ATTENZIONE
Per correttezza verso la lingua madre di Mass Effect – l’inglese – ho deciso di tradurre indipendentemente dalla traduzione ufficiale italiana i dialoghi del gioco, così da non cadere in problemi di Copyright.
In aggiunta, ove lo ritengo necessario – come in questo capitolo – alcune frasi rimarranno in inglese.
Si può interpretare ciò in
svariate maniere: lì dove viene detto da una specie aliena diversa da quella
Umana può essere una espressione nella lingua madre che ovviamente non conosco
(a differenza di Bosh’tet, che sappiamo tutti benissimo cosa significa), lì dove
invece viene detto da un essere umano, può essere una delle tante lingue
parlate sul nostro pianeta – non obbligatoriamente l’inglese e/o l’italiano.
Comunque questo non preclude la comprensione di ciò che è stato detto da una
parte o dall’altra. È solo un mio modo di mantenere il pathos di una frase che
magari non regge o è difficile da tradurre in italiano corrente.
Mi spiace non poter
essere più aderente alla trama e qualora troviate delle incongruenze vi prego
di segnalarmele in modo così da correggermi. Faccio sempre delle revisioni ma
può darsi che qualcosa sfugga al mio controllo.
Vi ringrazio e
scusatemi ancora,
Vi lascio al
capitolo,
Eriok
Capitolo 4.
«So che forse mi sto preoccupando troppo, ma è importante, Javik.» il Prothean ascolta con un orecchio, ma con gli altri tre ignora completamente il Krogan che gli parla. Ha un occhio fasciato, e sta in piedi grazie ad una stampella. Anche Javik aveva riportato delle ferite, gloriose cicatrici che avevano dato una voce al suo popolo pensato distrutto. La voce dei Prothean aveva rischiarato i lunghi minuti durante la battaglia finale contro i Razziatori e gli aveva tenuto testa egregiamente. Ma durante l’ultimo assalto...
«Tieni, prendila.» la voce di Shepard alle sue spalle, il braccio e il
peso di Liara T’Soni che passano sulle sue. Gronda di sangue, ed è ferita,
zoppica. Eppure fu come se non sentisse niente, quando protestò. Toccandole il
braccio capì tutto.
«Shepard!» la sua voce la chiamava, e solo per nome diceva tutto: una
supplica, una possibilità di stare ancora insieme prima che lei vada verso
l’ignoto, di restare. Di non andare.
Di allevare il figlio che teneva in grembo insieme.
“Liara T’Soni...cosa hai fatto?”.
«Devi andare via da qui.» le dice, con un leggero tono dispiaciuto,
mentre si allontana dalla nave indietreggiando. Aveva capito tutto, Shepard, e
sorrideva con tono triste. Non poteva. Non adesso.
«Sto bene!» mente, e lo sa benissimo. La guarda con occhi inferociti,
il suo essere per un quarto Krogan esce fuori. Sembra quasi indispettita. Se
non vuole rimanere con lei, allora sarebbe morta insieme a lei.
Ma Shepard questo lo sapeva benissimo.
«Non discutere con me, Liara.» il suo tono era duro. Quasi peggio di
quello di Liara. Sapeva tenerle testa, l’Umana. Ma sentì nella voce una nota
triste. Come se potesse leggerle dentro capì. Lei sapeva. Lei lo stava facendo
per quel piccolo essere non ancora pronto per la vita. Per quel bambino ancora
senza nome.
«Non mi lascerai indietro...» la supplica, di nuovo. Si legge una
lacrima tra le note.
«Non importa cosa accadrà...» anche nella rossa c’era tristezza. Come
di un destino infausto per loro. Per lei. Sì, perché lei la voleva viva.
Lontana dalla morte che le circondava. Lontana dai Razziatori. Javik lo sapeva,
quando l’aveva toccata le aveva letto dentro. E sapeva tutto di lei. E
dell’Asari.
«...tu significhi tutto per me, Liara. E lo sarai sempre.» le accarezza
una guancia, e Liara poté sentire ancora il suo calore per un secondo, la sua
dolcezza. Il suo profumo che si elevava al di sopra del sangue e del sudore. E
del suo respiro, caldo, affannato. Della sua voce, così melodiosa. E poi, tutto
finì. Lei si è allontanata. È troppo lontana. È troppo poco.
«Shepard, Io...».
“No, è ancora troppo poco il tempo passato insieme. Non andare! No!”
sono come una voce lontana i pensieri di Liara nella testa del Prothean, ma lui
non si muove. Sa che una volta chiuso quel portellone, lei crollerà. E lui sarà
la sua colonna.
Liara inizia a piangere. E poi tende la mano, in un impeto di bisogno.
Di amore. Le lacrime sul volto, prima che la nave parta senza il suo cuore.
Lasciandola lì da sola, senza di lei.
«I am yours.».
“E lo sarò sempre.”.
«Va bene, lo farò. Ma non perché me lo hai chiesto tu, Krogan.» gracchiò, con tono stizzito. Wrex sorrise, e tornò alla sua stanza zoppicando. Dal vetro della porta osserva Liara coccolare la bambina dai capelli rossi, sorridendo. Respirò, come raccogliendo le energie, ed entrò.
«Javik!» la sua voce squillò, ma lui rimase impassibile. Poteva sentire la felicità nella sua voce. Dopotutto l’udito acuto dei Prothean era assai sviluppato.
La bambina, come se avesse sentito una presenza estranea nella stanza iniziò ad urlare, come una disperata.
“...forse troppo sviluppato per questo ciclo.” Rifletté il guerriero, resistendo strenuamente alla tortura uditiva della bambina che aveva preso a piangere così dal nulla.
«Shh, calma, Victoria... calma...» e la bambina prese a non piangere più. Il volto della mamma e la sua voce la calmarono subito.
«Come stai?» domandò Javik, in piedi alla fine del letto, le mani giunte dietro la schiena in posizione militare. Le abitudini sono dure a morire.
«Sto bene, ora non mi sento più così debole...» rispose la donna, giocando con le manine paffute della bambina. Il suo blu contrastava in maniera evidente con la pelle rosea di Victoria, battezzata così in nome della vittoria verso i Razziatori.
E
verso la morte.
Tu
sei la nostra vittoria, Victoria.
Mia,
e di Shepard.
La bambina, presa come da un attacco di sonnolenza, si
addormentò con la mano stretta intorno al dito della madre.
«Vieni a vederla, Javik... è bellissima...».
Ma lui non si mosse, anzi guardava quasi con astio l’Asari,
e lei alzò gli occhi come sentendo quelle quattro accuse su di lei.
Quattro come i suoi occhi.
«Cosa c’è?» domandò, abbassando la voce, appoggiando meglio
la bimba sulla culla di fianco a lei, liberandosi le mani. Victoria non sentì
nemmeno il cambio di posto per il pisolino, e continuò a dormire beata nella
culla.
«Sai che cosa hai fatto, Liara T’Soni?» domandò, ma il tono
che aveva usato era accusatorio. E lei lo aveva sentito benissimo, nonostante
stesse parlando a bassa voce per non disturbare l’infante.
«Cosa vuoi dire?» incrociò le mani sul grembo.
«Conosco bene la tua cultura e la tua specie, Liara T’Soni.
E so benissimo che avere un parto prematuro non è nella natura delle Asari. Il
vostro ciclo riproduttivo è molto rigoroso sotto questo punto di vista.».
«Ah, è vero. Siete stati voi ad “innalzarci” al di sopra
delle altre specie, vero?» il ciglio si alzò, lo sguardo ferino. Pungente.
Javik lo ignorò.
«Questo comporta uno sgravio assurdo per la tua salute e per
quella della bambina.» e per un secondo la paura passò negli occhi di Liara.
«Lo so... purtroppo.» l’Asari sapeva benissimo che
partorendo prematura lei non avrebbe vissuto millenni, come di norma succede
alle Asari. Il ciclo di vita longevo della sua specie, in età così giovane, si
spezza. La sua vita si dimezza, perché il corpo dedica tante – troppe – energie
al bambino che deve crescere, senza dosarlo con cura, come invece farebbe una
Matrona. Facendo così crea degli squilibri tali da dimezzare i suoi anni di
vita. Ma a lei, in quel momento, non importava di vivere trecento anni in un
più o in meno, casomai si preoccupava della bambina appena nata.
Di norma un essere umano sopravvive fino a 150 anni, ma per
Victoria questo forse non valeva. Era per metà Asari, una delle specie più
longeve della galassia. E forse unica nella sua specie. E questo cambiava
tutto.
Non sapeva per quanto avrebbe vissuto sua figlia, Liara. Ma
in quel momento desiderò con tutta se stessa di non vedere la sua morte.
«Bene. Allora non ho altro da aggiungere.» proferì Javik,
dirigendosi verso la porta.
«Questo non preclude niente, Prothean. Tu scriverai quel
libro con me, ricordatelo.» lui si fermò, dandole le spalle. Aprì la porta.
«Lo so benissimo, Liara T’Soni.» e uscì.
La donna sorrise. Sapeva benissimo che quello che lui aveva
fatto non era un rimprovero ma un ammonimento. Si beò di quel piccolo calore
che si creò nel cuore.
La porta si aprì di nuovo per un secondo all’improvviso, e
la voce del Prothean arrivò fino alle orecchie dell’Asari.
«E comunque... la bambina è bellissima.» e la porta si
richiuse.
Liara rise, e per un attimo si sentì l’anima in pace, dopo
mesi di tormento.
«So di chiederti un grosso favore, ma ne ho bisogno.
Estremamente bisogno.» la consigliera Asari, stringendosi le spalle, parlava al
ricevitore sulla scrivania, camminando avanti e indietro.
«Sai benissimo che chiedendomi questo non potrò proteggerti
da lei, Krisna.» una voce femminile rispose
dall’altra parte, e la donna respirò profondamente. Le mani tremavano, come se
avesse terrore a chiederle quel favore. Ma nessuno era meglio di lei nel
proteggere qualcuno. E lo sapeva benissimo. Altrimenti non sarebbe ancora viva,
e nel ruolo di Consigliere Asari nel Consiglio della Cittadella.
«Sì, lo so. Ma non posso fare altrimenti. Ormai ho più di
mille anni, devo badare a me stessa.» ammise, cercando di scacciare via quel
brivido freddo che le scorse nelle vene.
«Ma...».
«È un ordine, comandante.» la voce divenne dura, l’Asari
guardò con occhi furenti il ricevitore, come volesse fulminare la donna
dall’altra parte.
«Agli ordini, Consigliere.» ottenne questa risposta fredda
dall’altra parte, e stava per chiudere la comunicazione quando l’altra
interruppe la sua mano continuando a parlare «Ma stai attenta. Non voglio
perderti. Non posso. Tu... sei importante per me, Krisna.»
la voce calda e intima passò attraverso il comunicatore, colpendo l’Asari. E poi
un bip notificò la chiusura della comunicazione.
L’Asari si strinse in un pianto silenzioso all’interno
dell’ufficio buio. Ora, era definitivamente sola.
50.000 anni fa, pianeta natale
dei Prothean
«Trisha, corri!» dall’edificio
azzurro e arancione in fiamme, pieno di piante esotiche, saltò un’Asari, di un
colore blu intenso, atterrando con dolcezza grazie ai poteri biotici. Era
bella, indossava una tiara che ricopriva con un velo le creste tipiche delle
Asari, e un vestito lungo e sinuoso, che scorreva delicato sulla pelle. iniziò
a correre verso un Prothean, che l’aveva chiamata. Aveva una sottospecie di
occhiali che stringevano sugli occhi, e un vestito bianco elegante sporco di
nero fumo.
«Dov’è T’Sonia?» gli domandò, afferrandole un braccio, in
ansia. Il rumore dei Razziatori imperversava sul pianeta, e le grida di dolore
dei Prothean in fuga si poteva udire ovunque. I loro occhi si incrociarono con
ansia e paura, e la presa di lui venne ricambiata da quella di lei. Da soli,
nello spiazzo alla base del palazzo in fiamme, si poteva sentire il loro
respiro farsi pesante.
«Non lo so, l’ho persa di vista!» il dialogo venne
interrotto da un Razziatore atterrato lì vicino, e una valanga di mostri con
occhi illuminati di rosso iniziarono ad avanzare per le strade, precipitando
sotto forma di meteoriti. Il Prothean strinse a sé l’Asari, e mandò un’onda
biotica che spinse qualche mostro lontano, ma ne uscivano sempre di più. La
donna capì, guardandosi intorno, che non avevano vie di fuga. Che la Dea avesse
deciso di riunire tutti sotto le sue ali protettrici?
I mostri avanzavano e il Prothean, visibilmente spossato,
non riusciva più a respingerli. Stavano per attaccare i due che, pronti alla
morte, si strinsero in un abbraccio.
Ma una potente onda biotica stese e allontanò i mostri in un
sol colpo.
« T’Sonia!» urlò l’Asari blu intenso, guardandola felice
uscire dalle macerie dell’edificio intatta. I poteri biotici scorrevano potenti
sulla sua pelle, gli occhi neri. «Figlia mia, stai bene?» domandò il Prothean,
preoccupato, correndole incontro.
La famiglia si strinse in un abbraccio forte, e si girarono
verso l’enorme colosso che incombeva su di loro.
«Ci penso io, a questo.» questa era di un blu intenso con
colorazioni violacee, e gli occhi gialli, come quelli del padre. Era vestita da
guerriera, una corazza blanda che ricopriva i punti più deboli della donna, in
mano un’asta con una pietra azzurra.
«No, T’Sonia, scappiamo!» urlò la madre, stringendole il
braccio per trattenerla a sé, ma la ragazza rispose con una spinta.
«Voi andate! Io appartengo qui.» i suoi occhi brillavano, e
divennero neri. I poteri biotici uscirono come un fiume in piena che si
concentrarono in una bolla enorme sopra la pietra azzurra incastonata nel
bastone. Con un urlo scagliò la palla di potere sul Razziatore che spargeva
morte con il raggio rosso sul dorso. La bolla avvolse completamente il
Razziatore e, con uno sforzo immane da parte della ragazza, lo restrinse fino a
farlo svanire nel nulla.
«Ah!» la ragazza crollò sulle ginocchia, dal naso colava
sangue, e venne soccorsa dalla madre.
«Per la Dea, T’Sonia, dove hai preso tutto questo potere?!»
domandò la donna, conoscendo i limiti fisici della ragazza. Il Prothean l’aiutò
a sollevarsi.
«T’Sonia, non è prudente usare così il potere della pietra.»
mormorò, guardando la ragazza accasciarsi sulla sua spalla, stravolta.
«Lo so, padre...» mormorò, tossendo visibilmente «Ma era
l’unico modo per salvarvi entrambi.» sorrise, guardando l’uomo che l’aveva
cresciuta.
L’Impero fu clemente con lui, quando scoprirono che le Asari
che lui “custodiva” non erano allo stato primitivo ma bensì acculturate.
Elevare alla pari dei Prothean i primitivi non era cosa accettata, ma lui
giustificò tutto questo come uno studio, per analizzare quanto potessero
avvicinarsi alla verità, e i risultati furono sorprendenti: parlavano e
apprendevano a una velocità incredibile, avevano la pazienza di ascoltare e la
saggezza di comprendere.
E poi, accadde l’imprevisto. Lui, Jeror,
si innamorò di sua madre, Trisha. Fu un amore
combattuto, proibito. Eppure lui era perso di lei, e lei persa per lui. Dalla
loro unione nacque T’Sonia, che nella lingua Prothean significa “colei che
unisce”.
L’Impero accettò questo piccolo imprevisto in cambio dei
dati raccolti dallo scienziato, e usarono quei dati per elevare in maniera
latente e sottintesa la specie Asari, così come avevano fatto con altre specie.
Ma ora, di fronte al pericolo più grande della galassia, i
Razziatori, L’Impero non poteva nulla. La Cittadella fu la prima a cadere. E
ora il pianeta natale dei Prothean era sotto attacco. Anzi, no.
Jeror sapeva benissimo cos’era, e non
era un attacco. Era uno sterminio.
«Vi devo portare su Thessia, là
starete al sicuro!» proruppe l’uomo, guardando le due Asari di fronte a lui.
«E tu verrai con noi!» rispose Trisha,
stringendoli la mano. Lui sorrise, ma si vedeva che era un sorriso rammaricato.
«No, se scoprissero anche solo un Prothean sul vostro
pianeta sterminerebbero anche voi. Ma non lo faranno, perché vi considerano
innocue. Siete ancora troppo primitive, per loro. Noi, siamo la vera minaccia.»
Lui conosceva la vera storia dei Razziatori. Lui sapeva. È per questo che si
era buttato sull’elevare la razza Asari, sperava che facendo così loro
potessero, nel ciclo futuro, salvarsi, e porre fine a quel circolo pieno di
morte e distruzione.
«Andiamo, prima che ne arrivino altri.» disse la ragazza, ma
sapeva benissimo che quello era un addio.
La navicella era ancora integra, e gli scudi ancora attivi.
«Forza salite!» urlò l’uomo, aiutando la ragazza ferita. Lei
gli allungò il bastone, ma lui rifiutò di prenderlo in mano «Tienilo tu,
tramandalo alle tue figlie. Che possano combattere con forza e orgoglio, come
hai fatto tu oggi.» disse, sorridendogli. Gli passò una mano sul capo. «Sono
fiera di te, T’Sonia.».
«Amore mio...» l’Asari dal profondo colore blu diede un
ultimo abbraccio al suo amato, che rispose con la stessa forza. «...Che la Dea
ti protegga...» mormorò, baciandolo sulle labbra.
«Trisha, io...» la sua voce era
spezzata, ma a lei non importava. Voleva che gli sorridesse, con quel sorriso
dolce che l’aveva fatta innamorare di lui.
«Tu significhi tutto per me, Jeror.»
la donna lo baciò di nuovo, le lacrime solcavano il suo viso.
«Anche tu, Trisha. Ed è per questo
che voglio che tu parta. Ti voglio salva. Va’, e sii la nostra speranza per il
nuovo ciclo che verrà.» lui sorrise, e le baciò la fronte, aiutandola a salire.
La figlia accese i motori, facendo innalzare lentamente la navicella. Le loro
mani strette lentamente scivolarono l’una dall’altra.
«Jeror!» urlò l’Asari, in lacrime.
Lui sorrideva. Voleva lasciargli questo, come ultimo
ricordo. Non lacrime. Solo... il suo sorriso. Perché lui aveva ancora addosso
l’odore di lei. E questo bastava. Per lui, questo bastava. «I am yours!».
E pianse, sentendo quelle parole. Ma ormai era lontana, era
salva. Poteva piangere ora, Jeror. Ora, poteva
morire.
«Non penso che sia consono, Kheliall.»
il Custode che operava sulla mente di Shepard si girò, interrompendo la
trasmissione di ricordi. La mano del suo simile che lo aveva interrotto
poggiava sulla sua.
Stavano...parlando. attraverso il potere della mente.
«Esplicita il motivo, Portergh.».
«Potrebbe non capire. Perché mostrargli questo?».
«Capirà. Anzi, ha già capito.».
«Capito cosa, Kheliall?».
«Che ha vinto. E che non può mollare tutto adesso. Almeno
lei... almeno lei deve capire. Che a tutto c’è un Destino. C’è ancora una cosa
che la Via le ha dettato di fare.».
«...».
«La stanno aspettando, Portergh.
Dobbiamo sbrigarci a ricomporla e a rimetterla in piedi.».
«I materiali sono in fase di sviluppo, e la squadra di recupero
sta ripulendo l’ospedale alla ricerca di medicinali consoni. I dati a
disposizione sono pochi.».
«Cercherò di tenere la sua mente impegnata, allontanando il
dolore. Ma non servirà a molto. Non voglio che muoia. Dobbiamo salvarla. Siamo
in debito.».
«Lo so, Kheliall. Siamo tutti in
debito con lei.».
«Vialketh.».
«Aralaye.».
E le loro mani si staccarono.
Vedo memorie scorrere nella mia mente.
Sono... morta? No. Non posso morire.
Il dolore... ogni tanto lo sento. Poi
sparisce.
Il giardino...è così vuoto. Mi sento
sola.
Sono stanca. Voglio riposare... Ho così
tanto sonno.
Ma non si dorme bene da soli.
Liara... me lo ha detto Liara.
Amore mio...dove sei?
Cosa sono queste immagini che mi
scorrono nella mente? Chi mi parla? Perché quella ragazza ti assomigliava...?
Basta... lasciatemi in pace.
Voglio dormire.
Liara... suona ancora, per me.