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Autore: anqis    30/04/2015    0 recensioni
Paura di ammetterlo, che quando aspetto al semaforo, con le dita che si toccano nervosamente tra di loro e mi ostino a scrutare le auto in lontananza, tu mi osservi oltre le strisce pedonali?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Nel guardarci



Non so cosa mi sia preso. Non ne ho la benché minima idea. Si tratta di me e di quella scintilla che si accende tra gli ingranaggi di questa testa che di punto in bianco decide di rischiare un passo più lungo della gamba perché lo sa che se fosse per me, rimarrei dove sono con le mani in tasca e l'espressione corrucciata di chi aspetta, ma cosa? chi? Non lo sa, ma è più facile, più sicuro.
Ma tu hai questi capelli sempre sparati in aria che ci chiediamo tutti come tu faccia; Leah sostiene tu li asciughi con la testa abbassata. Può essere. Comunque, sono piuttosto sicura siano i capelli. Non si possono ignorare, le mattonelle rossicce della scuola sullo sfondo, corrose dalla pioggia e dagli anni che vanta la struttura scolastica. Perché sei sempre in quel punto con le spalle larghe, ma assurdamente magre appoggiate al muro (a sinistra rispetto i gradini), magari con una gamba piegata come quei personaggi impossibili dei libri per ragazze – quelle come me. Solo o circondato da amici, comunque distante nelle mani nascoste nelle tasche del parka e le vene del cemento che chiamano la tua attenzione, anche se la distanza è solo mia che non ho nemmeno il coraggio di sollevare gli occhi per paura di essere colta in fragrante. Perché dopo "Ho visto uno che è proprio il tuo tipo" di Leah e il mio "Dici quello del musicale che è sempre alla porta di ingresso?" (nemmeno il tempo di pensarti), temo tu mi abbia distinta tra i mille visi stanchi, ma ormai giudicata come quella che ti cerca, quando invece non è vero. Almeno non prima. Tutta colpa di Leah e il suo sorrisino malizioso.
Come se non bastasse, il caso vuole che ti incontri almeno due volte al giorno anche se camminiamo su piani diversi e le nostre classi sono situate alle estremità opposte della scuola: il venerdì in palestra che condividiamo l'ora di educazione fisica e spero sempre che l'odore di sudore che mi costringe a premere il naso contro la stoffa della manica della felpa non sia in parte tuo, ma soltanto quello dei tuoi compagni; alla tua ora buca prima del rientro, le tue spalle che si muovono disinvolte scendendo le scale, coperte dalla solita maglietta nera di qualche band che non conosco; oppure quando apro la porta del secondo piano perché ho deciso che le nostre macchinette fanno più che schifo e invece incespico in te che te ne stai andando. Non mi sono voltata per seguirti con gli occhi perché dio, sarebbe ridicolo (chissà se invece tu mi hai visto, se lo hai fatto in quella frazione di tempo prima che svoltassi l’angolo).
Così stanno le cose e non importa, non mi interessa. Sono solo i miei soliti pensieri che mi stanno stretti.
Oggi però ho avuto il coraggio, anzi usiamo l'espressione giusta: ho avuto le palle di guardarti. Ti ho scorto dove so di trovarti quando attraverso la strada e forse è il caso di evitare se non voglio farmi investire. Vicino a te, quel tuo amico che deve sempre commentare i jeans stretti di Cody (che non lo sa, ah) e Jared che quelle affermazioni invece non vorrebbe sentirle. Mi sono avvicinata, le mie braccia attorno al suo collo e le sue mani sulla mia schiena, il solito saluto, Jared che mi sussurra "ciao, Cina" contro il collo, come gli piace tanto chiamarmi e forse, non dispiace neppure a me.
Le cinquanta passate, la professoressa arriva sempre in anticipo e questa mattina c'è anche quell’esterno dell'università che segue e studia le nostre lezioni, prendendo appunti su fogli disordinati. Ha una calligrafia terribilmente confusa per gli occhiali che porta e le maniche delle camice che si mostrano con precisione oltre il bordo della giacca.
La campanella suona. È ora di salire.
Invece rimango con il maglione azzurro sformato che dovrei stirare, ma non ho voglia, i pantaloni blu scuro e le scarpe nere che si sa, secondo la regola questi due colori insieme non vanno. Non mi muovo osando intromettermi nella tua cerchia, uno spiraglio sullo scenario su cui reciti. Senza mai coraggio e ad un tratto sono qui con un sorriso che insiste nel svelarsi e la curiosità di ascoltarti, di guardarti senza paura perché sono qui, in tutta la mia persona, difetti compresi.
Hai una voce che non disturba e non sono facili da trovare, quindi prendilo come un complimento. I denti forse non perfetti, ma sorridi - anche se appena, era più un ghigno quello? - in un modo che per qualche motivo mi piace. Mi domando come ridi, se con la testa gettata all'indietro oppure gli occhi socchiusi e il viso rivolto alle tue scarpe come se condivideste solo tra di voi un segreto, passi condivisi in solitudine. Hai parlato senza posare un'istante i tuoi occhi su di me, concentrato quasi con maniacalità sul tuo amico che ti ha dato del barbone quando hai raccontato di quella volta che ad una grigliata di filippini in un parco sei finito con un bicchiere di plastica in mano, caldo di brodo di pesce.
Ho sorriso, forse era una risata.
Sei simpatico, mi dici altro?
Che treno prendi quando torni da scuola? Che strumenti suoni (era tua quella custodia dimenticata a terra? aveva la forma di un violino, è il mio strumento preferito)? Che pulsante premi alle macchinette? Secondo me, sei tipo da caffè (meno una tacca di zucchero, grazie). E se posso chiedere, sei ancora fidanzato? (Me lo ha detto Jared: "Lei è piuttosto banale", “Non mi interessa” è oppure era? Non ci sono foto di voi, mi ha confermato Arden quel pomeriggio sul letto di suo fratello e il telefilm che non voleva decidersi a caricarsi. Il momento giusto per raccontarle di quel ragazzo a cui giuro, mica ci penso. Hai condiviso una foto triste su Facebook, è il caso di crederci? Dimmelo che ci provo, allargo lo spiraglio con le dita che strappano la carta, piano, aggiustando gli angoli per me che ho le ossa spesse e i capelli che crescono troppo in fretta) Ah, un'ultima cosa! Se non mi affronti ad un metro di distanza è perché siamo più simili di quanto io pensi? Non ti credo se ti difendi affermando che semplicemente non mi hai voluto calcolare, perché ti sei sforzato, non sono sciocca. È come penso io? Paura di ammetterlo, che quando aspetto al semaforo, con le dita che si toccano nervosamente tra di loro e mi ostino a scrutare le auto in lontananza, tu mi osservi oltre le strisce pedonali?


 

Come una pagina di diario, nulla di importante, ripeto: solo i miei pensieri che mi stanno stretti.
Anqi.

 
   
 
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