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Autore: Kim NaNa    30/04/2015    2 recensioni
Dopo l'abbandono di Yuichiro, Rei non riesce più ad essere se stessa.
Ha paura di amare ancora, di soffrire nuovamente, ma l'amore spesso è un fuoco che brucia e quando arriva lo fa sempre senza chiedere.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shitennou/Generali
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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La freccia di Marte

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La vita all’università non era esattamente come Rei se l’era aspettata. Dopo un anno di campus aveva capito che le feste, i club e le sbronze tra amiche non facevano per lei e che la priorità assoluta era prendere quella maledetta laurea per uscire il prima possibile da quell’inferno fatto di professori esigenti, corsi massacranti ed esami impossibili.
Si sentiva completamente fuori dal mondo; ogni sera c’era una festa diversa, organizzata da una studentessa diversa, ma la gente era sempre la stessa, e anche il copione non cambiava mai; alcool, musica, ragazze sempre sorridenti e ragazzi pronti ad abbordarle.

«Reichan... ma quello che ti sta puntando da quando hai messo piede qui dentro, non è del tuo stesso corso di architettura?» La sua amica Usagi parlò a voce alta al suo orecchio per sovrastare la musica assordante.
Rei assentì, senza dare troppo importanza alla cosa. Le sue amiche cercavano solo di farla uscire con qualcuno, dopotutto era una bella ragazza, nessuna l' avrebbe rifiutata, nemmeno da sobrio.
Dopo il primo semestre aveva iniziato ad evitare questo genere di eventi il più possibile per svariate ragioni: innanzitutto perché più che feste sembravano sfilate di moda private che ogni tanto si organizzano nell’alta società, poi perché non si sentiva a suo agio con quella musica insopportabile ed odiava svegliarsi con il mal di testa.

Dopo la partenza di Yuichiro, Rei aveva chiuso tutte le porte del suo cuore, evitando ogni contatto con il genere maschile. Era sempre stata una ragazza forte, sicura di sé, piangere per la fine di quell'amore l'aveva segnata così tanto da averla cambiata.
Le sue quattro amiche cercavano sempre di starle accanto, di farla sorridere, di non farle tornare alla mente ricordi dolorosi, ma quando si vive nella stessa città in cui ci si è tanto amati, ogni angolo di strada porta con sé vecchi ricordi.
Il tipo che passava tutto il suo tempo a fissarla si chiamava Jadeite. Era un ragazzo piuttosto alto, biondo, occhi color ghiaccio, taciturno e con uno sguardo misterioso, gelido talvolta.
Col tempo e grazie all'insistenza delle sue quattro amiche, Rei non riusciva a capire come avesse fatto a diventare tanto amica di uno come Jadeite, che al contrario di lei, era sempre preso da qualche festa o da qualche altro evento che – a detta sua – gli impediva di seguire i corsi come avrebbe dovuto.
Erano diventati amici sempre più intimi, sapevano tutto uno dell’altro e si accettavano per quello che erano , con tutti i loro pregi e i loro difetti, con la fissazione di Rei per il tè in tutte le sue forme e quella di Jadeite per il caffè, con le loro piccole manie e i loro rituali quotidiani, che li avevano uniti sempre di più, giorno dopo giorno, come giorno dopo giorno, senza nemmeno rendersene conto erano arrivati a non riuscire nemmeno ad immaginare la propria esistenza senza l’altro.
Fu Rei la prima a rendersene conto, durante una nottata insonne, passata a tendere l’orecchio ad ogni rumore, in attesa che Jadeite tornasse da un’altra maledettissima festa.
Non riusciva a ricordare con precisione da quanto tempo si riferisse alle feste con termini dispregiativi; forse era da quando gli strappavano il suo amico o da quando aveva sentito uno strano senso di solitudine senza lui in casa, talmente forte da non riuscire a dormire la notte.
Si tuffò sul divano con una bottiglia di coca cola ghiacciata in una mano e un libro di Bukowski nell’altra; se non poteva dormire, poteva almeno leggere.
Il libro durò poco più della bevanda, e Rei fu costretta a rimanere da sola con i suoi pensieri finché all’alba non comparve sulla soglia uno Jadeite stanco e traballante.
«Jade, dove sei stato fino a quest’ora?» chiese Rei, in tono leggermente apprensivo, usando quel diminutivo che aveva imparato ad usare col tempo.
«In giro, solita roba. Ogni tanto dovresti uscire anche tu, ti farebbe bene.» biascicò in risposta Jadeite.
«Sì, certo, come no. Piuttosto a te farebbe bene rimanere a casa una sera ogni tanto. Guarda in che stato sei ridotto!»
«Vado a farmi una doccia.» Tagliò corto, scomparendo nel corridoio che portava al bagno, lasciando Rei di nuovo a tormentarsi mentre preparava la colazione per entrambi.
Era normale preoccuparsi così per un proprio amico? In fondo era adulto e vaccinato, era in grado di fare le sue scelte…
Tentò di convincersi che le sue erano solo paranoie, che era normale stare in pensiero per una persona a cui si vuole bene, ma una voce nella sua testa sembrava determinata a non dargli tregua; dal profondo della sua coscienza gli gridava incessantemente che quella stretta allo stomaco che provava ogni volta che usciva di casa non era preoccupazione, ma gelosia, gli diceva che quello che provava per Jadeite andava ben oltre l’amicizia, ma Rei cercava di non dargli ascolto per non compromettere i loro rapporti, per non riaprire ferite ormai cicatrizzate.
Fu il ritorno di Jadeite in cucina ad interrompere quel fiume di pensieri che chissà dove l’avrebbe trascinata.
«Allora, che programmi hai per la mattinata, Rei?» chiese lui.
«Programmi? Mi prendi in giro per caso? C’è lezione con il professor Matsumoto, stamattina.»
«Quindi?» Jadeite mandò uno dei suoi sopraccigli a far compagnia ai suoi capelli color miele.
«Quel pazzo vuole sentirsi ripetere solo gli appunti che dà a lezione e ho l’esame tra meno di un mese. È vitale la mia presenza alle sue lezioni!» Rei rischiò quasi di gridare, presa dall’isteria pre-esame.
«Che sarà mai un’assenza? Dai, è una bella giornata, ti propongo un pic-nic al parco, io e te. Gli appunti può prenderteli quel tizio che ti fa il filo.»
Io e te. Quelle tre parole l’avevano colpita e stesa, anche se era sicurissima che per Jadeite quella frase non aveva il significato che lei le aveva dato.
«Ok, va bene per questa volta. A patto che da domani inizierai a frequentare i corsi.» Concesse Rei.
«Signor sì, signora!» scherzò lui.
I due passarono la mattinata al parco, stesi in totale relax con lo sguardo fisso al cielo e alle nuvole che vi transitavano svogliatamente, spinte dal vento leggero di metà maggio; tra loro c’era un silenzio magico: non uno di quei silenzi imbarazzanti di chi non ha niente da spartire, ma uno di quelli carichi d’intensità, di bellezza, che sembra quasi un delitto infrangerli.
Era il silenzio di due persone che non avevano bisogno di parole vuote a riempire la loro giornata.
«Guarda quella nuvola, Rei.» disse Jadeite all’improvviso.
«Quale?» chiese la ragazza, un po’ disorientata.
«Quella lì, che sembra una freccia infuocata!»
«Sì, ora la vedo!» Esclamò entusiasta.
«Ti ricordi l’ultima festa a cui sei venuta? Quando ti ho detto che ero talmente ubriaco che se Marte mi avesse lanciato una freccia di fuoco non sarei riuscito a scansarmi?»
«Credevo fossi troppo ubriaco per ricordartelo.» Disse Rei, ridacchiando. «È stata la cazzata più colossale del secolo, credo. Come se da sobrio fossi in grado di schivare una freccia infuocata, lanciato da un Dio come Marte, per di più.»
«Già… che idiota!» ammise ridendo anche lui. «Qualche giorno fa mi è capitato di leggere da qualche parte che Rei Hino significa ‘raggio di fuocoʼ o qualcosa del genere. Ho pensato che non potevano darti nome più azzeccato di questo.
«In che senso?» domandò Rei, corrugando la fronte.
«Non dirmi che non conosci le vecchie leggende? Marte era il dio della guerra e dei duelli, uno che amava battersi sempre pur di ottenere ciò che voleva, diciamo così. Tu un po’ gli somigli; ti arrabbi per un nonnulla, vai su tutte le furie se qualcuno la pensa diversamente da te, ti batti per i tuoi ideali e difenderesti con la vita chi ami davvero. E poi come lui, sai di poter contare su qualcuno che ti vuole bene incondizionatamente, qualsiasi cosa accada. Lui aveva Rea Silvia, tu hai me.»
«Tu saresti la mia Rea Silvia?» chiese Rei, sorridendo.

«Non ha un ruolo troppo dominante nella mitologia, secondo te?» Chiese lui, ironico.
Rei sorrise.
«Non sarò la regina dell’Olimpo, ma nemmeno tu sei il re degli Dèi, perciò potrei anche accontentarmi.»
Rimasero in silenzio ancora un po’, ad ascoltare i loro pensieri, prima che Jadeite rompesse la quiete.
«Certo però che Marte era proprio uno stronzo!» esordì, piccato.
«Vacci piano! Si dice che Marte amasse davvero Rea Silvia, solo che non sapeva come dimostrarglielo.»
«Guarda che leggende parlano di un dio Marte adultero e poi... perché pensi che Rea Silvia fu imprigionata e arsa viva? Per aver ceduto a Marte e aver concepito con lui i famosi gemelli fondatori di Roma! » Jadeite discuteva come se stessero parlando di vicende personali.
«Tutte le divintà erano degli adulteri... quello era un modo per attirare su di loro l'attenzione nel bene e nel male.» Spiegò Rei.
«Vero... infatti il divino Marte riuscì persino a sedurre Venere, moglie di Vulcano... ma mi chiedo come mai abbia concepito dei figli solo con Rea Silvia...» Controbatté l’altro.
«Perché l’amava più di chiunque altro! Ragiona... Marte era un dio bellicoso e determinato, avrebbe potuto uccidere Rea Silvia con un semplice gesto o avrebbe potuto fare come faceva con tutte le altre dee, dormirci insieme senza procreare.»
La discussione si stava lentamente e pericolosamente spostando sul piano personale ed entrambi i ragazzi lo avvertivano, eppure nessuno dei due sembrava intenzionato a lasciar cadere quel piccolo dibattito.
«Potresti avermi convinto. Forse Marte non era così tremendo, magari quei due avevano bisogno solo di più tempo per darsi la possibilità di dirsì ciò che provavano veramente.» Concesse Jadeite.
Gli occhi di Rei corsero a cercare i suoi, per fissare le sue iridi scure come la notte in quelle cristalline dell’altro e i loro sguardi si fecero immediatamente seri.
«Rei, tu me la daresti una possibilità di dirti quello che provo veramente per te?» chiese lui, con una dolcezza a cui la ragazza non era abituata.
Riuscì solo ad annuire silenziosamente, dal momento che quella timida richiesta di Jadeite l'aveva lasciata senza parole.
«Ecco... vedi... io credo che tu sia una ragazza fantastica e io non voglio fare lo stesso errore di Marte... Voglio stare con te, Rei.» C’era voluta una certa fatica per tirare fuori quelle parole, ma alla fine ce l’aveva fatta e gli aveva detto tutto ciò che provava con un candore ed una dolcezza disarmanti.
«Voglio stare anche io con te.» Sussurrò Rei, vicinissima alla bocca di Jadeite, prima che lui posasse delicatamente le sue labbra su quelle di lei, accarezzandole piano, godendosi ogni momento di quel bacio tanto desiderato che ora le stava facendo battere forte il cuore.
«Finché una freccia di Marte non ci separi?” domandò Rei ancora stretta a lui.
«Sì... finché una freccia di Marte non ci separi.» Rispose Jadeite, sorridendo.

 

Fine

   
 
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