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Autore: Pabitel    03/05/2015    5 recensioni
Harry ha 18 anni, è felice ed è innamorato.
Louis ha 20 anni e non si aspetta più nulla dalla vita.
Harry vive ad Holmes Chapel.
Louis a Doncaster.
Non si conoscono, non si sono mai incontrati e non sanno cosa la vita abbia in serbo per loro.
Non immaginano che l'estate che stanno per vivere è destinata a cambiarli per sempre.
Attenzione: storia Larry! (Accenni het)
Storia momentaneamente in pausa
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Partenze


 
 

 
Doncaster,
12 Giugno






 
~Louis



“Louis! Louis svegliati!”
Dei colpi forti sulla porta lo costrinsero ad aprire gli occhi mentre la madre urlava di nuovo: “Louis!”
Jay entrò nella stanza e, senza troppe cerimonie, tirò via il lenzuolo bianco che avvolgeva Louis facendolo rabbrividire, ma non osò avvicinarsi per toccarlo. Sapeva che, se l’avesse fatto, lui non avrebbe reagito affatto bene.
“Louis sono le sette di sera, alzati.”
Per tutta risposta il figlio chiuse di nuovo gli occhi e si girò dall’altra parte. Perché gli stava rompendo il cazzo? Di solito lo lasciava in pace.
“Louis!” sbottò con urgenza.
Si decise ad aprire gli occhi e a degnarla di un minimo di attenzioni. “Che diavolo vuoi?”
Jay strinse gli occhi. Con quell’espressione, le labbra sottili e la fronte corrugata, sembrava persino arrabbiata.
“Devi fare la valigia. Domani mattina partiamo. Alle otto in punto, non fare tardi.”
E, detto ciò, si avviò per uscire ma, inaspettatamente, Louis la fermò.
“Aspetta! Avevi detto che sarei partito il 13!”
“Infatti.” rispose lei secca. “Domani è 13.” e se ne andò senza aspettare una risposta.


 
Louis ebbe appena il tempo di esclamare “cazzo” che già si era lanciato giù dal letto, fiondandosi immediatamente in bagno per sciacquarsi il viso.
Aveva passato, senza nemmeno rendersene conto, tutta la giornata a sonnecchiare. La madre non lo aveva nemmeno chiamato per il pranzo – non che se ne stupisse, ultimamente saltava i pasti il più delle volte possibili – così aveva perso la cognizione del tempo. Doveva aver dormito per più di 12 ore. Certo, se fissare il soffitto al buio delle tapparelle potesse esser considerato dormire.
Ma non si preoccupava di aver perso un’intera giornata. Il problema era un altro: se n’era completamente dimenticato. Come aveva potuto?
Gli schizzi d’acqua gelida lo riscossero dal suo torpore e, nonostante si sentisse ancora un po’ assonnato e stanco, Louis tornò lucido quasi subito.
Si cambiò i vestiti – notando che indossava ancora quelli della sera precedente – e si affrettò a scendere le scale. Era ancora a metà rampa quando Jay, dal salotto, gli urlò: “Louis! Dove stai andando? Devi fare la valigia dannazione!”
Ma Louis, ovviamente, non le rispose e uscì di casa. Appena fuori l’aria fresca della sera lo investì subito – nella fretta aveva dimenticato di prendere la giacca – e l’odore di terra bagnata gli entrò insistente nelle narici.
Infastidito, Louis alzò lo sguardo verso il cielo nuvoloso. Almeno – si disse – aveva appena smesso di piovere.
E, accendendosi una sigaretta, si incamminò per la via. Guardò il fumo salire nell’aria mentre i suoi pensieri lo imitavano, inseguendosi rapidi.
Il senso di colpa, che in quel momento lo attanagliava, non faceva altro che peggiorare il suo tormento interiore.
Come aveva potuto dimenticarsene? Ogni giorno che passava era un giorno in meno a quella data.
Il 12 Giugno.
Eppure, quella volta, l’aveva dimenticato.
 

 
 
***



 
Holmes Chapel,
12 Giugno
 




~Harry



Sophie arrivò alle sei del pomeriggio, perfettamente puntuale, senza un minuto di ritardo, e Harry andò ad aprirle la porta, accogliendola con un sorriso.
“Allora! Hai già preparato la valigia?” chiese con tono squillante, prima di rifugiarsi tra le sue braccia.
Harry ricambiò l’abbraccio e le sussurrò all’orecchio: “No, aspettavo te.”
Lei rise sul suo petto e poi gli diede un pizzico sul fianco, allontanandosi da lui. “E allora cominciamo!”
E così dicendo si lanciò su per le scale, diretta verso la stanza di Harry.
“Ehi! Qui qualcuno sembra fin troppo felice di vedermi andare via!” le urlò, prima di cominciare a rincorrerla.
La raggiunse prima che lei potesse varcare la soglia della sua stanza e la afferrò per le gambe, mettendosela sulla spalle mentre lei lo prendeva scherzosamente a pugni.
“Harry Styles mettimi subito giù!”
“Pessima scelta di parole mia cara!” rispose lui, prima di chiudere la porta con un calcio e di lanciare – seppur delicatamente – Sophie sul letto.
Le scappò un urletto isterico e fece per buttarsi su Harry ma lui la bloccò immediatamente, stendendosi su di lei. Le circondò i fianchi con le sue ginocchia e poggiò le mani sul suo viso.
“Sophie, oh Sophie, quanto sei bella?” le sussurrò sulla punta delle labbra. Lei sorrise lusingata e gli diede un bacio frettoloso. “Mh ma non dovevamo fare la valigia?”
“Certo, è per quello che ti ho chiamato, perché avevo bisogno di un aiuto.” mormorò lui, mentre le ricopriva il collo di succhiotti.
“Mh e precisamente... Ahi!” esclamò quando Harry le morse il lobo dell’orecchio sinistro.
“Harry hai mai fatto una valigia da solo?”
“Mh probabilmente no.” rispose lui, dopo aver passato vari minuti a baciare la fidanzata.
“E sai come si fa?”
“Beh si, si mettono i vestiti dentro, ovvio.”
Sophie rise, invertì le posizioni e gli sussurrò: “Ma noi stiamo facendo altro... Non credi?”
Harry le sorrise malizioso, le fossette che comparivano sulle sue guance arrossate, e le disse: “Oh ma è quello che faremo. Vedi, i vestiti che indosso... vanno messi in valigia.”
“Sei un pervertito Styles!” gli rispose lei, fingendosi scandalizzata, ma non si ritrasse affatto dal ragazzo.
La risata di Sophie si perdeva in quella di Harry, mentre i loro corpi si facevano sempre più vicini, bisognosi e desiderosi di amarsi.
 
 

***
 



~Louis



Era passata già un’ora da quando Louis era uscito di casa, ma non si era ancora deciso ad entrare.
Ormai rabbrividiva lì sul marciapiede, nascosto nell’ombra, mentre fissava impassibile la facciata romanica della Chiesa, a malapena illuminata.
La temperatura si era notevolmente abbassata e la foschia era ormai scesa. Louis tremò. Aveva davvero sbagliato ad uscire a maniche corte, ma ormai era lì.
Un ultimo brivido lo scosse – sentì il freddo penetrargli nelle ossa – e si decise ad entrare. Attraversò rapido la strada e si avviò sul viottolo che tagliava a metà il giardino curato.
Procedette lentamente, ancora un po’ riluttante, ma bastarono alcune gocce leggere di pioggia a convincerlo. Oltrepassò il grande portone di legno scuro, intagliato con cura, e respirò a fondo.
Doveva farlo.
Era il minimo che potesse fare in effetti.
 
La Chiesa era immersa nell’oscurità, c’erano solo poche candele e piccole luci ad illuminare fiocamente le lunghe navate buie.
Louis si avviò silenzioso, i suoi passi che riecheggiavano nella chiesa vuota e l’odore di incenso che lo riempiva. Aveva quasi percorso tutta la navata principale e raggiunto l’altare quando per poco non lanciò un urlo.
Le luci delle navate laterali si erano improvvisamente accese e la Chiesa si era riempita di voci attutite ma al tempo stesso squillanti.
“Il coro” si disse, mentre il vociare si faceva sempre più forte.
Un colpo di tosse e, pochi istanti dopo, il suono dell’organo riempì tutta la Chiesa: le note si inseguivano lente, innalzandosi fino al soffitto, mentre un coro di voci intonava una preghiera solenne.
Ancora un po’ scosso dallo spavento appena preso, Louis si sedette su una panca, non troppo vicino al coro per non disturbare le prove, né troppo lontano dall’altare.
Poggiò i gomiti sulle ginocchia e affondò il viso tra le mani, prima di farsi coraggio e di rivolgersi a Lui. A Dio.
I suoi occhi andarono alla croce dorata, il luccichio che si perdeva nel buio della Chiesa, e cominciò la sua preghiera disperata.
“Perché?” esordì sussurrando come ogni volta. “Che cosa ho fatto?”
“Che cosa ho fatto per meritarmelo? Perché proprio io?”
“Rispondimi!” quasi urlò.
Finiva sempre così.
Louis che cercava risposte che non avrebbe mai ottenuto.
Louis che pregava un Dio in cui non credeva.
Louis che non sapeva quello che stava facendo.
 
 
 
***
 

 
~Harry



Erano in macchina già da due ore – e ne mancavano ancora altre due alla fine del viaggio – ma Harry non riusciva a pensare ad altro se non a Sophie e a quello che si erano detti.
Ne avevano parlato a lungo, qualche giorno prima.
Harry le aveva detto che non sarebbero più potuti andare in vacanza insieme per quello stupido campo estivo. Ma lei sembrava aver preso la notizia bene, forse fin troppo.
“Smettila Harry, era solo sollevata dal non dover litigare ancora con i suoi genitori, lo sai” gli disse una vocina nel suo cervello.
Almeno non si era arrabbiata con lui. Non che ne avesse motivo: non era di certo colpa sua se i suoi genitori lo stavano spedendo in qualche posto sperduto dell’Essex.
Gli sembrava quasi una punizione. Sembrava? Non lo era e basta?
Harry sbuffò e cercò di distrarsi. Così infilò gli auricolari e impostò il suo lettore mp3 sulla riproduzione casuale, facendosi trasportare dalla musica. Si voltò alla sua sinistra per ammirare il paesaggio e lasciò che la sua mente vagasse libera tra i campi inglesi. Era una cosa che amava fare da sempre, ogni volta che viaggiava: perdersi nel panorama, scoprire nuovi posti e ammirarli nella sua interezza.
Stava finalmente pensando ad altro quando una canzone negli auricolari costrinse i suoi pensieri a tornare nuovamente a Sophie.
Goodbye my lover, di James Blunt.
“I’ve kissed your lips and held your hand, shared your dreams and shared your bed, I know you well, I know your smell, I’ve been addicted to you. (¹)”
Sentendo quelle parole era impossibile non pensare a lei, a loro due e alla loro storia che ora gli sembrava così incerta, così fragile.
“Goodbye my lover, goodbye my friend, you have been the one, you have been the one for me.(²)”
Era un addio il loro? O un arrivederci?
Harry voleva tanto conoscere la risposta a quelle domande.
O, almeno, voleva crederci.
Con Sophie aveva cercato di non sembrare troppo triste o ferito, ma la realtà era che lui era disperato. E non sapeva come avrebbe fatto un’estate senza di lei. E senza i suoi amici più cari.
Fu in quel momento, quando stava per cedere, che sentì un colpetto sulla mano.
Come al solito, la giusta pressione: né troppo forte né troppo piano.
Gemma lo chiamava picchiettando le sue dita sottili sulla sua mano, usando il loro linguaggio segreto.
Era una specie di codice che avevano inventato da piccoli, quando volevano comunicare tra loro senza che gli altri li capissero.
E anche se ora erano cresciuti, continuavano a usarlo per parlare tra loro, più per affetto che per reale necessità.
Un colpetto leggero, poi un altro. Poi due più rapidi. “Come va?” gli aveva chiesto.
Harry si voltò a guardarla senza rispondere. Non ne aveva bisogno: Gemma poteva leggere chiaramente la risposta nei suoi occhi verdi. Alla vista del fratello angosciato, il suo sguardo si intristì perciò gli prese la mano comprensiva. Harry ricambiò la stretta riconoscente e accennò un sorriso. Per lui era sempre stato importante l’appoggio della sorella, in qualsiasi situazione.
Poi lei si avvicinò e si accoccolò su di lui, circondando i fianchi del fratello con le sue braccia sottili. Harry la strinse un po’ di più e lasciò che si addormentasse serena su di lui.
Voleva molto bene a Gemma. Erano sempre andati molto d’accordo, sempre complici, sempre insieme. Erano inseparabili, a detta della madre e di tutti.
Lei aveva insistito per accompagnarlo e, se lui prima si era opposto, poi aveva ceduto facilmente. In quel momento, mentre le accarezzava i capelli, non poteva che esserne felice.
Sì – si disse – gli sarebbe mancata molto anche Gemma.
 

 
***

 


 ~Louis



La campagna inglese sfilava confusa davanti ai suoi occhi – i grandi prati verdi che all’orizzonte si mescolavano con il cielo – ma Louis non vi prestava attenzione.
Seduto sul sedile posteriore, faceva di tutto per isolarsi ed evitare di ascoltare le inutili chiacchiere di Jay e Mark. Alla sua destra, la sorella Lottie non faceva altro che cantare pessime canzoni – di chissà quale band – che passavano alla radio e Louis non vedeva l’ora di scendere da quella macchina. Se non altro, non avrebbe visto nemmeno loro per un bel po’.
In tutto quel tempo aveva sviluppato un’abilità notevole nell’isolarsi del tutto dal resto del mondo: riusciva a non ascoltare, anzi a non sentire nemmeno, tutto ciò che non considerava interessante, cioè ogni cosa.
Ma spesso le persone intorno a lui non capivano l’antifona e continuavano imperterrite a rompergli le palle. Come il suo padrino, ad esempio.
“Allora Louis! Non sei contento di quest’opportunità che ti ha dato lo zio Rick?” esordì Mark, cercando gli occhi azzurri del ragazzo sullo specchietto retrovisore dell’auto. Louis guardò il suo riflesso e decise che quella domanda idiota era abbastanza degna di una risposta acida.
“Ma sei serio?”
“Louis smettila, non cominciare.” intervenne Johannah.
“Jay no, lascia stare...”
“Mark non può parlarti così! Lui non dovrebbe...”
Qualsiasi cosa stesse dicendo la madre... non gli importava. La ignorò e si concentrò di nuovo sul panorama alla sua sinistra. Dopo due ore di viaggio, però, era già stanco di vedere tutte quelle campagne, perfettamente identiche tra loro e perfettamente anonime.
Così poggiò il mento su una mano e provò a chiudere gli occhi. La pace fu solo momentanea: sentiva benissimo lo sguardo della sorella su di sé e sapeva che aveva intenzione di dirgli qualcosa. Ma Louis non aveva alcuna voglia di stare a sentire le sue idiozie.
“Louis, ho bisogno di parlarti.” gli disse, probabilmente guardandolo, ma lui continuò a tenere gli occhi chiusi.  “Lou, ascoltami!” sbottò e in un moto di rabbia e frustrazione lo afferrò per un braccio.
Fu l’unica cosa che sentì. Ma era proprio l’unica che non doveva sentire. Spalancò gli occhi e si voltò con espressione impassibile verso di lei – allontanando il braccio dalla sua presa – e fissò i suoi occhi gelidi in quelli azzurri della sorella, incredibilmente simili ai suoi.
Non disse nulla, si limitò a fissarla. Poi prese le cuffie dalla tasca del suo zaino e le infilò, ma non si curò di attaccarle all’ipod.  Non voleva sentire alcun tipo di musica. Non ne aveva voglia: da mesi ormai la musica non gli dava più sollievo.
Lottie notò il suo gesto e gli occhi le si riempirono di lacrime. Tirò su con il naso e poi – finalmente – si girò a guardare fuori dal finestrino.
“Tutte mosse.” pensò Louis, mentre la campagna inglese continuava a sfrecciare rapida sotto il suo sguardo spento.
 

L’auto si era finalmente fermata, Louis stava ancora sistemando le sue cose nello zaino, quando Lottie ebbe la felice idea di posargli una mano sul ginocchio.
“Non toccarmi.”
La sorella ritrasse subito la mano e lo guardò con uno sguardo triste. Poi sembrò farsi coraggio e cominciò a parlare: “Quello che è successo...”
Louis non le concesse nemmeno il lusso di essere interrotta: semplicemente aprì la portiera e scese dalla macchina, mentre le parole della sorella si perdevano alle sue spalle.
Si stava già allontanando dall’auto quando Jay lo chiamò. “Louis per favore... Non salutiamoci così...”
Louis si girò a guardare sua madre e le disse: “Sì infatti, hai ragione.”
Vide chiaramente la speranza crescere nei suoi occhi e il sollievo rilassare le sue spalle. Ma durò pochi istanti, perché poi lui finì di parlare. “Non salutiamoci proprio.”
E se ne andò.
Senza voltarsi più indietro.


 
***




~Harry



Per tutto il viaggio Harry si era sforzato di ignorare la madre e Robin, ma in quel momento, alla vista di Anne con le lacrime agli occhi, in piedi davanti all’auto, non seppe resistere. Si rifugiò tra le sua braccia e si lasciò stringere da lei.
“Oh Harry... Mi dispiace così tanto...” gli disse, singhiozzando sul suo petto.
“Non ti preoccupare mamma... È tutto okay, va tutto bene.”
Lei si staccò un po’ da lui e gli spostò i ricci dalla fronte. “Promettimi che starai bene, che ti farai dei nuovi amici e non penserai a Sophie, a tutti gli altri, a Holmes Chap-“
“Mamma, mamma starò bene, non preoccuparti.”
“Promesso?”
“Promesso.”
“Oh mi mancherai così tanto Harry.” gli disse prima di abbracciarlo di nuovo.
Non voleva lasciarlo andare, ma lui si separò da sua madre.
Robin finì di scaricare i borsoni dall’auto e si avvicinò ad Harry.
“Beh... È ora di andare.” disse, leggermente a disagio.
Harry annuì appena, poi il padrino si avvicinò per stringergli la mano e lui ricambiò la stretta. Era ancora arrabbiato con lui, perciò faticava ancora a perdonarlo.
Un tocco leggero sulla spalla e Harry si girò, per poter accogliere tra le braccia la sorella.
“Gem, non fare cazzate senza di me, mi raccomando.”
“No, tu non ne fare Haz.”
“Okay.”
“Okay.”
“Devo andare.”
“Lo so.”
“Ti voglio bene Gem.”
“Ti voglio bene anch’io.”
Le diede un bacio sulla fronte e poi la lasciò andare.

 
Dopo una manciata di minuti erano risaliti tutti in auto e Harry li vide andare via. Prese un borsone con la mano destra, se lo mise in spalla e si girò a guardare il posto dove avrebbe trascorso il resto dell’estate.
“Eccoci qui. Che l’estate abbia inizio.”
Sospirò e poi Harry si avviò, inconsapevole che i suoi passi, svogliati e contrariati, lo stavano conducendo ad una svolta, forse la più importante della sua vita.
 
 




 

Qui di seguito riporto la traduzione dei passi citati precedentemente, come ho già detto, sono tratti dalla canzone 'Goodbye my lover' di James Blunt.
Mi scuso per eventuali errori di traduzione, mi sono affidata a Google.
(¹) "Ho baciato le tue labbra e tenuto la tua mano, condiviso i tuoi sogni e condiviso il tuo letto, ti conosco bene, conosco il tuo odore, mi sono dedicato a te."
(²) "Addio amore mio, addio amica mia, sei stata l'unica, sei stata l'unica per me."

 





Angolo autrice:

Eccomi qui con questo secondo capitolo. So che è passata un'eternità, ma questo in questo periodo non ho nemmeno il tempo di vivere, perciò perdonatemi.
Come avrete notato questi primi due capitoli sono da introduzione: ci tenevo che voi capiste che persone fossero prima del loro incontro e quali rapporti ci fossero tra loro e le persone che li circondano.
Per questo motivo scusatemi se i tempi sono stati un po' lunghetti, ma ho dovuto farlo.
Vi avviso che francamente non so quando pubblicherò il prossimo aggiornamento. Quest'anno ho gli esami quindi in queste ultime settimane sarò impegnatissima, perciò siate pazienti.
Nel frattempo, se non avete niente da fare, potete sempre leggere l'altra fanfiction che sto scrivendo e che potete trovare qui.
Come sempre, grazie a chi recensirà e apprezzerà questa storia
Se volete contattarmi, per qualsiasi cosa, potete farlo qui: facebook twitter e ask :)
 
Pabitel 
   
 
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