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Autore: Alex Wolf    05/05/2015    1 recensioni
ATTENZIONE: AVEVO IN PRECEDENZA DECISO DI INIZIARE UNA NUOVA STESURA DI QUESTA STORIA, IN SEGUITO HO DECISO CHE CONTINUERO' QUESTA!
«Eleonora. Isil. Hai perso i tuoi nomi non appena sei morta e sei caduta qui, nelle mie lande» spiegò placidamente lui, giocando con un grosso anello in cui vi era incastonata un’ambra. Dello stesso, identico colore dei suoi occhi. «Hai rinunciato a loro per sempre nell’esatto momento in cui hai accettato di divenire mio Generale. Perciò, era mio dovere sceglierti un nome, e quale più si adirebbe a una donna della tua fama –che ha cavalcato draghi; vinto battaglie; ucciso uomini e sedotto il Signore di Mordor- più che Morwen? La Dama Oscura?»
Genere: Fantasy, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Legolas, Nuovo personaggio, Thranduil, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Libro secondo – parte seconda (penultima)


 ☾ Storia d’Inverno


“Chissà se è proprio scritto che debba far male così”
 
— Alessandro Baricco



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Isil.
 

Il mare brillava degli intensi colori del tramonto. L’arancio, il giallo e il rosso si fondevano tutti assieme creando giochi di luce, brillando sulle scaglie serpentine delle onde. Sembravano così lontani, così tranquilli e immensi immersi nella tranquillità più profonda. Non chiusi gli occhi, continuando a osservare quello che avevo davanti. Come avrei voluto che lo vedessero anche i miei figli. Li avrei guardati battibeccare un poco, avrei riso sommessamente e poi sarei intervenuta. E loro avrebbero smesso, per poi ricominciare. E io li avrei lasciati fare.
Sospirai, poggiando il mento contro una mano guantata dalla mia nuova armatura. Questa tintinnò nel muoversi, riflettendo la luce d’orata del sole. Le lame colorate andarono a far brillare i ricami argentei e rossi che s’insinuavano sopra la rigida corazza nero ossidiana. Borbottai contrariata da tutto quel clangore metallico, passando dalla visione del bel mare caldo  a quella del mio nuovo elmo. Era un cupola metallica, a forma di testa di drago, i cui occhi erano evidenziati da due brillanti zaffiri.
Arricciai le labbra, guardandolo di traverso. Sembrava non volesse perdermi di vista neppure per un secondo. «Beh, che hai da guardare? Sei inquietante.»
E’ probabile che ammiri la tua bellezza.
Rizzai le spalle, scattando in piedi e voltandomi. La mano corse alla nuova spada che Nàmo mi aveva consegnato quello stesso giorno. Il pomo –ennesima testa di drago dagli occhi blu- scivolò fra le mie dita con facilità, uscendo dal fodero con un sibilo.
«Muoviti, fatti vedere chiunque tu sia» sibilai, facendo ruotare il manico sul polso per poi riprenderlo. Il freddo del metallo che accarezzava la pelle accaldata –nuda dai guanti abbandonati a terra.
Non sono passati che venticinque anni e tu, piccoletta, mi hai dimenticato? Mi sento alquanto offeso.
Corrucciai le sopracciglia, poggiando la punta dell’arma sul pavimento della casa del Valar. Un’ombra gigantesca si fuse alla mia. «Che diavolo…?» Mi accucciai, tentando di capire se quello non fosse che un gioco creato dalle strane luci del mondo dei morti, ma non era così. Perciò decisi di alzarmi, voltarmi; l’armatura che cigolava in continuazione a ogni urto.
Un’onda d’aria mi spinse a cadere a terra. La spada volò lontano, tintinnando contro il marmo rosa finché non si fermò ai piedi di una colonna. Tentai di rialzarmi, ma un’altra folata mi fece restare ferma dov’ero. Che diavolo stava succedendo?
Neppure venticinque anni!
Rimasi ferma, ad ascoltare un respiro talmente possente e pesante da scompigliarmi i capelli e, al tempo stesso, riscaldarmi la pelle. Chiusi gli occhi, mentre le mie orecchie udivano il battito di un cuore che si muoveva in sincronia perfetta col mio. Strinsi le palpebre, trattenni le lacrime invano, ne asciugai qualcuna di nascosto.
«Pensavo che non ti avrei più rivisto» mormorai, quando finalmente la grande zampa della creatura abbandonò il mio corpo.
Lo credevo anche io, sussurrò lui.
Nel voltarmi scorsi immediatamente l’alone grigio che sostava in prossimità di quella che era stata la sua ferita mortale. Le squame di pallido celeste, tutta via, brillavano alla luce del tramonto come fiamme fuggite da un focolare e gli occhi, due pozze azzurre luminose, mi osservavano dolcemente. Deglutii, portandomi le mani sopra le labbra per trattenere un gemito.
«Pensavo di non vederti mai più!» singhiozzai, gettandomi contro di lui.
Il serpentino collo dell’animale si allungò a sua volta verso di me, e il suo viso andò a scontrarsi contro il mio corpo. A malapena riuscivo a circondarlo del tutto con le braccia, in quanto era talmente grosso che la sola lunghezza superava la mia altezza di tre teste buone.
Aveva le squame fredde al tatto, ma l’aria che usciva dalle sue narici sembrava brezza estiva. Mi sollevò un poco dal pavimento per poi rimettermi giù. Mi staccai. «Diamine, sei identico a quando ti ho conosciuto» mi ritrovai a mormorare, sfiorando il profilo della sua pelle marina.
Lui socchiuse gli occhi, nascondendo le pupille appuntite, e sbuffò un po’ più forte, investendomi con un vento tiepido. «Tu, invece, sembri più adulta.»
«Ho avuto quattro figli, sai com’è» ridacchiai, massaggiandomi la pancia coperta dall’armatura nera. «Ma sono forte come un tempo; un po’ arrugginita nei movimenti, ma ci so ancora fare.»
«Non ne dubito» sorrise. «Ad ogni modo, ho molte cose di cui parlarti, Guardiana. Preparati a una lunga chiacchierata.»
L’entusiasmo che avevo provato fino a quell’istante scemò di colpo, subito dopo aver udito quelle parole. Mi feci seria, ravvivando i capelli con una mano. «Ti ascolterò, amico mio. Molto attentamente.»
 

Elanor.
 
Mi piaceva il modo in cui i veli cadevano a terra: setosi, colorati, morbidi. Mi ricordavano le onde dei laghi, che vanno a incresparsi fra i gentili soffi di vento. Aspettai gentilmente che la serva mi poggiasse sulle spalle una mantella lunga, di un bel verde scuro abbellito dallo stemma d’orato di Bosco Atro, prima di specchiarmi completamente: feci allontanare lo specchio e mi guadai sorridente. Ero ben consapevole della mia bellezza, come ogni ragazza giovane e viziata, coccolata fin dalla tenera età, ma quella sera mi sentivo in qualche modo più bella che mai. Adoravo le varie sfumature di verde e argento sovrapposte le une alle altre, rifinite da splendidi ricami d’oro che andavano a creare disegni leggiadri sul corsetto stretto. E mi piacevano i miei capelli mossi, intrecciati in una maniera così perfetta e curata da sembrare essere dipinta.
«Vëannë.» La giovane elfa si fece avanti, lo sguardo leggermente puntato verso il basso come si richiedeva. Mi voltai verso di lei e sorrisi, poggiandole una mano sulla spalla. «Sei stata bravissima» mormorai, facendo scivolare le dita sotto il suo mento per alzarlo.
I suoi occhi grigi mi guardarono felici, mentre sulla sua bocca fine spuntava un sorriso. Aveva l’aspetto del perfetto elfo silvano, a contrario mio, e non avrei potuto immaginarmela in maniera diversa. La conoscevo dall’infanzia, era cresciuta con me e i miei fratelli nel palazzo, da sempre al mio fianco e ai miei servigi. Forse, potevo azzardarmi a definirla nel modo più pericoloso di sempre: un’amica. Perciò, che male c’era nel lodarla?
«Grazie, mia Signora.» Si allontanò un poco, avvicinandosi all’inserviente che le sostava alle spalle. Con le dita snelle prese la tiara donatami dal nonno e si avvicinò.
Il gioiello rotondo brillava alla flebile luce arancione del tramonto, che trapassava le tende immergendosi nelle mie gonne. Le piccole foglie d’oro che l’abbellivano erano curate nei minimi dettagli, poggiate con cura fra quelli che dovevano essere rami.
Con cura, la giovane la poggiò con dolcezza sul mio capo. «Siete bellissima.»
La tiara luccicava attirando il mio sguardo. Catturando l’attenzione dei miei occhi pallidi, quasi fossi una gazza con l’intento di rubarla. Mi domandai cosa ne avrebbe pensato la mamma di me, del mio aspetto tanto regale. Mi chiesi come si sarebbe vestita lei, ma la domanda la conoscevo già: di rosso. Quel rosso scuro pieno di ricami d’argento lunare, con le gonne bianche che attenuavano quel colore così appariscente; e in testa avrebbe poggiato la corona autunnale che papà le aveva regalato alla mia nascita. E probabilmente avrebbe sorriso, come solo una mamma sa fare, e mi avrebbe baciata sulla fronte.
«Credo sia ora di scendere» decretò Vëannë, avvicinandosi alla porta d’ingresso per poi aprirla. «Tutti vi staranno aspettando impazienti.»
«Esattamente.» Rìnon entrò con baldanza nella mia stanza, sorridendo sornione alle due elfe imbambolate a fissarlo.
Li osservai tutti e tre per qualche minuto: gli occhi delle serve non lasciarono mai la schiena del principe. Erano come catturate, ammaliate dalla sua presenza. Certo, ero consapevole della bellezza dei miei fratelli ma sapere che attiravano l’attenzione di tutte quelle ragazze mi dava fastidio. Forse perché, nella mia mente, loro erano solo miei. I miei fratelli, la mia famiglia.  
Così, attesi qualche secondo ancora prima di inspirare e dire: «Penso che il vostro lavoro qui sia concluso, andate pure signore.» Le due serve sbatterono le palpebre, mi guardarono e arrossirono, poi uscirono con il capo abbassato.
«Che ape regina» sospirò Rìnon, prendendomi una mano fra le sue. Aveva la pelle calda, morbida. «Sei bellissima, sorella mia.»
Inarcai un sopracciglio, incatenando i suoi occhi blu cobalto ai miei. «Che vuoi da me? Sputa il rospo.»
«Perché dovrei volere qualcosa dalla mia dolc-»
«Rìnon?»
«C’è una dama al ballo di questa sera, sorella. E’ bella e la osservo da tempo, ma a quanto pare lei non è interessata a me.» Circondai  il suo bicipite con un braccio e uscimmo in corridoio. I passi lenti, le voci appena un sussurro. «Mi domandavo se, magari, la principessa potesse provare a mettere una buona parola per me.»
Non risposi immediatamente. Mi limitai a continuare a camminare, mentre i corridoi passavano al nostro fianco calati in una silenzio che sembrava non volesse finire mai. Il tramonto esalò l’ultimo respiro e cedette il passo alla sera. Mi fermai per osservare la luna fare capolino e così fece mio fratello. I raggi pallidi di quella sfera di luce si poggiarono sopra di noi, illuminando le rifiniture d’argento dei nostri vestiti.
«Qual è il nome di questa dama, fratello?» mormorai.
«Earinë.»   La sua voce pareva essersi colorata di una sfumatura che non avevo mai sentito prima.
Gli lanciai uno sguardo veloce, allontanandomi dalla luna. Rìnon splendeva meraviglioso nel suo abito blu e argento, con la lunga spada dal pomo elaborato che gli pendeva su un fianco. Sembrava realmente un principe. Oh almeno, più delle altre volte.
«Se me la indicherai, proverò a parlarle.» L’elfo s’illuminò in viso, sorridendo radioso. Sembrava felice.
E per quanto non sopportassi l’idea che uno dei miei fratelli si allontanasse da me, fui felice di vedere come –quando gli ripresi il braccio- lui poggiò la sua mano sopra la mia e la strinse.
 
La festa era un tripudio di vestiti colorati e musica. Dame elfiche e cavalieri danzavano con leggiadria; alcune ragazze parlavano fra loro, in piccoli gruppi, alcuni uomini discutevano allegramente con bicchieri di vino in mano. Dall’entrata della sala, potevo scorgere ogni persona.
«Eccola, sorella, lei è la dama di cui ti ho parlato.» Rìnon attirò la mia attenzione, indicandomi con un cenno del mento un gruppetto di giovani ragazze.
«Vorrei che tu me la indicassi con più precisione, fratello. Non sono un’indovina, non posso leggere la mente delle donne, scoprire il loro aspetto solo tramite il nome, all’improvviso.»
L’elfo sorrise, ignorando la mia accidia, e si avvicinò al mio orecchio fino a sfiorarlo con le labbra. I miei occhi ancora fissi sul gruppo di dame. «Indossa il vestito rosa pallido, ha i capelli di un biondo lucente e», intanto avevo già incontrato gli occhi di una delle donne.
Mi stava sorridendo, probabilmente si sentiva lusingata e esaltata. La famiglia reale, specialmente le donne che ne facevano parte, tendevano a non dare molta confidenza a nessuno.  
«Si si, ho capito di chi parli» borbottai, allontanando l’elfo con un gesto leggero. «Ora vedo cosa posso fare, ma tu non aspettarti nulla. Siamo intesi?» 
«Grazie, sorella» mormorò lui, baciandomi veloce fra i capelli. Poggiò la sua mano sulla mia e si avvicinò alle scale che portavano alla festa. Sul primo gradino si fermò e sorrise raggiante, mentre Leron si metteva alla mia sinistra.
«Stai sorridendo troppo sfarzosamente, fratello» lo rimbeccò con la solita pacatezza. «Sembri un’ebete.»
«Magari lo è» ridacchiai io, agganciando il mio braccio libero al suo.
«Antipatici» borbottò Rìnon, senza però smettere di sorridere.
 
«Siete incantevole questa sera, Mia Signora.» Le parole degli uomini presenti a corte mi scivolavano contro. All’inizio ero stata incantata da tutte quelle frasi lusinghiere, mi ero fermata ad ascoltare con vanità quei complimenti che mi facevano sentire meravigliosa ma, dopo qualche tempo, mi ero ritrovata ad annoiarmi. Tutte uguali quelle parole dette da bocche diverse. Tutte così… monotone.
Scivolando leggiadra fra gli ospiti, con le mani poggiate sul ventre nascoste dalle lunghe maniche del vestito, mi avvicinai al gruppo di dame indicatemi prima.
La donna con cui avevo avuto un contatto visivo fino a poco prima si portò una mano alle labbra, sorpresa, prima di sorridere sorniona. I suoi occhi verdi, da gatta, mi seguirono finché non decise di muoversi nella mia direzione attirando l’attenzione delle altre interlocutrici.
«Quale onore, Mia Signora» s’inchinò leggiadra. I lisci capelli pallidi le scivolarono oltre le spalle, sfiorando la leggiadra veste azzurra.
Un’altra lady si avvicinò, tenendo ben saldo fra le dita un calice colmo di vino. «Cosa vi porta ad unirvi al nostro piccolo gruppo?» Un suo braccio s’incastrò al mio, con confidenza. La stoffa verde pisello del suo vestito non era nemmeno paragonabile a quella del mio.
Feci scivolare gli occhi nella direzione della donna indicatami da mio fratello. «A dire il vero, mie signore, stavo cercando una dama da compagnia e mi sono giunte voci che fra voi risiede una lady alquanto silenziosa. Io adoro le persone silenziose, che sanno stare al loro posto.» Fulminai con un’occhiata l’elfa, che subito si allontanò. «Perciò, volevo conoscerla.» Avanzai ignorando le occhiate delle giovani che speravano di essere le prescelte. Venire ricercate da una principessa era una cosa –oltre che molto rara, in quanto la famiglia reale aveva servi che andavano da generazione a generazione- che apportava alla reputazione un qualcosa in più.
Le ignorai tutte, non ne guardai nemmeno una se non la prescelta. «Earinë, è un onore conoscervi.»
La bionda sgranò gli occhi, quando capì che le stavo sorridendo. «M-mia signora?» Aveva la voce fragile, quasi avesse paura di parlare. I suoi occhi chiari come il ghiaccio mi scrutarono spaventati. «E’ mio l’onore», s’inchinò con leggiadria.
«Vi prego, Dama Earinë, venite a farmi compagnia per una passeggiata. Questa festa è troppo chiassosa per me.» Le porsi la mia mano, che strinse gentilmente. Sorrisi.
Attraversammo la pista da ballo sotto occhi di tutte le sfumature, fermandoci a fare inchini di cortesia a chi ci recava saluti, come il galateo richiedeva. Finalmente attraversammo la porta finestra e uscimmo.
L’aria fresca mi colpì in viso con una carezza, facendo danzare le mie vesti in un turbine di stoffe. Mi poggiai alla ringhiera che mi divideva dall’erba fresca e il bosco.
«Perché mi avete portata qui, Vostra Grazia?» La voce della bionda trillò nell’aria, dolce e soave.
Mi voltai nella sua direzione e sorrisi nel vederla composta. Con le mani giunte sul ventre e le enormi tende candide alle sue spalle a farle da sfondo sembrava una reale. «Suvvia, non essere così formale. Chiamami Elanor, dopo tutto sei la mia nuova dama da compagnia. E vieni pure più vicino: non ti mangio.»
Lei sospirò, prima di raggiugermi. «Posso sapere il reale motivo per cui mi avete chiamata qui?»
«Oh», sospirai sorpresa, «Rìnon mi aveva detto che eri bella, certo, ma non anche intelligente. Questa cosa di te… mi piace.» Rizzai le spalle, prendendo un bel respiro. «Allora, cominciamo a parlare di cose serie, ti va?»
 


Haldir.
 
Non gli piacevano gli eventi di questo tipo, lo sapevano tutti. Erano rumorosi, affollati e inutili. Che ci trovava sua sorella in tutto questo? Da quando era tornata dalla sua “boccata d’aria fresca” con una dama e gli aveva lanciato uno sguardo di traverso, si era gettata nelle danze senza fare mai una pausa. Sembrava divertirsi come mai. Sorrideva splendente, bellissima e lui era… geloso. Non gli andava a genio che tutti quegli uomini –a discapito di qualunque rango potessero gravare sul loro nome- le mettessero le mani addosso. Non lo accettava. Certo, era consapevole del fatto che la teneva continuamente a distanza ma era per il suo bene: non voleva farla avvicinare a quello che era diventato. Sapeva anche che, però, se l’ennesimo uomo avesse toccato la sua sorellina sarebbe impazzito.
Rifiutò le avance di una donna, l’ennesima, e si avvicinò alla pista da ballo. I ballerini danzavano leggiadri, sorridendosi fra loro. Sembrava di stare dentro uno di quei racconti con cui la mamma faceva addormentare El da bambina. Li aveva sentiti tante volte, da dietro la porta socchiusa della camera di El, curioso di sapere cosa spaventasse tanto la sorella da portarla nella sua camera la notte. Non aveva mai trovato il “Mostro” di cui gli aveva parlato, ma si era sempre ricordato degli scenari di quei racconti.
Fece in tempo a entrare all’interno della pista, che la sorella gli volteggiò davanti ridendo fra le braccia del servo dei Valar: Turion. Si stringeva a lui, e giravano come trottole.
Lo afferrò per una spalla, fermandolo, e quando gli occhi di lui si voltarono il suo cuore perse un battito. «Vorrei danzare con mia sorella» ammise, senza staccare gli occhi da lui.
«Certamente.» Con grazia gli pose la mano della principessa. «Questa, dolce creatura» lanciò uno sguardo al viso di El, «è molto leggiadra. State attento a non romperla con la vostra presa d’acciaio, Mio Signore.» E li lasciò.
Gli occhi di Haldir seguirono Turion finché non scomparve fra la folla, poi andarono al volto della sorella. Lo stava guardando con le sopracciglia alzate, incuriosita e sorpresa al tempo stesso. Non poteva darle torto.
Iniziarono a ballare, silenziosi in mezzo a tutte quelle risate felici.
«Tutto questo è così strano» la sentì  sussurrare, mentre volgeva i propri occhi blu verso un punto imprecisato.
«Perché?» le chiese, sentendosi stranamente ridicolo nel momento in cui passarono affianco a un gruppo di dame che gli sorrisero.
Elanor lo guardò, affilando lo sguardo. «Da quando sei partito col nonno, quel giorno, sei cambiato. Non mi hai mai più rivolto la parola come facevi prima e ti sei allontanato. Perciò, per me adesso è difficile immaginare, credere, che tutto questo stia accadendo. Non ballavamo assieme da quando eravamo piccoli.» Sospirò e dopo una pausa aggiunse: «Ormai mi ero abituata a starti lontana, e tu vieni a cambiare le carte in gioco. Non ti sembra un po’ meschino da parte tua?»
Haldir sentì il petto dolergli. Avrebbe voluto dirle tutto quello che poteva, raccontarle cos’era successo quella volta di tanto tempo fa ma non poteva. Non ci riusciva, per paura di essere ripudiato come fratello. «El», mormorò soltanto avvicinando le proprie labbra al suo orecchio, «mi spiace tanto se ti ho fatto stare male. Prometto che d’ora in avanti i-»
«E’ un po’ tardi, Haldir.» Lei smise di danzare, così come il cuore del fratello cessò per qualche secondo di battere. Li, in mezzo a tutti i ballerini il principe di Bosco Atro si sentì piccolo e incredulo davanti allo sguardo freddo e rassegnato della sorella. Provò amarezza per quelle parole dette con tanto distacco.
Lei lasciò le sue mani, gettando le braccia lungo i fianchi coperti dalla stoffa verde. «Io sto per andarmene, Haldir. I tuoi buoni propositi, ormai non servirebbero più a nulla.»
«Che significa che “stai per andartene”?» Lei non distolse lo sguardo, restando impassibile.
«Sta diventando più difficile del previsto controllare questa cose dei… “poteri” da Guardiana» asserì. «E’ difficile e pericoloso averci a che fare, perciò io e Leron partiamo domani. Abbiamo destinazioni diverse, ma lo scopo è lo stesso: essere pronti per questa guerra imminente.»
«Mi prendi in giro, vero?» Sentiva la testa dolergli, pulsare fino a scoppiare. Non poteva lasciarla andare via, era la sua sorellina non se la sarebbe cavata da sola la fuori. No, non…
«Sarebbe stato bello, se tu ti fossi accorto di come mi sentivo molto prima di questa sera.» Gli accarezzò una guancia, sorridendo. I lunghi capelli castani scivolarono oltre una spalla. «Purtroppo, adesso, è troppo tardi.» Gli baciò una guancia e lo lasciò solo, avvicinandosi al principe umano che l’aspettava a bordo pista.
Non si era mai sentito più ferito di così. Non avrebbe mai pensato che sua sorella avrebbe potuto gettarlo a terra in quel modo, ma non avrebbe mai nemmeno pensato di riuscire a ferirla in quel modo. Per tutti gli anni passati El aveva incassato la sua “non curanza” ed era rimasta in silenzio. Si chiese quanta forza le avesse richiesto tutto quel sopportare. E si sentì un verme, sia fuori che dentro, per aver fatto star male la persona che più amava: sua sorella.
 
 
 
 
 
 
  
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