1.
Put
him in the bed with the captain's daughter
Put him in the bed with the captain's daughter
Put him in the bed with the captain's daughter
Early in the morning
Way
hay and up she rises
Way hay and up she rises
Way hay and up she rises
Early in the morning
That's
what we do with a drunken sailor
That's what we do with a drunken sailor
That's what we do with a drunken sailor
Early in the morning
Way
hay and up she rises
Way hay and up she rises
Way hay and up she rises
Early in the morning
Amava Orleanne.
L’aveva amata prima ancora di
averla vista, quando le era stata solo raccontata, ma dopo avervi fatto
visita
non poteva far altro che alimentare questo suo sentimento.
C’era stato un tempo in cui l’aveva
vista attraverso gli occhi delle sue cugine, un’immagine
onirica lontana, troppo
irreale per essere vera. Tempo addietro le era stato detto che Altieres
ti
riempiva di nostalgia anche senza averla mai vista e ora, respirando
appieno
l’aria frizzante del meridione, non poteva far altro che
pensare a quanto fosse
stata vera quell’affermazione.
Quel giorno il sole si stava
dimostrando più caldo del solito, le lambiva distrattamente
il viso con il suo
tocco rovente penetrando, per quanto potesse, attraverso
l’elegante ombrellino
di finissimo pizzo bianco, accessorio necessario e molto in voga tra le
fanciulle meridionali.
Distrattamente se lo rigirò tra le
mani creando sulla terra arroventata un’ombra ballerina che
oscillava
irrequieta come avesse una propria volontà. Osservandola, un
sorriso
malinconico le si dipinse in volto .
Governare le ombre era una
prerogativa della parte immortale della sua famiglia, discendenti
diretti della
sua antenata Rosa dei Blackmore. L’ombra le ricordava i
momenti in cui stava
accanto a Cain, il suo ritrovato fratello, il quale con un sorriso
furbo si
divertiva a giocare con l’oscurità dei lumi
creando, per puro scherzo, le
figure più bizzarre.
Era stata una sua scelta passare le
Feriae Aestivarum presso la capitale del suo regno. Azzardato, vero. Ma
pensava
di essere in dovere di visitare le sue terre che tanto aveva iniziato
ad amare.
Mandò giù la nostalgia e il senso di colpa per
non aver portato con sè Julian,
pensando solo a godere del poco tempo che ancora aveva prima del
ritorno al
Collegio.
I giorni ad Altieres sembravano non
passare mai, si intercalavano gli astri senza dare
l’impressione che fossero
passati giorni, mesi.
Alla sua destra il mare splendeva,
proiettando sulle sue acque limpide, un caleidoscopio di colori.
Le coste scoscese e irte erano
foderate dalla pungente vegetazione tipica dei paesi caldi,
così sconosciuta
agli occhi di una straniera del nord. Aguzzando lo sguardo era
possibile notare
il via vai dei piccoli pescatori a bordo di modeste scialuppe, le mosse
cicliche, le mani nodose che afferravano con coscienza le reti
controllando
quali frutti il mare e gli dei li avessero concesso.
Riprese il cammino, dondolandosi
sui piedi, lungo il ciottolato.
Gli alberi in fiore facevano bella
mostra di sè sporgendosi da spinosi parapetti delle ville
che li ospitavano.
Fayette ,vista la sua attitudine a
ciarlare smodatamente di una qualunque inezia, aveva riempito i silenzi
durante
le colazioni descrivendole, minuziosamente, piccanti pettegolezzi sulle
dimore
arroccate lungo le coste della Nazione.
A detta sua, l’ubicazione delle suddette case permetteva ai
proprietari di
godere appieno la brezza frizzantina del libeccio,
tant’è che il prezzo delle
abitazioni aveva raggiunto vertici così alti da essere
disponibili solo a chi
effettivamente possedesse un’ingente capitale, come per
esempio ricchi ereditieri
o aventi titoli nobiliari. Alcuni la sceglievano anche come luogo di
villeggiatura, soprattutto erano signorotti delle Nationes
Settentrionali.
Ricordava che un giorno, approfittando
di una delle rare mattinate uggiose, lei e Fay erano uscite dal palazzo
a Ora Media
senza farsi vedere dai cugini, recandosi alla panetteria sul versante
di
ponente degustando in gran segreto il pane appena sfornato. Avevano
passeggiato
senza una meta precisa recandosi di tanto in tanto in qualche bottega
comprando
eleganti vestiti meridionali dai colori vivaci e candidi o piluccando
frutti
esotici dalle bancarelle del mercato cittadino. Infine, prima di fare
ritorno
al palazzo, avevano riempito un elaborato cestino di vimini con dolci
prelibatezze, prodotti tipici dei Mastri Pasticcieri di Orleanne.
Avevano percorso il sentiero a ritroso, ridacchiando saltuariamente del
chiacchiericcio
di alcune cameriere quando Fayette d’un tratto aveva avvolto
il braccio della
cugina con la mano guantata avvicinandosela a sé.
«Vedi quella stamberga?» aveva bisbigliato
con grande confidenza «Ora come avrai notato è
abbandonata ma, anni fa, era un
luogo di sregolato sfarzo»
Sophia aveva osservato con maggior attenzione l’abitazione
che faceva bella
mostra di sé dietro una coltre di rampicanti e erbacce.
«Ho sentito questa storia da una
cameriera, al Collegio. Dice che la proprietaria fosse una giovane
arricchita,
probabilmente grazie all’eredità del defunto
marito, che era talmente
prosperosa da aver chiesto ad ogni Mastro Falegname di costruirle una
carrozza
su misura. In ebano e mogano, se la memoria non mi inganna»
aveva alzato un
sopracciglio sbuffando, poi si era avvicinata ancora di più
alla ragazza «A
quanto si racconta aveva un amante di Salimarr, un marinaio, al quale
intestò
tutto. Ma, un giorno, questo scappò con l’esiguo
bottino lasciando la vedova
sola nella sua dimora.» l’aveva guardata con
insistenza «il giorno dopo la
trovarono morta nel salone d’ingresso ancora abbigliata con
abiti da viaggio.
Dissero che avesse stretto tra le dita un biglietto da viaggio di una
corriera
internazionale.»
Sophia si era ritrovata a deglutire,
guardando con raccapriccio la solare villa tingersi di toni sinistri.
L’incanto
si ruppe quando Fay con teatralità aveva sospirato.
«Un amore vizioso consumato da una
tragedia. Non lo trovi romantico?»
Ricordò di aver stretto la mano
della cugina, di aver tirato un sorriso e di aver proseguito fino alla
dimora
dei Sinclair. Aveva sentito Nanà raccontare una favola
simile alle sue
cuginette Granville, uno spauracchio per bambini, in cui
però la protagonista
si ritrovava ad annegare in mare, vestita da viaggio, dopo aver
maledetto con
una preghiera disperata ogni
marinaio
affiché trovasse perizie nella via verso casa o che non ne
facesse ritorno
alcuno.
*
* *
Si ravvide dai
suoi pensieri quando
una mano delicata la percosse dolcemente.
Alexandria Mayfield ghignò
ravvivandosi i capelli corvini sulla fronte. A quanto pareva,
osservandola con
una certa attenzione, era accaldata come se avesse passato lungo tempo
a
correre o camminare di gran carriera.
«Avete terminato di azzuffarvi?»
«Credo che Justin abbia mal
digerito la notizia che sua cugina, una donna che gli dei ce ne
scampino, abbia
tra le mani un’arma tanto potente che solo Gabriel sinora
possedeva» tubò
melensa mentre con un battito risoluto ricompose il drappo della lunga
gonna
salmone.
Ridacchiò tenendo l’ombrellino
ancora ben issato sopra la sua testa.
Il suo rapporto con Alexandra si
era dimostrato guerrigliero all’inizio. Venute a conoscenza
della sua presenza
al Collegio di Altieres, le cugine Mayfield si erano decise a trovare
ogni mezzo
affinché se ne andasse, chiedendo perfino aiuto agli dei.
Dopo aver quasi
ucciso Fay ed aver condiviso rocambolesche avventure, il loro rapporto
era
andato via via a solidificarsi, facendo capire a Sophia di quanto fosse
bello
avere delle amiche e delle complici.
Ristabilendo Sophia come reggente
della corona di Altieres, non che discendente diretta di Clarisse
Granville, si
erano risvegliati anche i sei
cavalieri
dell’Ordine della Croce tra cui Jerome, cugino e migliore
amico di Gabriel,
Jordan Valdemberg, Julian suo “fratello” e, il caso
volle, anche Alexandria.
Questo fatto non era andato decisamente a genio a Justin che, di
temperamento
più vivace del gemello Drayden, aveva iniziato una serie di
infinite scaramucce
con la suddetta cugina la quale, troppo furba dal farsi fregare, aveva
iniziato
a incassare vincite, alimentando così la gelosia della parte
maschile della sua
famiglia.
«Ma credo sia
terminata oggi. Al
porto stanno allestendo una fiera per festeggiare St. Augustus,
protettore dei
mari meridionali, propiziandosi la pesca per i giorni a venire. I
soldati sono
stati chiamati all’ordine per sorvegliare la zona.»
regalò a Sophia un sorriso
sincero, ammettendo tacitamente un qualcosa che la principessa comprese
solo in
seguito.
Avvampò colorando le gote di un
tenue color pesca, dissimulò il suo imbarazzo con un colpo
di tosse accennato.
C’era Gabriel al porto.
E si era premurato di farglielo
sapere.
«Ora, capirai bene che sia nostro
obbligo renderci presentabili per un’apparizione pubblica.
Vieni, » le porse la
mano, incoraggiandola « andiamo al palazzo, ci cambiamo e i
rechiamo alla fiera
agghindate da vere dame del sud!»
Tirandola lievemente, iniziarono
a correre a perdifiato seguendo la dolce inclinazione del terreno.
Sophia
teneva stretto l’ombrello sottobraccio, la mano posata sul
cappello dalla tesa
larga lo schiacciava lievemente impedendogli la fuga e
l’altra stringeva quella
della cugina. Risero di gusto, sotto lo sguardo curioso dei passanti.
Intanto, il sole si preparava a
tramontare, incorniciato da raggi cremisi. Le luci nei lampioni
iniziavano ad
accendersi, pallidi nella fredda dimora.
*
* *
«Oh
no, Sophia! Quello non è
assolutamente adatto!» esasperata, una mano estrasse
dall’armadio ad angolo un
vestito di elegante pizzo bianco e azzurro «Ecco, questo
penso sia perfetto!
St. Augustus è il protettore del mare, amante del color
turchese della menta
piperita. Quindi, »concluse con voce ferma Fay «sei
perfetta!»
«No, Fay. Credo che questo sia più
elegante» protestò Caroline ondeggiando davanti
agli occhi un abito lungo color
verde acqua «l’abito che le hai proposte tu
è molto sfacciato. E’ una regina, non
una cortigiana di malaffare.»
«Siamo ad Altieres, Caro. Questi
abiti non potrebbe indossarli alla Vecchia Capitale neanche a
desiderarlo. E’
assolutamente perfetto il mio, elegante e
sensuale quanto basta per renderle giustizia.»
«Hai ripetuto perfetto almeno una
decina di volte, Fay» Alexandria alzò lo guardo
dal libro che stava sfogliando
distrattamente, non perdeva mai occasione di redarguire la cugina che,
irritata,
scoccò la lingua al palato.
Sophia era aggrappata alla colonna
del baldacchino, respirando a fatica mentre una cameriera si occupava a
stringere il corsetto. Aveva seguito il battibecco delle cugine
distrattamente,
inspirando l’aria tra i denti, di tanto in tanto, borbottando
esclamazioni poco
consoni a signore e maledicendo tutti gli dei per quella tortura
quotidiana.
Non vedeva già l’ora di tornare in camera, aprire
i lacci anche a costo di
usare un coltello da frutta e di riiniziare a respirare.
«Quindi? Quale scegli?» Caroline
scrutò la ragazza con insistenza.
«Quello bianco di Fay è perfetto»
ringhiò sbuffando.
Terminato di allacciare il corsetto
la cameriera si allontanò dalla stanza con un profondo
inchino, chiudendosi le
porte alle spalle. Fayette gongolante aiutò la cugina a
infilarsi il delicato
vestito aderente, legandole alla vita una gonna a balze color turchese.
L’aiutò
ad acconciale i capelli, slegandole le trecce e fermando i capelli con
qualche
campanula bianca.
«Sfacciata , ecco cosa mi fa
pensare quel vestito. Penso abbiate esagerato, ma poco importa. Fay
risponderà
direttamente a Gabriel se qualche sguardo indiscreto
scorrerà su di te,
cugina.» così, con stizza, Caroline
aggiustò il cappellino color pesca sulla
testa, infilò in guanti e uscì dalla stanza.
Fayette fece un gesto con la mano,
come per dire di non bardarle, e si rimirò allo specchio
un’ultima volta.
«Non darle peso, litigano quando
possono» Alexandria le sorrise incoraggiante.
«Andiamo a mangiare, conosco una
locanda in cui cucinano un ottimo pescato»
Il cielo era spruzzato qua e la da
stelle, piccoli fari luminosi nell’oblio della notte; le vie
di Altieres erano
addobbate a festa: saltimbanchi intrattenevano giovani fanciulle con
giochi di
prestigio, speziali pesavano i sacchettini di iuta su bilance
d’ottone. La
travolsero bambini con il volto coperto da una maschera azzurrina,
facendola
sorridere debolmente. Come le era stato promesso, aveva cenato in una
locanda
chiamata Osteria del Pescatore Matto, un luogo molto conosciuto nella
Nationes
per la freschezza del pesce. Aveva assaggiato tutto un po’,
tenendo lo stomaco
libero per i dolci freddi che i pasticcieri le offrivano alle
bancarelle.
Rassettò le gonne un paio di volte, contorcendosi le mani
ogni volta che
sentiva degli scalpitii di zoccoli alle sue spalle. Aveva visto la sua
scorta
osservarla da una distanza di sicurezza più che congeniale,
si era accorta
anche di Drayden vestito con la giubba nera dell’esercito.
Disinteressata, o almeno così
sperava sembrasse, veleggiò con lo sguardo sopra la folla
chiassosa sperando di
scorgere un viso in particolare.
Vide Jerome, si fissarono negli
occhi per un lungo instante poi, con un inchino rigido, si
allontanò non senza
averle strizzato un occhio.
«Cercavi qualcuno, Sofia?»
Sarcasmo e presunzione la colpirono
allo sterno, facendo pompare il cuore quanto più credeva
potesse fare.
Gabriel Stuart Sinclair fece mostra
di se sorridendo freddo, irrigidendo appena la povera Sophia che, col
cuore che
galoppava, fece un sorriso metà tra lo stupito e il
divertito.
In livrea da comando, era una
visone per gli occhi. Il portamento impeccabile e impertinente, lo
sguardo di
ghiaccio, Gabriel attirava indubbiamente lo sguardo di molti.
«Qualcuno ti ha privata della parola,
principessa trovatella?»
Sophia lo guardò con fierezza,
ghignando impercettibilmente.
«Si, cercavo Jerome. Ma come può
vedere, Capitano Stuart, l’ho trovato»
Impertinente,
diabolica.
«Mia
signora, non vorrei rubarle la
compagnia di Jerome, ma credo, anzi sono certo, che il vostro futuro
sposo sia
un soggetto particolarmente possessivo.»
Gelosia,
fastidio.
Un passo e Gabriel le fu davanti,
poco più di un palmo li separava. Incurante della piccola
folla di curiosi
adunata intorno a loro, Stuart le passò una mano ai lati del
viso, sfiorando le
efelidi sotto gli occhi, poi con naturalezza studiata, le
sistemò una ciocca di
capelli dietro l’orecchio.
«Sofia»
L’accento di Altieres, quella
parlata dedicata solo a lei.
Stare con lui era sempre stata una
contraddizione: dal loro primo incontro aveva capito che un solo suo
tocco le
poteva infliggere un dolore indescrivibile e, nonostante
ciò, si era trovata a
provare un’irrefrenabile necessità di stargli
vicino. Lo aveva imbrogliato,
aveva chiesto l’aiuto degli dei per fargli un incanto
d’amore e poi si era
trovata vittima della sua stessa maledizione. Si era imprigionata da
sola, una preda
in balia del suo carnefice.
Aveva vinto al suo desidero, gli
aveva messo tra le mani il suo cuore, il suo regno. E ora non poteva
vivere
senza di lui.
Si fece coraggio, assottigliando lo
sguardo.
St. Augustus era il santo protettore
del mare e dei marinai, divinità di riguardo nelle Nationes
bagnate dall’Oceano
Meridionale.
Festeggiato in giorni diversi nelle
quattro nationes, il mese che si prestava meglio ai festeggiamenti
giugno ed in
particolare ad Altieres la sera a cavallo
dell’equinozio d’estate, serata
avvolta da un’aura di magia data anche l’importanza
che davano gli altierenses all’inizio della nuova stagione.
Madrina Lala le aveva raccontato la
bellissima tradizione del lancio dei viveri in mare per auspicarsi
raccolti
abbondanti, del falò delle reti per augurarsi il ritorno dal
mare dei marinari
e del vino di mais bevuto al crepuscolo per ingraziarsi il santo
protettore.
Mantenne fermo lo sguardo sebbene distratta
dal tanto rumore che percepiva intorno a lei: musica e risa si levarono
proprio
alla sua destra e le fu impossibile tenere quello sguardo ostile.
«Vieni, ti faccio da guida in
questo trambusto. Devo mostrarti qualcosa» glielo
sussurrò all’orecchio, una
labile ombra ammantata di oscurità alle sue spalle.
Le prese la mano, con delicatezza
la trascinò lungo tutto il porto soffermandosi di tanto in
tanto di fronte a
qualche bancarella scambiando saluti o semplicemente comprandole
qualche
assaggio. Più lei lo guardava e più faticava a
credere che a breve si sarebbero
sposati, le sarebbe appartenuto come lei sarebbe appartenuta a lui.
Gli occhi di Gabriel gridavano al
più cruento dei peccati, grigi e affilati da scatenare
brividi di paura ma anche
di perdizione; era stati quegli occhi a metterla in trappola, quel
sorriso
ellenico, alle volte artefatto, a buttare una scommessa su se stessa
giocando
le carte della vendetta per legarlo a sé.
E lui l’amava.
L’amava a tal punto da diventare
folle per la paura di perderla. Gli era capitato fino troppe volte per
considerarli labili incidenti. Non esistevano coincidenze, gli era
scivolata
dalle mani troppo facilmente che, inconsapevolmente dovette aver
esagerato a
stringerle la mano perché una piccola protesta le
uscì dalle sue labbra.
«Perdonami, moen treseur,
con tutta questa calca e, conoscendo la tua passione per
la fuga, temevo potessi non trovarti più al mio fianco.
»
Tese una mano arpionando i neri
crini di Sophia, un gesto intimo e
spensierato che le strinse il petto in una morsa pungente.
Un colpo di tosse li costrinse a separasi.
Jerome fece un breve inchino a lei
e poi guardò l’amico.
« Diana sta attraccando, Gabriel. »
« Arriviamo»
Li guardò entrambe come se avessero
appena detto che i cavalli si fossero appena alzati in piedi e avessero
giocato
a carte in una taverna. Risero
entrambe
e poi Stuart prese la parola per spiegare “chi”
stesse attraccando.
«A Delamàr, è risaputo, abbiano una
sregolata passione più per le proprie navi che per le donne.
Ad Altieres non
siamo così esagerati, ma portiamo rispetto a chi viaggia per
mare portando viveri
e merce di primo consumo. I marinai allora, vista la lunga assenza
dalle
proprie mogli, iniziarono secoli fa a chiamare le imbarcazioni con nomi
da
donna.» Tirò un sorriso indicando a Sophia un
puntino indefinito posto sul
fianco occidentale del porto. Era indistinguibile tanto fosse piccolo
« Diana è
il primo veliero dell’esercito marittimo di Altieres.
Raggiungiamo gli altri e
andiamo ad accogliere come dei veri sovrani il nostro
esercito.»
*
* *
Quando
sopraggiunsero, era stata
sollevata una passerella di legno che collegava il ponte al molo. Il
puntino
indistinguibile che aveva visto un attimo fa si era trasformato in
un’immensa
imbarcazione dai toni scuri. A prua, precisamente in punta allo scafo,
faceva
mostra di se una figura di donna, con lunghi capelli color fragola e
dai seni
scoperti, che teneva le mani poggiate sul legno della nave.
« Lei è Diana » ghignò
complice Dray
alla sua sinistra, per poi tornare a borbottare qualcosa al gemello che
non si trattenne
dal ridere sguaiatamente.
Si mise al fianco dei suoi parenti
come esigeva l’etichetta e attese.
Iniziarono a scendere alcuni
ragazzi, trasportando barili e casse di legno.
L’esercito marino aveva le divise
di colori forti: i pantaloni erano bianchi con sul lato piccole strisce
blu, la
camicia allacciata con doppio fiocco era anch’essa bianca e
splendeva sulla
giubba blu e rossa.
« Fay ha già trovato la sua anima
gemella. Credo non tarderà a fantasticare il suo futuro
insieme ad un
rispettabile gentiluomo della marina » Sandria le era al
fianco e con
sufficienza guardava la piccolina della famiglia che, tutta agitata, si rassettava con
contegno le gonne
scampanate.
«So che non hai dimestichezza con
questo genere di incontri, come dire, più formali. Ti voglio
dare un piccolo
consiglio quando inizieranno a scendere i marinai china solamente il
capo e
saluta cortesemente il comandate. Al resto penserà
Gabriel.»
Così fece, salutò con capo i
marinai che pian piano si riversavano sul molo, tutti ben eretti e
fieri,
attese solo che scendesse il comandante.
Tenne lo sguardo fisso sulla nave,
quando una risata cristallina ruppe quel ligio silenzio. Era musicale e
roca,
come quando dei bicchieri tintinnavano tra loro. Si alzò
sulle punte, sporgeva
un cappello dai lati ricurvi e un pennacchio che terminava la tesa, la
giubba
aveva attaccate sulle spalle corde intrecciate di color oro che
convergevano all’asola
di metallo al lato del petto.
Era giovane.
Ad un tratto, tentando di sporgersi
ancor di più oltre la spalla di Jerome per vedere meglio,
capitolò in avanti
rompendo la riga composta che aveva formato e, incespicando
rumorosamente sui
suoi piedi per non cadere a terra, trasse a se tutta
l’attenzione degli
osservatori.
Gabriel alzò gli occhi al cielo coprendosi
con una mano un sorriso spontaneo.
Ci fu un silenzio torbido, ora
sembrava esser riuscita ad attira l’interesse del comandante.
Questi alzò di scatto la testa con
un ondeggiare di piume mostrando così a tutti il suo volto.
I crini color
caramello erano una perfetta cornice agli occhi smeraldini. Il viso era
aguzzo
e femmineo, quasi troppo perfetto per appartenere ad un giovane uomo,
portava fieramente
un pizzetto tagliato ad opera d’arte da mani esperte.
Stupita, spalancò gli occhi più del
dovuto.
« Sophia » un risolino elegante,
pronunciato con la dura e aspirata cadenza del nord.
« Philipe? »