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Autore: Aurelianus    07/05/2015    5 recensioni
Si credeva che l’antico nemico fosse estinto. Si credeva che Loro fossero tutti morti da più di cento anni. Eppure stanno tornando per reclamare la loro vendetta.
Siamo stati dei folli, accecati dal nostro tronfio orgoglio. Dalla nostra presunzione di superiorità.
Ora Loro sono tornati, e portano morte con sé.
Ma c’è ancora speranza: sterminarli ora, senza perdere tempo. E solo un Cacciatore può farlo.
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Know Your Enemy

L’odore. L’odore delle spezie per cucinare, questo è l’indizio per capire in che regione del mondo ti trovi.

Per il resto, a parte qualche eccezione, tutte le locande si somigliano in modo disarmante: gli stessi piatti scadenti; lo stesso vino annacquato e la birra acida; gli stessi avventori storditi dai fumi dell’alcol; lo stesso miscuglio di razze, di ceti e di persone dai differenti valori. E il senso di ottundimento che tutto ciò provoca.

Mi disgusta.

Ma è il posto in cui è più facile trovare lavoro. Il luogo giusto in cui farsi assoldare.

Di questi tempi non è il caso di fare molto gli schizzinosi, il lavoro manca da anni: i Nemici, quelle bestie, sono stati sconfitti da molto tempo ormai. Anche troppo per la mia sacca di monete. 

Percorro la stanza sino ad un angolo buio, un gruppo di nani e orchi ubriachi, che si stanno sfidando in una gara di insulti sul punto di degenerare, si scansa rapidamente, guardandomi con un misto di disprezzo e paura. Loro sanno che io sono utile, sanno di non poter far a meno di me e dei miei fratelli e sorelle – specialmente se le voci su quanto è successo sono vere.

Mi siedo ad un tavolo calcandomi il cappuccio ancor più sul viso.

L’oste intima ad una gnoma in abiti succinti piuttosto giovane di avvicinarmi. “Desiderate qualcosa… signora?” debutta lei, tremante e indecisa su come riferirsi a me.

“Del vino” rispondo dura, congedandola con un cenno. Non voglio perdere tempo, chi cerco è già qui e mi ha visto.

Il mago si avvicina, anche se non lo vuole dar a vedere è preoccupato. Lui e il vino giungono insieme.

“Sei tu la Cacciatrice?”

“Sembro forse altro?” replico, spazientita. Scosto il mantello, lasciando che guardi la mia lunga treccia, il mio volto e i tatuaggi sulle guance.

L’uomo mi esamina un istante, la consapevolezza gli brilla negli occhi, quindi si siede dall’altra parte del tavolo: è vestito riccamente ed è giovane, il grigio non ha ancora conquistato una testa di ponte nei suoi capelli, né nella sua barba sfatta.

“Salute, sono il funzionario Javaar Stone” si presenta tendendomi la mano  e mostrando lo stemma ricamato sulla tunica all’altezza del cuore.

Non lo degno.

Notando l’assenza di una mia reazione, si decide a venire al dunque: “Molto bene, allora, la questione è delicata. Vedete, il Consiglio no…”

“Non mi interessa: fammi una breve panoramica e poi dimmi cosa devo fare,” intimo brusca, bevendo poi un lungo sorso del liquido rossastro.

“Dovete sapere che il Consiglio non desidera dare molto adito all’accaduto, questo non è il luogo più adatto, ritengo” si impunta, da burocrate privo di esperienza pratica qual è.

È un imbecille come molti altri e io non ho tempo da perdere. Ha già esaurito la poca pazienza di cui dispongo, estraggo il coltello dal gambale destro e lo infilzo con violenza nel tavolo – non che sia privo di scalfitture del genere, non sono certo la sola ad avere reazioni simili in luoghi del genere.

Lascio che la lama diffonda la propria vibrante melodia per alcuni istanti, poi parlo chiaramente. “Senti, bambino, non ho tempo da sprecare: tutte le fottute regioni settentrionali sanno che qui è successo qualcosa! Parla da te o ci penserò io! E tutta la fottuta marmaglia che circola qua dentro si è accorta delle guardie goblin che ti porti appresso, ingenuo imbecille. Se volevi mantenere il riserbo, avresti dovuto evitare di portarti dietro un intero reggimento” sussurro roca, indicando gli armigeri del re che tentano inutilmente di confondersi con la plebe.

Mi guarda in cagnesco, sospira, distende il suo volto e si decide, finalmente. Con un gesto calma le guardie.

“D’accordo, malauguratamente ciò che dici è vero: tutto il nord lo sa, ormai… è successo tutto più o meno due lune fa” inizia.

Svello il pugnale dal tavolo e lo rinfodero, invitandolo a proseguire mentre torno a curarmi di svuotare il boccale. 

Loro sono tornati,” mormora, spaventato solo dall’idea. Il mio cuore manca un battito, l’eccitazione frammista al timore mi scorre nelle vene, riempendomi il corpo. E il vuoto che sento da tanto, troppo tempo.

Lo sapevo, me lo sentivo che c’entravano loro: le notizie erano troppo frammentate, incomplete e colme di un’inquietudine che solo loro sanno provocare. La piaga del mondo non è stata del tutto debellata, dunque.

“Su nelle Peth alcuni pastori li hanno visti. Abbiamo mandato delle pattuglie a indagare, per stanare quelli che si nascondevano…”

“Fammi indovinare,” lo interrompo, “qualcuna non è tornata?”

“Precisamente” ammette, stringendo le labbra. “E non è tutto qui: poco dopo abbiamo mandato un reparto di sterminatori a porre fine alla questione immediatamente, prima che comincino a proliferare di nuovo. Trecento uomini, con orchi, troll, goblin, centauri e una squadra di viverne.” 

Si interrompe per un istante. Un istante troppo lungo.

“È stato un massacro, sono morti tutti. La maggior parte è stata bruciata” confessa, abbassando il capo, imbarazzato.

“Draghi?” domando distrattamente, ma la questione inizia a farsi seria.

“Sì” dice digrignando i denti, furioso. “Quelle bestiacce si sono fatte addomesticare un’altra volta dai Loro incantesimi” mormora incredulo, ferito nel profondo dal tradimento.

La stoltezza della gioventù. I Margher sapevano, sanno accattivarsi bene gli alleati e sono molto astuti oltre che sanguinari. I nani delle praterie non li avrebbero battezzati in questo modo, diversamente: gli infidi.

“Il vostro compito è stanarli e condurre le truppe ai tenebrosi antri ove trovano riparo; le pattuglie ordinarie non si sono dimostrate adeguate. Il Consiglio ha radunato ben tremila soldati in zona e altri quattromila stanno arrivando dalla Strada del Re: questa volta non correremo rischi, li debelleremo subito, prima che imperversino per tutte le terre settentrionali,” prosegue Javaar con fervore quasi religioso.

“Altri Cacciatori prima di me si sono presentati, non è vero?” chiedo anche se so già che la risposta sarà affermativa. Non avrebbero radunato una forza tanto consistente al contrario.

“Sì, due, tuttavia…”

“Tuttavia sono morti assieme alla squadra degli Sterminatori. Questo alzerà il prezzo,”  pontifico gelida.

“Non vorrete davvero contrattare con le autorità? Questa è un’insolenza insopportabile!” sbraita e si alza dalla sedia di legno, dimenticando dove si trova e i suoi propositi di discrezione.

“Cinquecento ghinee d’oro” annuncio, adagiandomi allo schienale e sorbendo tranquillamente il vino. Con una cifra simile potrei vivere decentemente per i prossimi dieci anni.

“Cinquecento ghi…vuoi prenderti gioco di me?! Ti farò arrestare! Guardie!” urla senza controllo il ragazzino: è andato in escandescenza. I goblin si alzano, sguainando le spade.

Accarezzo l’impugnatura di una della mie falcate, ma non muovo un muscolo. Le guardie si bloccano indecise: non sono degli stupidi, sanno chi hanno di fronte al contrario del mago.

“Spiegherai tu al tuo Consigliere di riferimento per quale ragione l’unico Cacciatore rimasto nel raggio di cento leghe è nelle segrete della città, piuttosto che fra le montagne in cerca dei Margher?” riferisco serafica, scandendo bene ogni parola. Poi sorseggio l’ultimo goccio di vino.

Il funzionario si arresta subito, tremando d’ira. Ma sa che ho detto il vero e blocca i goblin con un cenno: est, ovest, nord, non c’è più lavoro in queste lande; il sud è il luogo dove tutti i cacciatori si sono spostati, le zone che i re stanno occupando e bonificando dai mostri.

“Quella sì che è una miniera d’oro,” rifletto, sospirando.

“Cinquecento o nulla” reitero l’offerta. 

Javaar si lascia sfuggire un suono frustrato, ma annuisce.

“Dove è accampato il distaccamento?” domando mentre richiamo la gnoma. Ho fame, tanto vale mangiare un boccone.

“Nella vallata di Shelth, poco più in basso dal luogo in cui gli Sterminatori sono stati massacrati” risponde distrattamente il funzionario. Probabilmente è preoccupato di dover spiegare lo sborso di una cifra tanto consistente.

“Ah… sì, rammento il luogo. Ma…” mi mordo le labbra, riflettendo. Pessimo posto per accamparsi, specie se sono davvero Loro i nemici e non qualche razza emulatrice o dei semplici predoni.

“Faremo meglio a sbrigarci,” dichiaro, alzandomi bruscamente. “Oste, una sacca da viaggio con delle provviste: mangerò strada facendo.”

Il taverniere acconsente, compiaciuto.

“Che cosa vi prende, ora?” rimprovera infastidito Jaavar.

“Spero solo che arriveremo in tempo, presto farà notte.”

 

Un vento frizzante spazza l’aria greve e disperde l’acre fumo che ancora fuoriesce dalle macerie, il sole sorge avvolgendo di nuovo il mondo con la sua luce. Mi accuccio ed esamino un sostegno in legno bruciacchiato.

“Per gli Dèi,” sussurra Jaavar guardando lo scempio tutto attorno a sé.

Le guardie orchesche e goblin si aggirano fra i resti dell’accampamento tendendo l’orecchio per avvertire i gemiti di dolore, nella vana ricerca di altri superstiti.

Mi guardo attorno: l’accampamento è stato brutalmente attaccato la notte precedente a quella appena trascorsa. Abbiamo un intero giorno di ritardo, non so cosa pensano di poter trovare questi illusi.

Scuoto la testa esaminando il luogo scelto dal comandante per far acquartierare le sue truppe: un posto assolutamente perfetto per subire un attacco, circondato da costoni rocciosi e dolci declivi. Ha pagato il suo errore con la propria vita e quella di gran parte dei suoi uomini.

Lascio il pezzo di legno e lo getto fra i resti delle tende bruciate e i cadaveri inceneriti; mi dirigo verso il piccolo accampamento allestito dai superstiti.

Skjalk, un funzionario orco del Consiglio, mi affianca. “Sono Loro, questo posto è ancora impregnato del loro fetore. Lo sento molto bene… e dire che li credevamo estinti,” fischia infuriato.

“Anche io lo avverto” confermo, prendendo una lunga boccata d’aria. Fra i composti d’erbe e gli incantesimi cui sono stata sottoposta per essere una Cacciatrice, ho l’olfatto più fino anche di una di quelle bestiacce olivastre degli orchi.

“È chiaro che questa è l’opera di un vasto esercito ben organizzato di Margher, migliaia forse e con almeno una quindicina di draghi. Dobbiamo correre ai ripari,” seguita il burocrate. 

Senza degnarlo scavalco un’impronta enorme, un’orma di drago al di fuori di ogni dubbio. E non di quelli che l’esercito consolare o reale utilizza.

Faccio un cenno ai soldati e questi entrano nell’accampamento scarno e misero dei superstiti, tornando poco dopo con un ufficiale orco.

Jaavar ci raggiunge nel frattempo, imbestialito.

“Capo Grark a rapporto,” si presenta, irrigidendosi il soldato.

“Parla, guerriero: che è accaduto?!” esordisce Skjalk con la proverbiale impazienza della sua razza.

Primo che possa proferire parola, mi inserisco: “I corpi dello squadrone di Sterminio erano stati depredati, così come per le pattuglie massacrate. E le armi usate per ucciderli erano molto rudimentali, non è vero?”

L’ufficiale mi guarda diffidente, squadra i due funzionari, i quali assentono; di conseguenza li imita, annuendo alla mia domanda.

“Come vi hanno attaccati?” incalzo.

Questo soldato non è un idiota ed è il meno scosso, oltre che quasi illeso, mi saprà rispondere bene a differenza dei suoi compagni traumatizzati.

“Certamente siete stati sopraffatti dal numero e dai molti draghi” asserisce Skjalk, indicando i corpi bruciacchiati di viverne e dei grifoni sparsi in pose scomposte un po’ ovunque.

“I draghi erano tre, due giovani gemelli molto veloci e dal fuoco rovente. Sono rimasti in cielo e hanno trucidato il nostro contingente aereo; l’altro era un dragone, è sceso a terra e ci ha… massacrati,” prende a raccontare e dando mostra dei primi cedimenti nella sua tempra di guerriero. “Non so quanti fossero Loro, ma non in molti, forse un centinaio. Si sono appostati su quel crinale laggiù” continua, indicando il posto, “Ci hanno bersagliati con giavellotti e frecce. I nostri stessi giavellotti e dardi, quelli in dotazione alle nostre truppe. Poi hanno caricato e hanno ultimato il lavoro del dragone.”

“Di sicuro l’oscurità e la concitazione del momento hanno tratto in inganno questo valoroso soldato. È risaputo che Loro usano gli artigli per combattere, e…” prende a ciarlare il funzionario orco.

“I Margher non hanno artigli, funzionario. Usano spade, archi e lance come noi; voi non li avete mai visti, non eravate stati ancora concepiti quando gli ultimi furono massacrati poco lontano da qui, giù a Northarthen. Io sì” lo zittisco immediatamente. Sono passati cento inverni, eppure io li ho visti: il processo per diventare un cacciatore ti dona tormento e sangue, ma anche longevità… se una lama non ti miete prima del tempo.

“Non è finita qui. Ieri hanno attaccato un paio di villaggi più a valle, facendo a pezzi i guerrieri che avevamo lasciato là nella marcia per arrivare qui. Hanno saccheggiato e massacrato, non hanno preso schiavi. Abbiamo potuto vedere le fiamme da qui” termina Grark, poi si inchina e torna barcollando verso i pochi commilitoni superstiti.

“Non posso credere che un gruppo tanto piccolo possa aver fatto… questo” sibila Jaavar, incredulo.

È uno sciocco, sottovaluta i Margher: commette gli stessi errori compiuti dai suoi predecessori cento anni fa.

In quei giorni il sangue ha sostituito i fiumi e la pioggia, tante ne è scorso. Non lo posso permettere, adesso la situazione è ancora recuperabile: urge agire immediatamente. 

Mi inginocchio e stringo i legacci degli stivali, mentre loro discutono inutilmente su quale azione compiere ora.

“Vi precederò,” asserisco controllando l’equipaggiamento. Il rotolo d’evocazione è assicurato alla mia cintura, è tutto ciò di cui ho bisogno assieme alle spade e agli abiti pesanti, altro non serve.

“Voi non potete farlo, siete l’unica difesa valida fra noi e loro! I cacciatori più vicini impiegheranno giorni a raggiungerci! Resteremo inermi” protesta l’orco, spinto da un terrore atavico che trova la sua fonte nelle leggende ascoltate da piccolo; leggende che, sfortunatamente, non sono mai troppo esagerate quando ci sono di mezzo Loro.

“A breve arriverà il contingente reale e pure la guarnigione della città. Non sarete indifesi” faccio presente, gelida. “Io svolgo solo il mio lavoro: se ho ragione, il più sarà fatto per quando le truppe mi raggiungeranno” concludo, poi scatto.

Sento le loro voci che mi inseguono, che dicono alle guardie di bloccarmi; malgrado ciò i soldati hanno più buonsenso dei funzionari, sanno bene come le cose devono andare. Non provano nemmeno a guardarmi.

Corro verso le cime, allontanandomi dalla società, facendo ciò per cui sono nata. Veloce. Libera.

Macino leghe su leghe, senza sentire la fatica: mi sono addestrata per anni e per molti di più ho predato e cacciato in tutte le terre conosciute; mi inerpico per rocciose salite sempre più ripide, addentrandomi maggiormente fra le montagne e cominciando a lasciarmi dietro i sentieri usati dai pastori e le mulattiere.

Sono vicini, ne sento l’odore e vedo le tracce della loro ritirata, arbusti calpestati, lembi di vestiti strappati dai rovi. Si sono mossi in fretta, maldestramente; sanno a cosa vanno in contro.

Mi chino un istante ad esaminare le orme, notando che si presentano molto varie per dimensioni e il sospetto che ho sin dall’inizio inizia a prendere sempre più piede.

La luce improvvisamente si fa meno intesa. Mi blocco, guardando il sole: sta tramontando; ho corso per ore senza nemmeno accorgermene.

Mi fermo ad un ruscello, bevendo un sorso d’acqua e riempendo la mia piccola otre. Tolgo gli stivali e immergo le gambe nell’acqua fredda, sgranchendole così da evitare l’intorpidimento per la fatica, più tardi.

Mi volgo verso valle: le pianure e la città non sono più visibili, celate dai monti e dalla nuvole. Sono circondata solo dall’erica, dai cardi e dagli animali selvaggi che popolano i monti – un paio di loro non sono nemmeno troppo lontani, li sento bene. Un silenzio di tomba, infinitamente gradito, mi avvolge e mi assorda. Guardo la miriade di stelle che punteggiano la volta celeste, magnificando il cielo e il creato.

I maghi dicono che ognuna di essa sia un sole. Chissà se nei mondi attorno ad essi la vita è diversa. Chissà se è migliore?

Chiudo gli occhi e sospiro.

Più ci penso e più quanto è accaduto mi pare impossibile: per quanto abile e forte un piccolo gruppo sparuto di Margher – che con ogni probabilità è solo una piccola banda di superstiti che si cela fra queste montagne – non può aver fatto a pezzi tremila uomini tanto facilmente, draghi o non draghi.

La realtà non è tanto difficile da immaginare; viviamo in un periodo tormentato, privi di punti di riferimento, la guerra civile fra le razze non è tanto lontana e i re e il Consiglio questo lo sanno bene. Quale migliore elemento stabilizzante se non un nemico comune?

 E non uno qualunque, ma il Nemico?

Scuoto il capo, mentre il freddo della notte comincia a farsi sentire. Estraggo una pelliccia dallo zaino e me la drappeggio addosso, ormai priva di dubbi: le tracce, la disposizione dei primi morti, la devastazione accanitasi principalmente in precisi settori dell’accampamento.

Il comandante del distaccamento ha lasciato di proposito alcuni settori sguarniti dalle sentinelle e ha messo in gabbia la maggioranza delle viverne e dei grifoni, lasciandoli alla mercé dei draghi.

L’intento del Consiglio era semplice: provocare una Loro incursione e subire una manciata di morti da far pesare sull’opinione pubblica; il pretesto ideale per un maggiore impiego di truppe e per imporre leggi marziali, rinvigorendo la sua autorità, nonché per utilizzare maggiormente le truppe contro ogni possibile sommossa. Non solo contro gli Infidi. 

Tuttavia quegli imbecilli del Consiglio hanno sottovalutato la capacità di quelle mostruosità di sfruttare un’opportunità. 

Mi avvolgo nella pelliccia e chiudo un occhio, assopendomi… più o meno. Con loro in giro, dormire non è consigliato.

Sono in marcia prima che il sole sia di nuovo sorto, li sento. Non hanno riposato stanotte, hanno continuato a muoversi. Marciano come se avessero alle calcagna degli  uomini con delle fruste, persino il loro fetore si è fatto più flebile.

Devo affrettare il passo o rischio di perderli.

Afferro una boccetta dalla cintura e l'annuso. Sì, è questo quello di cui ho bisogno. Mi renderà inflessibile nella lotta, insensibile alla fatica.

Butto giù l’intruglio violaceo.

Corro, corro senza riserve, smarrirli equivarrebbe a lasciar loro tempo per riorganizzarsi per mettere a ferro e fuoco il nord ancora una volta

Il tempo perde ancora una volta valore, i ricordi sono solo una macchia indistinta composta dai colori di cui è composto il paesaggio – rammento vagamente di aver ucciso un paio di orsi delle caverne. 

Accolgo senza lottare gli effetti delle erbe; mi anniento, cado in trance per evitare al mio corpo di percepire la fatica. Tutto si riassume nella respirazione, espirazione e il reiterato lieve impatto con il terreno. Solo di questo mi rendo conto, solo questo ha importanza.

Il sole ha il tempo di tramontare e sorgere un’altra volta, eppure io lo percepisco come un evento estraneo, alieno.

Sto cacciando, conta solo la preda e  l’unica cosa in grado di distogliermi dalla corsa è… eccolo! Il loro odore, forte anche più di quanto mi fossi aspettata: sono molto vicini.

Mi lecco le labbra, estraggo le falcate corte.

Sono davanti a me, in fila. Anche loro stanno galoppando come forsennati, ma è troppo tardi. Sono miei.

Riesco già a vedere l’intricato coacervo di equipaggiamento differente, razziato dai cadaveri del contingente reale.

Delle frecce rimbalzano attorno a me, una paio le trancio in volo. Sono decisi a farmi meritare il compenso, dunque.

Non che uno di Loro si sia mai dimostrato docile: lottano sempre sino alla fine, senza mai arrendersi; non importa con che mezzi. In questo, solo in questo, li ammiro. E per la fiera nobiltà che accende il loro sguardo nell’ultimo istante di vita.

Raggiungo gli ultimi della fila; due si volgono per affrontarmi con delle lance e degli scudi chiaramente orcheschi. Il filo delle mie lame accarezza le loro gole prima che possano fare alcunché, nemmeno mi fermo; ho già quasi decapitato un terzo e infilzato un quarto quando i primi due cadono al suolo.

Scanso un fendente e mozzo la mano del mio avversario; compio una giravolta evitando un’ascia e la mia lama si conficca nell'addome di un altro Infido. 

Il sentiero compie una curva appena accennata e una sporgenza rocciosa nasconde ciò che c’è più in là. Tre Margher sbucano correndo verso la battaglia.

Abbasso lo sguardo sull’Infido sofferente ai miei piedi, circondato dai corpi  di cinque suoi compagni. Si stringe il moncherino che sanguina copiosamente, ma il suo sguardo non cela l’odio profondo che prova per me, il feroce e terribile desiderio di distruzione per il quale la sua razza è tanto conosciuta.

In un impeto di rabbia, afferra un coltello con l’altra mano e mi assalta, ma io sono preparata. Lo uccido con un unico movimento.

La pietà, con Loro, non è contemplata.

Rivolgo la mia attenzione ai tre che sono tornati indietro, mi sono addosso.

Scatto rapida, e la punta della falcata penetra la guardia del nemico, cogliendolo impreparato e raggiungendo il suo cuore; compio un’altra giravolta e conficco violentemente le punte sul mio bracciale di cuoio nella gola del secondo, mentre con un calcio alla bocca dello stomaco allontano l'altro.

Prima che possa rialzarsi lo raggiungo e lo trafiggo, passandolo da parte a parte nonostante l’armatura.

Mi soffermo a guardare le mie vittime, il colore del loro sangue.

Non mi abituerò mai a quel colore.

Non è nero o verde come per tutti gli altri mostri che i cacciatori e gli armigeri reali predano. No, è rosso come il mio, come quello degli orchi, dei centauri e di tutte le altre razze. È un particolare che mi ha sempre reso un po’ più difficile uccidere gli Infidi.

Un rombo scuote l’aria, ritmato e assordante. Ci siamo.

Non c’è tempo da perdere, devo farli fuori in fretta o gli altri Margher mi sfuggiranno. E se lo faranno porteranno ancora morte e devastazione.

Estraggo il rotolo e lo estendo a terra, ai miei piedi.

Un possente ruggito scuote il sentiero, provocando intense vibrazioni. Due draghi atterrano poco lontani da me, uno alla mia sinistra, l’altro alla mia destra. Sono piccoli, veloci, agili e uguali; le loro scaglie brillano di un magnifico azzurro, il quale si rinfrange sulle rocce in un complicato gioco di colori, mentre camminano circospetti attorno a me in perfetta sincronia. Mi stanno studiando e con una disciplina che non dovrebbe essere possibile, non per dei draghi selvaggi asserviti con un sortilegio.

Si avvicinano ai corpi che ho lasciato dietro di me e li scuotono delicatamente con le zampe, accertandosi che la vita abbia davvero lasciato quelle membra. E quando se ne rendono conto mi riservano uno sguardo carico di odio. È un odio consapevole, c’è intelligenza in questi occhi. Non sono esemplari selvaggi asserviti con un incanto, come per tutti i draghi dei Margher durante la Grande Guerra. No, sono addestrati.

E la dove c’è un drago addestrato, il maestro non è mai troppo lontano.

Un esemplare di Infido molto giovane sopraggiunge avanzando lentamente, con calma. Dietro di lui il dragone caracolla con una delicatezza sorprendente per la sua mole.

È una creatura davvero enorme, con scaglie ferrigne e spuntoni sul muso sopra la testa e lungo l’intera spina dorsale.

Mi punta contro il muso e spalanca le fauci, lasciando intravedere l’impressionante chiostra di zanne. Non fatico a credere che abbia devastato un intero accampamento praticamente da solo.

Questi sono i veri nemici, il resto è solo facile carne da macello.

Attivo il rotolo.

Un sibilo agghiacciante sovrasta i ringhi dei draghi, mentre due basilischi alati si materializzano sopra le nostre teste.

Ricordo quando ho braccato e ucciso queste due creature, intrappolando la loro essenza nel rotolo e asservendoli a me – come ogni cacciatore è stato addestrato a fare con i mostri più forti.

Sono stati degli avversari molto duri, terranno impegnati i due draghi celesti per un bel po’ e probabilmente li uccideranno entrambi.

Il Margher indica i basilischi ai draghi più piccoli, come avevo previsto.

I gemelli si alzano in volo con uno scatto rapido, spalancando le ali e innalzandosi con un’elegante fluidità; ingaggiano i Re dei Serpenti esordendo con un brutale torrente di fuoco. Il loro ruggito mi scuote sino alle ossa.

Le loro ombre volteggiano circolari sopra di me, allontanandosi dal sentiero, avvinte in uno scontro mortale.

Abbasso lo sguardo sul mio problema: il Grigio inclina l’enorme capo e si passa la lingua coperta di barbigli sulle zanne. Pregusta di uccidermi.

Rinfodero le falcate e prendo l’impugnatura di legno, aprendola nella lancia incantata. Non la usavo più da cento anni e avrei preferito non farlo ancora.

Uccidere i draghi non mi è mai piaciuto ma, a volte, è necessario.

Prima che possa raggiungere la posizione di guardia, il Grigio mi è addosso.

Sono costretta a lanciarmi indietro con una salto, per evitare le zanne; mi getto a terra, scansando la fulminea zampata e rotolo lontano.

Odo un suono simile ad un risucchio e ho un tuffo al cuore. Mi affretto a ritrovare l’equilibrio e a scagliarmi lontano.

Il bollente getto di fuoco mi manca per un soffio, colpendo invece un masso e facendolo esplodere come se fosse semplice vetro. Un polverone si alza, estendendosi in una sorta di nebbia che avvolge la battaglia.

Lo sento. Percepisco il drago lanciarsi senza esitazioni nella nuvola di polvere, alla mia ricerca.

Brutta idea affrontare un drago senza uno scudo incantato… o un esercito al proprio fianco.

Mi inerpico rapidamente sulla parete di roccia che racchiude il sentiero e lascio che lui giunga sotto di me. Poi mi lancio, la punta dell’arma diretta alla nuca della sua testa serpentina.

È fatta! È mio!

Capto un movimento al limite del mio campo visivo. Mi volgo appena in tempo.

Frappongo la lancia fra me e la coda avvolta negli spunzoni ossei che mi sta sferzando contro, un alone azzurro si accende all’impatto, scoppiettando. Vengo sbalzata a terra, l’impatto mi toglie il respiro e ruzzolo per dieci piedi buoni.

Non ho tempo per il dolore, non ho tempo per riflettere, prendo a rotolare in una direzione casuale.

Ho fortuna: un istante dopo averla lasciata, la porzione di roccia che mi ha accolto si trasforma in vetro sfrigolante.

Trovo un’asperità nella maledetta parete del sentiero e mi ci nascondo.

Chiudo gli occhi e respiro profondamente, mentre il drago mi cerca. Sento dolore ovunque, è stato un colpo tremendo.

Do un’occhiata alla lancia: non avevo mai provato la teoria secondo la quale gli incantesimi di rafforzamento potrebbero essere usati come scudo. Be’, ora posso dire che la teoria si fonda su solide basi.

Getto una rapida sbirciata fuori dal mio nascondiglio, il drago è molto vicino a me e si avvicina sempre più.

Non vincerò mai in questo modo. Devo provare un altro approccio, uno che il Grigio di certo non si aspetta.

Osservo ancora la lancia e ogni dubbio viene fugato.

Mi scaglio fuori dall’anfratto e corro più velocemente che posso verso la possente creatura: mi individua subito.

Il respiro di fuoco mi avvolge. Alzo la lancia, l’azzurro della magia brilla in modo accecante,  respingendo le fiamme. Eppure il calore è immenso, insostenibile. Sento le vesti prendere fuoco e i miei capelli, stretti nella treccia, emettere fumo. Ma procedo, m’impongo di avanzare.

Arrivo sino alla fonte di quel terribile vulcano, alzo l’arma. Le gambe mi cedono, cado in ginocchio.

Devo farcela!

Le erbe fanno ancora effetto e con le ultime energie rimaste, affondo la lancia nel collo del drago, bagnandomi la mano di sangue bollente.

La creatura smette immediatamente di sputare fuoco, emette un gemito straziante e si accascia al suolo. Proprio come me.

Ma io non ho ancora finito, devo alzarmi. Cerco ancora il sostengo del composto, il quale ormai si sta esaurendo.

Impugno le falcate e le estraggo, pronta ad accogliere il giovane Infido.

Il mostro è furioso per la morte del suo drago e mi assalta scavalcando il corpo della bestia, con in pugno una spada d’acciaio – una della loro razza, stavolta.

Grida con la tipica e molesta voce dei suoi simili, tempestandomi di colpi. È inesperto, ma è bravo. Molto bravo. E io sono sfinita.

Non riesco a piazzare che pochi colpi poco convinti che vengono parati con maestria dal Margher il quale invece replica con fendenti precisi ed energici. Raggiunge la mia pelle, una, due, cinque volte.

Il mio sangue scorre sulla sua lama.

È accecato dall’ira, vuole la mia morte con una determinazione tipica di Loro.

Ho solo un’opportunità e devo coglierla in fretta, o sono morta.

Abbasso le spade invitandolo ad attaccare; poi alzo repentinamente le lame quando mi si fa sotto, incrociandole e parando il suo attacco.

Con un abile movimento di polso il mostro disarma una delle mie braccia, puntando poi al mio cuore con uno scarto e una finta. Tuttavia io sono pronta e lui è sbilanciato.

Mi scanso, evitando l’affondo e, con la mano libera, afferro il polso dell’Infido; con l’altra mano piazzo un pugno al suo mento, scaraventandolo a terra.

Gli sono sopra prima che possa reagire, pronta a sgozzarlo. Ma una vibrazione intensa mi sbalza via prima che possa finirlo

Guardo alle mie spalle: i due basilischi sono stati scaraventati contro il fianco della montagna, completamente abbrustoliti.

I due celesti si dirigono in picchiata contro di me.

Non c’è tempo per chiedersi come sia possibile: devo riprendere la lancia!

Mollo la spada e mi volgo verso il cadavere del Grigio, bloccandomi istantaneamente. Un gigantesco muso di drago è a una passo da me.

Il Grigio non è affatto morto, è solo molto più infuriato: ruggisce con una potenza incredibile e mi sbalza a terra.

Picchio il capo contro delle rocce e tutto diviene immediatamente più confuso, un velo nero offusca i miei occhi.

Se solo avessi colpito meglio quel dannato drago!

Le erbe non mi sostengono più, la nebbia nera mi avvolge. I passi del Grigio provocano vibrazioni intense mentre mi si avvicina, lo vedo spala…

 

Tossisco violentemente, alzandomi in piedi e scuotendomi polvere e sassi di dosso. Trovo difficile comporre un pensiero logico, un dolore tremendo alla testa mi frastorna.

Non percepisco i draghi, se ne devono essere andati momentaneamente via.

Mi avvicino alla creatura che ho affrontato, anche lei è stordita e priva di sensi.

Afferro un pugnale dalla cintura e mi avvicino, appoggiandoglielo alla gola.

Il suo respiro lieve mi sfiora il volto. Inclino la testa e la guardo meglio.

Non sono poi tanto diversi da noi in fondo: due occhi, due braccia, due gambe, pelle rosea. Hanno solo quelle strane orecchie a punta che ho sempre trovato bizzarre.

So che dovrei farlo, ma non me la sento di uccidere così la creatura. Mi alzo in piedi e rinfodero l’arma.

Sento i richiami degli altri, devo andare: orchi, goblin, nani e altri Cacciatori saranno qui a breve.

Recupero la spada e arranco su per il sentiero, volgendomi un’ultima volta verso la figura accasciata al suolo.

“Elfi” sibilo, scuotendo il capo.

Mi volgo e corro verso i miei uomini. Devo assolutamente trovare Shogarath, quella lancia ha fatto un bel buco nel suo collo. È meglio che gli dia subito un’occhiata.
 

 Fallaces sunt rerum species. (Le apparenze ingannano, Seneca)

  
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