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Autore: daeran    02/01/2009    2 recensioni
C’era nebbia fuori dalla finestra, avevo freddo; un freddo che si spandeva dall’interno del mio corpo, gelido ed agghiacciante mi attanagliava il cuore e le viscere e d’improvviso lui era lì, davanti alle sbarre della finestra, immobile come una statua. Mi guardava con un mezzo sorriso sulle labbra, mi si avvicinava, mi accarezzava ed entrava nel mio letto.
Lo lasciavo fare, perché avevo una consapevolezza che mi aveva accompagnata sempre, dalla mia più tenera infanzia. Ero sua, soltanto sua.
Genere: Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è stata scritta per partecipare alla 2° sfida dell'Anonima Autori: "Vampiri, Streghe e Licantropi."
Non sono sicura che possa classificarsi come Horror, ma non sapevo bene in che altra categoria inserirla, se non sta bene qui, fatemelo sapere che la sposto ^__- . Daeran.

Ossessione.

- Sangue e morte alla clinica Santa Rosa.
Il cadavere di una giovane donna è stato rinvenuto questa mattina, poco dopo l’alba, nella clinica santa Rosa, appena fuori da Dolcedo.
Secondo le prime indiscrezioni la vittima sarebbe una paziente del rinomato istituto psichiatrico e sarebbe stata trovata senza vita, riversa sul letto della sua camera, con la gola squarciata.
Non sono state rilasciate dichiarazioni dal dottor Antonio De Sanctis, direttore dell’istituto né dai portavoce delle forze dell’ordine che si nascondono tuttora dietro l’assoluto riserbo:
“Sono ancora in corso i primi accertamenti sul cadavere e sulla scena del crimine, non possono essere rilasciate interviste.” ha tagliato corto il maresciallo Signini che si è presentato questa mattina sul luogo del brutale omicidio, assieme al giudice per le indagini preliminari: Susanna Lorenzetti.
“La vittima è una giovane donna tra i venticinque ed i trent‘anni.” ha affermato la Lorenzetti.
“Non possiamo dire di più, la famiglia non è ancora stata convocata e per ovvi motivi non possiamo rivelarvi il nome. Le indagini stanno procedendo, vi preghiamo di non speculare sul dolore altrui, né di giungere a conclusioni affrettate che potrebbero scatenare il panico; quando sapremo qualcosa, sarete i primi a venirne informati. Grazie.”
Ovvio il riferimento del giudice al caso del Serial Killer che sta seminando il sangue nella vicina Dolcedo, il modus operandi dell’omicida sembra essere lo stesso e… -

Il maresciallo Signini spense con un gemito di stizza il televisore e gettò rabbioso il telecomando che rimbalzò sui cuscini del divano di pelle, nella sala d’aspetto della clinica, pullulante di uomini in divisa dell’Arma e di tecnici protetti dalle tute bianche anticontaminazione.
“Alla faccia delle conclusioni affrettate. A quanto pare ci sono arrivati prima dei nostri geniali tecnici.” mormorò, prima di schivarne uno.
“Mi domando per quanto ancora i preservativi dovranno fare avanti indietro. Cominciano a rendermi nervoso. Possibile che ancora non abbiano scoperto come diavolo sia entrato quel bastardo?” sbottò, rendendosi conto troppo tardi che il suo interlocutore era una signora.
“La pregherei di smetterla di definirli così, maresciallo. Sono carabinieri come lei che svolgono il loro lavoro.” mormorò questa, senza degnarlo neppure di uno sguardo.
Sì, ma sembrano preservativi… pensò tra sé e sé l’uomo, sollevando le spalle.

“L’unico modo per entrare, come vi ho già detto, era dalla porta.” borbottò nuovamente il dottor De Sanctis, seduto davanti al magistrato che ancora lo stava tartassando di domande inutili.
“Sì, dottore, ma ci ha anche detto che quella porta era chiusa a chiave e che le uniche copie di quella chiave le possedete voi e la caposala la quale le conserva nel suo ufficio in fondo al corridoio.” la donna parlava meccanicamente, senza guardare il suo interlocutore, studiava semplicemente gli appunti ordinati, scivolando con la penna sul blocco posato sul tavolino.
“Sì, dottoressa, e l’ultimo a vederla viva sono stato io, quando ieri sera le ho consegnato personalmente le medicine.” annuì ancora l’altro.
“Non ho ancora capito perché lo abbia fatto lei e non un’infermiera, dottor De Sanctis.” il tono della donna era senz’altro accusatorio.
Voleva chiudere in fretta il caso ed aveva già trovato un colpevole?
Un brivido gelido corse lungo la schiena del medico, quando questo pensiero incoerente gli si affacciò alla mente.
“Perché volevo vedere come si sentiva. Come le ho detto, mi occupavo personalmente della sua situazione,il padre di Anna mi aveva pregato di aiutarla a rimettersi.
Dopo lo shock subito, i progressi fatti nei mesi passati erano stati davvero notevoli. Tuttavia nell’ultima settimana avevo notato un netto peggioramento: le manie di persecuzione avevano cominciato a farsi nuovamente sentire, così come la depressione e gli attacchi di panico. Non ero ancora riuscito a capire che cosa potesse averli suscitati. Ieri sera le ho somministrato un calmante per permetterle di dormire con maggior tranquillità ed abbiamo fatto quattro chiacchiere, volevo calmarla, nel pomeriggio aveva avuto un attacco.” parlò meccanicamente, come recitando una serie di battute imparate a memoria.
“Che genere di attacco?” il maresciallo Signini si intromise nell’interrogatorio. Il GIP lo fissò per la prima volta e lo fulminò con uno sguardo ma lo scafato carabiniere la ignorò e si sedette al suo fianco, portando tutta l’attenzione sul Dottore e verificando con esperienza ogni sua singola reazione.
“Beh quello che voi definireste un attacco isterico. Era convinta di aver visto un’ombra dietro la finestra, l’uomo che l’ha aggredita sei mesi fa ed ha scatenato un putiferio. Era nella sala comune e naturalmente gli altri pazienti, sentendola urlare, hanno cominciato a loro volta. Ci è voluto un bel po’ di tempo per calmarli tutti e…”
“…E non le è venuto in mente che forse aveva davvero visto quell’uomo?” il maresciallo balzò in piedi.
“Maresciallo, per favore, faccio io le domande.” lo rimbeccò la Lorenzetti.
“Beh, allora faccia le domande giuste, maledizione! Nessuno di voi ha ancora accennato al fatto che la vittima fosse l’unica ad essere scampata al Killer vampiro!” lo stupore gli fece perdere il controllo.
“Oh, ancora quella ridicola storia! Non c’è nessun Serial Killer a Dolcedo, maresciallo.”
“Già però ci sono i cadaveri, signor giudice!” il militare era diventato paonazzo, sembrava sul punto di esplodere. Possibile che nessuno notasse il nesso gigantesco?
“Tre cadaveri non fanno un Serial Killer.” rispose la donna altezzosa.
“Quattro, giudice, ora sono quattro e quest’ultimo può definirsi solo una firma. Santo cielo gli è scappata sei mesi fa, era la nostra unica testimone ed ora è un cadavere!”
La donna fissò il medico, esasperata.
“Non ho bisogno di nuovi sensazionalismi, maresciallo. Per questo abbiamo già i giornali. Questa è la mia indagine e la manderemo avanti seguendo la procedura.”
“Sì ed i giornalisti andranno in fibrillazione, quando renderemo pubblico il nome della vittima.”
“Sta esagerando, maresciallo.” il tono della donna divenne minaccioso.
“Non poteva essere lui.” mormorò il dottore, tentando di mettere pace tra i due. “Non poteva essere nessuno, la sala comune è al terzo piano, quella finestra non affaccia su un terrazzo ma sul costone della montagna. Per poter credere che avesse visto davvero qualcuno, avrei dovuto dare per scontato che quel qualcuno sapesse anche volare.” sorrise stancamente.
“Mi creda, maresciallo, ho pensato anche io quel che dice ma sinceramente non saprei come spiegarmi una simile eventualità. Nessuno sapeva della presenza di Anna Filimonti nella nostra clinica; si figuri che l’abbiamo registrata con il cognome della madre, per non attirare l’attenzione dei curiosi. Inoltre la stanza in cui si trovava era sigillata, porta e finestra chiusi, nessuno senza il mio consenso poteva entrare.” sospirò il medico con aria grave, mentre un brivido incontrollabile gli scuoteva il corpo.
“E, stando agli accertamenti del RIS, nessuno è entrato… “ concluse il maresciallo.
“Suicidio?” tentò il Gip.
I due uomini la fissarono e sollevarono le sopracciglia.
“Decisamente no!” la dottoressa Giulia Chierico, il medico legale al quale era stato affidato il caso, marciò sicura nella sala d’aspetto e li raggiunse.
Si sfilò i guanti di lattice ed il camice anticontaminazione e li gettò a terra in un angolo, prima di sfilarsi gli occhiali dal naso e strofinare le lenti con un lembo della camicia spiegazzata.
“A meno che non troviate un modo per uccidervi recidendovi la giugulare e ripulire in seguito tutto il vostro sangue.” sentenziò.
“E’ morta dissanguata, come gli altri.” borbottò ancora e lanciò uno sguardo di sottecchi al maresciallo ma non osò incrociare quello del GIP. “Ma nella stanza, non c’è alcuna traccia di sangue, se non sul letto, qualche goccia proprio sotto a dove era posizionata.”
“E’ stata uccisa altrove?” chiese la Lorenzetti.
“Beh, tutto ci lascia supporre di no, le mani sono strette a pugno ed afferrano le lenzuola, come se in un ultimo spasimo vi si fosse aggrappata, il rigor mortis non è presente e, stando alla temperatura corporea, è morta da non più di tredici, quattordici ore. Il corpo è stato ritrovato circa dieci ore fa, quindi era appena deceduta, probabilmente nella stanza. Manca solo il sangue.” il medico legale sembrava più confusa che mai.
“Come per gli altri.” ripeté il maresciallo. La Chierico annuì.
Il giudice sbuffò ma non poté ribattere, tutto lasciava presupporre che la mano dell’assassino fosse sempre la stessa.
Non voleva correre rischi, non voleva di nuovo scatenare un polverone come quello che l’aveva vista protagonista tre anni prima, quando aveva sbandierato ai quattro venti di aver risolto un caso di concussione tra mafia nostrana e politica estera, prima di vedersi crollare il castello di carte sulla testa dopo la ritrattazione del pentito sulle testimonianze del quale aveva basato tutta l’inchiesta.
Aveva pestato troppi piedi, scatenato quasi un incidente diplomatico ed era per questo stata spedita nella cittadina più sperduta che potesse venire in mente ai suoi superiori.
Accettare immediatamente la possibilità di aver a che fare con un Serial Killer, avrebbe riacceso i riflettori su di lei, non poteva permettersi errori.
“Qualche idea su come sia stato asportato il sangue o su quale possa essere l’arma del delitto?” domandò, conoscendo bene la solita ovvia risposta.
“L’arma sembra sempre la stessa, un qualche imprecisato oggetto affilato a due punte che ha lasciato due ferite pulite e nette sulla giugulare. Niente lacerazioni, niente graffi.” rispose infatti la Chierico.
“Il solito fantomatico forchettone…” borbottò il maresciallo.
“Del sangue proprio non saprei che dire. Forse l’hanno attaccata ad un catetere ed atteso che si dissanguasse completamente. Qui sarebbe stato certamente più facile che nel bagno di un cinema, almeno avrebbero avuto i mezzi adatti a portata di mano.” la donna alzò le spalle ricordando l’assurdità della prima scena del crimine legata al caso che i giornalisti avevano ribattezzato del “Killer Vampiro“.
Quattro omicidi copia in sei mesi. Decisamente troppi per una cittadina come Dolcedo, il cui crimine più eclatante fino a poco tempo prima era stato il furto di lamiere di rame nel cantiere di una villetta in costruzione nelle vicinanze dei laghetti.
“Ammettiamo pure che effettivamente la mano dietro gli omicidi sia la stessa, - concesse infine il GIP - come ha fatto il nostro killer a trovare la Filimonti?” domandò. “La famiglia ha fatto in modo che venisse portata qua in gran segreto; del personale, solo lei, dottor De Sanctis, conosceva l’identità della ragazza o ciò che ha spinto i suoi genitori a farla ricoverare.” constatò.
“Sì, dottoressa. L’avvocato Filimonti è un mio caro amico, ho visto Anna crescere in questi anni. Sono stato estremamente discreto. Conoscevo molto bene la sua situazione ed ho fatto in modo di accoglierla nel maggior riserbo.”
“Neppure l’Arma sapeva che fosse qui. Questa è una cosa che non capisco. Avremmo potuto proteggerla, la famiglia avrebbe dovuto dirci…”
“Non esisteva posto più sicuro di questo, maresciallo.” sentenziò tristemente il dottore.
“Evidentemente esisteva eccome, dottore.” tagliò corto il militare.
“Potrebbe non essere la stessa mano.” tentò ancora Susanna Lorenzetti.
“Possibile che ancora non si sia convinta?” sbottò il carabiniere, ma la donna lo ignorò e proseguì:
“Potrebbero averla uccisa per altri motivi ed aver semplicemente copiato il metodo del nostro assassino, tutto per coprire le prove.”
Gli occhi dei tre ufficiali si spostarono immediatamente sul dottore.
Era chiaro che la dichiarazione del giudice portava ad un unico sospettato.
“Devo chiamare il mio avvocato?” domandò l’uomo teso.
“A sua discrezione, dottor De Sanctis. Si mantenga a disposizione.” mormorò la donna e si allontanò, seguita a ruota dal medico legale e dal maresciallo dei Carabinieri.
“Pensa davvero che possa essere stato lui?” chiese l’uomo, poco convinto.
“Io non penso nulla, Signini, io seguo le prove.”
Una frase probabilmente rubata a Gil Grissom, pensò il maresciallo.
“C’è qualche differenza tra questo e gli altri cadaveri? Qualcosa che possa farci pensare ad un imitatore?” domandò quindi il GIP alla Chierico.
“Per il momento non posso dirlo con certezza. Quando potrò effettuare l’autopsia, sarò più sicura, tuttavia ho notato qualcosa di strano. La lingua della Filimonti presenta delle abrasioni, riconducibili forse a morsi. Ho notato del sangue sui denti e sulle gengive. Ne ho prelevato dei campioni da mandare in laboratorio.”
“Sarà il suo sangue, una ferita del genere deve pur zampillare, magari questa volta l’assassino non ha ripulito poi tanto bene.” mormorò il maresciallo.
“Chi o cosa può averle provocato quelle abrasioni?” chiese ancora il giudice.
“Probabilmente lei stessa.” il medico legale alzò le spalle. “Secondo la cartella clinica, era ricoverata per depressione e manie ossessive di persecuzione. Simili patologie sono spesso accompagnate da lievi forme di masochismo ed autolesionismo. E’ facile che si sia morsa la lingua, forse per combattere gli attacchi di panico. Solo il suo medico può esserne sicuro. Io proverò a fare un calco delle ferite, tanto per accertarci della loro natura.”
“Ha subito violenza sessuale?” domandò ad un tratto il carabiniere.
La Lorenzetti si voltò a guardarlo stupita. Nessuna delle vittime precedenti: un uomo e due donne, aveva subito niente del genere.
L’uomo alzò le spalle.
“Se davvero è la stessa persona, doveva esserne ben ossessionato per far tanta fatica solo per trovarla. Non dimentichiamo che era lei la prima vittima designata. Forse il non averla potuta avere ha fatto scattare qualcosa nella mente dell’assassino che ha cominciato con gli altri omicidi.”
Il medico legale scosse la testa.
“Non ci sono segni superficiali che lo lascino intendere. Farò un controllo più accurato appena mi porteranno il corpo in laboratorio.”

Improvvisamente un uomo ed una donna, visibilmente scossi entrarono nella hall, accompagnati da un giovane appuntato.
L’uomo teneva un braccio attorno alle spalle della donna che si guardava attorno ad occhi sgranati, pallida come il cappotto candido che indossava.
“Maresciallo.” l’appuntato li guidò impacciato verso di loro. “Dottoressa, questi sono i signori Filimonti…”
“Io sono Susanna Lorenzetti, lasciate che vi porga le mie più sentite condoglianze.” il giudice Lorenzetti porse la mano alla signora che non rispose, scoppiò a piangere stretta tra le braccia del marito.
“Che cosa… come è potuto accadere?” l’avvocato Filimonti appariva invece infuriato. Distrutto, certo ma soprattutto furioso.
“Giorgio!” il dottor De Sanctis si avvicinò all’amico. “Mio Dio, Giorgio, non so come… cosa… mi dispiace.”
I due si strinsero la mano, il medico tentò di consolare la madre, senza successo. Il maresciallo Signini dal canto suo studiò ogni movimento, ogni espressione nel tentativo di cogliere una crepa.
In un caso di omicidio, i primi sospetti cadono sempre sui familiari.
“Dottor Filimonti, appena se la sentirà, avremmo alcune domande da porvi.” il giudice si mostrò fin troppo pacato.
“Naturalmente, dottoressa, naturalmente. Conosco la prassi.” mormorò a denti stretti l’avvocato.

Mentre il giudice interrogava il padre della vittima, il maresciallo Signini, al quale era stato domandato esplicitamente di togliersi dai piedi, passò un’ora all’interno della stanza di Anna. Il RIS aveva svolto ormai i primi rilevamenti, il cadavere era stato rimosso ed i detective avevano la possibilità di indagare più o meno liberamente.
Il maresciallo aveva presto trovato in un cassetto, nascosto sotto un pannello di cartone, un diario scritto a mano.
“Magie della vecchia guardia.” aveva mormorato, scovando il doppio fondo con un semplice colpo d’occhio. “Alla faccia dei preservativi.” aveva quindi ridacchiato tra sé.


- Non mi accorsi di lui.
Chissà da quanto tempo mi seguiva, da quanto mi aveva notata tra la folla.
Quel pomeriggio avevo camminato a lungo, da sola, con le cuffie del mio fidato ed inabbandonabile lettore mp3 nelle orecchie, avvolta in un’assordante colonna sonora urbana. Lontana da tutti e da tutto.
Figure sbiadite di altri esseri umani mi avevano sfiorata e sorpassata, indifferenti della mia indifferenza.
Così va il mondo, così funziona la società civile: anche in mezzo alla folla rimaniamo soli.
Ed io ero sola, protetta nel mio piccolo guscio malinconico.  Ero sola da una vita, non era cambiato nulla, nonostante le cure, nonostante le ore di terapia, nonostante… -

“Ore di terapia?” il maresciallo aggrottò le sopracciglia e proseguì nella lettura.

- …Nonostante Andrea. Lo amavo, almeno credo. Non c’è mai stato nulla più che qualche bacio. Non sono mai riuscita ad aprirmi davvero con lui. Avevo paura che scoprisse il mio segreto. Avevo paura che mi considerasse pazza.
Ero pazza.
Sono ancora pazza?
Ci eravamo lasciati da pochi giorni.
Mi aveva lasciata, quando, per l’ennesima volta lo avevo rifiutato, quando quasi con paura mi ero ritratta davanti alla sua insistenza.
Per questo quel giorno volevo rimanere sola, più del solito. Per questo quel giorno gli diedi, senza saperlo, un gran numero di occasioni per aggredirmi, momenti perfetti: stradine buie, vicoletti deserti.
Quanto tempo avevo aspettato da sola a quella fermata dell’autobus?
La musica mi aveva fatto compagnia. Forse mi si era avvicinato, mi aveva sfiorata persino ma non me ne ero resa conto.
Invece aveva atteso quel momento, aveva aspettato che mi trovassi nel luogo più affollato visitato quel giorno.
Al buio, separata da un paio di file dagli altri spettatori nella piccola sala del cinema Odeon.
Le luci erano spente, il film era cominciato da appena venti minuti, quando avevo sentito un fruscio muoversi alle mie spalle.
“Peccato, ti sei perso la parte più interessante.” avevo pensato tra me e me, rivolgendomi mentalmente al ritardatario sedutosi nella poltroncina esattamente dietro la mia.
Non mi domandai perché non si fosse messo altrove; con tutta la fila libera, aveva preferito mettersi dove la mia schiena gli bloccava la visuale.
Ma non era affatto interessato al film e nessuno se ne accorse.
Il mio cuore ebbe un sussulto quando con uno strattone si aggrappò allo schienale della mia poltroncina. Non emise un fiato, né un gemito.
Mi voltai di lato, appena in tempo per sentire un soffio gelido accarezzarmi la guancia.
Non urlai, non bisbigliai, una mano fredda ed incredibilmente forte mi chiuse la bocca e mi trascinò indietro con violenza, sbattei contro lo schienale e subito mi ritrovai schiacciata ed in suo pieno potere. Saltò agilmente la fila di poltrone e si ritrovò seduto al mio fianco. La sua mano sinistra non si allontanò di un millimetro dalla mia bocca, mi trascinò la testa sulla sua spalla, con la facilità con cui si trascina una bambola e con la mano destra mi artigliò la gola.
Alzai un piede, pronta a colpire le poltrone davanti, pronta a fare tutto il casino possibile ma la sua voce profonda mi raggelò:
“Non lo farei, se fossi in te.” strinse la presa sulla mia gola e mi tolse fiato e forze.
“Se anche qualcuno si accorgesse di me, farei sempre in tempo a spezzarti il collo ed andarmene.”
Non c’era rabbia nella sua voce, né violenza, lo disse come se fosse una semplice constatazione ed io non ebbi alcun dubbio che avrebbe potuto farlo, non avevo alcun dubbio che avesse la forza di fare tutto.
Sentivo i suoi muscoli tesi sotto la mia spalla, sentivo il suo corpo gelido stretto al mio. Non avevo alcun potere, ero completamente in sua balia. -

“Il diario di Anna.”
Il maresciallo sussultò e quasi lasciò cadere il diario che teneva appena tra le dita fasciate nei guanti di lattice.
“Dottor De Sanctis… Non l’ho sentita entrare…”
“Ha trovato il diario di Anna…” mormorò stranamente teso. “Credevo se ne fosse liberata.”
Per un momento fissò lo scuro quaderno al sicuro tra le mani del carabiniere.
“Era nascosto in un doppio fondo fatto in casa che a quanto pare è sfuggito ai tecnici del RIS.” rispose con noncuranza Signini, agitando il pezzo di cartone che fungeva da finto fondo, senza perdere d’occhio le espressioni del Dottore.
“C’è forse scritto qualcosa che non vorrebbe io sapessi, dottore?” tentò subito l’attacco.
Il dottore alzò le spalle, fingendosi incurante ma il maresciallo non si lasciò sfuggire l’occhiataccia che gli lanciò.
“E’ il diario di Anna. Era parte della sua terapia e non so cosa vi sia scritto. I suoi pensieri, le sue paure. Le avevo chiesto di tentare di ricostruire quanto accaduto la notte dell’aggressione, in modo tale da poterne discutere con mente razionale ma, come le ho detto, non mi ha mai permesso di leggerlo. In effetti, pensavo lo avesse distrutto.”
“A quanto pare non è andata così.” mormorò il militare, sfogliando svogliatamente il diario ma tenendo d’occhio il luminare.
“Qui, dottore, Anna parla di una terapia seguita prima dell’aggressione…” si finse non interessato, buttò la domanda fuori, come se non avesse alcuna importanza.
“La vittima era già stata in cura con lei, De Sanctis?”
Al bando le ciance!
L’uomo soppesò la risposta con un sospiro, prima di rivolgere all’interlocutore uno sguardo serio e deciso.
Signini non si lasciò intimorire, chiuse il diario con uno scatto e ticchettò con l’indice sulla copertina scura.
Un gesto eloquente per dire:
 -Quello che non vuoi dirmi, amico, posso trovarlo qui, quindi niente balle!-
“Maresciallo…” sospirò ancora.
“Come lei certamente saprà, io ho prestato un giuramento…”
“La sua paziente è morta, dottore. Dubito che riceverà lamentele.” il tono del militare sembrò nuovamente scherzoso.
“Il giuramento di Ippocrate non fa alcuna distinzione, temo… In ogni caso, non posso dirvi nulla, a meno che la famiglia non mi dia il benestare.”
“O che il giudice Lorenzetti non mi fornisca un mandato per interrogarla.”
“E‘ suo dovere, immagino.” il dottor De Sanctis uscì dalla stanza con un’alzata di spalle.

-Non mi mossi.
Qualcosa nella sua voce mi convinse a non reagire ma non era paura.
La paura è un sentimento ed io non provavo sentimenti.
Nel momento stesso in cui le sue mani gelide sfiorarono la mia pelle, ogni emozione e sensazione fluì via dal mio corpo, come il calore catturato dalle sue dita.
Ero raggelata, completamente sua.
Senza pensieri razionali, senza paura irrazionale.
Tutto ciò che la mia mente poteva ancora concepire, che poteva inviarmi come in una comunicazione a senso unico, erano le immagini terrificanti dei miei incubi di bambina, il senso di impotenza che aveva pervaso la mia adolescenza, la certezza che non sarei mai riuscita a sfuggirgli.
Sapevo che sarebbe rimasto sempre lì, appena al di fuori del mio campo visivo. Nascosto in un angolo buio, seduto al mio fianco in un bar; pronto a prendermi quando mi avesse ritenuta pronta.
In quel preciso istante compresi ciò che ora il mio strizza cervelli e mio padre tentano di dissuadermi dal credere.
Era lui!
Non era un incubo, non era mai stato una mia semplice fissazione.
Non ero pazza, lui esisteva davvero ed infine, proprio quando avevo smesso di crederci, mi aveva trovata.
Solo allora, con quella consapevolezza appena esplosa nella mia mente, avevo avuto il coraggio di alzare la testa e voltarmi per poterlo al fine fronteggiare.
Non so se intuì le mie intenzioni ma la mano che ancora mi stringeva la gola allentò la presa, le dita scivolarono lente lungo il mio collo, mentre l’altra mano mi accarezzava dolcemente la nuca e si appoggiava con naturalezza sulla mia spalla scoperta.
Posso giurare di averlo sentito trattenere il fiato, mentre inconsciamente gli poggiavo una mano sul petto e mi allontanavo abbastanza da lui per poterlo guardare in volto.
La prima cosa a catturarmi furono le sue labbra sottili, chiuse e rigide in una smorfia di attesa ed eccitazione.
La pelle del volto risaltava nell’oscurità, segnata di un pallore innaturale, brillante per certi versi.
Ed infine gli occhi.
Scuri e profondi come una notte senza stelle.
Gelidi, inespressivi, terrificanti.
Le labbra si piegarono in un sorriso che lasciò fuoriuscire i denti abbaglianti ma gli occhi continuarono a scrutarmi distaccati, curiosi e bramosi.
“Ciao, Anna.” mormorò con un sospiro che in quel momento mi risuonò incredibilmente sensuale.


“Che diavolo?”
Il maresciallo Signini quasi cadde dalla sedia per lo stupore.
Erano passati un paio di giorni dal ritrovamento del cadavere della Filimonti; il diario di Anna era rimasto a disposizione degli esperti del RIS che non vi avevano rilevato impronte interessanti, al di là di quelle della stessa vittima ed ora finalmente era tornato nelle mani del militare che poteva continuare la lettura, alla ricerca di indizi sul coinvolgimento del dottore nella morte della ragazza.
Sì, ormai si era quasi convinto che il Dottor De Sanctis dovesse saperne molto più di quanto tentava di dare a vedere.
Riscorse le ultime parole appena lette e di nuovo il suo cuore ebbe un sussulto.
“Ciao, Anna.” mormorò teso.
“La conosceva, quel bastardo la conosceva.”
Ripensò alla prima scena del crimine del Killer Vampiro.
Ripensò al volto dell’unico uomo ucciso, steso a terra in quel bagno pubblico, ed all’espressione terrorizzata dell’unica testimone, ritrovata rannicchiata in uno dei cubicoli unti.
Non aveva mai accennato al fatto di conoscere l’assassino.
Sapeva che la ragazza era stata avvicinata all’interno della sala, per essere poi trascinata in quel bagno, invisibile agli occhi di tutti.
Nessuno sapeva ancora con esattezza cosa fosse successo in seguito, le urla di un uomo avevano attirato l’attenzione e tutto ciò che i primi accorsi trovarono furono il cadavere dilaniato di un uomo di mezz’età ed una ragazzina terrorizzata ed incapace di formulare alcuna frase sensata.
Anna non aveva fornito alcuna testimonianza dell’accaduto, ancora troppo scossa, secondo lo psicologo incaricato delle sue prime cure.
Il maresciallo ebbe un nuovo sussulto, si allungò sulla scrivania ricoperta disordinatamente di carte e fascicoli riguardanti il caso, colpì una pila di fotografie che caddero a terra sparse in un macabro collage di morte ed afferrò ciò che cercava: il primo rapporto del caso.
Lo scorse in fretta alla ricerca di un unico nome familiare e, quando lo trovò, il cuore gli si fermò:
psicologo d’ufficio incaricato: De Sanctis Dott. Antonio.
Qualcosa non quadrava ed il dottore doveva senza dubbio sapere che cosa.

Dovrei continuare il diario.
Questa è la terapia, dovrei ricordare cosa è accaduto, dovrei scriverlo e farlo leggere al dottore.
Non mi ricordo. Per quanto mi sforzi non mi ricordo.
Ho chiuso gli occhi quando mi ha parlato, ho sentito le sue mani sulla mia pelle, le sue labbra sul mio volto.
Mi ha baciata.
Sì mi ha baciata.
Ma poi? Mi ha violentata?
No. Secondo i medici che mi hanno visitata, non avevo un graffio. Non un capello fuori posto, tralasciando lo stato di shock. Allora cosa mi è accaduto?
Perché mi è così difficile ricordare?
Ricordo solo di aver riaperto gli occhi, mentre quel carabiniere, sì, credo fosse un carabiniere, mi scuoteva per le spalle. Ero in quel bagno, c’era un uomo a terra. La luce era così forte, illuminava a giorno la stanza, tutti brillavano di bianco accecante; ero così confusa. Sono ancora confusa.
Il suo volto era l’unica cosa ancora chiara nella mia mente. Lo stesso volto, la stessa espressione, gli stessi occhi.


“Ancora sangue a Dolcedo. Un nuovo cadavere è stato rinvenuto questa notte nelle strade di Dolcedo, l’ormai tristemente nota cittadina del ponente ligure. Dopo il ritrovamento del corpo straziato di Anna Filimonti lo scorso lunedì mattina, nella passata nottata sono stati scoperti i resti di una donna di circa trent‘anni, nascosta tra i cassonetti dei rifiuti in un vicolo deserto nel centro cittadino.
Nuovamente la vittima non presenterebbe lesioni gravi ma sarebbe morta dissanguata.
Non è stata trovata alcuna traccia di sangue sul luogo del ritrovamento, né possibili armi del delitto, tutto ciò che possiamo dirvi per certo è che dopo l’ennesimo cadavere, tra la popolazione di Dolcedo comincia a diffondersi il panico. E’ il quinto omicidio in sei mesi, ognuno riconducibile alla stessa mano. Prendendo per plausibile l’ipotesi del Serial Killer formulata da molti rinomati esperti, la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente, dico bene, dottor Horatio?”
Il maresciallo Signini gemette disperato, quando l’immagine si spostò dal giornalista all’ennesimo psicologo sedicente esperto comportamentale. Un grassone di mezz’età con radi capelli canuti e barba incolta.
“Certamente! Il modus operandi del Killer va definendosi di ora in ora, ce lo suggerisce chiaramente anche il netto aumentare delle vittime in tempi via via più ristretti. Ricordiamo che il primo caso a nostra conoscenza risale a sei mesi fa. Per trovare una seconda vittima il serial Killer ha lasciato passare tre interi mesi; tutti e quattro gli omicidi successivi sono avvenuti invece negli altri tre mesi e, come se non bastasse, gli ultimi due in un‘unica settimana. La situazione potrebbe davvero sfuggire di mano se la polizia si ostina a non voler accettare le consulenza di un esperto di comportamenti criminali.”
“Quello che comunemente si chiama profiler?”
“Esattamente.”
“Cosa pensa invece del fatto che la penultima vittima fosse la giovane Filimonti? Abbiamo tutti conosciuto questo nome sei mesi fa, quando per la prima volta è comparso sui nostri schermi l’identikit di quello che in seguito sarebbe divenuto il Serial Killer Vampiro di Dolcedo.”
Sullo schermo comparve un identikit che la polizia aveva dovuto abbandonare quasi subito dopo l’inizio delle indagini, quando il dotto De Sanctis aveva stabilito senza dubbio che le testimonianze di Anna non potevano essere considerate attendibili, dato lo stato di shock in cui versava la giovane.
Ogni descrizione cambiava rispetto alla precedente, ogni racconto di quanto accaduto risultava in contraddizione, dopo le prime settimane il dottore era stato costretto a confermare l‘inattendibilità dell‘unica testimone dell‘omicidio ma il danno era ormai stato fatto, il primissimo identikit era stato offerto alla stampa, prima dell’arrivo del magistrato incaricato del caso, da un giovane appuntato non abituato alla ribalta dei riflettori e preso in fallo da una giornalista fin troppo zelante.
Signini bloccò la registrazione sull’identikit e si voltò a fissare il volto sconvolto del Dottor De Sanctis.
“Questo è il telegiornale di ieri, dottore. Ora immagini quello di domani.” mormorò crudelmente.
“Catturato il Serial Killer Vampiro, l’insospettabile dottor Antonio De Sanctis.” imitò grottescamente una sua versione di voce da giornalista.
“Io non sono un serial killer…” ribatté il dottore.
“Stavo per mandarla a chiamare per farle qualche domanda, dottore quando abbiamo trovato il cadavere di Andreina Presti la quale, se non sbaglio, lavorava nella sua clinica, ed era per di più il capo reparto dell’ala in cui era ospitata Anna Filimonti.” lasciò che l’affermazione aleggiasse nell’aria, per preparare il dottore all’ultimo attacco.
“Cosa aveva scoperto, per meritarsi una simile morte, dottore? Era forse entrata nella stanza di Anna nel momento sbagliato?”
“Lei non sa di cosa sta parlando, maresciallo. Io non ho ucciso Andreina.” gli occhi del dottore non si spostavano dalle sue mani, strette tra loro spasmodicamente.
Non ci era voluto molto per scoprire il nome della vittima del quinto omicidio, le sue impronte digitali erano catalogate nell’archivio della polizia. La Presti era infatti schedata: condannata, non più di quattro anni prima, per truffa ai danni di una coppia di disabili nel bresciano; scontata la sua pena, si era trasferita a Dolcedo dove aveva ottenuto il posto da infermiera nella clinica Santa Rosa.
Infine le fibre ritrovate sul cadavere avevano provato alla polizia che i suoi resti erano stati trasportati fino al centro di Dolcedo sulla monovolume del dottor De Sanctis e, quando quella stessa mattina i militari si erano presentati nella sua abitazione per fare chiarezza, lo avevano colto in flagrante, mentre cercava di far sparire del materiale medico sporco di sangue. Solo di lì a qualche giorno i tecnici del laboratorio del RIS avrebbero potuto stabilirne con chiarezza la provenienza e se appartenesse ad una delle vittime del Killer, tuttavia si era preferito agire subito e mettere agli arresti il dottore in custodia cautelativa, prima di rischiare una sua fuga.
“Si può dire davvero che l’abbiamo pescato con le mani nella marmellata, dottore.”
“Non ho ucciso Andreina Presti, maresciallo, e non ho idea di come quella roba sia finita a casa mia, cercavo solo di...” il tono del luminare non lasciava trapelare emozioni, tuttavia non smetteva un istante di torturarsi le mani.
“Mi ascolti, Dottor De Sanctis, tra pochi minuti arriverà il magistrato ed a quel punto per lei cominceranno i veri problemi. L’arresto verrà convalidato ufficialmente e nessuno potrà più aiutarla.
La signorina Lorenzetti diventerà famosa, dottore, sbatterà il suo nome in prima pagina, recupererà prestigio, rovinando la sua reputazione, trasformandola in un mostro senza cuore. Dottore, i giornali non sanno ancora nulla di questo semplice arresto preventivo ma è solo questione di tempo. Confessi, Antonio e le prometto che tutto sarà indolore. I giornalisti saranno coinvolti il meno possibile…”
Con un sospiro profondo la maschera di apparente freddezza del dottore crollò sotto gli occhi del maresciallo Signini.
“Non ho ucciso io Andreina.” ripeté, prendendosi il volto tra le mani; il carabiniere lo fissò stupito. Le sue spalle sussultavano, stava piangendo, nascosto dietro le lunghe dita pallide?
“E allora chi è stato, dottore? Mi aiuti ed io aiuterò lei.” Signini decise di prendere la strada dell’accondiscendenza.
L’anziano luminare inspirò profondamente e tornò a puntare gli occhi lucidi verso il suo interlocutore.
“Non mi crederebbe mai, maresciallo. Nessuno lo farebbe.” gemette disperato.
“Ci provi, dottore. Non ha idea di quante cose abbia accettato nella mia vita.” la sua voce non era più di un sussurro, si era avvicinato al sospettato, sporgendosi sul tavolo come a fargli credere che nessuno avrebbe ascoltato quella discussione. In realtà sapeva che i sensibili microfoni ambientali avrebbero colto e registrato ogni minimo sospiro.
Aveva avuto il fegato di scavalcare il GIP e cominciare l’interrogatorio prima del suo arrivo ma non poteva certo permettersi di lasciar sparire nell’etere le parole del probabile assassino.
De Sanctis sgranò lievemente gli occhi, incerto se credere o meno al carabiniere ma, preso da chissà quale pensiero, cedette, le spalle crollarono sotto il peso di un segreto inconfessabile, le lacrime sgorgarono e scivolarono lungo le sue guance scarne.
“Il diario, le sedute, quell’uomo…” puntò il dito verso lo schermo della televisione, dove ancora spiccava in pausa il primo identikit.
Senza rendersene conto il maresciallo si voltò ed un brivido gli percorse la schiena, quando incrociò gli occhi gelidi di un uomo inesistente. Pur trattandosi di un semplice ritratto, riusciva ad essere spaventoso solo per l’espressione, per gli occhi incavati, i capelli lunghi e lisci che circondavano il volto magro e scarno, messo in risalto dalla cortissima barba incolta.
“Ho sempre pensato che non esistesse, che fosse solo frutto della fantasia di Anna. Come avrei potuto pensare altrimenti? In tanti anni non è mai cambiato, capisce? Quando sei  mesi fa Anna ha descritto il suo aggressore, ho pensato che fosse solo l’ennesima ricaduta nella stessa mania di persecuzione, provocata naturalmente dallo shock ma mi sono sbagliato. Ho tentato di aiutarla ma era troppo tardi, mio Dio, era troppo tardi ed Andreina ha subito le conseguenze peggiori della mia cecità.”
 “Dottore, non credo di seguirla. Vediamo di cominciare dall’inizio.” Signini interruppe il flusso di parole insensate per fissare intensamente il principale sospettato.
“Quest’uomo.” indicò ancora lo schermo del piccolo televisore alle sue spalle.
“Chi è? Da dove esce? Perché era così convinto che non esistesse, dottor De Sanctis?”
L’uomo annuì ed inspirò profondamente.
“Anna fin da piccola ha sempre sofferto di una grave forma di ossessione, maresciallo. L’avvocato Filimonti voleva che la notizia rimanesse segreta, non poteva permettersi una figlia pazza, così diceva e come dargli torto? Non per questo non l’amava, ha sempre voluto il meglio per lei. Quando aveva dodici anni l’abbiamo portata negli Stati Uniti per mostrare il suo caso ad un esperto e poco per volta è riuscita persino a riprendere il controllo sulla sua vita.”
“Aspetti, dottore, non mi ha detto niente di quest’ossessione. In cosa consisteva?” domandò il carabiniere.
“Manie di persecuzione, ne abbiamo già discusso, maresciallo. Anna era convinta di essere sempre seguita da un uomo spaventoso, un mostro diceva lei.
La prima volta capitò quando aveva appena sette anni: sparì sotto gli occhi della madre, nel parco giochi giù in paese. Quando la ritrovarono, molte ore dopo, era rannicchiata tra gli scogli in riva al mare, senza un graffio ma terrorizzata e confusa. Appena si riprese, raccontò di un uomo gentile che le aveva offerto dei dolci e l’aveva accompagnata in spiaggia a raccogliere pietre colorate e di un altro uomo, il mostro, comparso dal nulla, alle spalle del signore gentile, che lo morse alla gola e lo lanciò nelle acque del mare. Pensarono tutti al maniaco, ad una visione infantile e distorta di una realtà ben più terribile ma non trovarono alcun segno di violenza sulla bambina, né prove che questi due signori potessero effettivamente esistere e naturalmente tutto venne presto dimenticato da tutti ma non da Anna.
Si svegliava di notte in preda al panico, convinta che il mostro si fosse nascosto nell’armadio, certa di averlo visto volare dietro la finestra. Crescendo le cose non cambiarono, era sempre convinta di vederlo ovunque si voltasse: a scuola, per strada, persino seduto vicino a lei sull’autobus.
La presi in cura che aveva dieci anni e dovemmo lavorare molto per farle superare la paura di allontanarsi anche solo di pochi metri dai suoi genitori. A quindici anni limitai le nostre sedute ad un paio di incontri mensili, giusto per accertarmi delle sue condizioni periodicamente ma credevo che fosse riuscita a superare la psicosi. Prendeva ancora i farmaci ma riusciva a controllare gli attacchi con grande maestria. Negli anni seguenti ha conseguito una laurea in storia dell’arte, aveva appena concluso uno stage a Firenze, era pronta per partire per l’estero. Controllava la sua vita e tutto sembrava a posto.”
“Fino a che non è stata aggredita.” mormorò il maresciallo che non riusciva ad ignorare l’idea del mostro comparso dal nulla per mordere l’uomo gentile e lanciarlo in mare. Strana coincidenza pensava tra sé e sé.
“E mi faccia indovinare: il mostro è lui.” indicò ancora lo schermo.
Il dottore non dovette neppure seguire l’indicazione, annuì con un profondo sospiro.
“Quell’identikit è la copia esatta di quello fornitoci da Anna venti anni fa; non una ruga in più, non un capello in meno. Tale e quale. Capisce perché non ho potuto accettarlo?”
“Sì, dottore, perfettamente ma quello che non capisco è perché possa invece accettarlo adesso. E’ una follia.”
Ancora l’immagine di denti aguzzi che penetrano in una gola, come un coltello caldo nel burro, gli si affacciò alla mente.
“Sì, è una follia, ma lei non ha visto ciò che è accaduto ad Andreina, maresciallo.”
“Chi ha ucciso Andreina Presti?”  chiese quindi il militare, incerto su quale risposta avrebbe ottenuto.
“Anna…” mormorò il medico, senza guardarlo.
“Mi scusi?” il maresciallo rischiò di scivolare giù dalla sedia per lo stupore.
“Anna ha ucciso Andreina…” borbottò ancora il medico, in un sussurro.
“E’ una specie di scherzo?” anche il carabiniere ora sussurrava, senza rendersene conto.
“E’ stata colpa mia. Mi ero reso conto che qualcosa stava cambiando in lei. Riusciva ad uscire dalla stanza, non importava quanti sedativi le davamo, riusciva sempre ad uscire. Due volte è sparita dalla clinica, per ricomparire il giorno dopo, spossata, sporca e confusa ed in entrambi i casi è stato ritrovato un corpo a Dolcedo; capisce, maresciallo? E quella notte… Quella notte ho tentato di ipnotizzarla. Contro il volere del padre. Lui voleva nascondere tutto, non credeva alle mie paure ma non potevo lasciar stare, dovevo capire, dovevo… Andreina mi ha assistito, sedeva vicino ad Anna, pronta a sedarla nel caso il ricordo fosse diventato troppo difficile da gestire. Volevo farle rivivere la notte dell’aggressione, capire cosa non ci raccontava, cosa nascondeva in quel vuoto di memoria. Non mi aspettavo nulla del genere, non avrei mai potuto immaginare, nessuno avrebbe potuto.”
Signini fissò in silenzio il dottore, mentre con la mente tornava alle parole che Anna aveva scritto nelle ultime pagine del suo diario.

Non ricordo. Continuo a non ricordare.
E’ frustrante, chissà cosa è accaduto realmente.
Il dottore vuole scoprirlo, vuole ipnotizzarmi, vuole farmi ricordare.
Ho paura.
Se mi imbrogliasse? Se mi costringesse a raccontargli tutto?
Non voglio raccontargli i miei sogni.
Non mi crederebbero solo pazza, sarei un mostro ai loro occhi.
Lo ho sognato ancora questa notte.
Entrava nella mia stanza, come faceva quando ero bambina.
C’era nebbia fuori dalla finestra, avevo freddo; un freddo che si spandeva dall’interno del mio corpo, gelido ed agghiacciante mi attanagliava il cuore e le viscere e d’improvviso lui era lì, davanti alle sbarre della finestra, immobile come una statua. Mi guardava con un mezzo sorriso sulle labbra, mi si avvicinava, mi accarezzava ed entrava nel mio letto.
Lo lasciavo fare, perché avevo una consapevolezza che mi aveva accompagnata sempre, dalla mia più tenera infanzia. Ero sua, soltanto sua.
E’ il mio peggior incubo. L’uomo nero nascosto nel mio armadio. L’abisso annidato nella mia coscienza.
Ed ho sognato di fare l’amore con lui.

“Ha ricordato?” domandò il maresciallo, tornando al presente.
Il dottore sospirò ed annuì, mentre un brivido gli percorreva il corpo; si strinse le mani nel tentativo di fermarne il tremito.
“Sì, ha ricordato.”
Il carabiniere aggrottò le sopracciglia mentre il dottore sospirava ancora. “Ed Andreina Presti è morta.”
“Come? Cosa ha ricordato Anna?”
Signini non credeva alla versione del dottor De Sanctis; come poteva quella povera ragazza essere passata da vittima ad assassina? Era senza dubbio l’ultima possibilità di un uomo malato di tirarsi fuori dai guai, accusando chi non poteva più difendersi, tuttavia non riuscì a placare la curiosità, fissò l’uomo attento, in attesa della storia più assurda che avesse mai sentito.
“Sotto ipnosi ha ricostruito vagamente parte dell’accaduto. Ha ricordato quell’uomo - accennò ancora allo schermo - che la portava fuori dalla sala, ha ricordato il primo uomo ucciso che entrava nel bagno nel momento in cui l’assassino la stava baciando, questo stando a quanto diceva Anna, credo abbia fatto molto di più in realtà.”
“Crede che l’abbia violentata? Non aveva alcun segno in questo senso, stando ai referti di sei mesi fa.” ricordò il militare.
“Aveva delle abrasioni sulla lingua… Ad ogni modo non mi riferivo a violenze di tipo sessuale.”
Signini sussultò.
“Abrasioni sulla lingua…” afferrò il vecchio fascicolo, senza più prestare attenzione al medico.
Era vero, come poteva essergli sfuggito un simile particolare?
Anche dopo la prima aggressione, l’unico segno che era rimasto sul corpo di Anna erano le profonde ferite sulla lingua, dovute probabilmente ad un morso dato dall’assassino nel tentativo di violenza sulla giovane, prima che venisse interrotto dal povero malcapitato che forse aveva solo tentato di aiutarla.
“Abbiamo trovato nuovamente gli stessi segni sul cadavere di Anna; in sei mesi quelle ferite erano certamente guarite, come può essersele procurate nuovamente?” mormorò la domanda più rivolto a se stesso, ricordandosi mentalmente di dover andare a cercare il medico legale che ancora non si era fatto sentire da quando aveva avuto a disposizione il cadavere della Filimonti.
“E’ tornato da lei… Ce lo ha rivelato la stessa Anna, era convinta si trattassero di sogni ma non lo erano. L’ho interrogata sotto ipnosi anche quella notte, sembrava procedesse tutto bene ma all’improvviso è cambiata. I suoi occhi si sono aperti, lucidi, svegli, inumani. Non so cosa sia successo.
Stava ricordando la prima vittima, il suo sguardo terrorizzato, il sapore caldo… Così ha detto prima di cambiare: “quel sapore caldo sulla lingua”. Non sapevo cosa volesse dire ma lo ho capito nell’istante successivo. Si è avventata su Andreina, era la più vicina, mio Dio.” l’uomo si afferrò ancora il volto e tacque.
“Cosa è accaduto dopo?” lo incalzò Signini.
“Lui l’ha fermata, ma per Andreina era troppo tardi.”
“Lui?” il maresciallo si sporse sulla sedia.
“Quell’uomo…” indicò lo schermo. “Era lì, era sempre stato lì. Sono scappato, non so cosa… Poi ieri sera, quella telefonata, sono dovuto andare là ed ho visto… Dio, li ho visti… sono scappato ancora. Non potevo restare, era tutto così assurdo, una follia. Ero convinto di essere davvero impazzito ma arrivato a casa ho trovato tutto quel sangue, capisce maresciallo? Io non ho potuto fare altrimenti, io…”
L’uomo non terminò la frase, in quel momento la porta della saletta si spalancò ed i due uomini sussultarono incrociando gli occhi del GIP che si affacciò nella stanza solo per rivolgersi al maresciallo.
“Abbiamo un problema.” mormorò tesa.
“Conosco la procedura, dottoressa ma lei era in ritardo. E‘ arrivato anche l‘avvocato difensore?” Signini si alzò, rassegnato. Certamente quest’ultimo, non appena avesse sentito la versione del suo cliente, avrebbe invocato l’infermità mentale.
Come dargli torto?
“No.” rispose il giudice, stranamente pallida. “Hanno chiamato dall’obitorio…” mormorò ed aggiunse: “Si muova, maresciallo.” chiuse la porta e sparì.

Il viaggio in macchina fu breve, l’obitorio si trovava a pochi isolati dalla caserma, tuttavia la cappa di silenzio regnò sovrana e, quando il maresciallo chiese informazioni, l’appuntato che guidava al suo fianco alzò le spalle incerto.
La Lorenzetti era partita immediatamente, senza neppure attenderlo.
Con un senso di inquietudine il maresciallo Signini scese dall’auto che si fermò esattamente davanti all’ingresso dell‘edificio, dove un altro paio di volanti facevano da blocco e quattro colleghi in uniforme deviavano il traffico di automobili e passanti.
Attraversò silenzioso i corridoi nei quali aleggiava l’inconfondibile odore di formaldeide e candeggina; incontrò molti colleghi, tecnici del Ris, medici in camice bianco, tutti diversi tra loro per portamento ed aspetto ma sul volto di ognuno era impressa la stessa terribile verità: qualunque cosa fosse accaduta, era toccata ad un collega.
Conosceva molto bene quell’espressione. Persino lui l’aveva avuta stampata sul volto fin troppe volte, prima di essere trasferito nel piccolo comune di Dolcedo.
 Quando raggiunse la cripta, così veniva chiamato il punto nevralgico dell’obitorio, luogo in cui venivano conservati i corpi, trovò la Lorenzetti che parlava concitatamente con un tecnico del RIS che le porgeva un oggetto chiuso in un sacchetto di plastica.
La donna si voltò verso di lui.
“Chi?” domandò semplicemente il militare.
“Giulia Chierico. Il medico legale.” la voce della donna risuonò fredda ed atona.
Il maresciallo Signini fissò il giudice in silenzio, mentre un nodo gli si stringeva in gola.
“Come è successo?” domandò, mentre nella sua mente risuonava solo un’affermazione banale: troppo giovane.
“Non lo sappiamo. Qualcuno deve essersi introdotto nella cripta ieri notte, i tecnici stanno setacciando l’intero edificio e controllando le registrazioni delle telecamere di sicurezza. Nessuno può essere entrato ed uscito senza lasciare segno.” mormorò ancora il giudice, congedando con un cenno del capo l’agente della scientifica ed allontanandosi con il maresciallo.
“E’ lo stesso? E’ sempre lui, vero?” la rabbia cominciò a prendere il sopravvento sul dolore.
“E’ morta allo stesso modo, pare.” Susanna Lorenzetti indossò un guanto di lattice e con cura aprì il sacchetto che le aveva passato il tecnico: conteneva un micro registratore a cassetta.
Con molta attenzione, evitando di toccare le tracce di sangue sui tasti, premette “PLAY“; la minuscola cassa diede in risposta una scarica di sabbia.
Il carabiniere la fissò con aria interrogativa.
“Stava cominciando l’autopsia sulla Filimonti e, come d’abitudine, utilizzava un registratore per annotare ogni passo a voce e compilare il rapporto in seguito. Questo è stato rinvenuto accanto al corpo.” agitò l’oggetto e premette il tasto di riavvolgimento, quando riavviò, la voce di Giulia risuonò chiara nell’aria.
“Giulia Chierico, medico legale, ventiquattro ottobre duemilanove, ore ventitre e ventuno. Caso diciotto zero zero nove, vittima Anna Filimonti, età ventotto anni, riferimento fascicolo tre cinque sette otto. Mi accingo a praticare l’incisione a ipsilon…”
Un rumore indefinito interruppe la voce della donna. Il maresciallo ed il giudice si fissarono con aria interrogativa.
“Lei chi diavolo è? Come ha fatto ad entrare? Oh mio Dio… Non può essere… Anna… Lasciatemi! No!”
Un urlo straziante chiuse la registrazione.
La Lorenzetti fissò per un lungo momento il maresciallo, senza fiato.
“Qualcuno è entrato nella cripta. Qualcuno che non ne aveva il permesso…” mormorò l’uomo. L’ennesima banalità ma almeno ruppe il silenzio insostenibile.
“Qualcuno che deve per forza essere stato ripreso dalle telecamere di sicurezza.” annuì il giudice indicando la piccola telecamera a circuito chiuso che inquadrava la porta d’ingresso.
“Sì.” il militare non apparve affatto convinto.
Nessuna telecamera aveva ripreso l’aggressore di Anna sei mesi prima, perché le cose avrebbero dovuto essere diverse ora?
“Abbiamo l’ora della morte: ventitre e ventuno. Ci basterà condurre un controllo incrociato con le registrazioni di sicurezza. Deve per forza essere passato da qui. Non ci sono finestre nella cripta ed un corpo non può semplicemente sparire. Un uomo che trascina in spalla un cadavere salta all’occhio.”
Il respiro della donna si era fatto irregolare, parlava ora a macchinetta, spostando il peso da un piede all’altro, con lo sguardo fisso sulle fessure del pavimento lucido.
“Cadavere?” il maresciallo sussultò. “Non è stato trovato il cadavere di Giulia?” un irrazionale moto di speranza lo sorprese irruento.
“Sì, il suo sì.” mormorò ancora il giudice. “E’ morta dissanguata… come gli altri… Aveva ragione, maresciallo. Abbiamo a che fare con un omicida seriale.” un tremito la scosse da capo a piedi.
“Non capisco, giudice, allora di che cadavere parla?”
“E’ scomparso il cadavere di Anna Filimonti. Quel maledetto animale deve essere anche necrofilo…”
“Il cadavere di Anna?”
“Esatto. Cosa è riuscito a sapere dal Dottore?” domandò quindi la donna.
Il maresciallo le rivolse uno sguardo vuoto.
“Scusi?” la sua mente già viaggiava lontana.
“Il dottore, maresciallo, lo ha interrogato senza il mio consenso, se non sbaglio. Le ha confessato qualcosa? Dobbiamo verificare il suo alibi per ieri sera, sempre che ne abbia uno.”
“Pensa sia stato lui?” chiese stupito.
“Chi altri? Forse voleva cancellare prove inconfutabili presenti sul cadavere della Filimonti e temeva che la Chierico avesse già scoperto la verità. Che cosa le ha detto?”
“Solo frasi sconclusionate…” mormorò il carabiniere. “E’ tutto registrato ma pensa davvero che…”
Non terminò la domanda, all’improvviso una consapevolezza si affacciò alla sua mente, irrazionale e spaventosa come un incubo incontrollabile.
Doveva essere un pazzo per dar credito alle parole del dottore ma non riuscì ad ignorare quella frase.
“E’ tornato da lei…”
Possibile?
Senza più indugi, afferrò a mani nude il registratore, strappandolo dalle dita della donna che non ebbe il tempo di ribattere, mandò indietro la registrazione e la fece ancora partire.
“Oh mio Dio… Non può essere… Anna… Lasciatemi! No!” ancora quell’urlo straziante.
“Maresciallo, che cosa…?”
La zittì con un gesto brusco e riascoltò un altro paio di volte.
“Non è possibile!” ricacciò il registratore nelle mani del giudice, si voltò e, senza emettere un suono uscì di corsa dall’obitorio.

In qualche  modo riuscì ad impadronirsi di una delle macchine di ordinanza, non diede spiegazioni, non domandò scusa all’appuntato che spinse a terra per intrufolarsi nell’abitacolo al posto di guida. Attivò lampeggianti e sirene e si lanciò al massimo della velocità consentita dalle tortuose stradine diretto verso la caserma.
Doveva parlare ancora con il dottore. Doveva capire.
Era solo follia, non poteva essere altrimenti.
… Non può essere… Anna…
No!

Sussultò quando il cellulare nella sua tasca prese a suonare fastidiosamente, lo afferrò e rispose, mantenendo una mano sul volante.
“Signini.” mormorò automaticamente.
“Maresciallo, che diavolo le è preso?” la voce isterica del Gip non lo colse affatto di sorpresa.
“Non ho tempo per le spiegazioni ora, dottoressa, mi scusi.” tentò di tagliare la conversazione sul nascere, pur con il cuore in gola stava rincorrendo una follia, come avrebbe potuto spiegare?
“Non metta giù, maresciallo. Qualunque cosa abbia intuito, penso abbia ragione.” sembrava costarle molto ammetterlo, Signini sussultò. Davvero aveva capito a cosa stava pensando?
Gli dava persino ragione?
“Le registrazioni di sicurezza sono state cancellate, maresciallo, le telecamere a circuito chiuso sono state messe fuori uso ma per nostra fortuna il Dottore non è stato molto preciso, non si è accorto della telecamera nel parcheggio.” continuò la donna, ignorando lo stupore del militare.
“Cosa vuol dire?” domandò ancora questi, sempre più confuso.
“Era qua, ieri notte è stato all’obitorio, ha ucciso Giulia e trafugato il cadavere della Filimonti. Abbiamo le prove, è lui il nostro serial killer. Firmerò immediatamente un mandato per far rivoltare da cima a fondo l‘abitazione del Dottor De Sanctis, dobbiamo farlo confessare e…”
Signini interruppe la comunicazione.
Possibile?
Era stato lui? Si era lasciato imbrogliare?
Le sue supposizioni non portavano a questa facile conclusione. Certo era la più ovvia, la più probabile eppure le parole di Anna sul diario, la confessione in lacrime di un uomo distrutto e la voce terrorizzata di Giulia che non riusciva a cancellare e continuava a risuonargli nella mente come un campanello d’allarme, un terribile presentimento.

Oh mio Dio… Non può essere… Anna… Lasciatemi! No!

Con una brusca frenata fece stridere le gomme davanti alla caserma.
Non si preoccupò di attendere che gli aprissero il cancello, abbandonò l’auto e corse a perdifiato verso l’ingresso principale.
Colpì una signora che cadde a terra con un gemito.
Si voltò, incerto se aiutarla ma gli si raggelò il sangue, un colpo secco risuonò nell’aria.
Il silenzio che ne seguì fu irreale. I carabinieri in divisa fermi davanti all’ingresso si guardarono con occhi sgranati, immobili e d’improvviso posarono le mani sulle fondine e corsero all’interno, pronti a tutto.
Nello stesso momento le urla esplosero. Tutti i presenti per la strada, militari e civili, avevano capito: era stato un colpo di pistola.
Il maresciallo Signini abbandonò la signora ancora seduta a terra e corse verso l’ingresso. Saltò i primi tre scalini, fin troppo agilmente per la sua età e si fermò nuovamente.
Un uomo con lunghi capelli neri, stava uscendo dalla caserma, si fermò a sua volta a fissarlo e gli sorrise gelidamente.
Il maresciallo si lasciò superare, non fiatò neppure quando lo sconosciuto gli fu a fianco, non tentò di fermarlo, si voltò solo quando questi aveva già raggiunto il marciapiede opposto.
Era lui!
Era l’uomo del primo identikit.
Lo stesso descritto da Anna vent’anni prima.
Era lui, era il mostro di Anna!
L’uomo raggiunse un’auto parcheggiata in doppia fila dall’altra parte della strada. Una figura femminile lo attendeva, accanto alla portiera del lato passeggero.
Si scambiarono un breve bacio sulle labbra, poi l’uomo girò attorno all’auto e salì alla guida.
La ragazza attese pochi interminabili istanti, rivolse un sorriso divertito al maresciallo che ad occhi sgranati mormorò:
 “Anna?” 
Il fiato gli uscì dalle labbra in un sibilo.
L’auto avviò il motore e partì portandosi via i due passeggeri.
“Il dottor De Sanctis! Il dottor De Sanctis si è suicidato!” un appuntato scosse le spalle del maresciallo, mentre in lontananza si sentivano già le sirene delle ambulanze.
Sarebbero arrivati tardi.

(FINE)

  
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