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Autore: ellyb1611    10/05/2015    9 recensioni
La storia partecipa al contest “Un’idea più storie”, dove gli “autori” erano tenuti a sviluppare una propria storia partendo da un tema in comune. La consegna per me e le altre ragazze del gruppo era: Storia che parli di un naufragio, una tempesta in mare che porta alla distruzione della barca/nave e qualcuno si salva.
Killian ha avuto una vita terribile fino a quando s'intrufola sulla nave di Thomas Anserson.
Attraversando una terribile tempesta, che porterà morte e distruzione Killian scoprirà che "dopo la tempesta", lo aspetta una nuova vita.
Dal testo: "Rimasero in silenzio, cullati dalla lieve brezza, senza proferire parola e continuando a guardare la distesa d’acqua innanzi a loro. Il ricordo della notte appena passata sarebbe rimasto vivido nelle loro menti per sempre.
Erano dei sopravvissuti ed entrambi per la seconda volta."
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parte I
Killian guardava di fronte a sé l’enorme distesa d’acqua e, per la prima volta in vita sua, si sentì finalmente libero.
Il vento gli pizzicava il volto, ma era la sensazione più piacevole che avesse mai provato in vita sua. Davvero non credeva di essere riuscito ad andarsene da quella casa tanto angusta e, soprattutto, da quel padre per il quale non provava altro che disgusto ed odio.
Killian si portò le mani vicino all’occhio che ancora portava i segni della poco tolleranza di quell’uomo, che gli aveva dato la vita.
Faceva ancora male ma, man mano che la costa si allontanava, anche il dolore sembrava attenuarsi.
Killian socchiuse gli occhi ed inspirò tutta l’aria salmastra che l’oceano portava nei suoi polmoni e, per la prima volta dopo molto tempo, si ritrovò a sorridere.
«Allora ragazzo, ti sei già pentito della tua scelta?», la voce del Comandante Anderson lo destò dai suoi sogni.
Lo guardò con occhi sbarrati, forse aveva fatto qualcosa che non andava e forse doveva essere punito per questo «Sì Signore …», balbettò, « … cioè no, Signore»,Killian abbassò lo sguardo scuotendo la testa e rimproverandosi per essere davvero così stupido.
La grassa risata del comandante, lo fece trasalire.
«Tranquillo … non c’è bisogno di agitarsi, sei tra amici ora.», Il comandante lo osservò sorridendo e Killian rispose allo stesso modo. Aveva ragione, ora nessuno gli avrebbe più fatto del male. E man mano che la grande imbarcazione prendeva il largo, il ricordo di tutti i soprusi subiti si affievoliva sempre più.
 «Sono convinto della mia scelta Signore e la ringrazio per avermi dato l’opportunità di far parte della sua ciurma Comandante.», disse tutto d’un fiato guardando l’uomo negli occhi.
«Ottimo O’Brien!», esclamò Anderson sorridendo,«Ora puoi andare da Smith e dargli il cambio alla vedetta, sono certo che te ne sarà grato.», concluse l’uomo battendo amichevolmente una mano sulla spalla del giovane.
Killian annui e si diresse verso la scaletta per raggiungere il compagno.
Thomas Anderson lo guardò mentre si allontanava e, ripensando al modo in cui lo aveva trovato,provò, per quel ragazzo, una fitta di amore paterno.
Qualche settimana prima
Era l’ ultima notte a Cork per il Comandante Anderson e, dopo qualche ottima birra si era deciso a ritornare alla sua nave. L’indomani sarebbe ripartito, con la sua squadra, facendo ritorno, dopo due anni, alla sua amata patria.
Era stato fuori troppo a lungo, ma dopo quel terribile incidente, che gli aveva portato via la sua amata Debby e il loro piccolo, che ancora doveva nascere, per lui, uomo di mare, era stata l’unica scelta possibile per evitare di impazzire. Il dolore era ancora grande, ma il mare l’aveva aiutato a sopportare, aveva ascoltato le sue urla disperate e le aveva portate via col vento, lasciando dentro di sé solo i ricordi più belli.
Sorridendo tra sé e sé, salì a bordo della sua nave ma non appena fu di fianco ad una delle scialuppe, un rumore lo fece trasalire.
Da sotto il telo di una delle lance, scorse un movimento sospetto e, a giudicare dalla grandezza, non si trattava  di un gatto.
Si avvicinò con cautela ad essa e sempre con lentezza la scoperchiò. Quello che trovò al suo interno lo lasciò senza parole.
Un giovane uomo, non più grande di vent’anni, se ne stava raggomitolato su se stesso. Thomas lo alzò per il bavero della giacca, disposto a buttarlo giù dalla sua nave ma, non appena vide le condizioni del suo viso, tutta la rabbia per quel clandestino svanì.
L’occhio era deformato a causa del gonfiore e anche il labbro non stava di certo meglio, ricoperto com’era da tutto quel sangue. Di peso lo portò in infermeria, lo adagiò con cura sul lettino e aprì l’armadio dei medicamenti. Il dottore aveva la serata libera, come il resto dei suoi uomini, perciò si rimboccò le maniche e cercò di curare alla meno peggio le ferite di quel poveraccio.
Il ragazzo evitava di guardarlo e opponeva resistenza quando Thomas provò a medicarlo.
«Senti ragazzo …», sbuffò il Comandante, «Avrei già potuto sbatterti giù dalla mia nave, ma non sono un mostro e tu hai bisogno di cure. Poi mi spiegherai per quale motivo ti sei infiltrato qui senza il mio permesso.»
Il ragazzo sollevò lo sguardo incrociando gli occhi di Anderson e annui.
Thomas Anderson, ripulì le ferite dal sangue, toccò delicatamente il viso del giovane per sincerarsi che nessun osso fosse rotto e infine ispezionò il taglio sopra all’occhio. Dovevano essere messi dei punti. L’aveva già fatto diverse volte in passato e, per questo, si sentiva sicuro anche senza dover chiedere l’aiuto del suo dottore.
Si allontanò dal ragazzo, che non distoglieva lo sguardo da ogni suo movimento, prese una bottiglia di Gin e ritornando dal giovane gliela porse.
«Bevine un lungo sorso», gli ordinò, «dobbiamo mettere dei punti a quel taglio».
Il ragazzo, titubante, guardò la bottiglia poi inspirò tutta l’aria che poteva e ingurgitò la bevanda alcolica.
Il bruciore che sentì scendere lungo la gola s’irradiò subito allo stomaco. Non capiva cosa ci trovasse il padre di tanto meraviglioso nello sbronzarsi un giorno si e l’altro pure.
Sentì la mano dell’uomo di fronte a lui, spingerlo verso il lettino. Guardandolo negli occhi prese la bottiglia e delicatamente versò lo stesso liquido che ancora gli ardeva in corpo, sulla sua ferita. Il giovane ricacciò dietro un urlo, provocato da quel bruciore.
Cosa stava facendo? E perché lui era così stupido da lasciarselo fare?
 Vide l’uomo avvicinarsi con un ago e  un filo all’interno della sua cruna.
Non appena il piccolo arnese metallico si conficcò nella sua carne, Killian si liberò dall’urlo che aveva represso qualche attimo prima.
Poi svenne.
Quando riaprì gli occhi era ormai giorno.
 Si guardò attorno. La vista era ancora offuscata e non mise subito a fuoco dove si trovava. Si portò la mano destra sopra l’occhio sinistro e la ritrasse subito per il dolore.
Ora ricordava tutto.
«Non dovresti toccare troppo la ferita», una voce dietro di lui lo fece sobbalzare.
«No, Signore!», pronunciò cercando di alzarsi. Ma la debolezza prese il sopravvento e lo fece crollare a terra.
Thomas Anderson si precipitò verso lo sventurato che, come la sera prima, evitava di guardarlo negli occhi e, ancora una volta, lo aiutò ad alzarsi.
«Allora ragazzo …», disse Thomas fissando gli occhi su di lui, « … come ti chiami?»
«Killian O’Brien, Signore.», rispose il giovane flebilmente
«Bene Killian O’Brien, ora puoi dirmi per quale motivo ti sei intrufolato sulla mia nave?», domandò il Comandante.
Lo sguardo grave dell’uomo fece rabbrividire il ragazzo.
Cosa gli avrebbe risposto? Che era scappato di casa? Di certo l’avrebbe obbligato a fare ritorno, ma Killian non ne aveva alcuna intenzione.
«Mi porti con lei, la prego!», disse infine con un filo di voce
«Non hai ancora risposto alla mia domanda.», enunciò il capitano continuando a guardarlo.
Killian distolse lo sguardo. Non voleva raccontare a quello sconosciuto perché aveva deciso di scappare di casa. Non voleva sembrare ai suoi occhi un debole, come suo padre l’aveva sempre reputato.
«Quanti anni hai?», chiese ancora Thomas.
«Diciassette Signore … ma tra un paio di mesi sarà il mio compleanno», comunicò il giovane
«Se davvero vuoi fare il marinaio dovremo avvertire tuo padre. Devo avere il suo consenso per …»
«La supplico, non lo faccia … lui non deve sapere che sono qui!», lo interruppe Killian stringendogli un braccio.
Thomas lo guardò negli occhi, con ogni probabilità,la notte appena trascorsa ,doveva essere finita a scazzottate.
«Sono sicuro che tuo padre ti perdonerà per la tua notte brava …»
«È STATO LUI!», lo interruppe nuovamente sbraitando.
Thomas lo guardò senza capire, o forse semplicemente non voleva credere a quello che aveva appena sentito.
«È stato mio padre a ridurmi così … la prego Signore … io le prometto che non le causerò problemi, ma non posso tornare da lui.»
Negli occhi di Killian passò un lampo di terrore che Thomas non poté fare a meno di notare. Quegli occhi lo imploravano, lo supplicavano di condurlo via da quel posto. Quegli occhi non mentivano e lo stomaco gli si strinse in una morsa.
 Come poteva un uomo, un padre, fare quelle cose al proprio figlio?
«Signore!», una voce dietro alle sue spalle lo fece ritornare coi piedi per terra.
Si voltò e vide Campbell che lo osservava.
«Signore …», continuò il marinaio, «… anche l’ultimo carico è stato posizionato. Noi siamo pronti per salpare!», affermò attendendo ordini dal suo superiore.
Anderson sospirò, guardò il giovane O’Brien e sorridendogli si rivolse a Campbell.
«Siamo pronti, iniziamo subito le manovre. Torniamo a casa!», pronunciò infine il comandante.
Campbell annuì e sfrecciò sul ponte seguito da Thomas che si fermò sull’uscio e si rivolse a Killian
«Benvenuto a bordo Killian O’Brien»,disse infine uscendo dalla stanza.
 
«È davvero un bravo ragazzo», disse la voce di Sullivan, il quarto ufficiale, riportando Thomas Anderson alla realtà «hai fatto la scelta giusta portandolo con noi».
Thomas guardò verso il ragazzo nella coffa e si ritrovò a sorridere. In queste settimane aveva avuto l’occasione di conoscerlo meglio e si era affezionato a lui ed era certo che, lo stesso, valesse anche per il giovane.
Killian guardò verso il ponte di coperta e sorrise, vedendo che il comandante lo stava osservando.
Quando quel giorno gli aveva permesso di restare sulla sua nave Killian aveva scoperto di valere qualcosa. Aveva imparato molto più in poche settimane con queste persone, che, in tutta la sua vita passata con quel vecchio ubriacone di suo padre. Quel padre che l’aveva sempre considerato una nullità, che l’aveva accusato della morte di sua madre, che aveva sempre preferito una bottiglia di Whisky a lui. Scosse la testa allontanando quel pensiero dalla sua mente. Ora quell’uomo era lontano e lui aveva preso finalmente in mano la propria vita, non gli avrebbe più fatto alcun male, non glielo avrebbe più permesso.
«Ehi O’Brien», gridò Smith dal basso, «è il tuo turno in cambusa e vedi di muoverti che stiamo morendo di fame», concluse il giovane mozzo sorridendo.
Killian si precipitò dal cambusiere. L’uomo l’aspettava ghignando, nascosto dietro ad un’enorme pentola colma di patate pronte per essere pelate e Killian si mise subito all’opera.
Anche pelare patate, era meglio che stare nella stessa casa di suo padre.
 
II parte
Thomas usci sul ponte, i suoi uomini avevano lavorato duramente per tutto il giorno e li aveva lasciati a divertirsi con una buona bottiglia e una partita di poker.
Socchiuse gli occhi cullato dal vento, tra poche ore sarebbero attraccati al porto di Cleveland e, da lì, avrebbe ricominciato la sua vita. Non c’era più nessuno ad aspettarlo ma avrebbe fatto di tutto per mantenere vivo il loro ricordo, di Debby e del piccolo che mai avrebbe conosciuto.
Ricacciò indietro una lacrima quando sentì, dietro di sé, l’avanzare di alcuni passi.
«Mi scusi Signore … non volevo disturbarla», disse mestamente Killian, rimanendo a distanza sotto il cono di luce.
Thomas gli sorrise e fece cenno di avvicinarsi.
Killian non se lo fece ripetere una seconda volta e si posizionò accanto al Comandante.
«Non t’interessa il poker figliolo?», chiese Thomas accendendosi una sigaretta
«No, Signore!», rispose il ragazzo, «Ho visto fin troppe volte serate come queste e, sinceramente, mi fanno venire il voltastomaco», continuò.
Thomas annuì, poi sospirando gli offrì una delle sue Lucky Strike.
Killian lo guardò, guardò la sigaretta e poi scrollando le spalle l’accettò. Inspirò a pieni polmoni col risultato di cominciare a tossire anche quelli.
«È la prima volta che fumi ragazzo?», rise il Comandante dandogli dei colpetti sulla schiena.
Killian sorrise imbarazzato ed inalò un’altra boccata di fumo, questa volta più lentamente.
«Dove andrai quanto attraccheremo? Ci hai già pensato?», domandò Thomas continuando a guardare il mare.
Killian sospirò, solo in quel momento si rese conto che  non ci aveva ancora pensato.
«Non lo so Signore, una volta a terra vedrò cosa fare.», confessò.
Poco gli importava se non avrebbe trovato un posto dove andare. Ogni posto lontano da Cork per lui significava solo una cosa. Libertà.
«Hai qualche parente a Cleveland?», domandò ancora il preoccupato Comandante.
Anche questa volta la risposta era negativa.
«Signore …», disse infine Killian, « … ho trascorso una vita a cercare di difendermi da quell’uomo, a cercare di compiacerlo,che ora non m’importa se dovrò vivere nella stiva di una nave per tutto il resto della mia vita. Perché sono certo che anche nel posto più squallido di questo mondo, non mi troverò a tendere l’orecchio in attesa che lui salga nella mia stanza e si avventi su di me. Ovunque mi troverò, lui non potrà più raggiungermi per farmi del male.»
Thomas si sentì rabbrividire. Davvero un padre poteva arrivare a tanto. Violare il proprio figlio e pestarlo a sangue. Scosse il capo.
«Killian … guerriero. È questo che significa il tuo nome vero?», disse dolcemente il Comandante.
Il ragazzo annuì.
«Mia madre scelse il nome, diceva sempre che mi sarebbe servito nella vita … non pensavo che si riferisse alla lotta che avrei condotto con lui»,confessò tristemente. «Signore …», continuò, «lei ha figli?», chiese infine dopo un breve silenzio.
Thomas si sentì raggelare. Contrasse il viso, per evitare di far vedere quanto dolore c’era in lui e strinse fortemente il parapetto in metallo tra le sue mani.
Killian si accorse subito dell’espressione del comandante e si affrettò a scusarsi.
«Mi dispiace Signore, non sono affari …»
«Non importa, Killian», lo interruppe l’uomo dolcemente, «Avevo una moglie. Due anni fa di ritorno da una serata tra amici ci fu un terribile incidente.», Thomas parlava piano mentre il dolore si ripresentò più forte nel suo cuore,«Morì sul colpo … lei e il piccolo che portava in grembo.», concluse sospirando.
Killian posò una mano sulla spalle di quell’uomo che l’aveva aiutato nel momento del bisogno, quell’uomo che aveva creduto in lui e gli aveva dato una possibilità.
«Sarebbe stato un buon padre.», disse il ragazzo dolcemente.
Thomas lo guardò e gli sorrise. Quel ragazzo, era molto simile a lui. Entrambi avevano una storia terribile alle spalle. Entrambi potevano essere la salvezza l’uno per l’altro.
«E tu saresti un buon figlio!», confessò infine.
Thomas sentiva con quel ragazzo un legame ormai inscindibile, l’aveva salvato quella notte quando si era intrufolato sulla sua nave e, inconsapevolmente, quella notte Killian aveva salvato anche lui. Si era sempre chiesto se avesse mai potuto essere un buon padre, ora sapeva che lo sarebbe stato e, forse, lo poteva essere per lui.
«Per un po’ non m’imbarcherò più», riprese Thomas,«se vuoi un tetto sopra la testa te lo posso offrire, almeno finché non avrai trovato la tua strada.»
Killian non disse nulla, ma i suoi occhi parlarono per lui.
Il vento si era alzato e l’aria fredda cercava d’insinuarsi nel suo coropo, ma Killian non la sentiva, per la prima volta, dopo la morte di sua madre, si sentiva amato come un figlio. Quell’uomo che incondizionatamente si era preso cura di lui e che lo aveva fatto sentire finalmente una persona, gli stava proponendo una prospettiva di vita a cui lui, non avrebbe mai potuto rinunciare.
Killian e Thomas si sorrisero.
Sapevano entrambi, con quel sorriso, di aver sigillato un patto. Un patto di salvezza.
«Comandante!», esclamò Sullivan correndo verso di loro. La voce leggermente panicata.
«Sullivan che succede?», domandò Thomas avvicinandosi al quarto ufficiale.
«Sta per arrivare una tempesta.», disse l’ufficiale.
«Sullivan non è la prima volta che c’imbattiamo in una tempesta. Riusciamo ad aggirarla?», chiese ancora il Comandante con tranquillità.
«No Signore, non c’è alcuna possibilità di farlo.», confessò l’uomo,« Non ho mai visto una tempesta di questa portata in tutti questi anni di navigazione.», disse  infine Sullivan visibilmente scosso, prendendo da parte il Comandante.
Thomas sospirò, non era la prima volta che durante tutti gli anni trascorsi in mare gli capitava d’imbattersi in una tempesta. Di sicuro sarebbe stata una lunga notte ma, la prima cosa da fare, era non farsi prendere dal panico.
«Signore», chiamò Killian,«c’è qualcosa che non va?», chiese infine
Anderson e Sullivan si guardarono poi il Comandante si rivolse al giovane.
«Stiamo per entrare in una tempesta. Abbiamo bisogno di tutti gli uomini per non andare alla deriva. Possiamo contare su di te?»
«Certo Signore, non sarà una tempesta a fermarmi», disse il ragazzo sicuro di sé.
«Bene, segui Sullivan lui ti darà tutte le indicazioni»., ordinò mentre i due si allontanavano di corsa.
Sul ponte erano già arrivati anche gli altri componenti dell’equipaggio. Il mare aveva iniziato ad ingrossarsi sempre di più e la nave era già in balia delle acque.
È incredibile come nel giro di qualche istante la situazione possa cambiare. In mare, come nella vita, Thomas sapeva che bastava un nonnulla per andare alla deriva.
Thomas salì al ponte di comando, mentre i suoi uomini stavano iniziando le manovre per mettere la nave in cappa, quella manovra che avrebbe permesso all’imbarcazione di restare il più ferma possibile e che avrebbe permesso loro di salvarsi.
Vide l’equipaggio attrezzarsi per sistemare le vele, in modo da mettere il più possibile la nave in equilibrio.
Thomas sollevò lo sguardo oltre il ponte di comando.
Il cielo sopra di loro stava incupendo sempre più, attraverso le nuvole poteva distinguere chiaramente il bagliore dei lampi che rischiaravano il buio tenebroso nel quale si erano addentrati.
Irrigidì le mani sopra al timone, lottando contro la forza della natura per mantenerlo il più possibile fermo.
Il suo pensiero andò subito a Killian, non era addestrato per affrontare una bufera simile, guardò verso il ponte di coperta.
Sullivan stava impartendo diversi ordini e tutti gli uomini si muovevano in sincronia. Con l’occhio cercò Killian e quando lo vide si meravigliò di come stesse affrontando la tempesta in cui si erano imbattuti. Stava facendo del proprio meglio e senza lasciarsi prendere dal panico. Aveva visto, nella sua carriera, uomini più preparati di lui andare fuori di testa per molto meno.
Inspirò a fondo. Lo avrebbe portato fuori dalla tormenta. In qualsiasi modo possibile.
 
L’acqua arrivò sulla schiena di Killian come un secchio di acqua gelata ed il vento, che gli sibilava nelle orecchie, contribuiva a renderla ancora più fredda.
Il cuore gli martellava in petto come se dovesse uscire da un momento all’altro. Aveva paura. Aveva paura di non farcela ma, come gli aveva ripetuto Thomas, lui era un guerriero, la sua tempesta personale l’aveva vissuta insieme a quell’uomo che, per motivi genetici, era suo padre, questa, in confronto agli anni trascorsi col fiato in sospeso ogni volta che l’orco si avvicinava alla sua stanza, era nulla.
Un’onda si avventò su di lui buttandolo a terra, sbatté contro la balaustra in ferro facendogli perdere il fiato per qualche secondo.
Attorno a sé gli uomini continuavano a compiere tutte le manovre possibili per cercare di mantenere la nave in equilibrio, cosa che sembrava impossibile visto quanto essa s’inclinava sul mare.
Le urla dei membri dell’equipaggio arrivavano ovattate alle orecchie di Killian, ancora stordito per la botta ricevuta. Si toccò la testa, nel punto che più gli faceva male, la mano s’imbrattò di sangue. Fece un grande sforzo per rimettersi in piedi. Doveva tornare dai compagni, anche solo un paio di mani in più, in quella situazione, potevano fare la differenza.
Le onde si fecero sempre più minacciose e continuavano a salire, non invitate, sul ponte maestro. Killian si sorreggeva a stento cercando di trovare una posizione che gli permettesse di avanzare. Aveva quasi raggiunto gli altri uomini quando la nave cargo impattò contro qualcosa. Il suono metallico della chiglia che si squarciava ammutolì tutto l’equipaggio.
Solo il vento aveva ancora il coraggio di parlare.
Il comandante Thomas si precipitò sul ponte accanto ai suoi uomini, ordinò a Sullivan di controllare l’entità del danno e quando l’uomo ritornò da loro, il suo viso non lasciava presagire niente di buono.
Una piccola imbarcazione in balia della tempesta aveva urtato la loro nave, procurando un terribile squarcio sulla sua fiancata.
Thomas Anderson, inspirò e cercò di restare tranquillo, trasmettendo lo stesso stato d’animo a tutto l’equipaggio. Killian lo guardava con ammirazione, in una situazione simile, riuscire a mantenere la calma, era una cosa, per lui, degna di ogni rispetto.
Una nuova, improvvisa onda s’impattò su di loro facendoli cadere, ancora una volta, a terra.
«UOMO IN MARE!», sentì urlare Killian,«SMITH È FINITO IN MARE!», urlò ancora la voce.
Il ragazzo guardò verso l’enorme distesa d’acqua in burrasca e intravide il compagno, col quale aveva riso e scherzato negli ultimi giorni, annaspare per tenersi a galla. I flotti sembravano quasi inghiottirlo. Killian cercò di lanciargli un salvagente per aiutarlo a mantenersi per lo meno a galla, non sapeva se fosse la scelta giusta ma, prima che potesse raggiungere il galleggiante, vide un’onda alzarsi maestosa sopra il compagno e portarselo via con sé.
Killian trattenne una lacrima, non era quello il momento per lasciarsi andare ai sentimentalismi. Doveva essere lucido ed aiutare gli altri.
La nave oscillava a destra e sinistra imbarcando, ogni volta, grandi quantità di acqua. Killian sentiva lo stomaco in subbuglio ma cercò di trattenersi dal vomitare.
Campbell e Sullivan cercavano invano di proseguire la manovra, ma il mare era come una furia ed impediva loro di reggersi anche solo in piedi. L’acqua che continuava ad entrare sull’imbarcazione rendeva tutto il pavimento ancora più scivoloso.
Jon Keppler, il medico di bordo, si precipitò dal comandante.
«Tom, stiamo imbarcando acqua da sotto», urlò.
Thomas Anderson socchiuse gli occhi cercando di trovare una soluzione, che sapeva non avrebbe mai trovato.
Imbarcare acqua in quel modo era sinonimo di una sola cosa.
La nave sarebbe affondata.
L’unica speranza che gli restava era quella che, essendo riusciti a fermare l’imbarcazione, la tempesta cessasse prima dell’irreparabile.
Una nuova ondata, ancora più forte delle precedenti inclinò la nave sul lato destro. Killian si aggrappò ad una cima per evitare di cadere, allungò una mano verso Campbell ma l’uomo non fu abbastanza svelto e scivolò verso l’acqua. Killian si staccò dalla fune e si precipitò verso di lui tendendogli una mano mentre con l’altra cercava di sorreggersi alla balaustra. Thomas si piombò vicino al ragazzo cercando di aiutarlo e dopo pochi istanti la nave tornò nella sua posizione più consona ma subito dopo oscillò nuovamente con la stessa forza e le mani di Killian e di Anderson non riuscirono più a trattenere il compagno che svanì, come era accaduto con Smith poco prima, tra le onde.
Thomas abbassò il capo. Non era riuscito a salvarlo, aveva perso due uomini in meno di dieci minuti e ancora non sapeva quando sarebbe finita.
Un fulmine si stagliò con tutta la sua potenza su uno degli alberi della nave, Killian spostò lo sguardo verso l’alto giusto per vedere che, squarciato dalla scossa elettrica, stava per piombargli addosso.
Chiuse gli occhi certo della sua fine imminente.
Si dice che quando si sta per morire, davanti agli occhi scorrono tutte le immagini della vita, quelle più belle e significative. Per Killian queste immagini si limitavano al viso di sua madre e alle poche settimane trascorse sulla nave.
Poi all’improvviso qualcosa, o meglio qualcuno, lo scaraventò lontano.
Thomas lo stava proteggendo col suo corpo, mentre l’albero si stagliava poco distante da loro.
Thomas Anderson, l’aveva salvato. Quell’uomo che conosceva da così poco tempo aveva ritenuto la sua vita degna di essere messa in salvo.
 Anderson lo guardava senza parlare, ma nei suoi occhi si leggeva chiaramente ciò che pensava.
Un altro urlo li fece voltare facendo comparire davanti ai loro volti una scena raccapricciante. La stessa trave che aveva cercato di evitare poco prima era caduta in pieno sulla testa di Sullivan lasciandolo privo di vita sul ponte.
Thomas, non poteva immaginare che il suo ritorno alla sua città fosse segnato da una tragedia così immane. Il mare che, negli ultimi due anni, l’aveva salvato dalla follia, ora sembrava gli si stesse ritorcendo contro. Come se, infuriato dai suoi pensieri passati, gli stesse presentando il conto.
«Signore», urlò Killian senza che il comandante lo sentisse, «Thomas …», riprovò con più fortuna visto che l’uomo si voltò a guardarlo, « … dobbiamo trovare un riparo, il ponte è pericoloso.»
Thomas annui flebilmente poi, aiutato dal ragazzo, si alzò e cercando di reggersi in piedi avanzò verso alcune casse.
Vicino a loro il corpo senza vita di Jon, colpito anch’esso dalla furia della tempesta. Quanti uomini aveva perso. Ancora una volta era stato lui il fortunato. Ancora una volta il cielo aveva preferito farlo vivere con questo peso, come quando la strada si era presa la vita di Debby, lasciando lui vivo e morto dentro allo stesso modo.
Questa volta non poteva abbattersi. Sentiva che Killian aveva bisogno di lui e non voleva deluderlo.
Thomas indicò una piccola insenatura tra due grandi casse. Il posto non era abbastanza spazioso per entrambi e il comandante spinse dentro Killian, mentre lui cercava di sostenersi evitando di crollare sotto la furia della tempesta.
Poi, così come tutto era cominciato, finì.
Il mare piano piano smise di agitarsi ed il cielo iniziò a pulirsi dalle nubi lasciando sopra di sé solo le stelle più brillanti che mai.
Thomas era esausto, aveva perso tutto il suo equipaggio. Sullivan, Campbell, Jon, con i quali aveva solcato mille mari e che avevano dedicato la propria vita e, la propria morte, al grande padre.
Killian si alzò lentamente dal proprio giaciglio. Ora che la tempesta si era calmata il suo corpo iniziava a farsi sentire. Le gambe,le braccia la testa, tutto gli doleva. Ma era un dolore diverso da quello che aveva sempre provato. Era un dolore che lo faceva sentire vivo.
Thomas arrancò tra le rovine di quella che  fino a qualche ora prima era la sua nave. Con l’aiuto di Killian spinse i corpi privi di vita dei due ufficiali in mare, sapeva che per loro, come per lui, quella era l’unica sepoltura possibile.
Rimasero in silenzio, cullati dalla lieve brezza, senza proferire parola e continuando a guardare la distesa d’acqua innanzi a loro. Il ricordo della notte appena passata sarebbe rimasto vivido nelle loro menti per sempre.
Erano dei sopravvissuti ed entrambi per la seconda volta.
Quando la barca della guardia costiera si avvicinò a loro, come automi si alzarono ed aiutati dall’ufficiale abbandonarono il relitto.
«Siete rimasti solo voi?», chiese il militare dopo aver dato loro dei vestiti asciutti e una bevanda con la quale scaldarsi.
«Sì», rispose Thomas, «Sono rimasti tutti  vittime della tempesta». La voce di Anderson era piatta come il mare sul quale stavano viaggiando in questo momento, ma i sentimenti che provava per la morte dei suoi amici erano molto vivi in lui.
«Può dirmi il suo nome?», chiese ancora l’ufficiale
«Comandante Thomas Anderson», disse ancora con lo stesso tono.
Killian se ne stava in silenzio, guardando quell’uomo che gli aveva salvato la vita, senza preoccuparsi di mettere a repentaglio la propria. Provava per lui una profonda ammirazione, per come si era comportato durante quella terribile notte e per come si stava comportando ora. Suo padre, in una situazione simile, avrebbe di certo pensato solo a sé e … alla sua bottiglia di whisky.
Sorrise amaramente.
«Mi scusi», la voce del militare di fronte a lui lo destò dai suoi pensieri,« Devo sapere il suo nome.»
«Killian O’…», s’interruppe guardando Thomas.«Killian Anderson», disse infine.
Il comandante alzò lo sguardo verso il giovane. Killian non sapeva se quel gesto avrebbe avuto delle ripercussioni, ma era l’unico cognome che desiderava avere in quel momento. Thomas gli sorrise e il cuore del ragazzo si riscaldò all’improvviso.
Diverse domande dopo, raggiunsero finalmente il porto di Cleveland. Thomas e Killian sbarcarono dalla nave, ancora scossi. Si girarono un’ultima volta verso il mare ed infine Killian spezzò il silenzio.
«E adesso?», chiese senza distogliere lo sguardo dall’orizzonte.
Thomas sospirò e sorrise.
«Un antico detto marinaro recita: “Quando si balla nella tempesta ci si dimentica dei temporali”… Vieni figliolo, è ora di dimenticare i nostri.», concluse posando una mano sulla spalla del giovane.
Entrambi si erano salvati e non solo dalla paurosa tempesta che avevano appena affrontato.
 Insieme avrebbero iniziato una nuova vita, contando l’uno sull’altro, come solo un padre e un figlio potevano fare.
 
 
 
“After the Storm”, parla di una tempesta che porta distruzione e morte, ma allo stesso tempo ad una rinascita per i protagonisti che salvano se stessi, sia dalla furia del mare, sia dalla vita che fino ad allora era stata loro riservata.
La storia partecipa al contest “Un’idea più storie”, dove gli “autori” erano tenuti a sviluppare una propria storia partendo da un tema in comune.
Cassandra Sventura, Fire_,Littlewillow_ sono state le mie compagne di gruppo.
 
  
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