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Autore: MarcoG    01/01/2009    1 recensioni
Altrimenti intitolato: "Al passato non si può voltar le spalle". Joey Jacquet era un onesto lavoratore sposato con una bellissima moglie, abitava in una bellissima casa ed avevano un bellissimo figlio. La sua vita era perfetta...fino a quando alcune ombre del suo passato non iniziarono a tornare a galla.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Monnis, certo che uso una betareader, come credi che riesca ad azzeccare tutti i congiutivi sennò? XD
a parte gli scherzi, grazie per tutto l'aiuto che mi stai dando ;)





Fra i tanti dubbi che Joey aveva in testa, quello che gli dava più noia era il non capire perchè scegliere come punto di ritrovo la vecchia prigione di Old Mission. Jean Dastè era stato chiaro: John Roukis era ricercato nella contea di St.Claire e l'Old Mission stava in quella di Jefferson, quindi non c'era apparente nesso fra le due cose. Forse Steven gli aveva voluto dire qualcosa scegliendo proprio quel posto come punto di ritrovo?
In ogni modo ormai era tardi per pensarci. Il comandante di volo avvisò i passeggeri che l'aereo stava per iniziare le manovre di atterraggio e Joey mise momentaneamente da parte i suoi pensieri.
Sceso dall'aereo passò al chek-in d'uscita dando nuovamente tutte le proprie generalità, anche questa volta fu lasciato passare senza problemi.
Uscito dall'aeroporto prese un taxi in direzione "La prigione Old Mission, per favore" e nel giro di tre quarti d'ora arrivò a destinazione. Pagò il tassista, prese il suo borsone e scese in strada.
Il solo rivedere l'edificio-prigione in cui era stato carcerato gli provocò un lieve malessere. I ricordi gli si affollarono immediatamente nella testa, ricordi di Lily e di Damian, il ragazzo con cui passò quei pochi giorni dietro le sbarre, ricordi di tutti quei carcerati con cui aveva litigato e con cui si era battuto e anche ricordi più brutti, come il cibo che faceva schifo o la cella immensamente piccola. Se nella sua vita c'era una cosa su cui era pronto a giurare che non sarebbe mai più riaccaduta, sicuramente quella era il suo ritorno a Old Mission.
Si sforzò comunque di riabbassare lo sguardo fra la gente comune, cercando ovviamente di ignorare quello delle guardie armate che vigilavano all'ingresso, per cercare di intravedere Steven.
Non vide nessuno farsi incontro, ma dall'altra parte della strada c'era parcheggiato in divieto di sosta un piccolo furgoncino grigio che catturò subito la sua attenzione. Due uomini, entrambi appoggiati con le schiene sulla fiancata, lo stavano fissando da quando era sceso dal taxi. Erano entrambi vestiti interamente di nero ma mentre uno era piuttosto basso e biondo, l'altro sembrava il suo perfetto alter ego. Alto quasi due volte il suo compare, nero e senza capelli, sembrava essere in grado di fargli ombra solamente mettendosi davanti a lui.
Il biondo guardò l'orologio e poi disse qualcosa all'altro, dopodichè i due controllarono la strada per attraversarla. Una volta che si furono avvicinati a Joey fu il biondo a iniziare a parlare.
- Sei tu James Hawk? -
Joey sentì una ventata di puzza di fumo non appena i due uomini avevano cominciato ad avvicinarsi.
- E tu sei Steven? -
Il biondo si lasciò scappare un mezzo sorriso.
- No, ma ti portiamo noi da lui. Seguici. -
I due uomini riattraversarono la strada, senza minimamente controllare se Joey li seguisse o no, e una volta arrivati davanti al furgoncino gli aprirono una porta nei sedili posteriori.
- Prego, accomodati - fece il biondo indicandogli con un gesto della mano i sedili.
Non appena Joey entrò capì come mai quei due puzzassero tanto di fumo; l'intero abitacolo ne era impregnato, fumo di sigaretta misto a quello di sigaro.
- Cristo santo! - si lasciò scappare Joey non appena inspirò per la prima volta.
- Che c'è amico? - gli chiese il biondo che si stava mettendo al posto del guidatore. Il gigante nero invece si posizionò al lato passeggero.
- Ma dico li aprite mai i finestrini qua dentro? -
Il biondo si limitò a sorridere e ad avviare la macchina.
Joey fece passare qualche minuto nell'attesa che qualcuno gli dicesse qualcosa, ma visto che nessuno parlava chiese lui qualche spiegazione.
- Si può sapere dove stiamo andando o è tutta una sorpresa? -
- Stiamo andando al Red Monkey, un locale a Ashville. -
"Ashville è nella contea di St.Claire" pensò Joey fra sè e sè.
- E quanto ci vorrà per raggiungere questo posto? -
- Cinquanta minuti, forse qualcosa di più. Ma tu rilassati amico, ci pensiamo noi a portarti dal grande boss - rispose sempre il biondo, accennando una risata.
- Va bene. Ah, una cosa - aggiunse subito dopo Joey, - Io non sono tuo amico, capito biondino? -
L'uomo davanti a lui portò immediatamente lo sguardo sullo specchietto retrovisore per fissarlo negli occhi, ma Joey di sguardi assassini ne aveva visti a centinaia e quello non era neanche lontanamente paragonabile al peggiore che aveva visto. Si limitò quindi a ignorarlo completamente.
Il viaggio lo fecero per tutto il tempo in assoluto silenzio, ogni tanto uno dei due si accendeva una sigaretta per poi buttarla fuori dal finestrino nel giro di qualche minuto. Dopo circa un'ora arrivarono al Red Monkey. Nonostante fossero solamente le 6 di sera il cielo era già diventato buio e si era alzato anche un leggero vento freddo.
Il furgoncino fu parcheggiato nell'ampio parcheggio davanti al locale e i tre scesero praticamente all'unisono dalla macchina. Joey fece per prendere il suo borsone ma il biondo lo interruppe subito.
- Quello lo puoi anche lasciare lì, tanto dentro al Red non ti serve. -
Joey alzò appena un sopracciglio.
- Vuoi dire che poi torneremo qui? -
- Sì, diciamo di sì - rispose riaccennando la stessa risatina di prima. Il nero invece aveva sempre la stessa espressione da quando lo aveva visto.
- E poi ti devo perquisire - aggiunse il biondo.
- Umph, ti risparmio la fatica. Non sono armato. - ripose Joey fissando l'insegna luminosa del Red Monkey.
- Devo perquisirti lo stesso - rispose il biondo avvicinandosi a Joey.
- Come vuoi - disse alzando le braccia. Effettivamente Joey era disarmato e la perquisizione non portò ad alcun risultato.
Quando dopo aver percorso a piedi il lungo parcheggio del locale finalmente entrarono, Joey pensò di essere finito nel set di qualche film. Superato l'ingresso dove bastò un cenno del biondo per essere lasciati passare, Joey si ritrovò dentro un'enorme stanza strapiena di ragazzi e ragazze che ballavano. Fu come essere catapultato d'improvviso in un altro mondo; non c'era nessuna di loro che non potesse concorre a miss mondo da tanto erano belle e non c'era nessun uomo che potesse invidiare qualcosa ai sex symbol del cinema. Ovunque Joey vedesse trovava ragazze e ragazzi bellissimi intenti a ballare, parlare o semplicemente bere qualcosa, tutti rigorosamente vestiti con abiti e scarpe il cui prezzo avrebbe fatto impallidire lo stipendio dei suoi operai.
Fortunatamente per lui non fu uno spettacolo che guardò a lungo perchè il biondo, dopo aver parlato con quello che sembrava un buttafuori all'ingresso della stanza, lo condusse al secondo piano di quell'immensa sala. Una volta arrivati di sopra passarono attraverso una porta lontana dai vari tavolini e dopo un breve corridoio finirono dentro una piccola stanza ammobiliata con molta cura.
Lo stile sembrava quasi classico; la grande scrivania presente al centro sembrava di legno pregiato e i quadri attaccati alle pareti erano tutte copie di famose opere del settecento. Sia sulla scrivania che sugli altri piccoli mobili presenti nella stanza c'erano moltissimi soprammobili, qualcuno anche raffigurante figure religiose.
- Tu aspettami qui che io vado a chiamare Steven - disse il biondo lasciando Joey da solo con il colosso nero. Nel momento in cui aprì la porta per uscire entrambi furono nuovamente investiti dalla musica ad altissimo volume del locale, che fortunatamente sembrò scomparire nel momento in cui la porta si chiuse.
Joey si aspettava di vederlo comparire a breve, invece si fece attendere per circa cinque minuti. Stufo di aspettarlo, iniziò a guardare i molti fogli presenti sulla scrivania, spostandone qualcuno che non era completamente visibile per via della quantità di tagliacarte e biro presenti.
- Ehy amico non toccare le cose che non sono tue - tuonò il nero che per la prima volta gli rivolgeva la parola.
Joey rimise a posto il foglio, dopodichè si voltò verso di lui. - Ti ho già detto che non sono amico tuo, bestione! - gli rispose con una certa rabbia. Il gigante lo guardò per un attimo furibondo, poi iniziò a scricchiolarsi le mani e ad avvicinarsi.
Prima che potesse succedere qualsiasi cosa si aprì la porta.
Entrò un ragazzo vestito di bianco dalla testa ai piedi, un paio di ragazze svestite come se fossero in spiaggia ad agosto e il biondino che l'aveva condotto lì.
- Non ci posso credere! Ragazzi, abbiamo portato veramente Dagger qui! - esclamò il ragazzo.
Joey lo squadrò da capo a piedi: era vestito molto bene, il vestito bianco completamente pulito e stirato e le scarpe erano splendenti come se fossero state appena lucidate. La barba perfettamente fatta e due mani curate, quell'uomo era tutto fuorchè un criminale.
- Porca miseria! Ma lo sai che da queste parti sei una specie di eroe? - continuò lui, iniziando a girare attorno alla scrivania per andare a sedersi sulla grande poltrona che c'era al centro.
- Dimmi un po', Dagger, Billy one-eye dice sempre che ha perso l'occhio al militare quando gli è esplosa una bomba in faccia, ma qualcuno dice che sei stato tu a farlo diventare così! Qualcuno dice che ti aveva fatto un torto e tu per vendetta hai cercato di cavargli via l'occhio con del filo spinato, è vero? -
Joey vide una leggera smorfia di disgusto dipingersi sulle labbra di una delle due ragazze appena entrate.
- Sei tu Steven? - chiese lui ignorando la domanda del giovane.
- Su avanti Dagger, toglimi questa curiosità! -
Joey sospirò.
- Sì, è vero. -
Il giovane scoppiò a ridere. - Per la miseria Dagger! Ma allora è proprio vero che sei il figlio di puttana schizzoide che tutti dicono! - poi prese la bottiglia di liquore presente sulla sua scrivania e iniziò a riempirsi un bicchiere. - O per lo meno "che eri", ti vedo un po' invecchiato sai? -
- Sei tu Steven? - chiese nuovamente Joey.
- Sì sono io Steven, caro il mio James Hawk. Bentornato in America! - esclamò allargando le braccia. - Vuoi? - gli chiese indicando il bicchiere pieno di liquore.
- No - rispose secco lui. - Ora mi vuoi spiegare? - chiese avvicinandosi alla scrivania.
- Solo un'ultima curiosità, te ne prego! Ti ricordi quando hanno commissionato a te e a Rei di far fuori il figlio di Twisty? Rei dice che quel giorno eri talmente tanto ubriaco che ti eri dimenticato la faccia del bimbo...e allora appena ti hanno avvisato che stava uscendo da scuola la sua classe tu hai svuotato un intero caricatore di AK-47 su di loro, giustificandoti con Rei che ti guardava allibito con un "ora chiunque fosse è morto"? E' vero? -
- Basta con queste stronzate! - urlò Joey. - Arriviamo al dunque brutto bastardo! -
Steven diventò immediatamente serio. - Toglimi quest'ultima curiosità Dagger, poi rispondo a tutte le domande che vuoi. -
Joey sospirò un'altra volta.
- Sì, è andata esattamente come ha detto Rei -
Steven scoppiò a ridere un'altra volta, spingendosi leggermente lontano dalla scrivania.
- Oddio Dagger, che pezzo di merda che sei! Ma come si fa ad ammazzare i bambini? Capisco ancora ancora le donne...ma i bambini... - svuotò in un sol colpo il suo bicchiere. - Comunque, siediti che arriviamo al dunque -
- Preferisco rimanere in piedi - rispose immediatamente Joey.
- Ho detto di sederti - ribattè prontamente Steven. Se la situazione non fosse stata così pericolosa Joey si sarebbe messo a ridere. Quello Steven non aveva nè la faccia nè il tono da duro e vederlo dare ordini provocava solamente una grande ilarità. Comunque si sedette.
- Bene. Allora Dagger, cosa vuoi sapere prima? Chi sono io? Chi sono quei due che hanno fatto fuori tua moglie? -
- Inizia col dirmi come hai fatto a trovarmi - rispose Joey socchiudendo gli occhi.  
- Beh, sarebbe più corretto chiedere come abbiamo fatto a trovarvi, visto che il vero scopo del viaggio dei miei uomini è sempre stato Lily. -
Joey rimase un attimo in silenzio.
- Non volevate me? - chiese abbastanza incredulo.
- A mio padre di te frega poco, in tutta sincerità. A lui basta che tu finisca all'obitorio, ucciso qua in America o là in Francia non fa differenza. Io invece ho insistito affinchè potessi venire qui, così almeno potevo conoscerti...prima di ammazzarti. -
Joey non credeva alle sue orecchie.
- E chi sarebbe tuo padre? - chiese tutto d'un fiato.
- Ivan Kimberlin, e io sono Steven Kimberlin, ovviamente. -
A Joey mancò per un attimo il respiro. Non poteva credere che tutto questo stava succedendo per colpa di Kimberlin. Quando lo conobbe in prigione ad Old Mission ricopriva la carica di capo delle guardie; era un pervertito e un sadico, uno di quelli che si divertiva a torturare i carcerati e a stringere patti con i criminali più noti. Approfittava della sua carica di capo-guardie per far tacere i suoi sottoposti sui patti più disonesti che prendeva con i carcerati e con molti di loro aveva stretto un'amicizia che si era protratta oltre il periodo di degenza all'Old Mission. Quando fiutò che Lily stava addossando a lui la colpa dell'evasione di James mandò un suo uomo ad ucciderla, uno di quelle persone strafatte di eroina che a momenti neanche si ricorda più come chiama. Un capo-guardie ovviamente non dovrebbe avere certe conoscenze.
- Che c'è Joey Jacquet? - Steven pronunciò lentamente il suo nome e cognome. - Non te lo aspettavi vero? -
- Lui...lui è in carcere! - rispose Joey nuovamente di impulso.
- Oh, certo, c'è stato per venti lunghi anni, grazie a tua moglie che ce l'ha mandato. Due mesi fa è finalmente uscito e ora vuole recuperare il tempo perso, oltre ovviamente a sistemare chi gli ha fatto fare quella fine. -
- Vent'anni? -
- Già, visto che è risultato colpevole anche dell'omicidio di un detenuto trovato morto la sera stessa dell'evasione. Per tutte le sue accuse venti sono comunque poco, lo so...ma papà era molto più furbo di quanto la tua stronza moglie pensasse. Aveva agganci in alto, molto in alto e soprattutto era amico di parecchia gente ricca che lo aveva pagato per avere un occhio di riguardo per un figlio magari un po' troppo ribelle finito in galera, o al contrario di avere la mano pesante con un detenuto che era meglio se non sarebbe mai uscito di prigione. Quando arrivò l'accusa di aver organizzato la fuga di voi detenuti minacciò il capo di Old Mission  di spifferare tutto quello che sapeva e contattò anche tutte le persone a cui aveva fatto favori in quegli anni...e riuscì a raccogliere i suoi frutti, per così dire. -
Steven  si allungò per prendere nuovamente la bottiglia di liquore, se ne  versò un altro bicchiere e poi ricominciò a parlare.
- Purtroppo scoprì che le accuse a suo carico erano troppo schiaccianti e per lui non c'era niente da fare. Neanche con i migliori avvocati del mondo pagati dai suoi amici sarebbe potuto risultare innocente. Tua moglie aveva fatto proprio un bel lavoro facendo ricadere tutta la colpa su di lui sai? La galera fu impossibile da evitare, però riuscì...come dire...a pensare al futuro. -
Buttò giù nuovamente con un colpo solo tutto il liquore presente nel bicchiere.
- E il futuro saresti tu? - chiese Joey che iniziava a sentirsi la gola secca a furia di vedere Steven che beveva.
- Esattamente! Ci provò a lungo a minacciare tutte le sue conoscenze di farli finire in carcere con lui se non lo avessero salvato, ma quando vide che nonostante questo proprio non si riusciva a trovare un piccolissimo dubbio da insinuare nella giuria, allora pensò a me che al tempo avevo dieci anni. Che bravo paparino vero? -
Una delle due ragazze che aveva alle spalle sorrise e gli appoggiò una mano sul braccio.
- Ovvero? - chiese Joey sempre più stupito da quello che stava sentendo.
- Mosse un po' le acque per accertarsi che io riuscissi ad avere un futuro pieno di soldi e felicità, mettiamola così. - Sul suo volto si allargò un sorriso. - La gestione degli appalti in queste zone è da sempre controllata dalla mafia, si sa. Mio padre chiese...o meglio ordinò, che al raggiungimento della maggiore età io potessi entrare a far parte di queste "famiglie", per così dire. E così andò. -
- E in questo modo quando lui sarebbe uscito di galera avrebbe vissuto nel lusso dei soldi che avresti guadagnato tu in tutti quegli anni in cui lui sarebbe rimasto in carcere... - concluse Joey.
- Esattamente. D'ora in poi a mio padre spetta una vita fatta solo di gioie e di ricchezze e lo stesso vale per me. Mica male no? -
Joey si portò le mani sul volto, chiudendo gli occhi.
- Non mi hai ancora detto come hai fatto a trovarci -
- Ah sì, giusto! Eravamo sicuri che prima o poi qualcuno di voi sarebbe tornato in carcere, visti i vostri caratteri. E sai chi abbiamo trovato nella prigione di Regensburg, in Germania? Benjamin Mallory! - Poi, vedendo che Joey non aveva neanche mosso un muscolo tenendosi ancora gli occhi coperti dalle mani, riprese - Ehy Dagger hai sentito? -
Joey inspirò a fondo, dopodichè riportò le mani sulle ginocchia. - Non ho la minima idea di chi cazzo sia questo Mallory, Steven -
- Eh, certamente! Voi balordi vi conoscete solo con gli stupidi soprannomi che vi date! Lui era Black Dog, ora ti ricordi? -
A Joey per poco non prese un colpo. Black Dog era il terzo detenuto scappato quel giorno assieme a lui e a Damian, erano rimasti in contatto per un po' dopo che le acque si furono calmate ma dopo pochi anni smisero di sentirsi. L'ultima volta che Joey lo sentì per telefono gli aveva detto che sarebbe andato in Germania per  vedere se era un paese migliore dell'Italia, paese dove viveva da quando era evaso dall'Old Mission, altrimenti se ne sarebbe tornato in America, a rischio di finire nuovamente in galera. L'Europa non faceva proprio per lui, continuava a ripetere.
- Sì, mi ricordo - rispose Joey sommessamente.
- E...? Non hai niente da dire? -
- Perchè, cosa dovrei dirti? Forse come mai ha rivelato a voi dove stavamo io e Lily? Lo avrete torturato di sicuro per farvelo dire -
Steven scoppiò a ridere. - Esatto, Dagger, esatto! E sai cos'ha detto quel bastardo dopo avercelo detto, quando ormai era in punto di morte? "Tanto non ce la farete mai a farle del male, Lily sta con Hawk ora...non riuscirete neanche ad avvicinarvi a lei che Dagger vi avrà già fatto fuori!" Proprio così ha detto! Quanto si è sbagliato eh? Non solo non ci hai fatti fuori, ma abbiamo fatto del male eccome a Lily! - e tornò nuovamente a ridere. Joey strinse i pugni dalla rabbia.
- Quindi ora che si fa Steven? Mi spari un colpo in testa e la facciamo finita? -
- Oh no, non così in fretta. Questo onore lo lascio a mio padre, che mi ha raccontato in passato di avertene già date un bel po' quando stavi a Old Mission. Il mio compito è solamente quello di...renderti docile per quando lui arriverà qui, così che potrà dirti quello che vuole e poi farti fuori. Dopodichè entrerà a far parte al cento per cento dei miei affari e vivremo felici e contenti, come nelle fiabe. Bello, vero? -
Joey aveva pensato a moltissime persone quali colpevoli di quello che era successo a Lily, ma a Kimberlin proprio no, lui non l'aveva neanche calcolato. Era un bastardo, certo, ma non aveva mai pensato potesse essere pericoloso fino al punto di riuscire a minacciare alte cariche della contea per perseguire i suoi scopi. Di tutti i balordi che aveva conosciuto, Kimberlin era sicuramente uno dei più insulsi.
Cercò di ricordarsi gli insegnamenti di Liu Shulan e di cosa gli diceva quando si doveva misurare con molti nemici all'interno di una piccola stanza. Gli uomini potenzialmente pericolosi erano sicuramente due, ovvero il biondo e il colosso nero dietro di se, più eventualmente Steven, anche se non sembrava armato. Le due ragazze alle spalle di Steven poteva anche non considerarle visto che sembravano semplicemente due prostitute di alto conto.
Mosse velocemente gli occhi a destra e a sinistra per confermare la posizione del biondo; era dietro di lui alla sua destra, mentre il colosso stava alla sua sinistra.
- Beh? Hai perso la parola? Stai per caso recitando le tue ultime preghiere? - domandò Steven vedendo che Joey non rispondeva.
- No, niente di tutto questo. Cosa facciamo adesso Steven? Mi fai bere del tranquillante? Mi fai pestare dai tuoi uomini? -
- Uhm...sì, qualcosa del genere - rispose Steven, facendo un gesto ai due che Joey aveva alle spalle.
Dagger riuscì con la coda dell'occhio a vedere che il biondo si stava avvicinando con qualcosa in mano; teneva le due mani strette a pugno a una distanza di trenta centimetri circa fra loro e si avvicinava a passo lento, come se non volesse farsi scoprire.
"Un filo di ferro" pensò, prima di riuscire a vedere il biondo portargli velocemente le mani sulla testa per poi scendere fino a stringersi al collo. Joey fece appena in tempo ad alzare le mani mettendole fra il suo collo e il filo prima che il biondo riuscisse nella sua opera assassina.
- Yhaa! - urlò il biondo che iniziò a stringere incurante delle mani di Joey che erano rimaste imprigionate nella morsa. Joey si sentì i palmi sanguinare all'istante; non doveva essere un semplice filo di ferro ma qualcosa di decisamente più affilato.
- Suvvia Dagger, non opporre resistenza! Soffrirai solo di più! - disse Steven ridendo.
Ma Joey era pronto al contrattacco.
Mise un piede contro la scrivania e si diede una spinta all'indietro con tutta la forza che aveva, cadendo all'indietro con tutta la sedia e liberandosi di conseguenza dalla stretta mortale del fil di ferro. Appena colpì con la schiena per terra alzò velocemente una gamba colpendo il naso del biondo con il tacco del suo stivale. Si sentì un sordo -crack- all'interno della stanza e il naso del biondo iniziò a schizzare sangue peggio di una tubatura rotta.
Joey ne approfittò per alzarsi in piedi con un colpo di reni. Non fece neanche in tempo a portare gli occhi sul nero che il colosso gli era già addosso. Gli portò le enormi mani al collo spingendolo contro il muro, colpendo un piccolo tavolino lì affianco che rovesciò per terra tutti i soprammobili che vi erano sopra.
- Ehy non distruggete le mie cose brutti balordi! - urlò Steven che si era appena alzato.
Le mani del nero erano una vera morsa d'acciaio ma si era lanciato troppo velocemente e in maniera troppo avventata per effettuare quella presa. Joey portò una mano sul braccio sinistro del nero spingendolo verso il basso e con l'altra colpì con tutta la forza che aveva il gomito del suo avversario dal basso verso l'alto. Si sentì un altro -crack-.
- Per la miseria! Jana, dammi subito una pistola!- guaì Steven rivolgendosi a una delle due ragazze che iniziò ad armeggiare con le mani dentro la sua borsa.
Nel frattempo il nero era caduto in ginocchio urlando di dolore, il braccio gli era stato rotto e quello era un dolore che sentivano tutti, grandi o grossi che fossero. Joey lo colpì con un pugno facendogli letteralmente voltare la faccia, poi gliene diede un altro con l'altra mano nella direzione opposta.
Il nero cadde quasi completamente privo di sensi.
Stava per infierire ulteriormente su di lui quando vide che una delle due prostitute aveva finito di frugare nella sua borsa e aveva appena passato a Steven una piccola pistola. Fece appena in tempo a buttarsi per terra che partì un colpo.
- Cazzo! - urlò Steven che si rese conto di averlo mancato.
Joey si alzò il più velocemente possibile verso la porta e fece appena in tempo ad aprirla e a lanciarsi fuori che partì un altro colpo. Lo prese di striscio alla spalla destra, ma era ancora in grado di camminare.
Corse a perdifiato per tutto il corridoio che lo separava dalla grande stanza dove i giovani stavano ballando e appena rientrò nell'enorme sala sentì partire un terzo colpo. Si buttò nuovamente a terra per evitarlo e fu colpito un ragazzo che stava ballando proprio davanti a lui, cadendo per terra morto sul colpo. La ragazza che gli era affianco esplose in un urlo d'orrore.
Joey approfittò della confusione che stava nascendo per saltare giù al piano inferiore, per poi correre velocemente verso l'uscita. Dietro di lui iniziava a sentire un numero crescente di urla.
Appena fuori si guardò attorno: una coppia di ragazzi si stava avvicinando a una Audi R8 le cui luci iniziarono a lampeggiare non appena il ragazzo schiacciò sul telecomando delle chiavi.
Corse nella loro direzione senza guardarsi dietro e appena gli fu vicino assalì il ragazzo buttandolo a terra e prendendogli le chiavi.
In quell'esatto momento Steven uscì dalla discoteca e si guardò attorno. - Dove cazzo è finito?! - urlò  alle due ragazze che lo avevano appena raggiunto.
Joey si infilò in macchina lasciandosi alle spalle la ragazza che piangeva e urlava alla stessa maniera e mise velocemente in moto. Steven fu attirato dalle urla della ragazza e guardò nella sua direzione: appena capì che dentro a quella R8 che partiva sgommando c'era Joey sparò qualche colpo, ma ormai era troppo tardi.
Joey era già uscito dal parcheggio e stava scomparendo a gran velocità nel buio della notte.

***



Quando la donna vide sul display del cellulare il numero di James Hawk, strabuzzò gli occhi pensando di aver letto male.
- Oh mio Dio, sei veramente tu James? -
- Sì, sono io Lucrece -
La donna si sedette. - E perchè mi stai chiamando? Che è successo? -
- Te lo spiego quando arrivo, stai ancora al 44th St.Ensley? -
- Ehy che...cosa cazzo vuol dire "quando arrivo"? -
- Tu dimmi se hai ancora la casa lì -
- Ferma un attimo! Dove sei? Da dove mi stai chiamando? -
- Ho bisogno di un posto dove dormire stanotte, Lucrece -
- James per Dio! Smettila! Rispondi alle mie domande! -
Joey si lasciò scappare un sorriso silenzioso.
- Sono a quaranta minuti da casa tua. -
- Cosa?? Che ci fai in America? Perchè sei qui? Dov'è Lily? -
- Te l'ho detto è una storia lunga...ti spiego appena arrivo, ciao -
- Come "ciao"? No fermati James, non puoi venire qui! Ho degli ospiti! -
- E allora vorrà dire che li butterai fuori, se non vuoi che mi vedano. A fra poco -
Joey terminò la chiamata. Nel giro di neanche dieci secondi vide il suo cellulare vibrare: era Lucrece che lo stava richiamando.
Joey non rispose, si limitò solamente a spingere ulteriormente sul pedale dell'acceleratore.
  
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