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Autore: Kylu    29/04/2015    2 recensioni
Daisy Watson, distretto 11.
Sedici anni di cui gli ultimi sei trascorsi sostituendo la madre nel prendersi cura dei due fratellini più piccoli.
Un padre mai realmente presente, l’eccessivo lavoro nei frutteti che pare una lunga agonia destinata a non finire mai.
Un fratello maggiore come unica ancora di salvezza.
Unito a Daisy più che mai nella crudeltà della vita nel distretto...
Fino a quando un grido disperato e l’ennesimo eccesso di bontà di un cuore troppo grande portano la ragazza a rinunciare alla propria vita, al proprio futuro, a qualunque forma di speranza.
Ma non a se stessa.
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DUE
 
Sono sola in una sala rivestita di legno scuro, seduta su un basso divano dalla fodera lisa e stinta.
Solo le mani tradiscono il mio tremore.
Respiro profondamente, raccolgo le gambe al petto e le circondo con le braccia.
Non voglio ancora pensare a quello che ho fatto.
Avrò tutto il tempo di affrontare me stessa nella solitudine dei giorni che verranno.

La scena è stata straziante.
Mentre a Capitol City inneggiavano il mio coraggio, la gente del mio distretto mi scrutava con pietà, incredulità e ammirazione assieme.
Nel tumulto generale, l’unica immagine che si è impressa tra i miei ricordi è Jake che cerca di trattenere i miei fratellini e le proprie lacrime.
E quelle urla, quel nome.
Il mio nome.
Suonava ancora più inquietante, perché le voci dei bambini non sono fatte per esprimere tanto dolore.
Ma qui dove gli Hunger Games equivalgono alla pena di morte persino i bimbi come Erwin e Yohann capiscono cosa mi succederà nel giro di qualche settimana.
La porta si apre di schianto ed entrano loro. La mia famiglia. I miei bambini, e la persona che amo di più al mondo.
Jake si ferma e lascia che i piccoli corrano singhiozzando verso di me. Mi inginocchio e apro le braccia per accogliere i loro corpicini scossi da ondate di lacrime. Non dicono niente, e va bene così.
Cosa ci sarebbe da dire?
Non li vedrò più. Mi basta passare tutto il tempo che mi è concesso ora stringendoli un’ultima volta.
“Daisy…” Jake si schiarisce la voce roca.
Scosto i piccoli, mi alzo e lo abbraccio forte. Lui mi tiene così stretta da farmi quasi male.
“Scusa, davvero, scusami!” comincio a piangere anche io.
Come sempre, posso lasciarmi andare alla corrente solo quando sono aggrappata alla mia roccia.
“Shh, shh. Tranquilla. Non perdere la speranza. A Capitol City hai già incantato tutti. Gli sponsor faranno la fila per te.”
“Jake.” Lo guardo negli occhi, sussurro appena per non farmi sentire dai bambini.
“Mi sono appena offerta volontaria al posto di una ragazza qualsiasi, e tu pensi che io possa riuscire a… uccidere delle persone?”
“Si, se c’è in ballo il poter tornare da Erwin, da Yohann… Da me.”
Mi guarda con convinzione. Non sta scherzando. Ci crede davvero.
Capisco che sta già elaborando il lutto, e una delle sue fasi è la negazione dell’evidenza: “Non può essere morta, non lo è davvero”. Non devi morire agli Hunger Games e non tornare da noi.
 
Ma io so già quali saranno le regole del mio gioco, e sopravvivere non rientra nel piano.
 
“Papà?” chiedo, e la mia voce risuona stranamente salda.
Non posso permettermi di stare male. Peggiorerebbe solo la situazione, farei pesare il distacco ancora di più ai miei fratelli.
“Non so se ce la fa” risponde Jake abbassando gli occhi.
Incasso il colpo con un mezzo sorriso di rassegnazione. Dovevo aspettarmela, conosco mio padre.
Non ce la fa, perché mentre noi perdevamo la mamma, lui perdeva il coraggio di vivere.
La porta della stanza geme sotto la spinta di un anziano pacificatore. Per qualche secondo ci fissa con uno sguardo strano.
“Ancora tre minuti” dice, poi la richiude.
Prendo in braccio Erwin e stringo la manina di Yohann, mentre Jake mi fissa con aria assente, senza vedermi davvero.
“Ascolta, Jake. Ascoltami!” dico più forte, quando non ottengo reazioni.
“Non fare come papà, okay? Non puoi lasciarti andare anche tu. Hanno bisogno di te. Ora più che mai.”
Finalmente pare riscuotersi. Annuisce. Un’unica lacrima gli riga il volto mentre mi accarezza una guancia.
“Provaci. Giura che ci proverai.”
Deglutisco. Chiudo gli occhi.
Non sono abituata a mentire, soprattutto a lui.
“Te lo prometto…” soffio.
Irrompono nella stanza tre pacificatori diversi facendo cenno che il tempo concesso ai miei familiari è terminato.
Ci abbracciamo tutti e quattro un’ ultima volta, la disperazione nelle nostre strette.
 
 
Il treno si muove sempre più veloce.
Riesco a catturare un ultimo scorcio del mio distretto e della mia gente.
Superiamo i filari di alberi. La mia mente evoca lo spettro delle schiene curve dei miei compagni di lavoro sotto il sole cocente del primo pomeriggio, immagini di ore passate tra i rami o a trasportare ceste.
Il pensiero corre a tutti i vicini, i compagni, gli amici, i conoscenti a cui non ho fatto in tempo a dire addio.
Dopo l’ultimo saluto alla mia famiglia, mi è stato concesso di incontrare solamente Jasmeen Connel, la ragazza a cui ho salvato la vita, nonostante, a detta sua, fuori dal palazzo si fosse accalcato mezzo distretto nella speranza di potermi salutare.
Non aveva parole per ringraziarmi.
Piangeva e basta.
Spero che sua madre stia bene: l’ultima volta che l’ho vista soccombeva sotto una decina di pacificatori.
Forse può essere solo questa la mia unica consolazione: dopo la mia morte nell’arena, sarò vista come l’eroina che si è sacrificata con coraggio e bontà.
E forse, grazie a questo, il distretto aiuterà Jake a prendersi cura dei miei bambini.
Oh, Jake.
Mi manca già.
Mi scosto dal finestrino e cancello con una manica del vestito l’alone lasciato dal mio respiro sul vetro.
Non devo pensare a loro.
Non devo pensare a niente.
Il mio destino è scritto.
 
Esco dal mio scompartimento tranquillo e raggiungo la carrozza adibita a sala da pranzo.
“Oh, cara, eccoti qui! La nostra eroina del giorno!”
La voce di Jannie Shussy mi urta i nervi. Come farò a sopportarla una settimana?
Ridacchio.
E’ probabilmente ridicolo che io stia qui a preoccuparmi di Jannie Shussy quando entro due settimane sarò morta.
“A Capitol City hanno già mandato in onda il tuo gesto eroico due volte, gli abitanti non stanno più nella pelle, tutti vogliono conoscerti!” trilla, sistemandosi nel fermaglio a fiocco un’inesistente ciocca fuori posto.
“Oh, che gioia! Non avevo altro desiderio nella vita se non quello di diventare la carne da macello preferita di Capitol City!” rispondo io imitando il suo tono.
Jannie s’imbroncia tutto d’un colpo e mi guarda malissimo.
Sono sorpresa. Pensavo che non fosse abbastanza intelligente da riconoscere il sarcasmo.
Sento uno sbuffo tra il divertito e l’esasperato, e per la prima volta mi giro verso il tavolo.
Incrocio gli occhi dell’altro tributo.
Non ho prestato molta attenzione alla mietitura del tributo maschio, concentrata com’ero a metabolizzare il mio gesto avventato e le sue conseguenze.
Ma ora il mio sguardo si sofferma sui suoi occhi scuri, sui suoi i capelli lunghi e spettinati, e lo riconosco.
Non ci ho mai avuto a che fare, ma ricordo di aver frequentato per anni il suo stesso Settore a scuola. Deve avere uno o due anni più di me, non ricordo.
Si chiama Lorery… Qualcosa. Tutti lo chiamano Sette per via della sua famiglia, che si occupa di falegnameria – come fa il distretto sette, appunto.
Lo osservo meglio. Spalle larghe, alto e dinoccolato. Fare parte di una delle poche famiglie le cui braccia sono sottratte all'agricoltura per permettere il funzionamento del distretto – e la comodità dei molti pacificatori stanziati – gli ha regalato un po’ più di cibo rispetto a noi altri e molta forza nei muscoli.
Lui mi scruta a sua volta.
Leggo la diffidenza e il biasimo nei suoi occhi.
Non capisco.
E sinceramente non mi interessa.
“Bene. Sono venuta solo a controllare che i nostri mentori non avessero cominciato a dare istruzioni senza di me. A dopo… sfortuntamente” dico.
Giro sui tacchi e me ne torno nello scompartimento in fondo al treno.
Nel tragitto, cerco di non prestare attenzione ai dettagli costosi che adornano il corridoio, al parquet di lusso, al legno lucido, ma nonostante questo sento montare la nausea.
Ostentare la ricchezza di Capitol City su un treno per tributi può avere l’unico scopo di ricordarci che noi siamo solo poveri schiavi mandati al macello.
Mi sbatto la porta alle spalle e mi siedo su una poltroncina.
Torno a guardare fuori dal finestrino, ma pochi minuti dopo vengo richiamata da un colpo di tosse.
“Posso entrare?”
E’ Lorey.
Annuisco; lui entra e si siede di fronte a me.
Non prova a presentarsi e non se ne esce con qualche frase di circostanza, e io gli sono molto grata per questo.
“E’ un regalo di tuo fratello?” mi chiede interrompendo il silenzio e indicando il mio polso.
Abbasso gli occhi e scopro di star giocherellando con il mio braccialetto di corda senza nemmeno essermene accorta.
Annuisco.
“Di… Erwin. Il più piccolino”.
Il solo nominarlo fa male.
“Il piccolino che hai appena abbandonato” osserva lui.
Incrocio il suo sguardo, di nuovo diffidente.
“Che problema hai?” gli chiedo.
Non ho nessuna intenzione di fare la gentile.
Forse il mio subconscio è convinto che, pungendo chiunque si avvicini e comportandomi come se non avessi un cuore, andarmene sarà meno doloroso.
“Problema? Nessuno. Mi chiedevo semplicemente come possa essere definita eroina una ragazza che abbandona il padre e i fratelli così, da un giorno all’altro” risponde lui.
Oh, nemmeno lui ha intenzione di fare il gentile. Armi pari, direi.
“Non penso che qualcuno come te possa capirlo. E io non ho intenzione di sprecare tempo e parole”.
“Ah, giusto. In effetti il tuo tempo è qualcosa di estremamente prezioso… Immagino tu abbia molto da fare qui”.
“Sicuramente di meglio da fare che parlare con te lo trovo, tranquillo”.
“Tipo… Riflettere su quale sia il modo migliore di morire?”
“Nah, quello lo lascio fare a te. Se vuoi apriamo il finestrino e ti aiuto a farla finita prima”.
A queste parole finalmente tace.
Si alza e se ne va sbattendo la porta.
Io non mi giro nemmeno.
Stringo il mio cordino colorato fino a farmi male e lo ringrazio in silenzio.
Ora ho capito.
 
Anche quando il destino è già scritto, possiamo scegliere come viverlo.
 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE
Salve.
Non aggiornavo da un secolo; ma d’altra parte, se questa fanfiction non comincia ad avere qualcuno che la segue o la recensisce, temo che dovrò chiudere qua.
Il che mi dispiacerebbe molto perché, tra le mie long, questa è l’unica di cui conosco già perfettamente trama, personaggi e conclusione.
In ogni caso, per lo meno i prossimi due aggiornamenti saranno pubblicati in tempi brevi, prometto.
A presto,
Kylu
  
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