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Autore: SanjiReachan    11/05/2015    0 recensioni
Questa è una storia vera. O meglio, ciò che ne resta.
Ciò che resta di un amore non vissuto, ciò che mi è rimasto lasciando andare le tue mani, quella volta.
A Te, ovunque tu sia. Sperando che le nostre anime si ritrovino un giorno, sperando di rivedere i tuoi occhi, limpidi come frammenti di cielo che ci sovrastano e che ora ci dividono.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Roxas, Quel Ragazzo Speciale

 

L’aria era gelida. No, non perché le temperature fossero estremamente basse, dopotutto, era solamente giugno. Ma il fatto è che nei sogni le avvertiamo queste cose, anche se non è il solito senso di freddo che percepiamo sulla pelle, durante il giorno. Quella sera, il mio intero stomaco era avviluppato in un senso di fredda eccitazione latente. L’eccitazione che senti un istante prima che qualcosa di cruciale accada, prendendoti alle spalle, completamente alla sprovvista. Ed è, infatti, esattamente ciò che è successo. La piazza era grande, spaziosa, con gruppi disseminati di ragazzi che ne occupavano l’interno. Io ero sola, non ricordo esattamente cosa fosse successo, ma mi ritrovavo a guardare le alte luci rossastre che a intervalli regolari riempivano la circonferenza del piazzale, in una calda, seppur fredda, serata di inizio estate. Avevo paura, si. Paura dei gruppetti che si riunivano intorno a me. Paura delle persone che ridevano, fumavano, bevevano. Una paura viscerale, un misto di invidia e rimpianto e qualcosa che non riuscirò mai bene a descrivere, avvolta dai fumi onirici e intossicanti che aleggiano in una scena creata dalla mente. Ciò che contraddistingue il mio sogno, comunque, è che esso è stato costruito sulla realtà. O meglio, una possibile realtà. Quel che ho visto in quel frangente non era reale, eppure non meno reale della realtà che deve ancora svelarsi e non più illusorio di un passato che deve ancora predirsi. Finalmente, decisi di alzarmi. Mi girai e ciò che vidi mi congelò fin dentro le ossa, facendomi sentire per la prima volta che una sola figura, in quel mare di caos, sensazioni e immagini irrisorie, fosse davvero reale. Non aveva un senso, non in qualunque angolazione avessi voltato quel quadro surrealista di sequenze notturne così perfettamente definite da sembrare sfocate al limite del possibile della realtà, così come la conosciamo attraverso le nostre percezioni. Ma la mancanza di una spiegazione logica non riusciva a cancellare i suoi occhi, così come li vedevo. Chiari, tremanti e fissi, dilatati dallo stupore. E successivamente spenti, da un imbarazzo che ci aveva colto alla sprovvista e aveva sollecitato qualcosa nei nostri petti a pulsare fastidiosamente. Il primo impatto era durato non più di qualche secondo ed insieme al torturante nervosismo che ne seguì subito dopo, fu il dettaglio che più mi rimarrà impresso nella mente, sulla pelle, nello stomaco. Non era solo. Alle spalle, come tutti, anche lui il suo gruppo. Ci fu un istante, però, in cui rimanere soli diventò una valida quanto scontata prospettiva. Ma ciò che mi spinse a girarmi impacciata e usare la carta di una plateale uscita di scena, fu, a parte l’imbarazzo e la freddezza nel suo sguardo, il fatto che la storia come dovrebbe essere a questo punto mi spingeva forte contro questa opzione. Un’opzione che non ho mai realmente considerato e a cui non ero davvero preparata. Il correre via. Scappare. Le domande. I ricordi, ogni dettaglio, ogni nuovo dettaglio. Lui era come lo ricordavo? No, qualcosa era diverso. I capelli, i suoi capelli. Le ciocche castano chiaro che avrei voluto sfiorare, cercare, che gli incorniciavano il volto. Il suo sguardo? Oh si. Mi feriva, un’arma. Un’accusa, un’irrimediabile accusa di ciò che aveva perso, di ciò che non avrei trovato. Un rassicurante sfavillio di luce calda, ormai dimenticata, rimpiazzata da una gelida e impenetrabile barriera che ne oscurava l’iride e si confondeva con la luce irreale delle stelle di metallo rosse, artificio dell’uomo. Che significava tutto quello? Perché il cercarsi. Perché il non trovarsi. Perché il negare, perché dimenticare. Non lo volevo. Non volevo quello. Non volevo il suo abbraccio, freddo, che nascondeva il calore di un affetto ormai appassito. Non volevo il suo corpo contro il mio, una dura e incitante leva sotto il ventre. Non volevo che mi odiasse, non volevo possederlo, non volevo quella gelida, fredda, viscida sensazione che mi avviluppava lo stomaco, mi irrigidiva i sensi, prendeva il controllo nella mia mente. Ciò che volevo? Svegliarmi. O forse, continuare a sognare per sempre. Perché chi si lascia sfuggire le redini del proprio destino, chi lascia che la propria realtà non sia valsa la pena di una vita, è destinato a rimanere per sempre sveglio in un’illusione assopita. I sogni che non si realizzano, tornano a perseguitarci sotto forma di incubi. E gli incubi, ahimè, sono molto più realistici dei sogni. Quanto a me? Rimarrò a vagare in un labirinto irreale governato da un immobile tempo. Tutto ciò che ho compreso quella notte è che la direzione in cui può virare la nostra vita è molto simile al passaggio di un sogno. Spesso abbiamo l’impressione di poter decidere, ma la maggior parte del tempo veniamo trascinati da un mondo che non riusciamo a controllare e che ci regalerà una quantità di emozioni che non riusciremo mai ad afferrare fino in fondo. Ciò che possiamo fare è soltanto decidere se dimenticarci dei nostri sogni, oppure continuare a credere e sperare intensamente che un giorno, con un po’ di fortuna, potranno essere avverati.






Dal mio angolo

Mi manchi. Tanto.
Terrò strette le tue mani, ora.

https://www.youtube.com/watch?v=1HA4lGbrFSY

Roxas...
XXX
By Cloud.


 

  
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