Film > The Avengers
Ricorda la storia  |      
Autore: Caramell_    10/05/2015    6 recensioni
- Quando morirò avrai il mio cuore – gli promette sulla carne e Steve non ci crede, ma a Tony non importa. Gli giura tra le scapole di lasciargli tutto, tutto quello che conta, tutto quello che l’ha reso ciò che è adesso.
Hanno appena fatto un patto.
È tutto qui.
[Stony]
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Pepper Potts, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Note: Prima storia in questo fandom. Sono troppo affezionata a questa mia piccola creatura - mi ha portato via quasi un mese di notti decenti.
Spero non sia così male, dopotutto (17 pagine di pura fatica, diciamocelo) 
Buona lettura























C'e' qualcosa di sacro nelle lacrime.
Non sono un segno di debolezza ma di potere.
 Sono messaggere di dolore travolgente e di amore indescrivibile.
Washington Irving

 


 










 

PROLOGO


 


- Com’è?
Steve si distrae un momento e s’allunga sul bordo. Solleva le ciglia, stiracchia le braccia. Tony è ridotto ad un ombra, lunga, longilinea, ferma davanti agli specchi delle vetrate, le onde dei capelli in disordine, gli occhi socchiusi.
- Morire, intendo – ed è maledettamente serio, Steve ne è quasi spaventato – com’è stato? – perché ci sono sere come quelle, sere calme e immobili, morte anche loro, Tony guarda la città che gli dorme ai piedi, le luci delle vite che hanno salvato, le fosse di quelle che hanno distrutto e pensa. Alle fiamme, alla macerie, al buco nero che l’ha quasi ingoiato, alle battaglie che ha affrontato, a quelle che ancora non sono cominciate.
Ha incubi ad occhi aperti, non riesce a dormire la notte. Non l’ha detto a nessuno. Gli punge ancora la pelle e ogni tanto le mani gli bruciano e gli occhi gli pizzicano e ogni cosa si sgretola e il cuore marcisce. Non c’è niente sotto di lui, né sopra. È buio, buio sopra ogni cosa e Tony si chiede cosa si provi, a morire, a morire sul serio, lui che c’è andato così vicino.
Steve l’osserva sotto una luce bugiarda e gl’accarezza la schiena con gli occhi e gli spigoli dei gomiti e gl’incavi dolci delle ginocchia e la rotondità delle natiche e gli angoli del bacino. A volte sente come se lo stesse perdendo. E così e tenta di non pensarci, eppure morire, morire è tutta un’altra cosa. La morte è il male minore, c’ha sempre creduto.
- È stato facile – dice e Tony volta la testa e la luce gli colpisce il viso, lo guarda un momento, poi torna lontano – ma non avevo molto da perdere e in quel momento era l’unica cosa che potessi fare – Tony sbatte un po’ le palpebre, continua a guardare fuori e pensa che non è vero. Anche la città è sveglia e luci rosse gli baciano le costole. Non c’è niente, adesso, solo pelle, niente armatura, niente di niente.
S’allontana dal vetro, torna a stendersi a letto e gl’afferra una gamba nuda. In silenzio si distende e gli bacia un angolo del petto, un capezzolo roseo, la linea dell’ombelico, l’interno delle cosce e il cuore, traccia linea morbide e asciutte e gli bacia il cuore una, due, tre volte e pensa che è straordinario, sentirlo battere così, è semplice e dolce e a volte quasi rimpiange di non riuscire a sentire il proprio. Un po’ più su c’è un segno rosso. Bacia anche quello, prova ad ingoiare il dolore, persino quello che verrà. Pensa che Steve potrebbe tenerlo, il suo, ma solo alla fine, quando sarà l’unica cosa da fare, quando non ci sarà altra scelta. Non sa se l’accetterebbe, forse lo stritolerebbe tre le dita, forse l’abbandonerebbe sulla strada. È disposto a correre il rischio, sarà facile. È sicuro.
- Quando morirò avrai il mio cuore – gli promette sulla carne e Steve non ci crede, ma a Tony non importa. Gli giura tra le scapole di lasciargli tutto, tutto quello che conta, tutto quello che l’ha reso ciò che è adesso.
Hanno appena fatto un patto.
È tutto qui.

 

- Mi ricordo dell’acqua – Steve ce l’ha appoggiato al petto, quando i ricordi gl’ingombrano la mente ed è tutto di nuovo buio – e del ghiaccio. C’è sempre stato ghiaccio – gl’accarezza un lembo di schiena, lo sente rabbrividire e distendersi sotto di lui – E faceva freddo. Non ricordo la paura. A volte penso di non averne provata, ma so che è una bugia.
Credo di non aver mai avuto tanta paura in vita mia. Ma, ecco, mi sembrava così giusto in quel momento, ne sono convinto anche adesso, perché ero e sono Capitan America e l’ho fatto per loro, per le persone del mio tempo, per tutte quelle del tuo. E invece ora io sono vivo e in parecchi sono morti. È buffo o forse solo crudele. – socchiude gli occhi, ricorda il mare e distese infinite di morti e si rende conto che fa male come sempre, forse un po’ di più – Ho visto Peggy, sai, dopo uhm dopo tutto. È ancora bellissima. È sempre stata bellissima. Una donna forte, come non ne ho più incontrate – Tony gira un po’ la testa, gl’accarezza l’addome con i capelli e fa attenzione a non toccarlo col reattore, ché può fargli male, male davvero e bruciargli la pelle – non è mai successo, eppure ha paura – allunga le dita e stiracchia le gambe e il lenzuolo gli scopre i fianchi e i polpacci e la linea del piede, arriccia le labbra e prende a guardarlo e lo fissa e l’ascolta parlare – Per un po’ ho pensato fosse stato inutile. La guerra, le stragi e il freddo e le missioni suicide, ma poi l’ho vista e non m’è servito altro. Tutto ha riacquistato un senso. Mi sono detto che se lei ce l’ha fatta, se altri come lei sono sopravvissuti, allora la mia prima morte non è stata poi così inutile – Tony si muove ancora un po’, gli si strofina addosso e Steve sorride, amaro, tutto denti e occhi scintillanti. Gli tocca un gomito col pollice e pensa al sangue e a pezzi di vetro e di ferro e a mattoni spaccati – La guerra è terribile, a volte stupida e inutilmente sanguinaria e spesso, quando tutto finiva e intorno a me non c’erano altro che feriti, mi chiedevo che senso avesse, io che della guerra sono il simbolo, io che sono stato creato per portare avanti battaglie che nessuno potrebbe, che senso avesse, la lotta, se non sembrava avere mai fine – è tutto tiepido, intorno a loro, sereno e illanguidito e Tony gli respira sulle costole e gli lecca la pelle intorno all’ombelico e le vene sporgenti delle braccia, si solleva sui gomiti e allinea le loro facce e lo fissa negli occhi, gli succhia lento le labbra e gl’infila le dita fra i capelli. Lo bacia sul serio e Steve gli tocca le scapole coi palmi aperti, se lo porta più vicino, se lo appiccica al petto. Prova a non lasciarlo più andare. Poi lo guarda, gli sfiora la bocca con le dita.
Ha capito, adesso.
La guerra non è mai stata così lontana.

 

- Lascerai che lo tenga io? – gli chiede all’alba, le labbra dischiuse e le cosce sudate.
Il cuore di Tony è bello, bello davvero, luminoso, caldo, una mano blu di schegge di ferro. Steve l’osserva da vicino, solo adesso perché si, adesso può e si chiede come sia possibile, come possa una cosa tanto affascinante essere capace di ucciderti da un momento all’altro.
Tony sospira – si – e gli bacia il collo, ma Steve non riesce a capirlo e – perché? – domanda, mentre flette le dita e arriccia gli angoli della bocca.
- Come promessa – confessa, pacato – prometto di aspettarti – e Steve ridacchia, gli stringe un braccio.
- Non l’hai mai fatto – e Tony non può dargli torto, lo ammette. Ha ragione, non l’ha mai fatto, ma può imparare, cominciare adesso. Vuole. E glielo dice, glielo soffia tra i capelli – comincio adesso – per te – e Steve gli tocca il petto e il cuore artificiale che gl’illumina il viso e schiocca le labbra e lo ricopre di baci e sfiora con la bocca ogni avvallamento di pelle, ogni ferita rimarginata, ogni striscia bianca. Tony ha il corpo distrutto dalle cicatrici. La maggior parte sono intorno al petto, lunghe quanto un dito, sottili come fili di spago. Steve le bacia una ad una, venera quelle ferite come fossero medaglie, come fossero sue, come se potesse assorbirle e ritrovarsele sotto pelle, pezzi di carne morta bruciata dal blu.
Tony sospira, sotto di lui, gode di quel contato e ricorda la loro prima volta, le luci di New York oltre il vetro, il fresco delle lenzuola, il bruciore del whisky e i morsi e i graffi e le unghie conficcate nella carne. Ricorda Capitan America vicino a lui, dentro di lui, ad un palmo dal naso, freddo, sconosciuto, possente. Ricorda Steve Rogers, biondo e pallido nel suo letto. Ricorda tutto quanto, la squadra e i Chitauri e due occhi azzurri, la paura del vuoto, il sangue, il fumo dei palazzi e la polvere delle bombe, le macerie, il sorriso di Steve e la sua pelle sotto le unghie e le loro gambe intrecciate. E sente pace – davvero.
Quando sono insieme la morte non fa paura, non come al solito, perché Tony Stark lo ama e vorrebbe regalargli il mondo e va bene, va bene così; non passerà molto prima che anche Iron Man lo ami.
Sta già succedendo.














 

LA MORTE, DA VICINO


 





Steve è caduto centinaia di volte; è morto sempre un po’ di più, ma mai sul serio. Tony lo sa, era con lui. Non l’ha mai lasciato. Le ferite si sono sempre rimarginate, lo scudo non s’è mai spezzato, ogni cosa è tornata al suo posto, dopo.
Eppure adesso, adesso è diverso. Non riesce ad alzarsi e fa freddo, di nuovo.
All’inizio arrivano le bombe. E i proiettili. Sono enormi, pallottole grandi quanto mezzo pugno. Poi la terra si solleva, il cielo si tinge di bianco. C’è neve, sotto le sue mani, neve, fra i suoi capelli, neve ovunque, ghiaccio tra le sue gambe. E silenzio, silenzio assoluto. Non ci sono urla, né pianti, non c’è niente. Qualcuno grida il suo nome, ma è lontano, lontanissimo e poi lui ha sonno e non vede e non capisce, ma ha le braccia pesanti e le gambe piantate nel terreno come mattoni. Prova ad aprire gli occhi. Gli fa male un fianco e una spalla e la testa e ogni osso sano del corpo. Non riesce a raggiungere lo scudo che giace lì, col sangue che gl’insozza i bordi.
Steve non ha visto sangue, quando è morto la prima volta. Non avrebbe potuto. È stato doloroso, ma non ha visto sangue, s’è solo accorto del buio e dell’acqua che continuava a salire e dell’aria che continuava a mancare. Era cosciente, sorrideva. Anche adesso è cosciente, ma si sente terribilmente debole e non ce la fa a sorridere, non come dovrebbe.
Tony sta arrivando, deve solo aspettare, aspettare così, fermo, che lo sollevi di peso e lo guardi negli occhi. È sicuro non sia grave come sembra e poi Tony sta arrivando.
È tutto tranquillo, nessun falso allarme, niente di grave, nulla da aggiungere. Finisce così, forse un pisolino può concederselo. Fa un male cane.
Ha fatto quello che doveva, non tutto forse, abbastanza.
Respira una, due, tre volte. Osserva il cielo, s’è fatto rosso. Arrivano bombe. E proiettili.
Natasha è lì, vicino a lui, lo guarda con tanto d’occhi. 
Piange con lei l’America quando Steve Rogers crolla.

 

Tony lo vede cadere a rallentatore. Vede la terra gonfiarsi e gli alberi crollare ed esplodere.
È la consapevolezza di un secondo, parla tanto veloce che nemmeno se ne accorge. Capitano capitano ch’è successo? E ancora capitano e poi Steve e pensa ti prego ti prego no e la neve prende a macchiarsi di sangue e cazzo ti prego davvero non così ed è tutto un ti prego ti prego ti prego nella sua testa e tra il ferro dell’armatura e i cadaveri che gli solleticano i piedi. È solo Steve Steve Steve andiamo alzati santo dio capitano non farlo non adesso è presto troppo presto non ce la faccio perché è a terra e non si muove e Natasha e vicino a lui e piange e Tony non credeva nemmeno ne fosse capace e questo lo spaventa, lo terrorizza. E allora la chiama, lo chiama all’infinito e poi Jarvis abbaia e un colpo gli sibila nelle orecchie Jarvis e il capitano respira, porca puttana, respira, ma è così debole il suo fiato, così grave la ferita che gli morde il fianco, che quasi Tony si sente morire con lui, mentre la sola idea che lui stia morendo gli mozza il respiro e non farlo e poi corre, vola, abbatte chiunque provi a fermarlo, corre corre corre e gl’accarezza la testa e l’afferra per le braccia. Se lo carica sulle spalle, inerte, addormentato, spento, mio dio morto, e riprende il volo, il sangue gli sporca l’armatura e gli cola lungo le braccia. Spera che si fonda col suo, spera di averne abbastanza per tutti e due.


 

GIORNO 00


 

A Tony non sono mai piaciuti gli ospedali. Di qualsiasi tipo. Quando ha potuto s’è curato da solo, quando non ha potuto ha chiamato Pepper o s’è lasciato morire. Ma adesso, adesso ne ha un disperato bisogno e le forze messe in campo dallo S.H.I.E.L.D per salvare la vita ad uno dei loro più valenti soldati gli sembrano di botto troppo poche, troppo deboli, inutili. Gliel’hanno appena detto. Non riescono a svegliarlo. Ci provano da giorni.
Steve rimane immobile, come congelato, sdraiato tra lenzuola immacolate, fasciato sul petto e sui fianchi e tra i capelli. Non muove un muscolo, non apre gli occhi. È strano, fuori dal loro controllo, Tony ne è terribilmente spaventato.
Non hanno lasciato che lo vedesse. Non gliel’hanno permesso. Tony ha protestato talmente tanto che ha perso la voce e ha domandato perché, perché diavolo gl’impedivano di vederlo e ha sbraitato che erano degli incompetenti, ha chiesto un colloquio con Fury. Non ha risolto niente, è rimasto là fuori. Clint e Natasha l’hanno fermato prima che potesse ammazzarli tutti, ma Steve è rimasto addormentato e dopo un po’ Tony s’è riscoperto talmente stanco da non avere nemmeno più la forza di protestare.
S’è fatto portare una sedia, alla fine, una di quelle sgangherate, mezze distrutte, chiuse nel ripostiglio, di plastica piegata. S’è seduto di fronte alla porta chiusa. Nessuno ci ha fatto caso. Natasha ha aggrottato le sopracciglia. Clint ha scosso la testa.
Non s’è più mosso da lì.
 


 

GIORNO 01


 

Ore 7.15. Prima tazza di caffè. Quel posto di merda ha una macchinetta. Prende nota.
Non ha dormito, non davvero. S’è piegato sulle ginocchia, ha sonnecchiato per un mezz’oretta. È più stanco di prima.
Steve è ancora dentro. Ogni tanto qualcuno va a fargli visita. Donne col camice bianco e i passi più silenziosi d’un ladro. Lo ignorano ed entrano. Poi escono. Continuano ad ignorarlo. Tony non le guarda nemmeno, beve il suo caffè e sospira. Aspetta.


Ore 9.20. Seconda tazza di caffè. In corridoio c’è un silenzio tombale. Tony si pizzica un braccio, fissa la porta chiusa. Sbatte le palpebre solo ogni tanto, pare una statua di sale.
Si passa una mano fra i capelli, tira un paio di ciocche. Non sente nemmeno dolore, non da quando ha visto Steve mezzo morto. Ci pensa ancora, alla neve, alle nuvole rosse, al sangue che continua a macchiargli l’armatura. Non è riuscito a lavarlo via, ha ordinato a Jarvis di non toccare niente.
Non torna alla Stark Tower da due giorni, da quando ha raccolto Steve da terra.
Non ci riesce.


Ore 13.12. Quarta tazza di caffè. Il bianco delle pareti comincia a fargli male agli occhi. Ogni tanto passa un uomo vestito di nero dalla testa ai piedi. Sembra un becchino, che cazzo, è inquietante. Si ferma affianco a lui, lo fissa e scuote la testa. Tony fa finta di niente, non stacca gli occhi dalla stanza 202.


Ore 16.33. Prima sigaretta della giornata. Ha il cervello in stand-by, non formula un pensiero coerente da ore. La nicotina lo sveglia un po’. Gli tiene gli occhi aperti.
La 202 è ancora blindata. Passa a trovarlo Natasha, i capelli rossi un po’ più corti e gli occhi cerchiati. Gli si siede accanto. Rimane con lui un’ora, ma non dice una parola. Gli poggia una mano fresca sul ginocchio e gli ruba la sigaretta dalle labbra. Fa due lunghi tiri e socchiude le labbra e strizza gli occhi, poi gli rimette la cicca in mano e intreccia le gambe. Non piange più, Tony non crede succederà ancora. La paura deve averla pietrificata, hanno dovuto trascinarla via di peso. Banner ha dato una mano, dopo.
Anche lui dovrebbe arrivare tra poco. Lo troverà ancora lì. Non ha intenzione di muovere un muscolo.


Ore 18.50. Quinta tazza di caffè. Sente i muscoli delle gambe indolenziti ed è costretto ad  alzarsi. Ferma un’infermiera in mezzo al corridoio o, almeno, una che lo sembra. Ha capelli biondi raccolti sulla testa e un camice lungo fino ai piedi. Chiede di Steve. La stronza scuote la testa e dorme gli dice, ma non gl’è di nessun aiuto. Sa che dorme. Ha paura continuerà a farlo per sempre. Chiede ancora di vederlo. Lei s’allontana in silenzio.


Ore 22.45. Seconda sigaretta. Nessun cambiamento.
Probabilmente ha una faccia allucinata. Non gl’importa.


 

GIORNO 02


 

Ore 01.22. Prima tazza di caffè della giornata. Comincia a sentire freddo. La schifosa organizzazione più potente d’America non accende nemmeno il riscaldamento. Fottuti spilorci. Tony spera che Steve non stia congelando. Spera si stiano prendendo cura di lui. Altrimenti li ammazza, uno ad uno, e questa volta non lascerà che Clint e Natasha lo fermino.


Ore 03.26. L’uomo vestito di nero passa di nuovo. Tony è alla prima sigaretta, non dorme da ore e, davvero, non è dell’umore per sentire stronzate. Fa una seconda, lunghissima tirata e il fumo gl’invade il cervello. Ha un mal di testa terribile e gli bruciano gli occhi. Si poggia un gomito su una gamba e allunga la schiena e socchiude le palpebre. Non mi muovo da qui, sussurra e dovrete ammazzarmi pensa io non lo lascio.
Una volta ha promesso a Steve che l’avrebbe aspettato e Tony Stark non infrange mai la parola data. Non quando è importante.


Ore 05.13. Banner passa a fargli visita. Ha gli occhiali calati sul naso e la camicia fuori dai pantaloni, i capelli scomposti e una cartella sotto braccio. È trasandato, distrutto, con gli occhi iniettati di sangue, ma Tony pensa di non essere messo meglio, dopotutto. Gli poggia una mano sulla spalla, lui solleva la testa e soffia fumo dal naso. Sigaretta numero due. Cinquanta tiri. Sessanta milligrammi di nicotina. Stanchezza. Pulsazioni accelerate. Il mal di testa non vuole decidersi a lasciarlo in pace. Il caffè non aiuta.
- Non vogliono che io lo veda – gli dice, le ginocchia strette e le sopracciglia aggrottate – santo cielo, Bruce, perché non vogliono che io lo veda? – e solleva lo sguardo, ma Bruce scuote la testa, chiude gli occhi. Non ne ha idea, non vuole saperlo, a lui basta che Steve sia vivo, è così, ma Tony, Tony vorrebbe toccarlo e vorrebbe vederlo, per un minuto, per un secondo solo. Non gli basterebbe, ma sarebbe un inizio.
Ancora non riesce a dormire. Spera di resistere un altro po’.
Bruce s’allunga su di lui e lo guarda in viso e nota gli occhi cerchiati e le guance scavate e i capelli scomposti – da quant’è che non dormi, Tony? – e fissa la porta chiusa e anche lui pensa al capitano e alla sua faccia riversa sulla neve, agli alberi, e ai carri armati e forse capisce Tony, solo un poco, solo perché anche lui c’è passato, quando era una sola persona e la rabbia non gl’intossicava le vene – Non puoi fare niente fermo qui – sussurra – Torna a casa – ma per Tony casa è dov’è Steve, è dove sono loro. Casa è ovunque, anche nella morte, se, benevola, li lascia morire assieme.


Ore 9.16. Terza tazza di caffè. La 202 si apre e si chiude di nuovo. Non vogliono ancora dirgli niente.
Non sente più le gambe. Ha bisogno di una doccia. E di cibo solido. Gli fa male il petto. E il cuore ed è tutto SteveSteveSteveSteve.
Non riesce nemmeno a muoversi.


Ore 11.05. Qualcuno ha chiamato Pepper.


Ore 14.32. Dormire non gl’è mai sembrato così inutile. Recupera un paio d’ore solo perché è costretto, ma è un sonno agitato e non serve a niente. Pepper gl’ha intimato di tornare alla Tower, l’ha infilato a forza sotto la doccia e l’ha controllato mente metteva qualcosa nello stomaco. Sembrava una madre, o un’agente doganale. Non che ci sia molta differenza, stesso sguardo truce. L’ha pettinato come i bambini piccoli, ha scelto i pantaloni che ora porta addosso e la camicia larga sulle spalle. Poi sono tornati all’ospedale. Tony è stato zitto tutto il tempo. Ha protestato un po’, all’inizio, ma Pepper la spunta sempre, ormai ha imparato.
S’è posizionata davanti a lui impeccabile come al solito, i capelli sciolti sulle spalle, un completo dal taglio elegante. Tony l’ha chiamato e s’è seduta vicino a lui mi dispiace ha bisbigliato mi dispiace tanto, ha appoggiato il mento sulla sua spalla sinistra e gl’ha accarezzato i capelli e sono rimasti così, stretti in quell’abbraccio scomodo fino a che lei non s’è sollevata di nuovo e gl’ha afferrato una mano e l’ha allontanato da lì.
Tony s’è strofinato il viso. Ha provato a non piangere.


Ore 17.12. Caffè in due. Pepper è ancora con lui. Rimango ha detto.
Tony l’ha guardata, l’ha guardata davvero. Ha sorriso.


Ore 20.06. Il viavai è aumentato, ma la camera di Steve rimane chiusa. Natasha passa di nuovo, saluta Pepper, fa un sorriso storto. Tony risponde con un cenno della testa. Non si muove niente intorno a loro, il silenzio è snervante.
Tony non capisce. Afferra la mano di Pepper, rimangono immobili, zitti zitti, aspettano che li facciano entrare.


Ore 24.08. Pepper s’è addormentata sopra di lui, le gambe intrecciate, la schiena rigida. Deve stare scomodissima. Tony la ama anche per questo.

 


 

GIORNO 04


 

Ore 8.47. Prima tazza di caffè. Pepper s’allontana un momento, esce a comprare la colazione. Torna con una confezione di sei ciambelle coperte di glassa e panna e cioccolato in tazza. Tony ne sente l’odore a distanza. Ne afferra una con le dita, lo zucchero gli ricopre i polpastrelli, gli fiocca sui pantaloni. Ne spilucca una metà, ma non riesce ad ingoiare altro, ha lo stomaco chiuso.

 

Ore 12.37. Pepper è tornata a casa.
Comincia ad essere intollerante al silenzio.

 

Sarah Oleg è una donna pratica e, a quanto dicono, svolge il suo lavoro con una precisione ed un efficienza senza pari. È una di quelle donne nate con la testa sulle spalle, orgogliose delle propria vita, fiera moglie d’un soldato, madre paziente di due pesti adorabili. Lavora allo S.H.I.E.L.D da anni, una scelta di vita che l’allontana non poco dalla famiglia che faticosamente s’è costruita, eppure non se ne pente, non davvero, non se n’è mai pentita, perché quello è il suo lavoro, è ciò che davvero le piace e si rende conto, dopotutto, di essere terribilmente fortunata a vivere dei proventi della propria passione.
Non è così importante, lì dentro, un ufficiale medico, una specie di dottore in seconda, un’infermiera; è sempre stata parecchio versatile. Si lamenta raramente, fa quello che le viene ordinato di fare. Forse per questo le hanno affidato un caso così importante.
Il capitano Rogers è arrivato da loro quattro giorni prima. Ferite multiple da arma da fuoco sul fianco sinistro, alla spalla destra e alla testa. Armi pesanti, proiettili da 19mm, da mitragliatrice probabilmente, ma non è sicura, non è il suo campo. Emorragie interne ed esterne, ingente perdita di sangue, shock ipovolemico. Una situazione difficile, non senza speranza, solo difficile. Stabilizzarlo è stata un impresa e adesso non fa che dormire.
Sarah Oleg è preoccupata, lo ammette, non è sicura della procedura. Il capitano Rogers non ha un corpo normale. Le cure di cui dispongono potrebbero interferire coi sistemi primari d’un meccanismo che loro non comprendono e, invece di aiutarlo, potrebbero ucciderlo definitivamente. Non se la sente di prendere una decisione simile. Per ora, si dice, è meglio aspettare, forse sta già guarendo, forse è solo questione di tempo. È solo il quarto giorno, non è pronta ad una diagnosi completa anche perché, a voler essere sincere, il paziente sta bene, sta bene. Certo, è ferito e il dolore deve essere stato insopportabile, ma i parametri vitali sono stabili, respira liberamente e non sembra aver riportato gravi lesioni celebrali. È solo che rimane addormentato e questo, questo li preoccupa tutti.
Davanti alla porta del capitano Rogers c’è un uomo, a volte anche una bellissima donna bionda, ma la costante è l’uomo. Sarah Oleg lo conosce, ma non c’è nessuno che non conosca Iron Man. La cosa che l’ha stupita, però, è che non si sia mai mosso da lì. Il primo giorno ha afferrato una sedia pieghevole e non s’è più spostato. Ha bevuto caffè ininterrottamente, fumato un numero spropositato di sigarette. Non crede sia riuscito a dormire. Nessuno ci riesce mai in quel posto.
È passata davanti a lui parecchie volte, i capelli rosso fuoco terribilmente distinguibili, eppure lui non l’ha nemmeno notata, gli occhi fissi sul numero nero attaccato alla porta chiusa.
La 202 è la camera migliore che hanno, spaziosa, isolata, più calda e confortevole delle altre. Allontanare Steve Rogers dal resto dei pazienti è stato il primo ordine. Non lasciare entrare nessuno il secondo. Non crede di aver capito il motivo, ma sono ordini e gli ordini vanno rispettati. Sempre. Però. Santo cielo, c’è un però. Il signor Stark è lì da giorni, ha una faccia stravolta, non l’ha visto toccare niente che non fosse liquido o strapieno di caffeina e sembra tenerci, tenerci davvero. Giorni prima l’ha sentito urlare contro le infermiere. Vuole solo vederlo, perché non dovrebbe? Già, perché?
Sarah Oleg non ricorda nemmeno l’ultima volta in cui un uomo abbia combattuto tanto solo per vederne un altro. Deve amarlo molto. Probabilmente gl’importa di nessun altro.
L’orologio batte le quattro e venti del pomeriggio; è l’ora del controllo giornaliero. Troverà Stark ancora lì, seduto, le ginocchia stanche e piegate, la testa abbandonata sulle ginocchia. Ne è sicura. La trova una cosa tristissima. E dolce – davvero.
Sarah Oleg è una donna pratica, una donna con la testa sulle spalle, dedita al lavoro e alla famiglia. Sarah Oleg non ha mai contestato uno degli ordini che le sono stati impartiti. Non è nel suo stile. Le regole prima di tutto. Ma Sarah Oleg è anche una donna, una donna che ama e, per una volta, che gli ordini vadano pure a farsi fottere.

 

Ore 16.23. Ultima sigaretta. Un’infermiera con i capelli rossi entra nella 202, non si trattiene nemmeno mezz’ora. Esce e gli sorride. Torna di nuovo dieci minuti dopo. Sembra nervosa. Ha una cartella sottile in una mano, chiavi di ferro nell’altra. Lo guarda per un momento e signor Stark gli dice posso darle solo dieci minuti, ma Tony non capisce, non all’inizio. Ne approfitti.
Tony la guarda, quasi ride dalla gioia.
Ha lasciato la porta aperta.


 

GIORNO 15


 

Ore 10.18. Passa Thor. È strano vederlo in abiti civili, ma davvero Tony avrebbe dovuto aspettarselo; era l’unico a mancare all’appello.
Da allora la porta è rimasta aperta, ogni giorno. E Tony non ha fatto che guardarlo. Semplicemente. Lo guarda fisso, come se non l’avesse mai guardato, come se lo vedesse per la prima volta.
Thor s’affaccia nella penombra e s’avvicina, incrocia le braccia e allarga le gambe, e pensa. Tony si spalma una mano sulla faccia e distoglie un momento lo sguardo. Forse sta cedendo, non si sente più il cuore.
Lui è - - oh no, oddio no. Solo uhm dorme e i medici non riescono a svegliarlo. Thor annuisce ma Tony non crede abbia capito. C’è il coma, ad Asgard? Crede di no. I mali peggiori sono solo sulla Terra.


Ore 18.45. Steve non apre gli occhi.
È tutto quello che c’è da sapere.
 


 

GIORNO 29


 

Ore 11.26. Pepper torna a trovarlo. Lo trova in piedi, le gambe attaccate al bordo del letto, i lineamenti sconvolti, le palpebre abbassate.
Non crede d’aver mai visto Tony Stark così stanco. Sì, si dice, stanco è la parola giusta.
Non crede d’aver mai visto Tony Stark così – va meglio – e lo conosce da anni.
Il capitano Rogers è sempre lì, disteso. L’America rimane in bilico.
C’è qualcosa di profondamente sbagliato in questa immagine.
Pepper vede Tony sfiorargli una mano, tremare al tocco e sorridere triste e alzare gli occhi su di lei. Sembra non riesca a lasciarlo. Ha la giacca gettata sulle spalle, il colletto della camicia spiegazzato e i bottoni in disordine. Vuole andarsene, lo capisce. O forse no, non lo capisce, ma può provarci.
Deve fare male.
Te ne vai? gli chiede, anche se lo sa, lo sa già. Probabilmente nemmeno lei riuscirebbe a sopportarlo. La morte non ha una bella cera e Tony, Tony è forte, ma non abbastanza, mai abbastanza e non riesco più a guardarlo le risponde non ce la faccio.


Ore 11.29. Tony Stark molla.


 

GIORNO 35


 

La tecnologia è meravigliosa. È sempre viva, immortale, malleabile sotto le dita. Tony adora Jarvis proprio perché non ha un cuore, perché non può essere ferito, perché anche se muore, poi lui può rimettere insieme i pezzi e farlo migliore, più sicuro. Gli uomini invece, gli uomini sembrano fatti di carta, crollano al minimo soffio di vento. Basta una mira precisa, un occhio distratto, una vecchia mente annebbiata dall’alcool, un’indole più distruttiva delle altre.
Le macchine sono forti, né buone né cattive, sono ai suoi comandi, non lo fanno soffrire. Non puoi innamorarti di loro, loro non possono amare te. È un equo dare e ricevere, una campana di vetro che non fa male a nessuno.
Tony ci crede – non molto, non adesso, non dopo Steve. Prega ritorni il tempo in cui non desiderava altro.


Ancora nessuna notizia.
Cancella
Condizioni stabili. Sonno.
Cancella


Oh, Steve aveva ragione; morire è la parte facile.


 

GIORNO 43


 

Virginia Potts non ha mai dovuto chiedere niente a nessuno. Ha forza, carattere, uno spiccato senso dell’umorismo e una pazienza inimmaginabile. È stata l’assistente personale di Tony per anni, in pochi avrebbero resistito tanto. Si definisce, in poche parole, una donna con gli attributi e, beh, nessuno l’ha mai portata a credere il contrario.
Conosce Tony un po’ più degli altri. O meglio, un po’ più degli altri meno Steve. Adesso deve precisarlo. È importante. Ed il punto è proprio lì.
Steve lo sta lasciando, Steve probabilmente sta morendo e non è giusto, non lo è per niente, non lo è mai, perché s’erano finalmente trovati e ci stavano provando, dio solo sa quanto disperatamente ci stessero provando. Pepper glielo leggeva negli occhi ogni volta che passava a trovarlo. Tony Stark sembrava rinato, ancora mezzo distrutto, zoppicante, perseguitato dagli incubi, eppure le pareva sereno, quasi in pace, come se avesse risolto tutto ciò per cui era nato, come se non dovesse fare nient’altro che godere dei frutti del proprio impegno. Ha trovato Steve. Semplicemente. Pepper gli sarà sempre grata per questo.
Capitan America sembra così piccolo in un letto tanto grande, sprofonda tra il bianco delle lenzuola, assomiglia ad uomo normale, un uomo comune. Forse lo è sempre stato.
Ci si rende conto che i propri eroi rimangono uomini anche sotto l’armatura solo quando poi vengono feriti o, nel peggiore dei casi, muoiono.
Pepper non vuole che Steve Rogers muoia e non è perché lo ama, lo conosce ed è sua amica, ma non lo ama, non fino a quel punto. Pepper non vuole che Steve Rogers muoia, non vuole perché non è lei ad amarlo. È Tony. E dio se Tony lo ama, lo ama come ha sempre amato, lo ama tanto che un cuore solo non basta. E sta crollando. A Pepper fanno male gli occhi ogni volta che lo guarda e capitano sussurra la prego. Allunga una mano e gl’afferra il polso freddo solo socchiude le labbra la prego.
Non sopporterebbe di perdere anche Tony.


 

GIORNO 52


 

La città vive, dopotutto. A nessuno importa di Capitan America, a nessuno importa di loro. Agli occhi del mondo paiono meteore, bruciano per un po’, passano sopra le loro teste, scompaiono come sono arrivati. Tony non li ha mai capiti, i civili. Steve ha passato l’intera vita a proteggerli, Tony c’ha provato, parecchie volte ha fallito, eppure ha tentato, ha tentato fino all’ultimo. Non li hanno mai amati, nemmeno quando hanno loro salvato la vita. Li ha sempre considerati degli ingrati, ma Steve, Steve li ha comunque difesi fino alla fine e Tony non ha potuto fare a meno di seguirlo.
L’avrebbe fatto comunque, lasciarlo solo non era nei piani.
Capitan America è stato il suo primo amore di adolescente. Crede, a ragione, lo sia stato dell’America intera.
Steve Rogers è stato il suo primo, vero amore di adulto. Non ci sarà nessun altro.
Su questo finto cuore di metallo, giura.


 

GIORNO 71


 

Parametri vitali nella norma.
Cancella
Condizioni stabili.
Cancella
Sonno.
Cancella


 

GIORNO 88


 

Nei suoi sogni Steve ha gli occhi azzurri più belli di sempre. Sono su di lui, aperti, grandi come tazzine da caffè, risucchiano tutta la luce del suo cuore.
Tony avrebbe voluto dirglielo, confessarglielo quando ancora era cosciente, quando era con lui e poteva toccarlo e gridargli addosso e sfiorarlo con le dita e baciargli la bocca. Avrebbe voluto dirgli che l’ha tanto amato, che l’ha amato da subito, anche prima che si conoscessero, prima che si trovassero faccia a faccia. Non ha potuto fare altro, andava bene così. Gli faceva male il petto ogni volta che lo guardava, gli pizzicava il sangue ogni parola che diceva. Era spaventoso e lo è, lo è ancora, terribile nella sua bellezza.
Nei suoi sogni Steve ha degli occhi enormi, blu come non ne ha mai visti. Non solo nei suoi sogni, ce li ha sempre stampati in mente. Si fanno più dolci ogni giorno che passa.


 

GIORNO 100


 

Rimango qui, mio dio Rimango fermo Ci penso in continuazione Non riesco a smettere Perché non riesco a smettere?c’è tutto quel sangue c’è un sacco di sangue E silenzio Fa paura e Steve è a terra SteveSteveSteveSteveSteveSteveSteve Steve è a terra e non si muove E io sono troppo lontano Non ce la faccio Sono troppo lontano e arrivo in ritardo Arrivo sempre in ritardo mio dio, non faccio che sbagliare E lo vedo, il sangue E lo vedo, il fuoco E rimango fermo e aspetto E mi domando perché a lui, perché a me e mi rispondo che non c’è un perché E’ solo crudele Sono giorni che aspetto e mi ricordo Mi ricordo ogni parola e mi ricordo di Steve e mi sento meglio, ma dura poco, dura pochissimo ed è di nuovo solo SteveSteveSteveSteveSteveSteve e c’è la sua testa tra la neve e di nuovo sangue e pallottole e il fumo mi brucia gli occhi e prende a sanguinarmi un fianco ma sono vivo, sono vivo comunque e Steve è a terra e sembra morto e d’improvviso mi sento stanco e non m’importa di niente e l’ospedale più vicino è troppo distante e lo S.H.I.E.L.D è solo un ammasso di ciarpame e beghe burocratiche Non voglio che stia lì e che lo tengano loro Voglio che rimanga con me e che torni a casa, voglio che apra gli occhi Perché non lo fa? è la ferita, la ferita che continua ad allargarsi e cazzo Steve ti prego non così, non adesso È presto, troppo presto e io non sono ancora pronto a lasciarlo andare Non ce la faccio, ma santo cielo non ce la farò mai Steve per favore Steve andiamo svegliati per l’amor del cielo ti supplico Ho sempre pensato che sarei morto prima e che l‘avrei lasciato solo Ho un corpo ch’è fatto di pezzi di metallo e un cervello ancora non troppo distrutto dall’alcool Ho sempre pensato l’avrei abbandonato io e perdonami Steve, speravo succedesse È egoistico e lo so, sono sempre stato egoista ma almeno non avrei sofferto, non t’avrei visto morto e non avrei avuto paura Adesso ho paura quindi andiamo capitano andiamo cazzo vieni a prendermi, non ce la faccio Ho avuto una vita triste e vuota e poi è arrivato Iron Man e poi ho visto Capitan America e poi ho amato Steve e mi sono sentito apposto Mi sarebbe mancato alla fine di tutto Mi manca anche quando stiamo insieme solo per favore svegliati ti prego SteveSteveSteveSteveSteveSteve forse è rimasto dove l’ho lasciato mio dio l’ho lasciato perché maledizione l’ho lasciato? Sono rimasto qui, non mi sono mosso Sono un codardo Steve era il coraggio che mi mancava Steve era tutto quello che mi mancava, tutto quello che mi rendeva migliore Aiutami Peps l’ho abbandonato L’ho abbandonato anche se non volevo lasciarlo e ancora non riesco a capire come ci sono riuscito ma ho rivisto il ghiaccio e il sangue e non c’ho nemmeno provato, non come avrei dovuto Credevo davvero di averla trovata, aiutami Quella cosa meravigliosa che ti spinge a camminare anche quando t’hanno spezzato le gambe Ero così contento che fosse Steve Prega che con lui non muoia anch’io Non posso sopportarlo, non da solo Sta morendo la parte migliore di me


 

GIORNO 125


 

Ore 7.34. Seconda tazza di caffè. Non ha chiuso occhio tutta la notte, è rimasto in laboratorio. Ha parlato al telefono con Bruce e gl’ha chiesto di tenerlo impegnato. Allora vengo da te, Tony e proviamo a - - no, non venire non importa non più mi dispiace - - Tony asp-
È stata una pessima idea. Non vuole vedere nessuno, non fino a che non potrà rivedere Steve.


Ore 11.08. Quarta tazza di caffè. Quel maledetto aggeggio non vuole proprio saperne di funzionare, l’ha già bruciato due volte e fatto sanguinare tre. Tony s’è guardato le braccia escoriate e la pelle raggrinzita e arrossata e ha storto le labbra. Stupido corpo umano, s’è detto, potesse farlo vivrebbe con l’armatura perennemente calata addosso. Non è così impossibile, potrebbe farci un pensierino, uno di quei pensieri stupidi e irrazionali che portano al nulla più assoluto. Sarebbe bello però , protettivo.
Smetterebbe di sentire. Tanto gli basterebbe.


Ore 16.55. La doccia è la parte della giornata che preferisce. Il vapore gli colora le guance, le lacrime si fondono all’acqua. Può far finta di non aver mai cominciato.


 

GIORNO 149


 

Steve non ricorda di essersi addormentato. Ha minuscoli flash della battaglia che gli danzano in testa e fotogrammi di Natasha, Natasha dietro un albero, Natasha che piange, di Banner, Banner come Bruce e Banner come Hulk, come mostro danzante, fotogrammi di Thor, Thor col martello in mano, Thor lontano da loro, vicino le mura della cittadella, di Barton, Barton con le frecce dietro la schiena, Barton con gli occhi chiusi, Barton sulle macchine nemiche e poi, poi ha frammenti di Tony, Tony dietro le sue spalle, Tony su, in cielo, Tony lontano da lui, Tony come Iron Man e alla fine ricorda anche il dolore, oh il dolore, il dolore è orribile o, almeno, deve esserlo stato e Steve ricorda sassi freddi sotto le scapole e neve e terra sotto le dita.
Apre gli occhi dopo centoquarantanove giorni di sonno.
Gli hanno sparato. Ricorda che gli hanno sparato. Il primo colpo gl’ha trapassato una spalla, il secondo gl’ha bucato il fianco sinistro. Il sangue ha cominciato a colargli lungo le gambe e la testa ha preso a girargli. Gli spari hanno smesso di fare rumore e il bombe gli sono sembrate innocue palle di sabbia. Il terzo colpo è stato il peggiore, tra i capelli, vicino all’orecchio, l’ha reso ancora più debole di quanto già non fosse. Il respiro s’è fatto debole, il cuore ha rallentato i battiti. Ha pensato a Tony, al cuore che gl’aveva promesso. S’è addormentato, s’è svegliato centoquarantanove giorni dopo. La morte deve odiarlo parecchio e a quanto pare non vuole portarlo con sé, ma Tony, Tony dov’è?
Gli fa male la testa, gli pizzica il fianco sinistro e la spalla destra sembra completamente morta. Non riesce a muoversi, non come vorrebbe e gli occhi gli fanno un male terribile e ha la gola secca e bruciata come se avesse bevuto acqua di mare e poi è stanco, stanchissimo e sa di essersi appena svegliato, ma andrà bene un altro po’. Il corpo non gli ubbidisce e si silenzia di nuovo. Accoglie il sonno come se non lo vedesse da anni.


Succede come la primissima volta, o quasi. C’è una donna vicino a lui. Sorride. Ha i capelli rossi e due occhi scuri dolcissimi. Sarah recita il cartellino che ha appuntato al seno e a Steve sembra di averla già conosciuta. Ciao Sarah gli dice e ciao - - cos’è successo? - - È rimasto ferito in battaglia, capitano - - in battaglia, si ma i miei-i miei compagni , loro-loro stanno bene? - - stanno tutti bene, capitano, hanno vegliato su di lei per tutto il tempo - - cielo, quanto è passato?- - centoquarantanove giorni, capitano - - centoquarant- - aveva ferite molto gravi e emorragie multiple e i proiettili erano arrivati così a fondo che avevamo paura l’avessero trapassata, ma è stato fortunato, il siero che le circola in corpo le ha davvero salvato la vita - - si ma loro-e Tony e tutti loro- voglio, voglio vederli - - probabilmente adesso avrà la testa sottosopra e si sentirà stanchissimo, ho avuto l’ordine di farle cambiare le fasciature e tenerla qui per un altro paio di giorni, come minimo. Passerà un’infermiera tra un paio d’ore per questo. Si riposi, capitano, lo faccia anche per loro. Non ho mai visto persone così preoccupate- - oh e, un’altra cosa; lei è un uomo molto amato, lo sa non è vero? È rimasto sempre qui, non l’ha lasciata un momento e poi, poi semplicemente ha avuto paura un sospiro e il sorriso di un angelo sotto la luce di mezzogiorno dovete amarvi parecchio - - signorina per fav- addio capitano. Un altro paio di giorni e sarà a casa, stia tranquillo, però adesso riposi, ne abbiamo tutti bisogno.
  

Ore 11.32. Pepper lo trova in laboratorio. Non se ne stupisce più di tanto. Chiede a Jarvis il permesso di entrare, un sorriso enorme stampato in faccia. Tony lo chiama Tony santo cielo guadami - - che vuoi Peps? lo sai che odio essere dist- è sveglio! è sveglio Tony. Mi hanno chiamato adesso dall’ospedale; lei, la donna coi capelli rossi, ricordi? m’ha detto che è sveglio e, santo cielo, ancora non mi sembra possibile e Pepper continua a parlare e è sveglio ripete è sveglio e afferra Tony per la maglietta e lo scuote per le spalle e sorride, sorride perché è una notizia fantastica e starà bene, tutti loro staranno bene. Poi gli si pianta davanti, felice come una pasqua e lo guarda e gli prende il viso fra le mani e se lo stringe al petto, solo così, come una madre, gl’accarezza i capelli e è qui sussurra è ancora qui e cazzo, in silenzio e per la prima volta dopo anni lo vede scuotersi e piangere dalla gioia.


Ore 12.45. Tony va a trovarlo, corre a vederlo. Non ci sono caffè, questa volta, non ci sono sigarette né agenti rompipalle, non ci sono porte chiuse né sedie tutte sgangherate. C’è solo Tony, adesso, Tony con la barba di una settimana ancora sul viso, Tony con gli occhi rossi e cerchiati, la maglietta mezza spiegazzata e macchiata sulla schiena e poi c’è Steve, adesso, c’è Steve davanti a lui, oltre quella maledetta porta, Steve seduto su un letto d’ospedale, seduto, non sdraiato, seduto perché sta bene, sta bene.
Tony gli corre affianco e gl’afferra una mano, si siede, quasi gli crolla vicino. Intreccia le loro dita e se le porta alla fronte – sei qui – bisbiglia – sei qui davvero – e gli bacia il palmo e – sei caldo e sei vivo – e Steve s’allunga su di lui e gli circonda le spalle – mi dispiace – gli soffoca tra i capelli – mi dispiace Tony – ma Tony non sente altro che la loro pelle a contatto e gli viene da piangere ancora, ancora e ancora – non farlo mai più – singhiozza – non farlo mai più, iddio santo, non lo sopporterei – e gli stringe i fianchi e s’attorciglia i capelli fra le dita e non gli importa di fargli male, non troppo e Steve lo bacia sulle ciglia e sulla bocca e sulle guance e sulla fronte e gli bacia lacrime nuove e solchi vecchi di settimane. E Tony lo bacia per ore e lo stringe talmente forte che poi gli fanno male le ossa.
E giura sul suo petto che continuerà a farlo per sempre.


















 

  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: Caramell_