Note: Ecco il capitolo 2. Pensavo di
metterlo a Gennaio, ma siete state tutte così adorabili nel recensire
che non ho potuto far a meno di postare il capitolo appena ho riavuto il pc
sottomano.
Però
questo vuol dire che il 3 arriverà un po’ più tardi
°-° Più che altro perchè non l’ho ancora scritto xD Causa ispirazioni Yaoiose improvvise –uccidetemi,
vi prego xD- e rapimenti poco graditi da parte di genitori stressanti T_T
Ah, una
piccola precisazione. L’uomo non è nessuno in particolare di DGM.
Non è Tyki, per dire xD Non è il Conte e
neanche Cross °-° Al massimo potrebbe sempre essere un riferimento a
Eshi, che, poveretto, ultimamente sto stressando un po’ troppo.
Beh, buon
capitolo <3
E grazie
mille per le recensioni, mi fate davvero felice.
«Rotta di ossa
e cuore.»
Capitolo 02
Inspirò
a fondo, chiudendo l’occhio sinistro per calmarsi.
«Rilassati,
ragazzo.»
L’aria
gli uscì così bruscamente al suono della voce, che quasi si
strozzò. Alzò istintivamente il viso verso l’alto, verso il
soffitto bagnato e umido, provando nuovamente ad inghiottire aria con
precisione.
Si sentiva
il suo respiro, nella stanza. Il suo e quello dell’uomo, un po’
raschiante, quasi ringhiante. Si sentiva il cigolare irregolare della lampada,
lo sfrigolare dei fusibili troppo vecchi e troppo
consumati per poter reggere ancora a lungo.
Si sentiva
il rumore secco e preciso dell’adesivo che si staccava dal rotolo e
finiva sulla pelle.
«Dannazione.»
Lavi
scosse appena la testa, puntellando i piedi contro il pavimento, quasi senza
rendersene conto. Il nastro che gli legava le caviglie gli impedì in
parte in movimento, in parte glielo impedì la mano ossuta e scura
dell’uomo stretta attorno al suo braccio.
«Non
ridi più adesso, mh?»
Il ragazzo
si morse un labbro e continuò a guardare verso l’alto, senza
rispondere.
Gli
bruciava l’occhio, tra la polvere della stanza e l’adrenalina che
gli pompava a forza nelle vene. Non riusciva a vedere Allen. Sentiva Lenalee
respirare, dietro di lui, a fatica. La sentiva muoversi, ogni tanto, ma non
riusciva a capire dove fosse Allen.
Deglutì,
e la saliva raschiò dolorosamente contro la gola secca.
L’uomo
si alzò in piedi, davanti a lui. Per un attimo sembrò smettere di
respirare.
«Bene.»
E poi
allungò una mano oltre la sua spalla, oltre il suo collo, andando a
stringere con forza il legno della sedia. Lavi strinse l’occhio, mentre
per un istante il mondo sembrò capovolgersi. Il legno della sedia
graffiò contro il pavimento, puntellandosi poi con prepotenza nella
direzione opposta a quella precedente.
«Scegli.»
Lavi
guardò davanti a sé.
«Chi
devi due preferisci veder morire per primo?»
La luce
saltò.
«…
cosa?»
Ritornò,
in un gracchiare di vetro rotto.
C’erano
Allen e Lenalee. C’erano le sedie su cui erano seduti, e lo scotch con
cui erano legati. C’era il braccio teso dell’uomo, oltre il suo
viso. Indicava, a mano aperta.
Sporca di
tempera e terra.
Il ragazzo
per poco non rise. E sarebbe stata una risata isterica, incredula. Non rispose,
limitandosi a scuotere a scatti la testa, con un sorriso forzato sul viso.
«L’amichetto
del cuore o la ragazza della settimana? Andiamo ragazzo, scegli.» ci fu una pausa, nella quale l’uomo si
raddrizzò sulla schiena, poggiando entrambe le mani sulle sue spalle.
«O dovrò farlo io.»
La
corrente saltò di nuovo.
Ricomparve,
e sparì.
Gracchiò
sopra le loro teste e infine illuminò la
stanza.
Lavi fece
un respiro profondo.
Lasciò
che l’aria gli riempisse i polmoni, facendogli alzare il petto, e poi la
fece uscire lentamente, senza un suono.
Inspirò
di nuovo, espirò.
Cercò
di non guardare Lenalee, davanti a lui, con il volto graffiato e qualche
singhiozzo che di tanto in tanto la faceva tremare. Fissò invece Allen,
sulla sinistra della sua visuale.
Aveva la
testa china verso terra, verso il pavimento nero e bianco,
piattaforma a scacchi con tanto di pedine.
Fu un
piccolo flash, un piccolo rendersi conto di idee.
«Allen!»
Un filo
d’aria gli sibilò all’orecchio.
«Allen!
Non…» lo vedeva anche da lì, anche con i capelli bianchi a
coprirgli il volto. «… respira.»
La presa
sulle sue spalle si fece più forte, per poi abbandonarlo del tutto.
«Bene.»
l’uomo battè due volte le mani, a
mo’ di incoraggiamento. «Hai fatto la tua scelta.»
«Cosa?
No!» Lavi si sporse in avanti così forte che per poco non fece
cadere la sedia. «Non capisci, lui non… non sta bene,
non…!»
«Oh.»
l’altro fece spallucce, soffiando aria tra i
denti. «Non credevo di averlo colpito così forte.»
«Lenalee!»
l’occhio del ragazzo cominciò a pizzicare, più forte, con
insistenza. «Lenalee… »
Lei si
voltò a sua volta verso Allen, le mani legate ai braccioli della sedia
strette così forte al legno da far diventare le nocche bianche. Poi
guardò Lavi, implorante. «Io… non lo so.» scosse la testa, nascondendo il viso dietro i capelli scuri.
Singhiozzò, ancora.
Lavi non
riuscì a trattenere l’aria nei polmoni. Quelli si svuotarono,
velocemente, e lui quasi soffocò.
Non
respirava.
Né
lui, né Allen.
Poi
l’uomo fece schioccare la lingua, strusciando appena i piedi contro il
pavimento, e indietreggiò. Lo lasciò lì, a fissare per terra, legato alla sedia.
Si
sentì un rumore metallico, un rovistare di pezzi dietro la schiena del
ragazzo, in fondo alla stanza. Un’imprecazione, uno sbuffo nervoso e poi
più nulla.
Lenalee
alzò la testa, al rumore dei passi. Alzò la testa e sgranò
gli occhi.
Cominciò
ad urlare.
Lavi non
si mosse. Non la sentì, se non in lontananza, a grattare conto le
parenti della sua testa, che in quel momento sentiva semplicemente vuota.
«Lavi!»
un urlo, ancora, acuto. «Lavi!»
Il pezzo
di metallo gli soffiò vicino il viso, mischiandosi in un istante al
rumore secco delle scarpe contro il marmo. E lui alzò lo sguardo
–lentamente, senza fretta- e quando vide la mano dell’uomo
–il manico di legno e la scure attaccata- li richiuse.
«Basta…»
Lenalee
smise di urlare. Smisero anche i passi dell’uomo, per un breve istante.
Quello
fece una mezza risata, in piedi davanti al ragazzo dai capelli bianchi. Scosse
la testa. «… peccato.»
E poi
prese a trascinare anche la sua sedia.
La prese
per lo schienale, oltre la testa china del ragazzo, cominciando a tirare, e
ruotarla, gracchiando e sbuffando.
Raggiunse
Lavi.
Sobbalzò
ad un dislivello del pavimento e lo superò. Ringhiando per lo sforzo.
L’altro
lo lasciò fare –non potendo fare altrimenti, ma più che
altro per disinteresse- ascoltando in lontananza, a due metri da sé, i
mormorii di Lenalee.
Qualcosa
stonò.
Tornò
normale.
Si
mischiò al suono assordante della sedia e stonò più
chiaramente.
«Lenalee…»
Lavi
aprì gli occhi.
Ed era la
sua voce.
Impastata,
debole e soffusa al confronto di tutto il resto, ma era la sua.
Il rumore
finì e Lavi continuò a tenere gli occhi aperti, fissi, puntanti
sul pavimento. Aria. Gli mancava l’aria. Si costrinse ad alzare la testa
–di nuovo la risata isterica gli premette contro la gola, contro le corde
vocali tremanti- e inspirò a pieno petto.
«Cazzo.»
poggiò la nuca allo schienale e abbozzò
un sorriso. Da qualche parte, dentro di sé, qualcosa cominciò ad
odiare Allen. Irrazionalmente, sentiva il bisogno di picchiarlo.
«Veramente… uno scherzo di cattivo gusto.»
Poi,
passi.
Uno, due, tre.
L’uomo
gli si fermò affianco, entrando per un breve attimo nella sua visuale.
Lui lo fissò –e il sorriso scomparve, lasciando posto alla
consapevolezza che in fondo non era cambiato niente- e attese.
Il mondo
ruotò ancora una volta e Lavi si ritrovò a guardare Allen.
Respirava.
Di sicuro, respirava. Ma lo faceva così flebilmente e così di
rado che Lavi finì con il chiedersi se
l’aria gli arrivava veramente ai polmoni.
Strinse
gli occhi, mordendosi un labbro.
Cominciò
a pensare, velocemente.
Poi
l’uomo gli posò qualcosa davanti e credette di morire.
«Un
colpo per uno.» gracchiò la voce.
«Tu e…» ci pensò, arricciando le labbra.
«…Allen. E vediamo chi
crepa prima, ti va?»
Lavi
continuò a guardare il tavolo. Fisso, senza ben capire. Scosse la testa.
«No.»
La scure
gli passò paurosamente vicino al viso –spalla collo mento spalla
braccio e infine polso- e brillò opaca alla luce del neon.
Il pezzo
di scotch che gli bloccava il braccio destro saltò e finì per
terra senza un rumore. «Prendila in mano.»
Dall’altra
parte del tavolo, Allen si mosse. Si mosse e borbottò qualcosa,
scuotendo appena la testa. Chiamò Lenalee, ancora. Alzò il viso e
per un attimo rimase immobile.
«…Lavi.»
Lo
chiamò, in un soffio. Cauto.
L’uomo
non sembrò neanche sentirlo. Continuava a fissare Lavi, con un ghigno
storto sulla bocca.
Quello
riprese a pensare. Analizzando, scartando opzioni e pregando che qualche dio,
da qualche parte, facesse smettere tutto quello.
Prese in
mano la pistola, lentamente.
Fine Capitolo