguardo ferino. Pungente. Javik lo ignorò.

«Questo comporta uno sgravio assurdo per la tua salute e per quella della bambina.» e per un secondo la paura passò negli occhi di Liara.

«Lo so... purtroppo.» l’Asari sapeva benissimo che partorendo prematura lei non avrebbe vissuto millenni, come di norma succede alle Asari. Il ciclo di vita longevo della sua specie, in età così giovane, si spezza. La sua vita si dimezza, perché il corpo dedica tante – troppe – energie al bambino che deve crescere, senza dosarlo con cura, come invece farebbe una Matrona. Facendo così crea degli squilibri tali da dimezzare i suoi anni di vita. Ma a lei, in quel momento, non importava di vivere trecento anni in un più o in meno, casomai si preoccupava della bambina appena nata.

Di norma un essere umano sopravvive fino a 150 anni, ma per Victoria questo forse non valeva. Era per metà Asari, una delle specie più longeve della galassia. E forse unica nella sua specie. E questo cambiava tutto.

Non sapeva per quanto avrebbe vissuto sua figlia, Liara. Ma in quel momento desiderò con tutta se stessa di non vedere la sua morte.

«Bene. Allora non ho altro da aggiungere.» proferì Javik, dirigendosi verso la porta.

«Questo non preclude niente, Prothean. Tu scriverai quel libro con me, ricordatelo.» lui si fermò, dandole le spalle. Aprì la porta.

«Lo so benissimo, Liara T’Soni.» e uscì.

La donna sorrise. Sapeva benissimo che quello che lui aveva fatto non era un rimprovero ma un ammonimento. Si beò di quel piccolo calore che si creò nel cuore.

La porta si aprì di nuovo per un secondo all’improvviso, e la voce del Prothean arrivò fino alle orecchie dell’Asari.

«E comunque... la bambina è bellissima.» e la porta si richiuse.

Liara rise, e per un attimo si sentì l’anima in pace, dopo mesi di tormento.

 

 

«So di chiederti un grosso favore, ma ne ho bisogno. Estremamente bisogno.» la consigliera Asari, stringendosi le spalle, parlava al ricevitore sulla scrivania, camminando avanti e indietro.

«Sai benissimo che chiedendomi questo non potrò proteggerti da lei, Krisna.» una voce femminile rispose dall’altra parte, e la donna respirò profondamente. Le mani tremavano, come se avesse terrore a chiederle quel favore. Ma nessuno era meglio di lei nel proteggere qualcuno. E lo sapeva benissimo. Altrimenti non sarebbe ancora viva, e nel ruolo di Consigliere Asari nel Consiglio della Cittadella.

«Sì, lo so. Ma non posso fare altrimenti. Ormai ho più di mille anni, devo badare a me stessa.» ammise, cercando di scacciare via quel brivido freddo che le scorse nelle vene.

«Ma...».

«È un ordine, comandante.» la voce divenne dura, l’Asari guardò con occhi furenti il ricevitore, come volesse fulminare la donna dall’altra parte.

«Agli ordini, Consigliere.» ottenne questa risposta fredda dall’altra parte, e stava per chiudere la comunicazione quando l’altra interruppe la sua mano continuando a parlare «Ma stai attenta. Non voglio perderti. Non posso. Tu... sei importante per me, Krisna.» la voce calda e intima passò attraverso il comunicatore, colpendo l’Asari. E poi un bip notificò la chiusura della comunicazione.

L’Asari si strinse in un pianto silenzioso all’interno dell’ufficio buio. Ora, era definitivamente sola.

 

 

 

50.000 anni fa, pianeta natale dei Prothean

 

«Trisha, corri!» dall’edificio azzurro e arancione in fiamme, pieno di piante esotiche, saltò un’Asari, di un colore blu intenso, atterrando con dolcezza grazie ai poteri biotici. Era bella, indossava una tiara che ricopriva con un velo le creste tipiche delle Asari, e un vestito lungo e sinuoso, che scorreva delicato sulla pelle. iniziò a correre verso un Prothean, che l’aveva chiamata. Aveva una sottospecie di occhiali che stringevano sugli occhi, e un vestito bianco elegante sporco di nero fumo.

«Dov’è T’Sonia?» gli domandò, afferrandole un braccio, in ansia. Il rumore dei Razziatori imperversava sul pianeta, e le grida di dolore dei Prothean in fuga si poteva udire ovunque. I loro occhi si incrociarono con ansia e paura, e la presa di lui venne ricambiata da quella di lei. Da soli, nello spiazzo alla base del palazzo in fiamme, si poteva sentire il loro respiro farsi pesante.

«Non lo so, l’ho persa di vista!» il dialogo venne interrotto da un Razziatore atterrato lì vicino, e una valanga di mostri con occhi illuminati di rosso iniziarono ad avanzare per le strade, precipitando sotto forma di meteoriti. Il Prothean strinse a sé l’Asari, e mandò un’onda biotica che spinse qualche mostro lontano, ma ne uscivano sempre di più. La donna capì, guardandosi intorno, che non avevano vie di fuga. Che la Dea avesse deciso di riunire tutti sotto le sue ali protettrici?

I mostri avanzavano e il Prothean, visibilmente spossato, non riusciva più a respingerli. Stavano per attaccare i due che, pronti alla morte, si strinsero in un abbraccio.

Ma una potente onda biotica stese e allontanò i mostri in un sol colpo.

« T’Sonia!» urlò l’Asari blu intenso, guardandola felice uscire dalle macerie dell’edificio intatta. I poteri biotici scorrevano potenti sulla sua pelle, gli occhi neri. «Figlia mia, stai bene?» domandò il Prothean, preoccupato, correndole incontro.

La famiglia si strinse in un abbraccio forte, e si girarono verso l’enorme colosso che incombeva su di loro.

«Ci penso io, a questo.» questa era di un blu intenso con colorazioni violacee, e gli occhi gialli, come quelli del padre. Era vestita da guerriera, una corazza blanda che ricopriva i punti più deboli della donna, in mano un’asta con una pietra azzurra.

«No, T’Sonia, scappiamo!» urlò la madre, stringendole il braccio per trattenerla a sé, ma la ragazza rispose con una spinta.

«Voi andate! Io appartengo qui.» i suoi occhi brillavano, e divennero neri. I poteri biotici uscirono come un fiume in piena che si concentrarono in una bolla enorme sopra la pietra azzurra incastonata nel bastone. Con un urlo scagliò la palla di potere sul Razziatore che spargeva morte con il raggio rosso sul dorso. La bolla avvolse completamente il Razziatore e, con uno sforzo immane da parte della ragazza, lo restrinse fino a farlo svanire nel nulla.

«Ah!» la ragazza crollò sulle ginocchia, dal naso colava sangue, e venne soccorsa dalla madre.

«Per la Dea, T’Sonia, dove hai preso tutto questo potere?!» domandò la donna, conoscendo i limiti fisici della ragazza. Il Prothean l’aiutò a sollevarsi.

«T’Sonia, non è prudente usare così il potere della pietra.» mormorò, guardando la ragazza accasciarsi sulla sua spalla, stravolta.

«Lo so, padre...» mormorò, tossendo visibilmente «Ma era l’unico modo per salvarvi entrambi.» sorrise, guardando l’uomo che l’aveva cresciuta.

L’Impero fu clemente con lui, quando scoprirono che le Asari che lui “custodiva” non erano allo stato primitivo ma bensì acculturate. Elevare alla pari dei Prothean i primitivi non era cosa accettata, ma lui giustificò tutto questo come uno studio, per analizzare quanto potessero avvicinarsi alla verità, e i risultati furono sorprendenti: parlavano e apprendevano a una velocità incredibile, avevano la pazienza di ascoltare e la saggezza di comprendere.

E poi, accadde l’imprevisto. Lui, Jeror, si innamorò di sua madre, Trisha. Fu un amore combattuto, proibito. Eppure lui era perso di lei, e lei persa per lui. Dalla loro unione nacque T’Sonia, che nella lingua Prothean significa “colei che unisce”.

L’Impero accettò questo piccolo imprevisto in cambio dei dati raccolti dallo scienziato, e usarono quei dati per elevare in maniera latente e sottintesa la specie Asari, così come avevano fatto con altre specie.

Ma ora, di fronte al pericolo più grande della galassia, i Razziatori, L’Impero non poteva nulla. La Cittadella fu la prima a cadere. E ora il pianeta natale dei Prothean era sotto attacco. Anzi, no.

Jeror sapeva benissimo cos’era, e non era un attacco. Era uno sterminio.

«Vi devo portare su Thessia, là starete al sicuro!» proruppe l’uomo, guardando le due Asari di fronte a lui.

«E tu verrai con noi!» rispose Trisha, stringendoli la mano. Lui sorrise, ma si vedeva che era un sorriso rammaricato.

«No, se scoprissero anche solo un Prothean sul vostro pianeta sterminerebbero anche voi. Ma non lo faranno, perché vi considerano innocue. Siete ancora troppo primitive, per loro. Noi, siamo la vera minaccia.» Lui conosceva la vera storia dei Razziatori. Lui sapeva. È per questo che si era buttato sull’elevare la razza Asari, sperava che facendo così loro potessero, nel ciclo futuro, salvarsi, e porre fine a quel circolo pieno di morte e distruzione.

«Andiamo, prima che ne arrivino altri.» disse la ragazza, ma sapeva benissimo che quello era un addio.

La navicella era ancora integra, e gli scudi ancora attivi.

«Forza salite!» urlò l’uomo, aiutando la ragazza ferita. Lei gli allungò il bastone, ma lui rifiutò di prenderlo in mano «Tienilo tu, tramandalo alle tue figlie. Che possano combattere con forza e orgoglio, come hai fatto tu oggi.» disse, sorridendogli. Gli passò una mano sul capo. «Sono fiera di te, T’Sonia.».

«Amore mio...» l’Asari dal profondo colore blu diede un ultimo abbraccio al suo amato, che rispose con la stessa forza. «...Che la Dea ti protegga...» mormorò, baciandolo sulle labbra.

«Trisha, io...» la sua voce era spezzata, ma a lei non importava. Voleva che gli sorridesse, con quel sorriso dolce che l’aveva fatta innamorare di lui.

«Tu significhi tutto per me, Jeror.» la donna lo baciò di nuovo, le lacrime solcavano il suo viso.

«Anche tu, Trisha. Ed è per questo che voglio che tu parta. Ti voglio salva. Va’, e sii la nostra speranza per il nuovo ciclo che verrà.» lui sorrise, e le baciò la fronte, aiutandola a salire. La figlia accese i motori, facendo innalzare lentamente la navicella. Le loro mani strette lentamente scivolarono l’una dall’altra.

«Jeror!» urlò l’Asari, in lacrime.

Lui sorrideva. Voleva lasciargli questo, come ultimo ricordo. Non lacrime. Solo... il suo sorriso. Perché lui aveva ancora addosso l’odore di lei. E questo bastava. Per lui, questo bastava. «I am yours!».

E pianse, sentendo quelle parole. Ma ormai era lontana, era salva. Poteva piangere ora, Jeror. Ora, poteva morire.

 

«Non penso che sia consono, Kheliall.» il Custode che operava sulla mente di Shepard si girò, interrompendo la trasmissione di ricordi. La mano del suo simile che lo aveva interrotto poggiava sulla sua.

Stavano...parlando. attraverso il potere della mente.

«Esplicita il motivo, Portergh.».

«Potrebbe non capire. Perché mostrargli questo?».

«Capirà. Anzi, ha già capito.».

«Capito cosa, Kheliall?».

«Che ha vinto. E che non può mollare tutto adesso. Almeno lei... almeno lei deve capire. Che a tutto c’è un Destino. C’è ancora una cosa che la Via le ha dettato di fare.».

«...».

«La stanno aspettando, Portergh. Dobbiamo sbrigarci a ricomporla e a rimetterla in piedi.».

«I materiali sono in fase di sviluppo, e la squadra di recupero sta ripulendo l’ospedale alla ricerca di medicinali consoni. I dati a disposizione sono pochi.».

«Cercherò di tenere la sua mente impegnata, allontanando il dolore. Ma non servirà a molto. Non voglio che muoia. Dobbiamo salvarla. Siamo in debito.».

«Lo so, Kheliall. Siamo tutti in debito con lei.».

«Vialketh.».

«Aralaye.».

E le loro mani si staccarono.

 

Vedo memorie scorrere nella mia mente. Sono... morta? No. Non posso morire.

Il dolore... ogni tanto lo sento. Poi sparisce.

Il giardino...è così vuoto. Mi sento sola.

Sono stanca. Voglio riposare... Ho così tanto sonno.

Ma non si dorme bene da soli.

Liara... me lo ha detto Liara.

Amore mio...dove sei?

Cosa sono queste immagini che mi scorrono nella mente? Chi mi parla? Perché quella ragazza ti assomigliava...?

Basta... lasciatemi in pace.

Voglio dormire.

Liara... suona ancora, per me.

 

 

   
 
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