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Autore: One_Love_One_Passion    05/05/2015    1 recensioni
La libertà è qualcosa di prezioso, inestimabile, e tutti ne dovrebbero avere diritto.
Una ragazza incontrerà le nostre quattro tartarughe e insieme fermeranno il progetto di Shredder, che fino ad ora ha continuato il suo corso senza ostacoli.
I nostri eroi si troveranno in vicende spaventose e terrificanti, con mostri che tenteranno di ucciderli e posti apparentemente senza uscita, la loro vita sarà spesso in pericolo ed una grande invasione li porterà ad una scelta di estrema importanza: Scappare o Rischiare?
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La notte era ancora giovane.
Il sole, che aveva reso quella giornata particolarmente ardente, era tramontato da qualche ora, risucchiando con se tutte le sfumature arancioni, rosa e rosso pastello, senza tralasciare la minima ombra di un colore caldo.
Era sorprendente come il caos generale, causato dal continuo starnazzare dei clacson, dalle accecanti luci intermittenti che mostravano i prodotti sul mercato o qualche nuova svendita, dai fastidiosi squilli dei cellulari e le urla dei cittadini newyorchesi che imprecavano e maledicevano chiunque contribuisse al chiasso, cioè tutti, si fosse placato al calare del sole, come se tutta New York avesse tirato un sospiro di sollievo, come se dal tramonto in poi si azionasse una sorta di ''basta''.
Nel limpido cielo notturno brillavano un'infinita quantità di stelle, chi più o meno grandi, che sapevano catturare avidamente l'attenzione della vista umana che, nonostante saltasse da un punto ad un altro, riusciva sempre ad essere imprigionata da quello straordinario spazio immenso.
In un vecchio quartiere ancora abitato sostava il silenzio, le luci erano spente, le porte serrate con la massima cura e tutti erano stati rapiti da un sonno profondo.
Un fruscio.
Un rumore talmente debole che non disturbò la quiete dei cittadini addormentati, stanchi di quella giornata stressante sopra ogni limite.
Il suono si ripeté, ma stavolta con maggiore potenza, e, con incredibile rapidità, sbucò fuori da un vicolo nascosto una ragazza.
Era giovane, probabilmente una donna che sfiorava i diciassette anni, bella come quella luna che l'osservava, se non di più, dalla pelle chiara come il latte, arrossata dal freddo della notte,  leggermente più alta della media, la schiena dritta, le gambe sode e dai muscoli forti, i fianchi pronunciati e il seno, non eccessivamente grande, situato nel petto che racchiudeva il respiro affannato della fanciulla, i lunghi capelli mori che incorniciavano il viso pallido, lievemente rosso sulla punta del naso e sulle guance, che davano risalto alle due iridi verdi, dalle sfumature giallognole, che scrutavano ciò che la circondava.
Sfrecciava tra i palazzi, attraversando strade e svoltando ogni tanto se voleva, correndo a perdifiato per almeno un'altra ora.
Libera.
Era quella l'unica cosa che contava veramente.
Finalmente era libera.
La felicità le inumidì gli occhi, non importava il fatto che indossasse vestiti logori e che fosse sporca di polvere e terra, non le interessava se i piedi le facevano un male impressionante ad ogni passo,  se le mani erano rosse e con qualche livido, se sul viso aveva un taglio che attraversava metà fronte oppure che le labbra fossero screpolate erano un tormento, non riusciva a fermarsi.
Perché?
Voleva godersi quella sensazione di freschezza ancora per un po', il vento che scompigliava i capelli ribelli, la fatica era tale da far battere il cuore talmente forte che poteva sentirlo nelle orecchie, si sentiva potente e piena di vigore, perché fermarsi?
Le strade erano così aperte, piene di uscite, nascondigli, ripari ed erano così grandi, era una vera gioia immergersi dentro, lo sguardo era grato di tutto quello spazio, poteva muoversi, poteva correre e provava per la prima volta dopo tanto tempo il gusto dolce della libertà.
Il sudore che le rinfrescava il collo era una pura gioia per tutti i sensi, e anche se i vestiti cominciavano man mano ad attaccarsi alla pelle riusciva riscontrare una sorta di sollievo nel gelo di quella sfrenata corsa.
La ragazza si leccò istintivamente le labbra.
Dopo aver assaporato in pieno quella magnifica sensazione decise di fermarsi.
<< Finalmente. >> mormorò, commossa.
Inspirò lentamente l'aria fresca, era così pulita e vera da sembrare surreale.
Il laboratorio era pieno di prodotti chimici, l'odore era talmente sgradevole che ogni volta che respirava non faceva che tossire, le faceva paura quel posto, non perché avesse un aspetto macabro, ma odiava essere rinchiusa in quella stanza e i primi mesi non faceva altro che piangere, voleva ribellarsi, ma se ci avesse anche solo provato l'avrebbero frustata, odiava come la trattavano, odiava ciò che le avevano fatto.
Ogni giorno veniva sottoposta a test, quasi sempre le somministravano strani farmaci che le causavano il volta stomaco e, un volta, svenne per il dolore atroce ai muscoli, ma a nessuno importava, loro lo sapevano le reazioni che ci sarebbero state sul suo corpo eppure non si sono fermati, incuranti della salute della ragazza.
Il corpo della ragazza tremò, ma non per il freddo.
Il ricordo era talmente limpido che poteva ancora sentire il fruscio dei documenti, lo scricchiolio della porta quando si chiudeva e lo schiocco quando quelle maledettissime ampolle si scontravano, solo lei sapeva quanto le detestava.
Ciò che le avevano iniettato non aveva mutato le sue caratteristiche fisiche, ed a ciò era molto grata, ma in cambio le avevano donato una forza soprannaturale, superiore a quella di venti uomini messi insieme, anche se vedendola non si direbbe mai tanto grazioso e pallido è il suo fisico.
Con il palmo si asciugò gli occhi velati di gioia, perché finalmente la vita era stata buona con lei.
Ricordò come la noia prendeva spesso il sopravvento della sua mente, costringendola a lunghe riflessioni su se stessa, si chiedeva il più delle volte cosa avesse mai fatto per meritarsi una simile tortura, si detestava quando, nel bel mezzo della notte, i ricordi riaffioravano all'improvviso nella sua testa, mettendola subito in uno stato di depressione, odiava soprattuto come le avevano tolto la sua positività e si stupiva di se stessa di quante volte aveva pensato di preferire la morte a quello schifo.
Prese un profondo respiro cercando di stabilire il battito del cuore, che galoppava come una mandria di cavalli imbizzarriti, appoggiò una mano a terra mentre col dorso dell'altra asciugò gli occhi umidi.
Un sibilo annientò la tranquillità della giovane donna, il fiato le si bloccò in gola e si immobilizzò all'istante.
Un'altro sibilo.
Riusciva a captare il suono flebile di una voce, alzò il capo e capì che proveniva dal tetto di un negozio, con il massimo silenzio iniziò a salire le scale antincendio, gradino per gradino, finche, dopo essersi accertata di non essere stata seguita, chiuse gli occhi e ascoltò.
Qualcuno sospirò, con aria annoiata.
<< Che noia. >> brontolò una voce, proprio come fanno i bambini quando si stufano del giocattolo nuovo. << Non c'è nessuno, perché siamo ancora qua? >> chiese, accentuando con un tono lievemente acuto la sua lamentela.
<< Questa volta Mikey ha ragione, Leo. >>  aggiunse un'altra voce. << Forse è il caso di ritornare al rifugio, non vorrei che il Sensei si pentisse di averci lasciato qualche ora in più. >>
<< L'ultima volta che siamo tornati tardi ci ha fatto allenare per più di dieci ore. >> sbuffò qualcuno.
Tutti e quattro rabbrividirono al pensiero.
La ragazza, finora accovacciata vicino alla scala che portava al tetto, aprì gli occhi, stropicciandoli un poco per mettere a fuoco, cercò di respirare piano col naso nel tentativo di non fare il minimo rumore, poggiò le mani al muro e, mordendosi il labbro nel mentre, si alzò con lentezza.
Finalmente in piedi, si girò e, un dito alla volta, toccò il bordo del tetto di quel piccolo palazzo, facendo leva sui bicipiti incominciò a sollevarsi, restando con il piedi che sfioravano la finestra di un'appartamento, e preferì di gran lunga evitare l'utilizzo delle scale per non far troppo chiasso.
Quattro figure sostavano su quell'edificio, una era in piedi, il corpo era immobile, ma teso e la mente sembrava altrove, un'altra era seduta, appoggiata ad un piccolo comignolo che fuoriusciva dal tetto, un'altra era inginocchiata e teneva in mano una piccola torcia, pareva stesse smontando qualcosa, riusciva a sentire la presenza di un'altra di quelle strane ombre ma l'unica cosa che vedeva era il buio.
Qualcuno sospirò. << Eh va bene, torniamo a casa. >>
Tutti e tre parlarono, chi sbuffava un 'finalmente', chi gridava entusiasta e chi riprendeva quest'ultima voce nel tentativo di fargli abbassare la voce.
La ragazza cedette la presa e cadde.
Tutte e quattro le figure si pietrificarono.
<< Qualcuno ci ha seguiti. >>
La ragazza sgranò gli occhi, era spaventata dal tono di voce di quella figura, così autoritaria, ferma, schietta.
Un ricordo la fece tremare.
-Sono loro- pensò, si mise una mano sulle labbra, come a voler soffocare il respiro. -Sono venuti a prendermi-
Si sentì il cozzare di due spade, avevano tirato fuori le armi.
La ragazza raccolse tutto il coraggio che le rimaneva e si alzò in piedi, guardò le scale e fece per scendere ma poi si bloccò, ci sarebbe voluto troppo e sarebbe potuta cadere, fissò i diversi metri che la separavano dal marciapiede, poi spostò lo sguardo sulle scale e poi di nuovo sul pavimento.
Decise.
Afferrò la ringhierà, appoggiò il peso e balzò.
I muscoli si tesero, una scossa le attraversò la schiena ed uno strano calore si diffuse per tutto il corpo, le venne all'improvviso la pelle d'oca e, senza nemmeno accorgersene, era già atterrata.
L'onda d'urto che aveva causato era talmente forte da aver provocato delle spaccature nel cemento.
La mente scacciò via ogni pensiero, il corpo si mosse da solo ed iniziò a correre.
<< Sta scappando! >>
La ragazza perse di vista le quattro figure, ma era certa che in qualche modo la stessero inseguendo.
Il cuore si era fermato in gola mentre il suo pulsare nelle orecchie, il vento si insinuava nei capelli, accarezzandoli col suo brio, il freddo era umido e si incastrava nelle ossa, facendo tremare per un'altra volta la ragazza, le dita si erano già congelate mentre il respiro conservava ancora il suo calore.
La paura era palpabile.
Proseguì sempre dritto, svoltò varie volte a sinistra e un paio a destra, si addentrò in un vicolo ceco e ritornò rapidamente indietro, scorse un figura sui tetti ed una dall'altra parte della strada, intuì che stavano provando a circondarla.
-Due sono ai mie lati- ipotizzò, poi ci rifletté su. -Quindi molto probabilmente gli altri due sono avanti, pronti a bloccarmi la strada-
Si fermò subito e tornò indietro, nella speranza di guadagnare tempo, ora chi prima la inseguiva e stava ad aspettarla avanti era in netto svantaggio, doveva occuparsi degli altri al più presto se voleva uscirne viva.
Riecheggiò nel silenzio un'imprecazione, la ragazza sorrise.
Corse per un'altro paio di minuti sempre dritto, poi si diresse verso una piazza e si introdusse in un vicolo a più uscite, doveva riflettere e si fermò tra due palazzi.
Qualcuno sostava sul tetto del palazzo alle sue spalle, ne percepiva il respiro affannato.
Ricominciò a correre, evitando sempre i lampioni o le fonti di luce, cercando di non farsi vedere.
Abbassò le maniche della giacca e alzò il cappuccio.
Stavolta, invece di correre dritto e poi svoltare, fece il contrario, cambiando sempre la strada su cui si muoveva, per poi camminare di soppiatto tra i palazzi sempre nella stessa direzione.  
Sentendo qualcuno far volteggiare qualcosa di affilato, ricominciò a correre, sbattendo il viso su un palo, cadde a gambe all'aria e si sentì un'idiota.
Si alzò barcollante in piedi, le girava ancora la testa.
Qualcuno balzò davanti a lei, producendo un tonfo che smosse i lampioni.
Il respiro si fece quasi mancare nel petto della giovane donna, che perse l'equilibrio.
Il suo inseguitore era alto, molto più di lei, ben piazzato, spalle larghe e grosse, fasciato in alcuni punti, come sulle nocche o sui polsi, la pelle era scurissima, e quel color verde bottiglia sembrava la conseguenza del versamento di un acido, le dita erano solamente tre sulla mano, stretta in un pugno con forza, ai lati, posizionati su un grande guscio, vi erano due Sai.
La punta delle armi scintillò, la ragazza deglutì.
Poggiò i palmi dietro la schiena e si mise seduta, osservando rapita quell'enorme creatura.
La tartaruga si voltò, facendo notare la fascia color rosso scarlatto alla ragazza, e fece segno a qualcuno di restare lì, la giovane alzò il capo e vide altre tre figure sul tetto accanto a lei, sgranò gli occhi, l'avevano circondata.
La ragazza si portò le ginocchia al petto quando il mutante fece un passo, scrutandola con i suoi occhi verde smeraldo.
<< Chi sei? >> chiese, cercando di tenere fermo il tono.
La rabbia era talmente evidente che la ragazza ebbe un fremito, si portò una mano al petto e si ricordò di aver rubato un fascicolo mentre stava scappando da dove la tenevano prigioniera.
Lo strinse con fare protettivo, non avrebbero avuto niente da lei.
<< Già, chi sei? >> ripeté qualcuno sul tetto, prendendosi gioco del mutante sul marciapiede.
Si sentì il suono di uno schiaffo.
La ragazza si strinse il cappuccio al viso, nascondendosi in quel piccolo involucro di stoffa.
Si sentì un bisbiglio.
<< Ragazzi, adesso fa quella voce. >> avvisò.
<< Ti ho fatto una domanda. >> affermò a denti stretti, irritato.

La giovane sbatté più volte le palpebre, l'espressione era tesa e in ansia, la paura aveva reso più chiara l'iride, che adesso era quasi giallastra, serrò le labbra e si allontanò un poco.

Qualcuno sul tetto scoppiò a ridere.

<< Sono il grande e grosso Raph e ti ho fatto una domanda. >> imitò, facendo il tono più grave che potesse avere.
Stavolta non prese non uno ma bensì due sberle.
<< Ahia! >> gridò.
Il mutante si voltò e lo fulminò con lo sguardo, tutti si zittirono.
<< Sto veramente perdendo la pazienza. >> sbraitò.
Tese bruscamente i muscoli, impugnò i Sai e si avvicinò rapidamente.
La ragazza era balzata in piedi di colpo, il cuore incominciò a battere all'impazzata, il calore strinse in una morsa le braccia e, senza accorgersene, aveva stretto le dita in un pugno, e quasi spinta dalla paura era scattata in avanti, colpendo l'inseguitore al petto.
La tartaruga fece un volo di un paio di metri e, quando si alzò, incominciò a digrignare i denti per il dolore.
La figura sul tetto lanciò un urlo divertito.
<< Persona misteriosa uno, Raph zero! >> esclamò, entusiasta. << Dimmi Raphie, come ci si sente ad essere sconfitto? >>
Il mutante ringhiò. << Và al diavolo, Mikey. >>
La tartaruga riprese i Sai, stringendoli con ferocia sovrumana e li rinfoderò nel guscio, camminò verso la sua preda, fissandola attentamente per quanto il buio non glielo permettesse.
La strinse per le spalle e la sbatté al muro, facendola gemere all'impatto.
Il panico assalì la giovane, non avrebbe permesso che la riportassero in quel posto, avrebbe lottato contro tutti e quattro se avesse dovuto.
Il cappuccio cadette all'indietro, scoprendo ciò che vi era nascosto.
Il mutante spalancò violentemente gli occhi, il fiato rimase sospeso nel petto, la bocca lievemente aperta e lo sguardo che si spostava da una parte all'altra.
<< Una… ragazza? >> chiese, basito.
<< Eh? >> disse qualcuno.
<< Una… che? >> domandò un'altra figura.
Si avvicinò al viso della fanciulla, scatenandone orrore.
D'istinto, gli diede un'altro pugno, spedendolo dall'altra parte della strada.
<< Ma sei scema?! >> urlò, poi sgranò di nuovo gli occhi quando il suo sguardo si incastrò in quello terrorizzato della ragazza, sembrava così perso e confuso.
La tartaruga usò i Sai per far leva e si alzò di scatto, la ragazza aveva avuto un sussulto nel vedere con che velocità si era rimesso in piedi e, quasi d'istinto, staccò un pezzo di mattone, adocchiò il lampione e mirò alla lampadina, che si frantumò all'impatto.
Il mutante dalla fascia scarlatta si coprì il viso con le braccia, evitando che il vetro andasse negli occhi, e quando li riaprì la ragazza era scomparsa.
Prima che potesse voltarsi, uno dei suoi fratelli parlò, alquanto allarmato.
<< Cavolo, cavolo, cavolo, cavolo! >> gridò.
<< Che succede, Donnie? >> chiese qualcuno, una voce piuttosto giovane.
<< Sono le cinque e mezza! >> strillò, incominciando a scuotere la persona accanto. << Sai cosa significa? >>
Una fascia blu oceano comparve dalla penombra, gli occhi spalancati. << Splinter. >> mormorò, raggelando.
<< Esatto! >> esclamò. << Se non torniamo al rifugio all'istante, ci friggerà i gusci. >> ipotizzò, rabbrividendo.
I primi due scattarono come razzi, mentre il terzo rimase a fissare sotto il palazzo. << Raph, non vieni? >>
<< Hmm…? >> fece, ritornando alla realtà, si voltò e non vide nessuno. << Hey, Aspettatemi! >>

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Le gambe erano partite da sole e, senza indugiare, aveva cominciato a correre come una forsennata, il diversivo era stata un'ottima idea.
Il respiro era ancora affannato e le scarpe si erano letteralmente consumate, i vestiti erano sudati e lerci, come il resto del corpo, ma era fiera di se stessa, era riuscita a fuggire.
Una morsa allo stomaco la bloccò, mise la mano sul ventre e ascoltò il brontolio causato dalla fame, mentre l'altra accarezzò la gola secca e dolorante.
Si guardò attorno.
Dall'orizzonte si poteva notare il sole che spuntava tra gli scogli, i gabbiani sostavano su qualche tronco, chi garriva e chi stava in silenzio, il cielo stava prendendo sfumature azzurre, mischiandosi un poco con il bianco delle nuvole, il mare era calmo e si poteva udire il suono delle onde.
Era arrivata fino al porto.
La vista divenne confusa e per un attimo perse l'equilibrio, cadendo sulle ginocchia.
<< Che botta. >> mormorò, toccando con le dita il piccolo bernoccolo sulla fronte.
Si guardò le spalle, insicura, e notò sollevata che nessuno l'aveva seguita.
La testa le faceva male.
Toccò la ferita sulla fronte, fece un smorfia contrariata quando l'unghia si conficcò per sbaglio nella carne scoperta, estrasse lentamente la mano ed osservò inorridita il sangue che sporcava le dita,  strappò un pezzo della maglietta e asciugò il taglio.
Poggiò il peso sulla spalla destra per alzarsi, ma non appena fece pressione la ragazza strizzò gli occhi e trattenne il respiro, il muscolo pizzicava la pelle e le veniva voglia di grattarsela, ma preferì evitare di scorticarsi da sola, il dolore era fastidioso e ciò che le faceva rabbia era il fatto che fosse tutta colpa di quella cosa, insomma, di quel mutante.
-Non conosce il concetto di delicatezza- sbuffò. -Mi ha spiaccicata al muro come una mosca.-
Si mise in piedi con lentezza, barcollando prima a destra e poi a sinistra, sbatté più volte le palpebre alla vista di due figure in lontananza.
Strinse con forza le dita alle meningi nella speranza di alleviare il suo dolore, che era diventato insostenibile.
Il cielo le sembrò cambiar colore, divenendo all'improvviso rosa pallido, ricercò con lo sguardo quelle figure ma notò soltanto due puntini sfocati, tutto si offuscò e i colori si mischiarono insieme,  giallo e rosso le parvero uguali, la testa cominciò a pulsare, cadde a terra, la vista si affievolì e poi non vide più nulla.
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Era cosciente, ma non riusciva a svegliarsi.
Quella percezione di vuoto era piacevole, la sua mente fluttuava, leggera, e quell'assenza di gravità non le dispiacque, avrebbe voluto restare per l'eternità così.
Caldo.
Quell'orribile sensazione si diffuse per tutto il corpo, rompendo l'equilibrio precedente, e dopo un paio di minuti l'afa si fece insostenibile.
Si sforzò di aprire le palpebre, due pozze verdi comparvero da sotto le ciglia, sbatté più e più volte gli occhi, lì strizzò con le mani e quando mise a fuoco il respiro le si bloccò in gola.
Si trovava in una piccola cameretta, l'aspetto era confortevole e per qualche strano motivo si sentì al sicuro, le pareti erano state dipinte da poco e si poteva ancora sentire l'odore fresco della vernice, doveva avere all'incirca due o tre giorni, il color pesca dava risalto ai mobili in legno, tra cui un armadio in fondo alla stanza e un piccolo comò vicino alla finestra, il letto era a una piazza e mezzo e, a differenza di quel minuscolo spazio che le davano per dormire, questo le parve enorme, le coperte erano calde e la coprivano fino al mento, i cuscini erano soffici e tremendamente invitanti.
Si alzò di malavoglia, scostando da una parte il piumone color panna, e quando toccò il parquet notò sorpresa che i piedi non le facevano più male, si portò la mano alla fronte e si stupì quando la pelle avvertì la ruvidità di un filo, l'avevano medicata.
Si avvicinò alla porta e quando l'aprì si scontrò contro una signora, ad entrambe scappò un gridolino.
La donna era sulla cinquantina, poco più bassa di lei, il corpo era in carne e con un grande seno nel petto, i capelli erano raccolti in una cipolla, ma si potevano vedere le sfumature castane in alcuni punti, gli occhi color nocciola erano leggermente sgranati,  in mano teneva un vassoio.
<< Accipicchia, mi hai fatto prendere uno spavento. >> disse, mettendosi una mano al petto con fare sconvolto.
La ragazza si alzò in piedi, ancora intontita dalla situazione. << I-Io… >>
<< No, no. >> fece, muovendo l'indice a destra e a sinistra. << Devi riprendere le forze, cara mia, poi mi spiegherai tutto. >>
La rimise nel letto e pose il vassoio sulle ginocchia della ragazza.
Lei cercò di dire qualcosa, ma la donna la zittì e le scompiglio i capelli. << Non fare complimenti. >>
Sul piatto c'erano delle uova sode, dei pomodori, tonno e una grande porzione di carne.
Non si era mai resa conto della sua fame finché, sotto gli occhi meravigliati della donna, non aveva divorato tutto in pochi minuti, trangugiando successivamente una bottiglietta d'acqua.
<< Povera piccina. >> mormorò la donna, portandosi le mani al petto. << Deve essere molto che non mangi. >>
Prese la ragazza per le spalle e la mise in piedi, poi la condusse in un piccolo bagno, dove l'aspettava un'enorme vasca piena d'acqua fino all'orlo.
<< Su entra. >> la incitò. << Io torno subito. >>
La ragazza si spogliò e gettò i vestiti a terra, si guardò allo specchio, osservando la pelle graffiata e sporca.
Si infilò nella vasca e le scappò un sospiro di sollievo quando il piede, e successivamente tutto il corpo, si inebriarono a contatto con l'acqua calda, la ragazza iniziò a sfregare la spugna insaponata sulle braccia, poi sulle gambe e dove vi era più sporcizia, la donna comparve da dietro la porta e con se teneva alcuni prodotti, massaggiò la testa della ragazza, soprattutto sulla nuca e facendo schiuma su buona parte dei capelli.
Qualcosa le sfiorò le spalle, la donna aveva fatto scendere le mani lungo i fianchi, poi verso le cosce e infine sulle braccia. << Sei proprio una bella ragazza. >> ammise, contenta.
La fanciulla arrossì al complimento.
La donna continuò a testare la pelle della ragazza, incuriosita. << Anche se un po troppo pallidina, per i miei gusti. >>
Le pettinò i nodi e strizzò bene i capelli, avvolgendoli in un asciugamano.
La donna buttò i vecchi stracci e ritornò con degli altri abiti.
La ragazza se li mise, non erano proprio nuovi ma conservavano un certo fascino, trovò molto graziosa la gonna rossa, i leggins neri arrivavano alla vita ma erano coperti dalla camicia bianca, per fortuna a maniche corte, si mise i calzini e un paio di scarpe leggere da ginnastica.
<< Perché? >> chiese lei, facendo sussultare la donna. << Perché fa tutto questo? >>
La donna sorrise. << Perché non farlo? >>
Quella frase la colpì, erano semplici ma il significato era profondo, quella bontà nelle parole era indescrivibile.
<< Ha una figlia? >> domandò.
<< Purtroppo non ho avuta la possibilità di averne una tutta mia. >> ripose, il tono leggermente malinconico.
<< Mi chiamo Jessica. >> si presentò.
<< Io sono Amanda Campbell. >>
La donna sgranò gli occhi. << Cos'hai alla schiena? >> disse, toccando i segni sotto le spalle.
La ragazza ebbe un attimo di panico, le disse la prima scusa che ebbe in mente.
La donna la portò dal marito, un uomo alto e robusto, la barba bianca e gli occhi chiarissimi.
<< Cosa? >> disse l'uomo, sorpreso.
Amanda bisbigliò all'orecchio del marito. << Quanti anni hai, figliola? >> chiese, la donna.
<< Sedici. >>
L'uomo sbatté le mani sul tavolo. << Assurdo. >> gridò. << Al generale Evans gli è dato di volta il cervello?! >>
<< Tesoro, calmati. >> mormorò.
<< Mandare una bambina sul campo! >> strillò.

La coppia propose alla ragazza di rimanere ma ella si rifiutò, aveva già un posto dove andare, ma si sarebbe fermata comunque un altro paio di giorni.
La mora sedeva sul letto, davanti alla finestra, osservando rapita il cielo.
Era l'una passata e il sonno l'aveva completamente abbandonata, un'idea gli balenò in mente.
Aprì la finestra e uscì.

 

   
 
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