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Autore: Manny_chan    06/05/2015    1 recensioni
Per Ahuriel è arrivato il momento che tanto temeva, cominciare ad addestrarsi seriamente.
Le cose si fanno più complicate quando Ismahel, il capitano delle guardie, sembra prenderlo di mira senza motivo...
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Insospettabili Conseguenze'
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Inspira.

Espira.

Ahuriel chiuse gli occhi, lasciando che il proprio potere si snodasse, avvolgendolo nel suo confortante abbraccio.

Sentiva su di sé lo sguardo critico di Soifhe; cercò di ignorarlo, mantenendo la concentrazione.

Il sovrano stava in piedi, appoggiato alla parete, le braccia consente. Era l'ora della verità, voleva vedere con i suoi occhi i progressi del nefilim.

Ahuriel mosse le dita.

Aveva usato molto il suo potere in quelle ultime settimane, nonostante le sue paure.

Paure che si erano rivelate infondate.

Non aveva mai perso il controllo, anzi. Sebbene ammetterlo significasse ammettere anche di aver avuto torto, non poteva che dare atto della cosa a Soifhe.

Aveva ragione.

Usando il suo potere quotidianamente era diventato più facile gestirlo, ora quando lo richiamava non era più quel fiume in piena che irrompeva in ogni fibra del suo essere, ma una marea lenta e placida, docile al suo volere. Era una bella sensazione. Si concentrò ruotando una mano con il palmo verso l'alto. Una luce sfolgorante si raccolse su di essa, quasi come un sole liquido, attorcigliandosi alle sue dita. "Cosa vuoi?", chiese all'angelo.

Soifhe non si perdeva un secondo di quello spettacolo. "Una spada”, disse, senza esitare. “E ricorda cosa ti aspetta se sarà meno che perfetta."

“Smettila di cercare di innervosirmi”, fu la pacata risposta di Ahuriel.
Il sovrano accennò un sorriso.
Sicurezza.
Era stato il primo dei lati del suo carattere a rafforzarsi. Gli rispondeva a tono, ora, e stranamente la cosa non lo irritava affatto, anzi.
La trovava divertente.

Ahuriel lasciò che l'energia prendesse forma, adattandosi al suo volere. Era come respirare, naturale. L'energia si allungò e si contorse docilmente come una creatura viva, obbediente ai desideri del suo padrone. Quando Ahuriel strinse le dita,attorno all'eterea elsa che si era formata, questa divenne improvvisamente solida, così come il resto della spada. Sinuosa, sottile -adatta al suo creatore del resto- bianca e luminosa quasi fosse fatta di avorio e cristallo.

L'angelo si avvicinò, allungando una mano per sfiorarla. “Sorprendente”, ammise.
Ahuriel si rilassò impercettibilmente, accennando un sorriso. “Bella vero?”, mormorò, dolcemente, come se stesse parlando di una creatura viva. Ma in fondo, ormai, per lui era così. Quella cosa dentro di lui, quella luce, quell’energia, era viva. Ed era parte di lui.
Non si era mai sentito così bene in tutta la sua esistenza.

Soifhe annuì, sfiorandola, sentendola solida ed affilata sotto le sue dita. “Devo ammetterlo, mi hai sorpreso”, disse, ritirando la mano. “Ora so che potrai tranquillamente aggiungerti alle reclute delle guardie reali senza farmi fare brutta figura”

Auhriel sbuffò lasciando che la spada si dissolvesse in una miriade di piccole lucciole fino a svanire. “Farò del mio meglio”, mugugnò.

“Sarà meglio”, lo minacciò l'angelo, guardandolo truce, poi si avvicinò ancora, appoggiandogli una mano sul petto. “Qui dentro”, disse serio, “c’è un grande dono. Ho fiducia nel fatto che non lo getterai via per codardia, ora”, disse, sollevando il viso per guardarlo negli occhi. “Forse prima lo avresti fatto, ma so cosa vuol dire imparare a vivere con una serie di emozioni nuove… Prendi in considerazione di fare cose che non avresti mai fatto.”

Il nefilim aggrottò la fronte, ma non disse nulla. A volte Soifhe se ne usciva con quei discorsi sulle emozioni.
Pochi e rari momenti in cui lasciava trasparire una fragilità inaspettata.

Probabilmente lui era l’unica persona con cui poteva essere così sincero.
Avevano legato molto, in quei mesi, nonostante il timore che ancora provava verso il sovrano.
Era un rapporto strano.
Forse anche più profondo di quel che l’angelo aveva con Midgar, senza però sfociare sul piano dell’attrazione fisica. Conoscendone i gusti, non ci teneva proprio.

Ma sapeva che il sovrano non voleva mostrarsi debole con gli altri ma allo stesso tempo sentiva il bisogno di esternare quel che sentiva dentro. E lui era l’unico che avesse un segreto che non doveva essere rivelato con il quale poteva ricattarlo.
Era strano, non riusciva a dare un nome al loro rapporto. Non era amicizia ed allo stesso tempo era qualcosa di molto più profondo.

Sospirò, richiamando il suo potere. “Io posso solo continuare a sperare di non averne bisogno…”, disse, scuotendo la testa.

Soifhe accennò un vago sorriso. “Lo so. Libero di sperarlo. Io sono solo contento di sapere che non dovrò obbligarti con la forza ad usarlo. Che saprai trovare le palle di farlo da solo, se sarà necessario.”
Ahuriel inarcò un sopracciglio, scuotendo piano la testa, quasi divertito da quelle parole. “Hai un po’ troppa fiducia nelle mie palle”, ribatté, a tono. “Molta più di quella che ne ho io.”

Soifhe chiuse il pugno, battendoglielo sul petto con una certa forza. “Stolto”, disse. “Guarda cosa sono riuscito a fare io, sfruttando unicamente la rabbia. Mi sono ripreso un castello. Le emozioni sono potenti, l’ho imparato io stesso da poco… Vedrai…”, aggiunse, sibilino. “Domani mattina comincerai l’addestramento. Puntuale all’alba nel cortile interno, mi raccomando. Ismahel detesta i ritardatari”, concluse, prima di andarsene senza nemmeno salutarlo.
Il nefilim sospirò di nuovo, incamminandosi a sua volta. Non aveva detto nulla per paura di qualche ritorsione o peggio, che l'angelo pensasse bene di motivarlo come l’ultima volta, ma la verità era che si sentiva terribilmente in ansia.  

Certo, doveva addestrarsi, lo sapeva bene.

Probabilmente persino Soifhe stesso conosceva le basi del combattimento. Lui invece zero assoluto, al contrario sicuramente degli altri cadetti.

E poi erano tutti angeli!

Seriamente, a cosa pensava al sovrano quando gli aveva proposto quella cosa?

Sbuffando entrò in camera, senza fare troppo rumore. Tamriel dormiva steso sulla schiena, le coperte scompostamente aggrovigliate in fondo al letto. Sorrise intenerito, spogliandosi e raggiungendolo; afferrò le lenzuola per coprire entrambi.

Il fulvo mugolò sommessamente. "Ahu...?"

"Shh... Dormi, è tardi", mormorò Ahuriel, accarezzandogli una guancia e appoggiando la testa alla sua spalla.

Tamriel aprì un occhio. "Non trattarmi come un bambino", sbuffò contrariato, soffocando uno sbadiglio. "Ma che razza di ore sono?"

"Te l'ho detto, è tardi. Fa silenzio… Domani devo alzarmi all’alba..."

"Ormai passi più tempo con quell’angelo che con me, potrei iniziare ad essere geloso."

Ahuriel sospirò. "Pensa che da domani avrai un intero squadrone di angeli di cui essere geloso.”
“Ecco, questo non lo capisco”, sbottò il fulvo. “Perché deve essere un angelo ad addestrarti e non posso farlo io?”

Il nefilim si strofinò un occhio, con un sospiro accondiscendente. “Perché non saresti in grado di essere obbiettivo”, disse, sollevando il viso per sfiorargli le labbra con le proprie. “Potresti essere troppo indulgente… Oppure il contrario, per paura di essere troppo indulgente potresti diventare troppo esigente… Ammettilo.”

Tamriel lo fissò, risentito. Poi però sospirò, annuendo. “Lo ammetto, è vero… Non so se sarei in grado di prenderti a calci sui denti all’occorrenza”, sbuffò.
Ahuriel rise sommessamente, rannicchiato contro il suo petto. “Visto? Ora lasciami dormire…”, sospirò, esausto…

♢♢♢♢♢♢♢♢♢

 

“Ahu…?”

Il nefilim aprì un occhio, pigramente. “Che c’è?”, sbuffò, tirandosi su, intontito.
“Credo che tu sia in ritardo.”
Improvvisamente sveglio Ahuriel spalncò gli occhi. “Cosa...come?”, tossì, mettendo a fuoco Tamriel, che si stava vestendo.
“Non hai detto che dovevi alzarti all’alba?”, chiese il fulvo, allacciandosi la cintura e facendogli un cenno verso la finestra.
Il castano seguì il suo sguardo.
L’alba non era più tale da un pezzo.
Imprecò tra i denti, incespicando nelle lenzuola per alzarsi. “Grazie tante!”, sbottò irritato all’indirizzo di Tamriel, anche se, poveretto, non aveva colpa. Saltò dentro ai propri vestiti, cercando di districare con le mani i capelli aggrovigliati e catapultandosi fuori dalla stanza.

Perfetto.
Come se non si sentisse già abbastanza a disagio, era pure in ritardo. Gli era balenata l’idea di presentarsi direttamente il mattino successivo, piuttosto che fare la pessima figura del ritardatario.
Ma l’aveva scartata subito.
Soifhe sarebbe stato capace di scuoiarlo vivo se non si fosse presentato.

Raggiunse il portone che dava sul cortile esterno, facendo un profondo respiro prima di aprirlo.
Il secondo successivo fu, in assoluto, il più imbarazzante della sua vita.
Tutti gli angeli nella sala si fermarono.
Qualsiasi cosa stessero facendo smisero, per voltarsi verso di lui.
Strinse la maniglia per costringersi a non fare dietro-front e scappare. Lentamente chiuse il battente dietro di sé.
“Ah… Io…”, mormorò.
“Sei in ritardo.”
Aveva balbettato giusto un paio di sillabe quando venne interrotto di colpo. Trasalì, voltando lo sguardo verso l’angelo che aveva parlato.
Ismahel, il capitano della guardia reale. L’angelo che avrebbe dovuto, su ordine di Soifhe, riformare la guardia. Il che comprendeva addestrare anche lui.

Lo sguardo argentato e severo del capitano esprimeva tutto il suo disappunto.
“Lo so… Mi dispiace…”, cominciò a giustificarsi Ahuriel . “Ma…”
“Non ho intenzione di stare ad ascoltare patetiche scuse, cerca di recuperare il tempo perso”, lo sgridò l’angelo. “E soprattutto, prima di fare qualsiasi altra cosa, raccogli quei capelli.”
“Come…?”
“Ho detto, raccogliti i capelli, devo ripeterlo una terza volta?”
Ahuriel si guardò intorno, confuso. Poi comprese.
Tutti gli angeli presenti avevano i capelli corti, quasi rasati, oppure legati strettamente in trecce o code. Lo stesso Ismahel li portava raccolti in una treccia.
Così come li avevano sempre raccolti Tamriel e Beltane.

Che stupido, pensò, era una cosa così ovvia che i capelli non dovessero intralciare nel combattimento…
Ebbe l’impressione di essere arrossito fino alla punta delle orecchie. “Ch… chiedo scusa”, mormorò, grattandosi la nuca. “Temo di non avere nulla per…”

Non fece in tempo a finire la frase perché Ismahel lo raggiunse, afferrandogli i capelli sulla nuca e dandogli uno strattone, facendogli perdere l’equilibrio e costringendolo ad inginocchiarsi. “Questo è quello che succede, se lasci al tuo avversario un appiglio del genere”, disse, sfilando un pugnale dal fodero che portava alla cintura e calandolo con violenza.
Ahuriel strillò, coprendosi il volto con le mani, in un patetico tentativo di difesa.
Non avvertì alcun dolore però, solo l’allentarsi della stretta di Ismahel e le risatine mal trattenute degli altri angeli.
Sollevò lo sguardo, tremando leggermente, mentre il capitano tornava al suo posto, lasciando cadere per terra la matassa di aggrovigliati capelli che aveva reciso. “La prossima volta ricorda che hai tre secondi per obbedire ad un ordine, demone”, disse, sprezzante.
Ahuriel, che stava ancora cercando di calmare il tremito che lo scuoteva mentre con le dita malferme cercava di sistemare le ciocche irregolari che gli erano scivolate attorno al viso, trasalì.
Demone.
Lo aveva detto con un astio tale da lasciar trasparire tutto il rancore che provava per quella razza.
In quel periodo gli era capitato di avere a che fare con angeli diffidenti, o che evitavano di avere a che fare con i demoni se potevano farne a meno. Ma era la prima volta che incontrava qualcuno di cosi apertamente ostile...

Serrò le labbra con forza. “Ho capito”, disse piano, rialzandosi e guardandolo. “Lo terrò a mente, signore.”

Sostenne lo sguardo dell’angelo, solo per mezzo secondo, prima di distogliere lo sguardo. Non ce la faceva, davvero Soifhe sperava che quattro mesi fossero sufficienti  a cambiarlo? A farlo diventare una persona pronta a essere un guerriero?

Il capitano fece un verso sprezzante. “Prendi uno di quelli”, disse indicando una rastrelliera su cui erano appoggiati alcuni bastoni di legno.
Ahuriel annuì, allontanandosi e facendo quello che gli era stato detto, andando poi ad affiancarsi all'ultimo angelo della fila.

Ismahel a quel punto fece un cenno ad uno degli allievi. "Kail, per cortesia, riporta qui il vecchio Yon, ricominciamo da capo. Ringraziate il vostro ritardatario compagno."

Ci fu un'esplosione di mormorii lamentosi ed insulti tra i denti all'indirizzo di Ahuriel, che tenne ostentatamente lo sguardo fisso davanti a sé.

Un incubo. Quello era un dannato incubo.

Forse aveva ragione Tamriel, quando gli diceva che il problema più grande per lui sarebbe stato doversi relazionare con qualcuno che non fossero i suoi fratelli.

O Takul, aveva aggiunto in un moto di gelosia.

Aveva ragione.

Non aveva la minima idea di cosa fare o dire in situazioni come quella...

Yon si rivelò essere un vecchissimo manichino scheggiato, probabilmente usato per l'addestramento dall'alba dei tempi. Ahuriel notò che sul volto anonimo qualcuno aveva disegnato una faccia con una bocca zannuta e delle orecchie a punta.

Non certo il massimo per metterlo a suo agio. Sembrava quasi crocifisso al supporto di legno che lo manteneva in posizione eretta.

"Va bene", sospirò Ismahel. "La cosa più importante è sempre osservare", disse. "Potete essere i più veloci o i più forti, ma se non sapete osservare, siete morti. La prima cosa da fare quando combattete è riuscire ad individuare i punti deboli, sia dell'avversario stesso, che nelle sue protezioni..."

Si dilungò molto sulla parte teorica, su come tenere coperti i punti vulnerabili, su come prevedere una mossa dell’avversario in base al movimento.

Ahuriel si era aspettato di trovarsi in difficoltà. Aveva avuto per giorni il terrore di essere l’unico a non capire nulla. Invece assimilare i concetti si stava rivelando piuttosto facile…

I demoni hanno il combattimento nel sangue.

Era quello che aveva detto Alasser, quando gli aveva confidato i suoi timori.

“E’ impossibile che tu faccia schifo, Ahu”, gli aveva detto. “I demoni il combattimento lo hanno nel sangue, forse ti troverai in difficoltà all’inizio, non avendo cominciato da piccolo. Però vedrai che ti riprenderai in fretta.”

Insomma, sembravano tutti certi che sarebbe andato benissimo.
Tutti tranne lui.
Sospirò piano, senza perdersi un solo movimento del capitano.
Ismahel aveva abbandonato la posizione iniziale, avvicinandosi alle reclute, in modo da mostrare loro alcune posizioni di guardia e difesa. Quali erano le meno vulnerabili e quali, al contrario, lasciavano troppo scoperti.
C’era qualcosa però che lo disturbava.
O meglio, qualcuno.

Passando davanti ad Ahuriel lo colpì dritto allo stomaco con il bastone che aveva tra le mani, con forza.

Ahuriel non se lo aspettava, la violenza del colpo fu tale che gli cedettero le ginocchia
Si accasciò a terra, tossendo e stringendosi le braccia. “Cazzo…”, mugolò, boccheggiando. Sollevò lo sguardo sul capitano che lo fissava, impassibile.
“Sempre attenti, ho detto, mai abbassare la guardia, a cosa stavi pensando?”, disse l’angelo, severo.
“A niente!”, tossì Ahuriel. “Stavo ascoltando…”, si interruppe quando l’altro gli spine l’asta sotto al mento, facendogli sollevare il viso. “Ascoltare non vuol dire smettere di prestare attenzione a quel che ti sta attorno”, disse, prima di girarsi e rifare lo stesso movimento  per colpire il cadetto affianco, che però strinse il proprio bastone, parando il colpo.
“Visto?”, fu la sarcastica domanda.

Ahuriel si morse il labbro inferiore.
Oh, aveva visto.
Aveva visto benissimo che il colpo dato all'altra recluta era stato molto meno violento di quello che aveva inferto a lui.

“Ho visto, signore”, disse, stringendo i denti e rialzandosi, mentre il capitano riprendeva a camminare.
Non era solo un’impressione, non era paranoico. Quell’angelo ce l’aveva proprio con lui...

 

♢♢♢♢♢♢♢♢♢

 

“Va bene, per oggi basta così!”
Ahuriel abbassò le braccia, sospirando di sollievo. Erano parole che non credeva avrebbe mai più  sentito.

Era stata la giornata più pesante che avesse mai avuto. Avevano passato il resto della mattinata tra teoria e pratica di base, poi avevano fatto una pausa per pranzare e riposarsi.

Gli altri.

Lui invece aveva continuato a colpire il povero fantoccio crocifisso per tutta la pausa perché Ismahel, ancora irritato per il suo ritardo, lo aveva costretto a recuperare il tempo perduto, rinforzando quelle braccine esili - testuali parole che avevano scatenato una serie di battutine e prese in giro tra gli altri angeli- che si ritrovava.

Dopo pranzo si erano presentate le altre reclute, quelle che si addestravano già da qualche mese; Ismahel li aveva divisi in coppie, per farli combattere l'uno contro l'altro.

Niente da ridire sul metodo, battersi contro gente più addestrata serviva a fortificarli e ad evidenziare i loro punti deboli... se solo il capitano non gli avesse assegnato l'angelo più grosso e più capace e maschino di tutto il gruppo.

Non era stato un caso, ne era certo.

Il resto della giornata lo aveva passato a farsi prendere a bastonate peggio del vecchio Yon.

Attese che gli altri angeli sfollassero, non voleva più averci a che fare, almeno per quel giorno, poi si avvicinò zoppicando alle rastrelliere mettendo via il suo bastone.

Si voltò, stancamente, andando a sbattere dritto contro Ismahel, che si era avvicinato.
Non lo aveva proprio sentito arrivare.

“Chiedo scusa”, mormorò sommessamente, oltrepassandolo, sperando che fosse finita lì.
Il capitano però gli afferrò un braccio, trattenendolo. “Non così in fretta”, disse, tirandolo indietro e costringendolo a girarsi.

Cosa?, pensò Ahuriel. Che cosa vuoi ancora da me? Vuoi farmi restare ancora a menare colpi a quel povero fantoccio decrepito per tutta la notte? Scordatelo, io me ne vado!

Pensò quelle parole e basta, limitandosi a guardare l’angelo, in attesa.
Ismahel lo lasciò, socchiudendo gli occhi. “Apri bene le orecchie, tu non mi piaci”, disse. “Non mi piaci tu, non mi piacete voi demoni, non mi piace l’idea di dover addestrare uno di voi. Ma me l’ha ordinato il sovrano, quindi mi tocca tenerti qui.”
Ahuriel indietreggiò di un passo, quasi quelle parole così dirette lo avessero colpito fisicamente. “Grazie per la sincerità…”, mormorò, senza ben sapere che altro dire. “Posso andare ora?”
L’angelo  fece un verso sommesso, quasi una risata beffarda. “Sì, vattene. Volevo solo farti sapere una cosa”, disse, oltrepassandolo. “Io non posso cacciarti senza disubbidire all’ordine del sovrano, ma ti posso assicurare che ti renderò la vita impossibile, finché non sarai tu ad andartene da solo”, disse, lasciandolo lì nel cortile vuoto e andandosene.

Ahuriel si morse il labbro inferiore.
Perché tutto ad un tratto gli anni passati nella prigione invisibile non gli sembravano più così terribili?

Scosse la testa, rientrando a sua volta. Forse non poteva capire la mentalità di chi quella guerra -che lui aveva vissuto marginalmente- l’aveva combattuta dall’inizio, era inutile sbatterci il muso.

Entrando in camera si aspettava di trovare Tamriel, ma non fu così.
Forse era più tardi di quel che pensava e gli altri si erano già ritirati per la cena.
Cena.
Stava letteralmente morendo di fame ma l’unica cosa che voleva davvero in quel momento era buttarsi sul letto e svenire lì, direttamente.

Con un sospiro si sfilò i vestiti impolverati, aprendo la porta del bagno e lasciando scorrere l’acqua bollente per riempire la grande vasca di marmo.
Gli specchi a parete gli restituirono impietosi la sua immagine. Era pieno di lividi, non c’era centimetro del suo corpo che  non fosse coperto di graffi o contusioni. L’angelo con cui era stato messo in coppia era violento e non si faceva intenerire dal fatto che sapesse a malapena tenere in mano il bastone.
La magra consolazione era che, entro un paio d’ore al massimo, sarebbero spariti.
Si avvicinò ad uno dei cristalli con un sospiro, sfiorando con le dita una delle ciocche irregolari che gli circondavano il viso, prendendo finalmente atto di quello che Ismahel aveva fatto quella mattina.
Una lieve scintilla di rabbia gli vece fremere le dita.

Perché era un demone, solo per quello.

Se fosse stato un angelo non lo avrebbe trattato a quel modo.

Era ingiusto, e lo faceva arrabbiare.
Per la prima volta in tutta la sua vita stava lasciando che la rabbia rimanesse nei suoi pensieri, invece che scacciarla come aveva sempre fatto, lasciandosela scivolare addosso.

Rendendosene conto si focalizzò sul suo potere che, placido, non sembrava esserne turbato, a parte un lieve sussulto, di tanto in tanto.
Una piccola nota positiva in quella giornata schifosa, forse aveva finalmente imparato a controllarlo...
Accennando un sorriso stanco si voltò, scivolando con delicatezza nella vasca, imprecando a bassa voce quando l’acqua bollente sfiorò ogni abrasione bruciando come il fuoco; poi chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dal silenzio.

Chissà se era ancora in tempo per la cena…
Si strofinò il viso, lavandosi via la polvere ed il sudore di dosso, valutando di sbrigarsi per raggiungere gli altri.
Solo che…
Sospirò piano.

Si sentiva tremendamente vicino ad un punto di rottura.

Era la stessa identica sensazione che aveva provato decenni prima, quando Tamriel ancora lo odiava e faceva di tutto per umiliarlo e ferirlo.
Era qualcosa che sperava di non dover più provare.

E non aveva Takul da cui rifugiarsi quando le cose sarebbero diventate insostenibili, quella volta.

Uscì dalla vasca, cercando di scacciare quella vaga sensazione di irrequietezza che sembrava essersi annidata nel suo cuore, asciugandosi ed avvolgendosi in una vestaglia di seta.

Si sedette sul letto, lasciandosi cadere all'indietro sul materasso.

Non era giusto...

Aprì di scatto gli occhi, sentendo il rumore della porta che si chiudeva, si era addormentato?
Forse si era assopito per qualche minuto, pensò, strofinandosi gli occhi.

"Ahu?"

Accennò un sorriso, sollevando una mano. "Vieni, sono sveglio", disse, mettendosi a sedere.

Tamriel era proprio quello di cui aveva bisogno in quel momento, voleva rannicchiarsi tra le sue braccia e dormire fino al giorno successivo.

Il fulvo accese la lampada. "Ti ho portato qualcosa da mangiare", disse, appoggiando un vassoio sul comodino, poi lo guardò perplesso. "Ahu?"

"Sì?"

"Hai... Tagliato i capelli?"

Ahuriel sentì distintamente quel filo sottile che era ormai la propria sopportazione, spezzarsi del tutto.

Gli occhi gli si riempirono di lacrime. "Io...", mormorò, tentando di spiegargli, ma un singulto troncò quel balbettio tremulo. Nascose il viso tra le mani, le spalle scosse dai singhiozzi.

Tamriel sgranò gli occhi. "Cosa... Che ho detto?", chiese. "Non... Insomma stai bene ugualmente, non volevo dire.. ", balbettò, riuscendo solo a farlo piangere ancora più forte.

Ahuriel avrebbe voluto dirgli che non era colpa sua. Che non era per i capelli. Non gliene importava nulla dei capelli, ma non riusciva a smettere. Era a come aver aperto le chiuse di una diga e non essere più in grado di richiudere.

Continuò a singhiozzare finché non sentì l'altro uscire, sbattendo la porta.

Ecco, perfetto.
Probabilmente era andato a cercarsi qualcun’altro con cui dormire, visto che lui non sapeva fare altro che frignare, pensò cupo, mentre i singhiozzi si affievolivano lentamente.
Asciugandosi il viso con le maniche, si rannicchiò sul materasso, abbracciando il cuscino. Non sapeva come affrontare la situazione.

Di nuovo si ritrovò a pensare che Tamriel aveva ragione. Non sapeva come gestire i conflitti con gli sconosciuti.

Non erano passati nemmeno cinque minuti che la porta si aprì con una violenza disumana, spaventandolo a morte.  Si mise a sedere di scatto, voltandosi verso la porta.

Soifhe aveva fatto il suo ingresso e lo guardava con profondo disprezzo, le mani sui fianchi. “Mi dicono che ti stai piangendo addosso come una ragazzina. E io che speravo di averti motivato abbastanza!”, esclamò.

Ahuriel non gli rispose, era meglio non accettare provocazioni da un sovrano incazzato.

Si limitò a tirare su col naso, massaggiandosi la fronte con la punta delle dita. "Non ci credo", sospirò. "Tamriel è venuto a fare la spia a te?"

"Chi quello?", sbuffò Soifhe. "Figurati, nemmeno con le peggiori torture potrei convincerlo a fare la spia su di te. Non che serva in realtà, basta il suo istinto di protezione", commentò annoiato. "Ha fatto irruzione in camera mia pretendendo di sapere che cosa diamine ti avessi fatto fare per ridurti in quello stato e che col cavolo che mi avrebbe lasciato continuare a sfruttarti per qualsiasi cosa stessi facendo. Interrompendo un momento decisamente intimo, oltretutto", aggiunse, facendo fremere le ali per l'indignazione.

Il nefilim impallidì. "Ed è...", balbettò.

"Oh, tranquillo, respirava ancora quando l'ho lasciato. Anzi, rantolava, per la precisione. E visto che Midgar è incatenato al mio letto e non lo può aiutare, direi che abbiamo almeno mezz'ora di tranquillità, prima che riesca a rialzarsi e arrancare fino a qua. Anche se vorrei sbrigarmela prima, quindi vedi di venire in fretta", rispose sbrigativo il sovrano, avvicinandosi deciso.

"Cosa... No asp...!", balbettò Ahuriel, ritraendosi al centro del materasso. "Non puoi risolvere qualsiasi cosa così, maledizione!", esclamò, avvampando.
“L’ultima volta ha funzionato”, rispose placido Soifhe, facendo scrocchiare rumorosamente le dita. “Non vedo perché cambiare. Preferisci la frusta? Vado a prenderla subito.”
Il castano sospirò stancamente, scuotendo la testa. “Pensare che posso avere un sacco di altri motivi per stare così, prima di fare irruzione in camera mia, magari sarebbe una valida alternativa”, disse, strofinandosi un’occhio. “La tua scenata è stata quantomeno inutile dato che non mi sembra di aver mai espresso di persona l’intenzione di disertare i tuoi ordini.”

“Quindi non stavi frignando come una ragazzina?”
“Cosa… io… che c’entra quello?!”
Soifhe scosse la testa, avvicinandosi ed afferrandolo per un polso. “Vieni”, disse, dandogli uno strattone e facendolo quasi ribaltare giù dal letto. “Ora, o tu stai cercando di sfangartela assecondandomi, oppure il tuo cagnolino fulvo ha capito quel che voleva capire, perché ti assicuro che ha fatto in tempo a fare una scenata molto ricca di dettagli sul fatto che mi aspetto troppo da te e che ti sto spremendo troppo. Quindi, rinfrescati le idee e ricomincia da capo”, sibilò, il viso a pochi centimetri da quello del nefilim. “Chiaro e conciso”, aggiunse, lasciandolo ed incrociando le braccia.

Ahuriel si ritrasse, massaggiandosi il polso. “Davvero Tamriel ha detto così?”, chiese, aggrottando la fronte.
“Testuali parole. Vuoi dagli torto?”, fu la laconica risposta del sovrano.
Il costano scosse piano la testa. “No…”, ammise.

Sospettava che Tamriel lo vedesse come un ragazzino delicato e senza la minima possibilità di riuscire in quell’impresa, ma sentirselo sbattere in faccia così…

Sospirò, scrollando le spalle. “Ismahel mi odia”, disse, scuotendo la testa.

“Sei riuscito a farti odiare da Ismahel dopo solo un giorno? Credo sia un record”, Soifhe parve colpito. “Che cosa gli hai fatto?”, aggiunse, curioso, avvicinandosi e sedendosi sul bordo del letto.

“Io non gli ho fatto nulla!”, protestò debolmente Ahuriel. “Lui odia i demoni. Li odia proprio. non vuole che io stia lì”, disse, raccontandogli per filo e per segno tutta quella terribile ed infinita giornata.
“Io non vorrei arrendermi”, concluse. “Ma l’idea di passare solo un’altro giorno così… mi toglie il respiro. E’ come se mi mancasse l’ossigeno…”, sospirò.

Ci fu quasi un minuto di profondo silenzio, dopo quelle parole.

"Sei una delusione", disse ad un tratto Soifhe, acido. "Pensavo che avessi smesso di tremare come un coniglio spaventato per ogni minima cosa, e invece stai ancora piangendoti addosso perché ti spaventa l’idea di essere preso di mira? Non può farti male fisicamente, sa che sei prezioso per me, quindi non so proprio di cosa hai paura. Sei proprio un vigliacco."

Ahuriel scosse la testa. "Non è così... Non è semplice paura, è un malessere più profondo l'essere odiati per qualcosa su cui non si ha scelta. Ci sono già passato con Tamriel, che ha passato anni ad odiarmi perché non avevo mai conosciuto la libertà e non potevo rimpiangerla."

Lo sguardo vacuo del sovrano gli comunicò che le sue parole non gli rievocavano alcuna sensazione, tranne il disprezzo, doveva immaginarselo...

"È inutile provare a spiegartelo, non hai mai saputo nemmeno cosa fosse, la paura, figurati quando mai riuscirai a comprenderne le sfumature."

Il silenzio che seguì quell'affermazione gli lasciò intuire che forse aveva tirato troppo la corda. Sentì lo stomaco annodarsi per il terrore. A parte Midgar era l'unico a cui Soifhe avesse confidato quella cosa, ritirarla contro di lui poteva avere conseguenze molto dolorose. Fisicamente dolorose.

Eppure in fondo in fondo rimaneva la meschina soddisfazione di averlo fatto tacere.

Chiuse gli occhi aspettando un dolore che però non arrivò.

"Però", commentò l'angelo, invece. "Vedo che almeno hai imparato in fretta a colpire basso."

Ahuriel si morse il labbro inferiore, mentre quel vago senso di vittoria veniva spento dalla vergogna. “Scusa”, mormorò, stringendo il lenzuolo tra le dita. “Non dovevo… e non so come farti capire come mi sento. Non so nemmeno perché…”

“Perché ti odi?”, lo interruppe Soifhe. “Probabilmente perché ha perso l’intera famiglia durante la guerra.”
“Cosa?”
“Ismahel l’ha combattuta praticamente fin dall’inizio, quando è finita aveva perso praticamente tutte le persone che amava.”
“E non pensi che questa informazione avresti dovuto darmela prima?”, sospirò Ahuriel

“Non vedo perché”, rispose tranquillamente il sovrano. “Non avevo idea che fosse un tipo così rancoroso.” sbuffò, lasciandosi cadere sul materasso e stiracchiandosi. "Allora, cosa vuoi che faccia? Ti ho assegnato a Ismahel perché è il miglior guerriero in circolazione, ma se ogni sera devo venire interrotto dal tuo cane da guardia perché sei in crisi allora troverò qualcun altro."

Ahuriel aggrottò la fronte.

Per un attimo fu tentato di accettare.

Aveva in programma di pregare il sovrano in ginocchio, di strisciare persino, purché gli concedesse di non avere più nulla a che fare con Ismahel; in quel momento Soifhe gli stava offrendo quel l'opportunità senza ritorsioni e senza chiedergli nulla in cambio, sarebbe stato folle rifiutare.
Eppure qualcosa nel profondo del suo animo lo spingeva a dire di no; una scintilla minuscola di orgoglio -emozione che prima di allora non aveva mai provato- divampò all’improvviso. L'idea di darla vinta ad Ismahel gli procurava un fastidio quasi maggiore al disagio che gli dava l'idea di continuare a vederlo per chissà quanto tempo.

“No”, disse infine. “Posso farcela”, mormorò. Non era sicuro neanche lui di quelle parole, però sicuramente ci avrebbe provato; non voleva darla vinta al capitano non sarebbe stato lui a cedere.

Soifhe accennò una risata sommessa. “Finalmente inizi a darmi soddisfazione!”, esclamò. “Iniziavo a credere che fossi un caso perso!”

Si alzò scuotendo le grandi ali.”Te l'ho detto, sei prezioso per me, quindi potrei anche concederti qualche indulgenza... Ma dimostrami che sei diventato finalmente il guerriero che voglio e non avrai più bisogno di chiederne. Potrai fare quello che ti pare", disse, lasciandolo solo, senza aspettare una risposta e senza salutare, come al solito.

Ahuriel accennò un sorriso, cercando di scacciare la sensazione di aver appena buttato al vento un offerta che non sarebbe più capita.

Sospirò esasperato quando qualcuno bussò alla porta di nuovo; iniziava ad essere davvero stanco, voleva solo andare a dormire.

Si alzò per andare ad aprire, ritrovandosi davanti Tamriel che crollò letteralmente tra le sue braccia. Indietreggiò, colto alla sprovvista, e incespicò finendo per perdere l'equilibrio, cadendo sul pavimento.

Come se non fosse già abbastanza dolorante.

"Tam... Che diamine”, si lamentò debolmente. "Stai bene?"

Il fulvo uggiolò piano, annuendo con poca convinzione.

Ahuriel sospirò, mettendosi a sedere e tirandosi su, trascinandolo poi fino al letto e scaricandocelo con malgrazia. “Razza di sconsiderato”, sbuffò.

“Non c'è di che… non ringraziarmi eh…”. mormorò piano Tamriel rotolando sulla schiena e coprendosi gli occhi con un braccio.

“Dico sul serio”, lo rimbeccò Ahuriel. "Sai perfettamente cosa succede a fare arrabbiare Soifhe", lo sgridò, azzannando quasi con ferocia il cibo ormai freddo che era rimasto sul comodino.

Il fulvo non rispose. Trascinarsi fino a lì gli era costato uno sforzo sovrumano.

Ahuriel lo ignorò, dedicandosi completamente a mangiare, spazzolando tutto in pochi minuti, un po' per il nervoso, un po' per la fame tremenda che si era risvegliata. Quando ebbe finito si spostò all'indietro, sul materasso, sdraiandosi accanto a Tamriel, senza però sfiorarlo in alcun modo.

Dopo qualche secondo il fulvo aprì un occhio, guardandolo perplesso

"Che ho fatto ora? Posso anche accettare di venire dopo il cibo, ma in quanto ferito di guerra credo di aver diritto a qualche coccola..."

"Davvero pensi che non sia in grado di fare nulla da solo?!", lo interruppe bruscamente Ahuriel. "Io....apprezzo di poter contare su di te”, aggiunse, in tono più dolce. “Ma è davvero così poca la fiducia che hai in me?"

Tamriel aggrottò la fronte. "Ah, è per quello, quindi", sospirò. "Te l'ha detto."

"Sì, me lo ha detto"

"Ho capito... Senti, non te lo avrei mai detto in faccia, d'accordo? Io non voglio che quello stronzo piumato ti rigiri come vuole solo perché hai paura di lui".

Ahuriel gli appoggiò un dito alle labbra. "Oh, sta zitto", mormorò. "Stai solo peggiorando la tua posizione", disse, dandogli le spalle. "Sono io a voler fare questa cosa... E andrò fino in fondo, vedrai."

Nonostante fosse irritato non oppose resistenza quando Tamriel gli circondò la vita con un braccio, baciandogli la nuca.

"Vedrai...", ripeté.

 

♢♢♢♢♢♢♢♢♢

 

Non ci fu un solo minuto, dei giorni successivi, in cui Ahuriel non rimpianse amaramente l'aver rifiutato la proposta di Soifhe.

Eppure ogni volta che finiva a terra e pensava di arrendersi, di tornare strisciando dal sovrano, qualcosa lo bloccava.

Da una parte la fiducia che l'angelo aveva riposto in lui quando persino Tamriel credeva non fosse in grado di farcela, dall'altra la rabbia.

Non voleva darla vinta ad Ismahel che ogni giorno trovava un nuovo modo per umiliarlo e massacrarlo.

Era quello che lo spingeva a rialzarsi, ogni volta.

E di nuovo.

Anche quella volta si rialzò, appoggiandosi al bastone, sputando una boccata di sangue e saliva. Aveva perso il conto delle volte che era stato atterrato quella mattina.

Il suo avversario non sembrava per nulla dispiaciuto, anzi. Il Nefilim era certo che l'avesse fatta apposta colpirlo dritto sui denti.

"Stronzo", sibilò, tornando ad attaccarlo.

Si era fatto più veloce. Più forte, eppure continuava a  rimanere sempre più lento e goffo di tutti gli altri.

Per quello rimase un attimo sorpreso quando. Dopo aver parato un attacco, riuscì a contrattaccare, atterrando il cadetto.

Normalmente avrebbe abbassato l'arma.

Normalmente.

Ma si sentiva così frustrato, così nervoso per tutto quello che giornalmente era costretto a subire, che quell'occasione di rivalsa non riuscì a lasciarsela scappare.

Sollevò il bastone sopra la testa, calandolo con forza, mentre l'angelo cercava di difendersi, coprendosi il viso con le braccia.

Avvertì distintamente il rumore di qualcosa - probabilmente le ossa dell'avversario - che si incrinava, ma non bastò a fermarlo. Sollevò nuovamente le braccia per colpirlo ancora, ma incontrò un ostacolo.

Il bastone gli venne strappato di mano.

Si girò, per rivoltarsi contro chi gli stava impedendo di prendersi la sua rivincita, ma qualcosa lo colpì dritto in faccia con tanta forza da fargli vedere le stelle, letteralmente.

Crollò sul pavimento, una mano premuta sul viso, l'altra goffamente sollevata per parare altri colpi, che però non arrivarono.

Ismahel gettò il bastone a terra. “Cane rabbioso”, sibilò irritato. “Non si colpisce mai un avversario a terra!”

Ahuriel abbassò lentamente le braccia, digrignando i denti. Un ringhio basso gli sfuggì dalle labbra, tanto era furioso in quel momento. “Non è quello che ho imparato”, sibilò. “Ma suppongo che per gli angeli valgano regole diverse, come sempre!”

Il capitano si avvicinò, prendendolo per il colletto della maglia e facendolo rialzare. “Ne ho abbastanza di averti sotto gli occhi”, disse, spingendolo via. “Vattene. Non azzardarti a farti rivedere qui.”

Il nefilim incurvò leggermente le labbra, pervaso da un vago senso di vittoria. “Non puoi cacciarmi”, disse, in un tono così sarcastico che sorprese persino sé stesso. “Soifhe ha dato ordini precisi, non puoi cacciarmi.”
“Non pronunciare il nome del sovrano con tanta familiarità, demone.”
“Pronuncio quel che voglio come voglio. Penso tu abbia dimenticato che non c’è più un solo sovrano a cui devi portare rispetto. Alasser. Il signore della morte. Mio fratello.”

Un silenzio improvviso calò nel cortile.

Nessuno mai, nemmeno il sovrano in persona, aveva mai risposto al capitano con quel tono.

Per un lungo istante Ismahel si limitò a fissarlo, poi accennò un sorriso tirato. “Molto bene, principe”, disse sputando l’ultima parola nella maniera più dispregiativa possibile. “Voi, andate, per oggi abbiamo finito”, disse agli angeli. “Tu invece”, disse ad Ahuriel, spingendo il bastone verso di lui con un calcio. “Resterai qui per una sessione di allenamento extra”, disse, poco rassicurante, facendo scrocchiare rumorosamente le nocche.

Il nefilim si morse il labbro inferiore, nervoso. Aveva esagerato, lo riconosceva anche lui.
Capiva finalmente le parole di Soifhe sul quanto sia difficile tenere a bada le emozioni nuove, sul fatto che ti rendevano meno cauto. Quasi incosciente.

Raccolse il bastone da terra. “Cosa c’è, vuoi massacrarmi finché non sarò io a gettare la spugna?”, chiese lugubre.
“L’idea è quella”, fu la risposta schietta di Ismahel, che si rimboccò le maniche, afferrando a sua volta un’arma.

Ahuriel strinse i denti con forza. Sfumato il vago senso di euforia che gli aveva dato rinfacciargli di non poterlo cacciare, rimaneva solo il solito, vecchio, malessere. Fece un sospiro profondo. “Non servirebbe chiedere scusa, immagino”, disse, indietreggiando poi di scatto quando l’angelo fece un passo avanti, per colpirlo. Sollevò le braccia, parando il colpo che però fu talmente violento da fargli risalire una scossa lungo le braccia, fino ai gomiti. Imprecò debolmente, perdendo la presa sul bastone e ricevendo in pieno il secondo colpo, dritto nello stomacò.
Crollò a terra, la vista offuscata e il respiro affannoso. Sollevò un braccio, come a cercare di difendersi. Ismahel però non infierì, si limitò a calciare nuovamente il bastone accanto a lui. “Rialzati”, disse. “Non me ne faccio nulla delle scuse di un demone.”

Ahuriel tossì debolmente. “Non valgono né più né meno di quelle di qualsiasi altro”, sibilò, afferrando il bastone e rialzandosi, attaccando lui per primo quella volta.

 

♢♢♢♢♢♢♢♢♢

 

Non aveva idea di quanto tempo fosse passato, aveva perso il conto persino delle volte che era finito a terra.

L’unica cosa di cui aveva davvero coscienza era il sapore del sangue e della polvere che gli impastavano la bocca e del proprio respiro spezzato.

“Alzati.”
La voce di Ismahel gli giunse lontana, ovattata, coperta dal ronzio che aveva nelle orecchie.
Che diamine, si era messo in testa di ammazzarlo?
Rantolò qualcosa di incomprensibile, scuotendo piano la testa.
Avvertì, più che vedere, l’angelo allontanarsi, forse lo aveva impietosito.
Lentamente si mise a sedere, sbattendo le palpebre per cercare di snebbiare la vista.
Ismahel tornò da lui, osservandolo con disprezzo. Lo afferrò per un braccio, tirandolo in piedi. “Puoi anche tornare, domani”, disse, lasciandolo. “Ma sappi che se lo fai sarò io il tuo avversario. Il sovrano mi ha detto di addestrarti? Io obbedirò. Lo farò personalmente. Quella di oggi ti sembrerà una passeggiata, in confronto.”
Ahuriel si morse il labbro inferiore, sentendo un’improvvisa voglia di piangere. “Ma che cavolo ti ho fatto, eh?!”, esclamò; poteva anche capire l’odio verso i demoni, ma la cattiveria con cui si stava accanendo su di lui era qualcosa che non riusciva a comprendere.

“Te l’ho detto, non mi piacciono i demoni. Il sovrano, il il mio unico sovrano” -rettificò- “evidentemente è più lungimirante di me e vede qualcosa di buono in tutto questo, ma se fosse per me…”

“Chi hai perso?”
“...come?”
Ahuriel strinse nervosamente i pugni. “Chi hai perso di così importante da portare rancore in questo modo così distruttivo?”

Ismahel socchiuse gli occhi. “Stai addentrandoti in un terreno molto pericoloso, demone!”
“Ahuriel!”, ribatté a quel punto il nefilim. “Il mio nome è Ahuriel!”
Aveva alzato la voce senza volerlo, la sua sopportazione era ai minimi termini.

Al contrario il capitano non fece una piega. “Conosco il tuo nome”, disse freddo. “Così come conosco quello di tuo fratello, Alasser. Così come conosco fin troppo bene quello di vostro padre”, disse. “Vuoi sapere chi ho perso? Mia moglie e mio figlio, ecco chi ho perso. Quando tuo padre, per cercare di riequilibrare le sorti dopo che il nostro sovrano aveva ridotto drasticamente il vostro numero, finse di volersi arrendere e chiese di parlamentare con gli ambasciatori. Nonostante il sovrano non fosse d’accordo ci fu un gruppo di diplomatici che volle comunque andare. Perché in quell’occasione vedevano il miraggio della fine di una guerra durata fin troppo. Mia moglie e mio figlio erano tra quelli.”
Il volto del capitano era impassibile, freddo, ma il tono della sua voce tradiva l’incertezza ed il dolore che quei ricordi gli provocavano. Si avvicinò al demone, afferrandogli il viso e avvicinando le labbra al suo orecchio. “Ci massacrarono tutti non appena messo piede nel palazzo reale. Non so nemmeno come riuscii a sopravvivere e a fuggire, ma fui l’unico. Non risparmiarono nessuno. Ma tu dovresti saperlo, immagino che questa cosa fosse stata pianificata e successivamente decantata con molto entusiasmo.  La rivincita del signore della morte…”

Ahuriel non rispose, le sue dita ebbero uno spasmo nervoso, mentre una sensazione di gelo improvviso gli scivolava lungo la spina dorsale. “Non…”, biascicò, la bocca improvvisamente asciutta. “Non ero ancora nato quando è successo.”
“Oh beh, immagino comunque che se ne sia parlato per anni.”

“In un certo senso…”
Ismahel lo lasciò andare, scuotendo la testa. “Ne ho abbastanza”, mormorò tra sé e sé, oltrepassandolo per andarsene. Ogni volta che vedeva uno di loro, uno dei reali dell’apocalisse, quei ricordi tornavano ad abbracciarlo, ricoperti di spine acuminate.

Ahuriel chiuse gli occhi, tremando lievemente, i pensieri che sembravano turbinare ad una velocità tale da fargli venie la nausea.

Stai zitto, gli diceva il suo istinto. Lascia le cose come stanno.

Dall’altra però una seconda voce, lo spingeva ad andare fino in fondo a quella storia. A tentare di completare finalmente quel tassello vuoto che c’era nella sua vita da decenni…
“Però…”, mormorò, esitante. “Dici di odiare i demoni, ma per scappare ti ha fatto comodo andarci a letto, con una…”
Forse non era la scelta di parole più giusta, pensò, una frazione di secondo dopo, quando qualcosa lo colpì alla schiena con tanta violenza da farlo finire a terra. Fece per girarsi ma Ismahel gli piombò addosso, tenendolo giù ed afferrandogli i capelli, facendogli inarcare il collo.

“Con chi hai parlato?!”, sibilò l’angelo, la voce distorta dalla rabbia. Gli strinse l’altra mano attorno alla gola, dandogli uno strattone, per fargli capire che non stava scherzando. “Chi te l’ha detto? Con chi hai parlato, dimmelo!”

Ahuriel annaspò, aggrappandosi al suo braccio. “Mi..”, esitò. Non era del tutto sicuro che fosse una buona idea essere del tutto sincero. Ma ormai era troppo tardi per avere ripensamenti. “Mia madre…”, rantolò. “Me lo ha detto mia madre!”

“Tua…”

“Era appena… diventata la terza moglie del signore della morte…”

Ismahel lo lasciò andare di scatto, alzandosi ed indietreggiando, il respiro veloce ed affannoso. Scosse la testa, come se stesse cercando di ignorare qualcosa che invece era lampante. “Tu non eri…?”
“Non ero ancora nato”, mormorò Ahuriel, massaggiandosi il collo e rialzandosi, sulle gambe malferme. “E se te lo stai chiedendo… L’unico signore della morte che ho mai conosciuto è stato Alasser, il precedente è morto poco prima della mia nascita.”

Ci fu un lungo, lunghissimo istante di silenzio, rotto solo dal respiro pesante di entrambi.
Poi Ismahel lo raggiunse, afferrandogli il viso e facendoglielo sollevare con malgrazia, ignorando il debole gemito di protesta del castano.

Era lì.

La conferma di tutto.

La conferma di tutto quello che era stato detto in quel lasso di tempo che pareva irreale, quasi una bolla sospesa, distaccata da tutto il resto.
Gli occhi di quel giovane demone che mai, dall’inizio dell’addestramento, aveva davvero guardato in faccia.
Lo lasciò andare di colpo, quasi quell’ultima conferma lo avesse colpito fisicamente. “Tu…”

“Cosa sta succedendo qui?”

Ahuriel trasalì, la voce di Tamriel rimbombò per tutto il cortile.

Aveva perso la cognizione del tempo, probabilmente l’altro era venuto a cercarlo.
Si voltò verso di lui, allontanandosi da Ismahel e correndogli incontro. Fortunatamente sembrava appena arrivato, doveva aver assistito solo all’ultima scena…
Il fulvo lo prese per mano, tirandolo dietro di sé. “Non ho idea di cosa tu stessi facendo”, ringhiò all’indirizzo di Ismahel. “Ma non ti azzardare mai più a toccare mio fratello a quel modo, o dovranno raccattare i tuoi brandelli per tutto il cortile, sono stato chiaro?!”

Ismahel lo guardò, come se non lo vedesse davvero.
Sembrò volesse dire qualcosa, ma Ahuriel, preso dal panico, diede uno strattone al fulvo. “Andiamo via Tam, vieni!”, disse, con un tono che rasentava l’isterico.
Tamriel, incespicò colto alla sprovvista. “Va bene, va bene, sta calmo”, disse, lanciando un’ultima occhiataccia all’angelo e circondando le spalle del castano con un braccio, rientrando. “Che voleva quello da te?” , sbottò.

Ahuriel scosse la testa. “Lascia perdere… ti prego”, mormorò.

I corridoi erano deserti, doveva essere davvero tardi. Fortunatamente il fulvo sembrava volergli concedere un po’ di calma, perché non disse nulla finchè non furono in camera.
“Tu, da quello non ci torni”, sentenziò infine, chiudendosi la porta alle spalle.
“Non rientrava nei miei piani farlo…”, mugugnò Ahuriel, sedendosi sul bordo del letto.

Tamriel camminò avanti ed indietro per un po’, cercando di scaricare il nervoso. “Odio quando gli altri ti mettono le mani addosso”, borbottava, tra un’imprecazione e l’altra. Alla fine si fermò, afferrando il bordo della maglia dell’altro e sfilandogliela con malgrazia. “A letto, forza”, intimò.

Il nefilim, colto alla sprovvista, non riuscì minimamente ad opporsi. “Ma cosa…? Ma ti sembra la maniera?”, protestò, sfilandosi però i pantaloni e rifugiandosi sotto le lenzuola senza protestare. Si spalmò sul petto del fulvo, quando questii lo raggiunse. “Grazie per essere venuto a recuperarmi…”, mormorò. Chiuse gli occhi, cercando di non lasciarsi soffocare dall’ansia che, a mente fredda, iniziava a serpeggiare tra i suoi pensieri. Fino a quel momento Soifhe era stato l’unico a conoscere il suo segreto, si fidava di lui e sapeva che lo avrebbe tenuto per sé.

Ma Ismahel?

“Vuoi parlare?”

Ahuriel sollevò la testa, scuotendola. “No, davvero non è nulla… Solo che non sono così forte come mi sarebbe piaciuto credere…”
Tamriel gli accarezzò una guancia, con delicatezza. “Ahu, se volevi dimostrarmi che mi sbagliavo, ci sei riuscito alla grande”, disse, accarezzandogli i capelli. “Sono settimane che torni in camera che a malapena ti reggi in piedi. Forse pensi che non veda i lividi che hai addosso, ma non è così. Chiunque avrebbe gettato la spugna molto prima di te”, disse, convinto che fosse quello il problema. Ahuriel glielo lasciò credere accennando un sorriso stanco e tornando ad appoggiare la testa contro al suo petto. “Grazie”, sussurrò.
Il fulvo non rispose, si limitò a stringerlo, accarezzandogli i capelli finchè non lo sentì addormentarsi.

 

♢♢♢♢♢♢♢♢♢

 

La mattina successiva Ahuriel dormì fino a tardi, lasciandosi coccolare da Tamriel che sembrava deciso ad assicurarsi che nulla turbasse il suo animo.
Gli aveva persino proposto di fare un giro al bazar della città, così, per distrarsi un po’.
Ahuriel sospirò piano, mentre si vestiva per raggiungerlo. Era forse la prima volta che usciva da palazzo, se ne rendeva conto solo in quel momento. Si era autorecluso lì, un po’ spaventato dall’enorme prospettiva della libertà, un po’ perché, da quando Soifhe lo aveva motivato a lavorare sui suoi poteri, non aveva avuto praticamente un solo minuto libero.

Ci voleva, si disse.
Era talmente immerso nei suoi pensieri che il lieve bussare alla porta lo fece sobbalzare. Ci aveva messo così tanto che Tamriel aveva deciso di tornare a cercarlo?
Probabile; gli aveva detto cinque minuti, ma era ormai mezz’ora che temporeggiava.
Sospirò, andando ad aprire. “Guarda che stavo arrivan…”, si bloccò quando nell’aprire la porta si trovò davanti Ismahel.
Il suo primo istinto fu di richiuderla, ma il capitano fu più veloce. Fece un passo avanti, costringendolo ad indietreggiare, poi si chiuse la porta alle spalle, limitandosi ad osservarlo.
Ahuriel si tormentò nervosamente una manica, stringendo i pugni. “Che cosa vuoi?”, sbottò infine.
“Non ti sei presentato all’addestramento, stamattina.”
“Davvero ti aspettavi che lo facessi?”

Ismahel incrociò le braccia. "No, effettivamente no, ma dobbiamo parlare", disse. "Se davvero sei mio..."

"No!", esclamò Ahuriel allarmato, interrompendolo. "Non qui... Non qui...", mormorò, fissando la porta alle sue spalle. Non con Tamriel che poteva rientrare da un momento all'altro.

L'angelo inarcò un sopracciglio, seguendo il suo sguardo. "Capisco...", disse infine. "Nella mia stanza allora, questa notte. È facile trovarla, è l'ultima in fondo, nel primo corridoio”, disse, in un tono che non ammetteva repliche,

Ahuriel, per quanto quell’ordine suonasse spaventoso annuì timidamente, qualsiasi cosa pur di mandarlo via.
Quasi lo avesse evocato, un attimo dopo, Tamriel entrò in camera, spazientito.

"Ehi Ahu, va bene che ti ho detto di fare con calma, ma a tutto c’è un limite...", si fermò, rendendosi conto che c'era anche il capitano.

Scoprì le zanne, minaccioso, raggiungendo il castano. "Che cosa ci fa lui qui?"

Ahuriel gli appoggiò una mano sul braccio, per cercare di calmarlo. L'ultima cosa che voleva era una zuffa...

"Stava andando via", mormorò, pregando intensamente che l’angelo lo facesse senza aggiungere altro.

Ismahel aveva fissato Tamriel senza fare una piega, spostò lo sguardo su Ahuriel. "Farai meglio a venire", disse, il tono calmo conteneva una velata minaccia.

"Vai a farti fottere", sbottò a quel punto il fulvo, ignorando la stretta disperata del fratello sul suo braccio. "Ahu fa quel cazzo che vuole! È uno dei principi dell'Apocalisse, quindi col cazzo che prende ordini da un fottuto angelo con un palo di legno infilato su per il culo! Se non vuole più venire a quello schifo di addestramento non sarai certo tu a doverlo costringere!"

Ismahel inarcò un sopracciglio, poi incurvò impercettibilmente le labbra come se Tamriel non fosse altro che un buffo animaletto

Lanciò ad Ahuriel, che nel frattempo era impallidito quasi fosse sul punto di svenire, un occhiata di intesa, prima di voltare loro le spalle ed andarsene.

"Stronzo...", sbottò il fulvo, scuotendo il braccio per liberarsi dalla morsa del fratello. "Ehi...", disse poi, sollevando la mano per accarezzargli una guancia. "Ti fa così paura quel tizio?", chiese, sentendolo tremare.

Ahuriel scosse la testa, rifugiandosi nell'abbraccio rassicurante del fratello. "Sto bene, tranquillo...", mentì. Non ce la faceva più. Ogni volta che il suo segreto rischiava di venire allo scoperto, il suo autocontrollo andava in pezzi.

"Va tutto bene...", ripeté, più a sé stesso che all'altro.

Sì allontanò poi, per tornare a sdraiarsi, senza la voglia di fare altro. Ignorò completamente Tamriel che, per qualche minuto, provò a convincerlo ad uscire lo stesso, lasciando infine perdere, probabilmente irritato dalla sua apatia.

Ma non poteva farci niente.

 

♢♢♢♢♢♢♢♢♢

 

Il sole sembrava metterci un'eternità a calare...

Quando finalmente l’oscurità avvolse la stanza e Tamriel si fu finalmente addormentato, Ahuriel si alzò con cautela, uscendo dalla stanza, senza ben sapere cosa fare.
Soifhe, si disse.

Eccola la soluzione.

Alla fine il sovrano era l’unico a conoscenza del suo segreto con cui poteva confidarsi.
Gli avrebbe detto tutto e avrebbe eseguito tutto quel che l’angelo avesse ordinato.

Certo, era un sadico bastardo e di sicuro avrebbe trovato il modo di sfruttare tutto quello a suo vantaggio, ma Ahuriel aveva la certezza che comunque lo avrebbe protetto. Era una proprietà preziosa per lui, lo aveva ripetuto più volte.
Raggiunse a passo svelto l’ala del palazzo riservata al sovrano, puntando dritto verso la camera da letto, sperando davvero di non ritrovarsi entro poco a contorcersi sul pavimento per aver disturbato il sonno di Soifhe.

A metà del corridoio però si paralizzò, quando un inequivocabile grido di dolore risuonò nell’androne silenzioso.
Un secondo, più debole del primo lo seguì, sfumando in un languido gemito di piacere, sovrastato dalla cristallina risata del sovrano.
Ahuriel fece immediatamente dietrofront.
Per quanto prezioso potesse essere per Soifhe, era certo che l’avrebbe scuoiato vivo se si fosse azzardato ad interromperlo mentre si divertiva con Midgar.

Si rese conto che, a furia di allontanarsi, l’unico rumore rimasto era quello affannoso del proprio respiro. Si portò una mano alle labbra, mordendosi una nocca fino a sentire in bocca il sapore del suo stesso sangue.
Il dolore lo aiutò a ritrovare lucidità.
Non poteva continuare a scappare per sempre.

Era libero ormai, non più nella confortevole sicurezza dell’invisibile prigione degli angeli.

Il segreto che aveva custodito con tanta fatica per tutti quegli anni prima o poi sarebbe venuto a galla, doveva smettere di tremare come una foglia ed affrontare la cosa…
Sollevò la testa, raddrizzando la schiena.

Nonostante il pensiero gli facesse annodare lo stomaco, doveva affrontare quell’idea.
E doveva cominciare a farlo andando a parlare con Ismahel.
Si diresse verso l’ala sud, ricordandosi quel che gli aveva detto Soifhe una delle tante vole che era andato a seguire i suoi progressi solitari con i poteri.
A volte il coraggio lo trovi solo dalla rabbia.

Rabbia.
Quanto aveva sopportato in quelle settimane, per colpe che non erano sue?
Quante umiliazioni, quanto dolore?
Oh, sì, si disse, di rabbia verso il capitano poteva trovarne parecchia…

 

♢♢♢♢♢♢♢♢♢

 

Ismahel sospirò, sprofondando nella poltrona ed allungando pigramente le gambe verso il caminetto; i lunghi capelli scuri, striato d’argento, erano sciolti sulle spalle, spettinati, il suo aspetto trasandato.

Si era versato un bicchiere di vino nell’attesa, al quale ne era seguito un altro.

E un’altro ancora.
Aveva ormai perso il conto.

Non sapeva bene come impostare il discorso.

Sentiva il bisogno impellente di confrontarsi con quel demone, di discutere di quel che aveva detto.

Ma non aveva la minima idea di come affrontare il discorso.
Magari non sarebbe nemmeno venuto, si disse, e lui si stava dannando per nulla.
Si alzò, dopo aver vuotato l’ennesimo calice, per versarsene un altro. La stanza era ampia, essere il capo delle guardie dava molti privilegi, ma aveva rimosso volontariamente qualsiasi eccesso.
La preferiva spoglia, spartana. Doveva solo dormirci alla fine.

Non aveva nemmeno una seconda poltrona. Non che la cosa lo preoccupasse. Per quel che lo riguardava il demone poteva anche starsene in piedi.

Fissò la bottiglia, poi il bicchiere. Lasciò quest’ultimo sul tavolino, portandosi direttamente la prima alle labbra, tracannando il liquido scarlatto nel tentativo di placare quella vergogna, quell’umiliazione bruciante che gli procurava il ricordo di quel giorno.

L’aveva ormai svuotata e stava per tornare a sedersi quando qualcuno bussò alla porta.
Andò ad aprire, trovandosi di fronte Ahuriel.
“Ma guarda”, commentò sarcastico, facendosi da parte per lasciarlo entrare. “Non credevo saresti venuto davvero. Allora le palle le hai”, sbuffò, chiudendo la porta.
Il nephilim storse il naso, avvertendo il forte odore di alcol, ma non fece commenti a riguardo. “A quanto pare”, disse asciutto. “Di cosa vuoi parlare?”, chiese poi, nervosamente.

Ismahel fece una smorfia.
Quel ragazzino…

Faticava persino a sopportarne la vista, ora che sapeva cosa fosse.

Si avvicinò, spingendolo contro al muro, stringendogli una mano attorno al collo. “Voglio assicurarmi che tu capisca che è meglio, molto meglio per te se questo segreto non venga mai allo scoperto”, sibilò, contro al suo orecchio. “Te lo ricorderai, vero? Non c’è bisogno che ti dia un incentivo per farlo?”, strinse la presa, quasi a rimarcare il concetto.
Ahuriel cercò di divincolarsi senza troppo successo. Quell’angelo era dannatamente forte e gli stava facendo male sul serio.

Rabbia.
Non sapeva nemmeno lui cosa aspettarsi da quell’incontro, ma l’essere minacciato non rientrava proprio nelle sue aspettative.

Avrebbe voluto ribattere, difendersi.

Colpirlo con qualcosa.
Purtroppo però  non aveva nulla con cui farlo a portata di mano, così usò l’unica arma che aveva, le parole.

“Che c’è?”, sibilò. “Non vuoi che si sappia che ti sei scopato una demone?”, sputò, attingendo direttamente dal colorito vocabolario di Tamriel.

Da un lato funzionò, perché Ismahel lo lasciò andare, colpendolo però con un violento manrovescio.

“Ringrazia che sei protetto dal sovrano, brutto figlio di una cagna…”, sibilò l’angelo, arretrando di un passo.
Il nephilim gemette debolmente, passandosi il dorso della mano sulle labbra sanguinanti, sputando poi a terra.
Rabbia.

Iniziava a comprendere le parole di Soifhe.
La rabbia, come qualsiasi altra emozione, dava coraggio -anche se più che coraggio in quel momento rasentava l’incoscienza-, ecco perché lo aveva spinto a controllare i suoi poteri, per poter sfruttare le emozioni forti, che fino a quel momento aveva sopito.
Poteri che tuttavia sentiva ancora instabili; in  quel momento però non gli importava.

L’uomo che aveva davanti sapeva già chi era, perdere il controllo non sarebbe stato un problema…
“Io penso” -ringhiò- “che dovresti mostrare un po’ più di rispetto per la femmina che ti ha salvato il culo…”, tossì, massaggiandosi il collo.

“Era una puttana”, fu l’aspra risposta di Ismahel, furioso quanto lui e decisamente ubriaco.
Non era certo così che aveva intenzione di affrontarlo, ma era l’alcol a parlare per lui in quel momento. “Come tutti i demoni, e se avessi saputo che era incinta l’avrei ammazzata come quella cagna che era!”

Fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Ahuriel nemmeno si rese conto di aver sguinzagliato il suo potere; solo quando -stringendo i pugni- avvertì sotto le dita la superficie solida del manico di un pugnale si rese conto di desiderarlo profondamente.

Non ucciderlo, no, ma farlo tacere, fargli del male.

Sollevò lo sguardo, le sue iridi brillavano come argento liquido mentre alle sue spalle sottili fili di luce disegnavano le sue ali eteree.

Con un ringhio scattò in avanti, sollevando il braccio.
Ismahel ebbe la prontezza di riflessi, nonostante l’alcol, di indietreggiare, riuscendo a schivare, almeno parzialmente, l’attacco del nephilim.
Il movimento brusco però lo fece incespicare, finendo sul pavimento. Ansante,si portò una mano al petto, dove la punta del pugnale di Ahuriel aveva squarciato la maglia, ferendolo di striscio. “Tu…”, sibilò, socchiudendo gli occhi e guardandolo. “Un potere del genere ad uno sbaglio come te… E’ un’eresia!”, sbraitò.

Ahuriel lasciò che il pugnale si dissolvesse. “Il destino a volte è beffardo”, rispose, pervaso da una calma quasi innaturale. Era impossibile continuare ad odiare l’angelo che aveva di fronte.

Per tutto quel tempo gli era sembrato imponente, spaventoso.
In quel momento era soltanto patetico.

“Un segreto per un segreto”, disse soltanto.
“Vattene via”, sibilò Ismahel. “Va via demone, non voglio più vederti!”, ripeté a voce bassa, colma di disprezzo.
Ahuriel aggrottò la fronte, scuotendo la testa. “Io ero davvero venuto con l’intenzione di parlare…”
Era stato stupido, si disse, rendendosi conto di aver covato fino a quel momento la flebile speranza che il capitano volesse, in qualche modo, accettare il fatto che fosse suo figlio, smettendo di odiarlo a prescindere.
Che illuso...

Stava per andarsene, maledicendo il momento stesso in cui aveva deciso di presentarsi a quell’appuntamento, quando un singhiozzo soffocato lo spinse a voltarsi di nuovo.
Ismahel non si era mosso, era rimasto seduto sul pavimento, la schiena curva ed il viso affondato tra le mani.

Vattene, si disse. Vuoi davvero dargli la possibilità di vomitarti di nuovo addosso il suo disgusto?
Imprecò mentalmente contro sé stesso e contro quella sua maledetta empatia.
O forse era il richiamo del sangue, a trattenerlo?

Non poteva saperlo.
Quel che sapeva era che non poteva andarsene così…
Tornò sui suoi passi, fermandosi di fronte all’angelo e piegandosi sulle ginocchia, allungando cautamente la mano.
Ismahel trasalì, abbassando le mani e facendo gesto di allontanarsi ma il nefilim fu più veloce, afferrandogli un polso per fermarlo. “Non sono un demone”, disse, fermo. “Non più di quanto non sia un angelo… Io non sono niente, in realtà”, ammise con un sorriso amaro, allungando cautamente la mano per appoggiarla alla ferita sanguinante. “Non so nemmeno perché sono venuto…Pensavo davvero volessi parlare, non so…”, sbuffò, rialzandosi e lasciandolo andare, arretrando.

L’angelo sbatté le palpebre sfiorando con cautela la propria spalla, sorpreso. Della ferita non c’era più traccia, se non il sangue sulla camicia lacerata.

Sollevò lo sguardo su Ahuriel, serrando con forza i denti, quasi fosse pronto a riprendere la rappresaglia
Poi, come se le forze lo avessero abbandonato di colpo, abbassò lo sguardo, scuotendo la testa, perdendo ogni atteggiamento aggressivo.

“L’idea iniziale era quella…”, mormorò. “Guarda qua… sono patetico”, aggiunse, aggrappandosi al letto per rialzarsi in piedi. Poi raggiunse la poltrona, sedendosi pesantemente, raccogliendo le gambe e rannicchiandosi su di essa; il viso tra le mani, le grandi ali quasi avvolte attorno al corpo, cercando di ritrovare un minimo di lucidità.
Ahuriel era rimasto a guardare, il suo potere che ancora gli scorreva nelle vene lo rassicurava, senza, probabilmente sarebbe corso a nascondersi già da tempo.

Sospirò, scuotendo la testa. “Vuoi che me ne vada?”, chiese, cautamente.
“No… no”, mormorò Ismahel. “Ascolta. Quando ti ho detto che volevo parlare… lo pensavo sul serio”, ammise. “Ma non è così facile. Per favore, abbi solo un po’ di pazienza.”
Per favore.
Erano parole che dall’angelo non si sarebbe mai aspettato.

Ahuriel sospirò, avvicinandosi al caminetto, appoggiandosi al muro accanto ad esso. “Ho tutta la notte… se Tamriel non si sveglia.”
Ismahel accennò un sorriso sarcastico. “E’ un bel cane da guardia”, disse, vagamente caustico, poi lo guardò. “Ti spiacerebbe… non startene lì, come se mi stessi giudicando?”, aggiunse, in tono neutro. “E’ già difficile anche solo parlare di tutto questo.”
Il nefilim roteò gli occhi e andò a sedersi sul bordo del letto, proprio accanto alla poltrona. “Così va meglio?”

L’angelo annuì piano. “Quello che ho detto prima, su tua madre. E’ stato meschino”, ammise.
“Oltremodo”, fu la cupa risposta di Ahuriel. “Se l’avessero scoperta, se qualcuno avesse avuto qualche sospetto, avrebbero ucciso lei e me. Un minimo di gratitudine dovresti provarla.”
“Lo so.”
“E’ comunque la femmina che ti ha salvato.”
“Ho detto che lo so!”, sbottò Ismahel. “Non… non hai capito nulla", sospirò poi, in tono più tranquillo. “Non è stato scoparmi una demone, il problema”, aggiunse, lievemente caustico, riprendendo le parole del nefilim. “Non è quello che mi tormenta da un secolo…”

Incrociò le braccia, sprofondando ancora di più nella poltrona. "Ho sempre combattuto, senza mai indietreggiare. Senza mai scappare. Quel giorno avrei dovuto fare lo stesso, morire nel tentativo di salvare, o almeno vendicare la mia famiglia. Ma non l'ho fatto. Mi sono nascosto, sono arrivato a ingannare una femmina ingenua per riuscire a scappare..." disse, lo sguardo fisso sulle fiamme del camino. "Quel giorno sono stato un vigliacco. Quel giorno ho calpestato tutti i miei principi pur di salvarmi la vita... La vergogna ed il disgusto sono rivolti unicamente a me stesso..."

Auhriel si era aspettato di tutto, ma non quello.
Non una ammissione del genere.
“Io… non so cosa dire”, ammise, scuotendo la testa.
“Non dire nulla. Non è necessario. Volevo solo che lo sapessi. Che… non lo so, che riuscissi a comprendere perché ho agito in un certo modo...”, mormorò l’angelo, massaggiandosi la fronte e lanciandogli un’occhiata di sbieco.

Il suo sguardo seguì l’arabesco delle ali eteree alle spalle del nefilim, scuotendo la testa, incredulo. “Non credevo che avrei mai visto una cosa del genere”, ammise. “Sai, questo spiega perché sei così scarso con le altre armi, in effetti.”
Ahuriel sollevò la testa, lanciando all’angelo un’occhiata confusa. “Come?”, mormorò.
Ismahel accennò un sorriso, voltando la testa per guardarlo. “I portatori di luce sono… Erano, guerrieri unici, ma esclusivamente con le proprie armi. Non erano altrettanto letali con quelle altri. E’ inutile che tu continui a venire ad addestrarti con gli altri cadetti.”
Il nefilim tornò a guardare il fuoco. “Se è un modo per dirmi di non venire più, tranquillo lo avevo già messo in conto…”, mormorò.

“No, non è quello”, rispose l’angelo. “Era un suggerimento. Dovresti addestrarti usando le tue armi… In realtà era un’offerta. Di aiuto.”
Ahuriel lo guardò, gli occhi spalancati per la sorpresa. “Che cosa?!”, esclamò.

Ismahel accennò uno sbuffo divertito. “So che te ne ho fatte passare di ogni e… lo ammetto, mi dispiace”, disse, tornando a fissare il camino. “Continuavo ad abbatterti per alleviare il mio senso di colpa e per qualcosa in cui tu non centravi nulla. Non è una cosa che posso mettere da parte con una scrollata di spalle”, mormorò. “Quindi se vuoi… posso aiutarti.”
Il nefilim si morse il labbro inferiore, sbattendo le palpebre, gli occhi improvvisamente lucidi.
Quelle scuse erano più di quanto aveva sperato.
“Volentieri”, disse soltanto, lasciando che il crepitio del fuoco colmasse poi il silenzio.

 

♢♢♢♢♢♢♢♢♢

 

La luminosa lama d’avorio si fermò, a pochi centimetri dalla sua gola.
Ismahel deglutì, accennando un sorriso. “Però…”, ammise. “Decisamente oltre ogni previsione.
Ahuriel ritrasse l’arma, lasciandola svanire. “Non è esattamente un complimento.”
“Sì che lo è.”
“Non ne sono certo.”
Soifhe roteò gli occhi. “Voi due, vogliamo restare concentrati?”, chiese, dando un calcio alla spada di Ismahel e riavvicinandola al capitano. “Non ho ancora visto qualcosa di spettacolare, state solo giocando!”

Ismahel si rialzò, afferrando la spada ed inchinandosi. “Chiedo scusa, vostra altezza, ci stavamo solo riscaldando.”
Il sovrano sbuffò, incrociando le braccia e facendo segno ai due di riprendere.
Ahuriel raccolse i capelli, ormai abbastanza lunghi per fare una piccola coda, poi richiamò di nuovo la sua luminosa spada candida, tornando all’attacco.

Erano passati due mesi, da quando lui e Ismahel si erano, in qualche modo, chiariti. Nessuno dei due aveva più fatto parola di quella sera o del passato.
Il comportamento di Ismahel nei suoi confronti era migliorato nettamente. Certo, non si comportava come un padre, ma aveva mantenuto la sua offerta di aiutarlo.

Era un buon maestro.
Forse, con il tempo, la cosa si sarebbe evoluta.

Forse.
Ma ad Ahuriel, per il momento, andava bene così.
 
E ci ritroviamo ancora con i nostri vecchi compagni. Questa OS si colloca esattamente tra Insospettabile peccatore e la minilong che andrà a chiudere 
le domande lasciate in sospeso.
Spero vi piaccia e passate a trovarmi se volete!

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