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Autore: Futeki    30/04/2015    2 recensioni
Mentre la primavera si fa strada a fatica tra i vicoli di El Raval, Leya rischia la sua vita per salvare quella di qualcuno a cui tiene. Ma quando giunge la sua ora, la Morte stessa, affascinata in qualche modo da lei, si rifiuta di portarla via con sé, dandole un'altra opportunità di portare a termine il suo lavoro. Tra le strade di Barcellona, la morte e il destino si intrecciano con le virtù e i sentimenti più umani: l'altruismo, il coraggio e l'amore.
[Storia partecipante ai contest: “I’ll look after you” indetto da Chloe R Pendragon sul forum di EFP; “Shakespearian quotations contest” indetto da _juliet sul forum di EFP; “Fantasy Contest - Alternative Route” indetto da Mokochan sul forum Torre di Carta e sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le città dei maledetti'
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Storia partecipante ai contest:

·      I’ll look after you” indetto da Chloe R Pendragon sul forum di EFP;

·      Shakespearian quotations contest” indetto da _juliet sul forum di EFP;

·      Fantasy Contest - Alternative Route” indetto da Mokochan sul forum Torre di Carta e sul forum di EFP.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il mietitore di Barcellona

 

 

CAPITOLO UNO

 

 

C’erano zone di Barcellona in cui la primavera faceva fatica ad arrivare. Il quartiere di El Raval vantava una vita notturna all’insegna della criminalità, che si accompagnava a un gelo innaturale, che gli umani sembravano non percepire. Ma forse era soltanto una mia sensazione. Difatti, ogni volta che mi addentravo in uno dei vicoli bui di quella zona, ne uscivo dopo aver traghettato l’anima di qualcuno che era morto prima del previsto.

Quella sera toccò a una ragazza dai lunghi capelli biondi raccolti in una treccia.

Se ne stava sdraiata a pancia in giù sul tetto di un edificio, reggendosi sui gomiti e puntando un fucile di precisione verso la strada sotto di lei, dove quattro uomini si stavano scambiando borse e valigette.

Avevo visto troppi acquisti di droga per non riconoscerne uno, ma trovai sorprendente l’idea di un sicario appostato dieci metri più in alto a tenere d’occhio la scena. Probabilmente qualcosa andò storto, perché la donna dai capelli biondi si trasformò da cacciatrice in preda nel giro di pochi secondi.

Un proiettile proveniente dalla sua destra la colpì al fianco. Lei s’infilò un pugno in bocca per non gridare e si morse forte le dita. Proprio mentre si girava per controllare lo stato della ferita, un altro colpo la centrò in pieno petto.

Mi sentii trascinare verso di lei da una familiare forza invisibile e in pochi attimi fui al suo fianco. Vidi chiaramente la sua anima lasciarsi indietro il proprio corpo e, come avevo fatto per milioni di altre anime prima di lei, le tesi la mano.

Lei si voltò a guardare il corpo che aveva lasciato, poi puntò gli occhi verdi nei miei.

«Sono morta?», chiese in preda al panico.

In tanti secoli di non-vita, nessuna delle anime che avevo traghettato dall’altra parte mi aveva mai rivolto la parola. Nessuna, in verità, mi era mai parsa in grado di provare emozioni o anche solo di pensare qualcosa. Quella ragazza, invece, mi fissava con gli occhi sgranati, in preda al panico.

Inclinai la testa. «Quasi», risposi. Per un attimo rimasi sorpreso dal fatto che lei potesse sentirmi. Neanche io avevo mai parlato con un essere umano.

«Non posso morire», dichiarò stringendosi le braccia attorno al petto, come se volesse bloccare l’emorragia. Ma il foro di proiettile non c’era più. Si guardò intorno spaventata, con lo sguardo di una bambina in preda al terrore, mostrando una fragilità che non mi sarei aspettato guardandola impugnare quel fucile.

«Ti prego», mi disse guardandomi dritto negli occhi.

Abbassai la mano che avevo sollevato verso di lei.

Non potevo portarla dall’altra parte, non volevo. Volere. Non avevo mai provato niente di simile, eppure quella volta volevo. Volevo che smettesse di avere paura.

La guardai sbiadire come una cortina di fumo che si dirada. Se non l’avessi traghettata, sarebbe rimasta per sempre sospesa tra la vita e la morte, spenta e impossibilitata a fare qualsiasi cosa se non aspettare la fine dell’eternità.

Presi una decisione istintiva: anziché tenderle una mano per trascinarla verso di me, le spinsi forte il palmo contro una spalla. Lei cadde all’indietro sul tetto su cui era quasi morta e si ricongiunse con il proprio corpo.

Allontanai per la prima volta un’anima, una che, stranamente, avrei davvero voluto trascinare verso di me.[1]

Ma lei non voleva.

Si svegliò di soprassalto e si mise a sedere tossendo. Sputò un po’ di sangue, poi si tastò il petto e il fianco in cerca delle ferite. Non le trovò. Si posizionò di nuovo a pancia in giù, impugnando saldamente il fucile, ma la strada era deserta. Scrutò per qualche istante i dintorni, alla ricerca di eventuali sicari appostati per uccidere lei. Non ce n’erano. Imprecò.

Istintivamente, mi nascosi nell’ombra temendo che potesse vedermi, anche se ovviamente non poteva essere così. I vivi non erano in grado di vedere quelli come me. Ma generalmente, i vivi non erano in grado neanche di sfuggire alla morte senza un apparente motivo. In pochi arrivavano così vicini all’altra parte e poi tornavano indietro.[2]

Dopo che ebbe riposto con cura il fucile in uno zainetto, la seguii a distanza mentre scendeva dal tetto del palazzo e si incamminava per le stradine di El Raval. Entrò in un bar e si diresse con decisione verso la sala da biliardo sul retro.

Non appena varcò la soglia, un uomo sulla cinquantina che stava fumando un sigaro appoggiato al muro, si alzò di scatto e sorrise.

«Signori, ecco a voi la nostra eroina Leya Sanchez», annunciò in tono teatrale. Tutti si voltarono a guardarla. Uno di loro, un ragazzo di poco più di vent’anni, rimase immobile piegato sul tavolo da biliardo, con la stecca tra le dita e lo sguardo fisso sulla nuova arrivata.

«Non ci sono riuscita», tagliò corto lei.

Un mormorio di fastidio si levò nella stanza. Qualcuno scrollò la testa, il ragazzo sul tavolo da biliardo tornò a concentrarsi sulla pallina.

L’uomo soffiò fuori una boccata di fumo e poi si rivolse a lei senza più alcuna traccia dell’entusiasmo che l’aveva animato qualche secondo prima. «Cosa è successo?»

«Sapevano che sarei stata lì», rispose secca. «Hanno provato a spararmi da un altro tetto. Sono riuscita a evitarli, ma ho perso gli obiettivi.»

Tecnicamente, non era andata proprio così. Leya – così si chiamava la ragazza – era stata centrata in pieno. Due volte. Ed era anche morta, tanto per essere precisi.

«Ho intenzione di riprovarci», aggiunse lei.

L’uomo inarcò un sopracciglio. «Ne sei proprio sicura?»

«Sì, se il patto è ancora valido», replicò lei. «Mi servono quei soldi.»

«Affare fatto, allora. Ti farò sapere dove e quando avrà luogo la prossima transazione. Fai fuori quei due e avrai i soldi che ti ho promesso. Ma se ti cacci nei guai non aspettarti il mio aiuto.»

«Certo che no», disse lei acida. «Non lo faresti per uno dei tuoi, figuriamoci per me.»

Lui inarcò di nuovo un sopracciglio, ma non disse niente.

«Sai come contattarmi, Ramon», concluse lei. Poi gli diede le spalle e, senza rivolgere neanche una parola agli altri, uscì dalla sala da biliardo e dal bar.

Uno strano sentimento di aggressività che non avevo mai provato prima mi pervase. Si sarebbe messa in pericolo di nuovo, senza alcuna garanzia di soccorso da parte di quel Ramon. Perché? E perché a me importava tanto? Forse mi sentivo responsabile per la sua vita. Forse, dopo averla rimandata indietro, era mio compito fare in modo che restasse viva almeno per un po’. Quale che fosse il motivo, decisi, in quel momento, che avrei vegliato su di lei fino a che avessi potuto.[3]



[1] Questa frase riprende le parole “If I don't say this now I will surely break, as I'm leaving the one I want to take”, della canzone “Look after you” (The Fray).

[2] Come per la nota precedente, questa frase riprende alcune parole di “Look after you” (The Fray): “So few come and don't go”.

[3] Ancora, in riferimento a “Look after you”.

   
 
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