Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Mue    09/05/2015    1 recensioni
A Henrietta Baston non piace assolutamente Albus Potter. Proprio no.
Ma una Cioccorana scaduta, una lezione di Pozioni andata non proprio per il verso giusto e altre circostanze casuali convergono su di lei come una congiura per smuovere questo indiscutibile stato delle cose.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

ll Guaio dagli occhi verdi



Brutta faccenda, quella, davvero brutta.
Oh, dai, Henrietta, che vuoi che sia per una che ne ha passate tante come hai fatto tu?
Insomma, non poteva essere peggio di quando aveva incendiato durante la lezione di Trasfigurazione il cappello della professoressa, no? Che poi non avrebbe dovuto arrabbiarsi tanto: suvvia, lo aveva fatto solo per tirare un po’ su di morale i compagni...
E, sì, nemmeno peggio di quella volta che ad Erbologia aveva scagliato il vaso di Rubotuberi Foruncolosi addosso a Yale; che poi non era colpa sua se quella stupida Serpeverde ogni volta che apriva la bocca era per rigurgitare in faccia a tutti le sue smanie da Purosangue; qualcuno doveva pur trovare un modo per zittirla.
E nemmeno quando Quebec, il violentissimo insegnante di Artimanzia l’aveva beccata a riempire di petardi Weasley la serratura dello sgabuzzino delle scope per fare un innocuo scherzetto a quella racchia della custode, Fiorinda Bentham. Quebec, che ovviamente mancava del benché minimo accenno di umorismo, non aveva capito l’ironia della cosa e l’aveva messa a pulire da cima a fondo la collezione di mostricciattoli impagliati di quello squilibrato del professore di Volo, amante delle battute di caccia. Henrietta aveva ancora sulle mani l’odore del Lindosmacchia che aveva usato per lustrarli; ed erano passati sei mesi da allora.
Bene, quindi non è niente di più terribile del solito, concluse tra sé. Perciò ora ti alzi da questo posto, torni dentro al castello, ti scusi con Ravenscar per essere arrivata tardi a lezione e ti siedi al-tuo-posto.
Henrietta assunse un cipiglio risoluto e si sollevò, spolverandosi la divisa sporca d’erba. Quindi si voltò verso le imponenti e lontane mura del castello e allungò in avanti la gamba in quello che avrebbe dovuto essere un passo deciso e marziale verso l’obbiettivo che si era proposta.
Si fermò a metà del movimento e si lasciò di nuovo cadere sull’erba. No, non poteva! Assolutamente no! Non ne aveva il coraggio, semplicemente. Non ci riusciva.
Si mise le mani tra i capelli, che già normalmente erano simili a un grazioso cespuglio selvatico di bosso rinsecchito e se li spettinò, se possibile, ancora di più. Stupida, stupida, stupida che non sei altro!, continuava a ripetersi instancabilmente.
Perché, perché l’aveva fatto? Come aveva potuto? Insomma, aveva osato molto, da quando era arrivata a scuola, ma quello...
Si massaggiò le meningi cercando di raccapezzarsi. Doveva, doveva assolutamente esserci un motivo per il suo comportamento. Ripercorse tutto ciò che aveva fatto quel giorno, da quando si era alzata al momento fatale.
Era saltata giù dal letto in ritardo e mezza addormentata e aveva fatto colazione in fretta e furia; e, fin lì, tutto nella norma. Anzi, quel giorno, miracolosamente era pure arrivata puntuale a lezione grazie al nuovo record di strafogamento tra toast, bacon e uova... aveva battuto persino quel grosso apparato digerente di forma umana che era Clint Smallwood del settimo anno, che si era accasciato al suolo sull’orlo del collasso dopo il decimo tramezzino. Poi, ovviamente, aveva festeggiato con un enorme cioccorana formato Troll. Che fosse stata quella? Magari aveva esagerato con il cibo e si spiegava così la ragione del suo comportamento anomalo... no, non bastava. Quello che aveva fatto doveva avere radici molto più profonde e traumatiche.
A Cura delle Creature Magiche avevano passato l’ora a inseguire sghignazzanti Gattorinchi del Marocco mentre il professore li incitava a catturarli e domarli. Ricordava benissimo uno che era saltato nel colletto di Roman Daywrith scendendo giù fino... beh, sì, non era il caso di ridere, ma in quel momento Henrietta non era proprio riuscita a trattenersi. Che forse poi Roman le avesse scagliato addosso un Incantesimo Confundus che le aveva fatto saltare momentaneamente cervello, cervelletto e connessi? Forse sì, ma perché proprio a lei? Non era stata l’unica a ridere, in fondo.
E poi a Pozioni avevano preparato quella strana Soluzione Vitalizzante. Cioè, gli altri l’avevano preparata; Henrietta si era limitata a buttare nel calderone -ma del tutto casualmente, davvero- gli ingredienti più un paio di gomme da masticare... sì, va bene, lo aveva fatto apposta, ma solo perché aveva pensato che così sarebbe diventata più “densa e filmantosa”, come diceva il libro. Non poteva certo immaginare che poi quando la professoressa Bones avrebbe cercato di estrarne un’ampolla da esaminare si sarebbe gonfiata in un’enorme bolla variopinta e le sarebbe scoppiata addosso appiccicandosi alla sua tunica preferita!
E poi, e poi... ah, ecco, sì, aveva pranzato ed aveva esultato di gioia vedendo che Smallwood non era al tavolo dei Grifondoro, probabilmente ancora impegnato a vomitare il fegato ai bagni. Okay, magari le sue risate erano state un tantino troppo alte e malvagie, ma era provato dai più recenti studi di Psicoincantesimi che ridere faceva bene alla salute e allungava oltremodo la vita, quindi che c’era di male? Eccetto questo, comunque, il pranzo era andato bene. Era dopo che erano arrivati i guai. Anzi, il Guaio.
Quel maledetto, dannatissimo Guaio dagli occhi verdi.
Se solo l’avesse saputo, se solo avesse saputo cosa diavolo sarebbe successo di lì a un’ora si sarebbe fatta schiantare e rinchiudere in un sarcofago egiziano maledetto per un mese intero, si sarebbe fatta legare alla sedia dell’ufficio della racch... della Bentham e avrebbe ascoltato tutti i suoi pettegolezzi su tutti i professori della scuola che siano esistiti e che devono ancora nascere, si sarebbe rinchiusa nella stessa stanza con Quebec per un’ora filata, si sarebbe Avadakedavrizzata...
Ma, semplicemente, non lo sapeva.
Per le orecchie a sventola di Morgana, a lei lui nemmeno piaceva!
Sì, va bene, ogni volta che doveva sederglisi accanto il cuore le partiva a mille, e, sì, quando mangiava di fianco a lui riusciva a comportarsi quasi secondo il Magigalateo Culinario, e quando si trovavano nella stessa stanza le mancava l’aria nei polmoni e doveva punzecchiarsi una gamba con la bacchetta per resistere alla tentazione di guardare dalla sua parte, e quando incontrava i suoi occhi apriva la bocca come in un lungo, lunghissimo sbadiglio di bradipo assonnato e tutte le sue funzioni cerebrali rasentavano il livello zero di attività... ma questo non voleva assolutamente dire che ne era innamorata.
Era facile, dopotutto, confondere l’amore con altre cose: ad esempio, poteva semplicemente avere un’ossessione maniacale compulsiva verso i secchioni aspiranti Auror, oppure poteva essere affetta da una misteriosa e sconosciuta forma di cleptomania verso gli occhiali rotondi e, non avendo ancora trovato un modo per rubarglieli, si incantava sul proprietario mentre il suo subconscio elaborava piani per mettere in atto il furto.
In ogni caso no, a lei non piaceva Albus Potter, che fosse chiaro.
E quello che era successo nella Sala d’Ingresso, subito dopo pranzo, sotto gli occhi di tutta la scuola era solo un insulso incidente di percorso. Un caso, ecco, una coincidenza.
Per la barba di Merlino, non era chiaro? Chiunque avesse visto la scena avrebbe dovuto arrivare alle stesse conclusioni.
Lei che rideva con quell’imbecille -sì, era il suo migliore amico, ma era un imbecille comunque- di Eric Appleyard. Albus che, dietro di loro, teneva il naso incollato a uno dei libri enormi e polverosi che si portava sempre dietro, immerso in chissà quale lettura sui suoi amati, invincibili, stupendi Auror.
Henrietta che si fermava di scatto, Eric che faceva una battuta idiota su Quebec e lei che si metteva a ridere a crepapelle.
Albus, che li stava per superare, aveva alzato lo sguardo e si era voltato verso di lei con un mezzo sorriso, puntando i suoi dannatissimi occhi di quel dannatissimo verde su di lei -ah, ecco quando il suo cervello aveva smesso di funzionare. Solo ora Henrietta se ne rese conto.-
Cos’è che gli aveva detto. Qualcosa come “Perché mi guardi, Al?”
L’aveva davvero chiamato Al? Non Albus? Sul serio? Oh, santa Morgana!
E lui aveva sorriso ancora di più -o almeno così credeva, era troppo impegnata a fissargli gli occhi per esserne sicura.- “Niente, è che hai una risata che attira l’attenzione.”
“Vale a dire?” aveva replicato offesa. No, non offesa, catatonica. Anzi, in quel momento era già tanto se si era ricordata di respirare.
“Mi piace.”
Ecco, quello era stato il Guaio. Lui era il Guaio. Era tutta colpa sua, dei suoi maledettissimi occhi verdi!
Era stato allora che se anche un solo neurone della devastazione apocalittica che Henrietta aveva per cervello ancora funzionava, aveva improvvisamente deciso di fare le valigie e abbandonare completamente la padrona al suo destino.
Lei non voleva. Insomma, ragionando, non avrebbe mai fatto una cosa del genere a mente lucida. E... e invece...
“A me piaci tu.”
Così, in mezzo alla sala. Ma lei non voleva dire quello, davvero. Voleva solo dirgli, ecco, dirgli... Oh, Merlino, non lo sapeva, ma non quello, non quello, non davanti a tutta la scuola... D’altronde come facevano a pensare che parlasse sul serio? Era evidente che aveva subito un intossicazione di Cioccorana scaduta, che avesse esalato troppo vapore di Soluzione Rivitalizzante alla gomma da masticare, che era stata colpita dal ferragosto anticipato di tutte le sue cellule neuronali... Anche se, doveva ammetterlo, forse scappare dalla sala dopo la tragedia non era stato molto favorevole alla vera realtà dei fatti, e cioè che a lei, di Albus, non importava un accidente di niente. Poteva anche concedere un accidente di qualcosina, però molto molto piccolo... okay, non tanto piccolo... enorme, va bene, ma comunque non-era-amore-né-attrazione!
Il punto, ora, era: come spiegarlo al mondo intero?
Sconsolata, si lasciò cadere in avanti battendo il naso sull’erba bagnata.
“Ahi!” disse, ma non si mosse, sdraiata a pancia in giù in mezzo al parco di Hogwarts.
Che doveva fare? Anzi, c’era qualcosa da fare?
“Ehm, scusa... non voglio disturbarti...” disse una voce accanto a lei.
“Lasciami in pace” borbottò Henrietta contro il terreno.
“Ma...”
“Vattene!”
“Ma...”
“Sono una stupida, e nemmeno la regina più stupida delle più stupide del pianeta sarà mai stupida quanto me.”
“E’ già un buon traguardo. Almeno sei prima in qualcosa.”
Fu in quel disgraziato momento che i neuroni in sciopero di Henrietta decisero malignamente di riprendere la loro attività e risvegliarla dalla trance cerebrale.
Henrietta non osò muoversi. Oddio, non poteva essere...
“Ti prego, non dirmi che sei Albus.”
“Ehm... se vuoi posso anche non dirtelo...”
Henrietta alzò di un millimetro la testa e la calò giù sbattendola al suolo con un forte “Tump!” Poi ripeté l’operazione.
“Che fai?” chiese Albus allarmato.
“Cerco di sentire se la mia testa è davvero vuota come sembra dal suono che riproduce sbattendola contro qualcosa di duro.”
Silenzio. Poi Henrietta sentì qualcosa sfiorarle la testa. Qualcosa di gentile e di caldo che la accarezzava.
“Smettila, per favore” disse Albus in uno strano tono di voce.
Henrietta smise quasi istantaneamente. Le sarebbe piaciuto continuare fino a sconquassare definitivamente tutti quei perversi neuroni traditori che si ritrovava a possedere, ma accontentare Albus era un’alternativa decisamente più allettante.
“Sei... sei arrabbiato con me?” trovò il coraggio di chiedere.
Di nuovo silenzio. Henrietta osò voltare di un centimetro la testa e aprire una palpebra. Albus era lì, inginocchiato accanto a lei, che la fissava con un’espressione che non gli aveva mai visto sulla faccia. Non rispose subito ma lasciò passare un lungo istante... una lunga tortura per Henrietta.
“Prima...” disse piano.
Lucy si raddrizzò sollevandosi da terra e inginocchiandosi a sua volta. “Oh, e ora non più?”
“Io... no, fammi finire” disse Albus.
Aveva una strana tonalità di carnagione. Henrietta lo guardò meglio: era sempre stato così... rosso?
“Prima, quando hai detto...” cominciò Albus, per poi interrompersi bruscamente. Era ancora più rosso di prima. “Del fatto di... di piacerti... beh, dicevi sul serio?”
Henrietta avvampò e iniziò a parlare a raffica. “Ma certo che no! Voglio dire, non è come sembra, lo giuro! Non volevo assolutamente dire quello, devi credermi! E non c’entra niente il fatto che non riesco mai a toglierti gli occhi di dosso, e che mi incanto a guardarti, e che mi piacciono i tuoi occhi... cioè, sì, anche, ma davvero non è che mi piaci... è solo che davvero non mi esci mai dalla testa, ma non vuol dire che ti amo o cose del genere e...”
Durante quel discorso assai sconnesso e senza senso, Albus aveva dato dimostrazione di possedere una vasta gamma di espressioni: attesa, delusione, perplessità, dubbio e... e adesso perché stava ridendo?
“Che c’è da ridere?” sbottò Henrietta. Insomma, lui non si rendeva proprio conto di quanto la situazione fosse grave! Pensava forse che fosse cosa da poco spiegare a tutta la scuola che si erano sbagliati tutti e che le cose non erano affatto come sembravano?
“C’è tutto da ridere” rispose Albus sorridendo. “Sei davvero assurda, Henrietta.”
Poi fece una cosa piuttosto incomprensibile. La prese tra le braccia e la strinse forte a sé.
“Anche tu mi piaci, Henrietta Baston.”
Henrietta rimase sconvolta. “Io?”
“Sì” rispose lui paziente.
“Ma... ma tu non mi piaci! Ti ho appena detto che...” cercò di protestare.
“Oh, sì, l’avevo capito!” rise Albus, scostandola da sé e guardandola negli occhi.
E, così facendo, i neuroni di Henrietta decisero seduta stante di prendersi di nuovo un'altra bella vacanza, magari anticipando quelle di Natale, o quelle di Pasqua direttamente. Il risultato era comunque lo stesso: la sua mente divenne più vuota del vuoto cosmico.
Altrimenti, se fosse stata in possesso delle sue facoltà, come avrebbe mai potuto baciare in quel modo Albus Potter, che proprio non le piaceva per niente?
 

Fine

Note:
Buonasera!
Questa fanfiction risale al lontano 2008 e la scrissi insieme a Ob Morsum. Doveva essere una specie di spin-off ma completamente sconnessa dalla storia a più capitoli: come avrete visto, in comune ha solo i nomi di alcuni professori e l'ambientazione.
Che ve n'è parso? Spero che vi abbia divertiti almeno la metà di quanto abbia fatto ridacchiare me rileggendola e correggendola. Lo so, ridere delle cose che si scrive è segno di gravi squilibri mentali, ma che volete farci? Qualche vapore della pozione di Henrietta sarà evaporato dal computer fino a me.
Come sempre grazie a chi ha letto, a chi commenterà e a chi la inserirà tra le preferite.
A presto,
Mue

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Mue