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Autore: LittleMissMaddy    12/05/2015    1 recensioni
Nelle foto sembravano due bambini adorabili: erano biondi, avevano occhi azzurri identici e due facce minute e intrise di una bellezza aristocratica che avrebbero potuto far stringere anche il cuore più duro. Ogni piccolo dettaglio urlava “adottateci”, e bastavano quelle foto ad attirare frotte di genitori senza figli alle porte di Drezna, la città dove l’orfanotrofio di Mama Vasya spacciava bambini in tutta Europa. Nelle foto sembravano due bambini adorabili e normali.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PersonaggiAleksei appartiene alla penna di Fuuma, mentre sua sorella gemella, Kyra, è stata partorita dalla mia fantasia malata. Sono due personaggi inventati di sana pianta ed ispirati agli X-Men e agli Avengers, caratterizzati da poteri che li accompagnano dalla nascita (perciò sono considerati dei mutanti).
Dedica • Come al solito la dedico a Fuuma, che anche dopo cent'anni riesce a farmi venire voglia di scrivere e di inventare storie e personaggi nuovi. Potremmo perfino definirla come la mia musa ispiratrice, ormai.


Nelle foto sembravano due bambini adorabili: erano biondi, avevano occhi azzurri identici e due facce minute e intrise di una bellezza aristocratica che avrebbero potuto far stringere anche il cuore più duro. Ogni piccolo dettaglio urlava “adottateci”, e bastavano quelle foto ad attirare frotte di genitori senza figli alle porte di Drezna, la città dove l’orfanotrofio di Mama Vasya spacciava bambini in tutta Europa. Nelle foto sembravano due bambini adorabili e normali. Aleksei non era un mostro dotato di zanne ed artigli e Kyra non era una strega capace di manipolare la mente degli altri. Il mostro e la strega erano usciti cinque volte con la speranza di trovare il loro posto nel mondo e cinque volte erano stati restituiti all’istituto come un pacco ingombrante di un qualche elettrodomestico malfunzionante. Ogni volta era stata peggiore della precedente.

La prima volta mamma e papà li avevano avvertiti di non avvicinarsi troppo al cane ma Aleksei non ne aveva mai visto uno: la mattina successiva mama aveva trovato le budella del cane sul portico. Le macchie di rosso erano semplicemente troppo e Praga li aveva salutati qualche giorno dopo, quando le telefonate concitate erano concluse ed i loro biglietti per tornare a Drezna erano già prenotati.

La seconda volta mamma e papà si erano lasciati poco più di un mese dopo il loro arrivo in Inghilterra. Erano seduti tutti e quattro a fare colazione, e Kyra aveva guardato prima lei e poi lui. “Papa” aveva sbiascicato con la bocca piena di latte e cereali, sforzandosi di farsi capire e di limitare all’osso il suo forte accento russo, “chi è la donna sulla tua scrivania?”, una domanda così semplice che aveva scatenato un putiferio. Mama non li portò a vedere la torre di Londra come aveva promesso al loro arrivo in città, e non videro mai i grossi corvi neri di cui parlavano i libri.

La terza volta mamma e papà avevano cercato di inserirli in un contesto famigliare più ampio: non c’erano cani per Aleksei, ma c’erano altri bambini. Cugini, tanti cugini. Tutti bellissimi, italiani, con i capelli neri e la pelle olivastra e l’aria felice. Aleksei e Kyra non avevano neanche avuto il tempo di imparare l’italiano che erano già stati invitati alla festa di compleanno di uno dei loro adorabili cuginetti. Erano l’attrazione principale, il nuovo giocattolo degli adulti, l’invidia di tutti quei bambini che non avevano conosciuto altro che ricchezza e felicità. Lontano dagli occhi degli adulti, dietro il capanno della piscina, tre ragazzini avevano circondato Aleksei per spaventarlo, e prima che i suoi artigli potessero riemergere e sbrindellare le loro facce paffute, Kyra si era intrufolata nei loro pensieri ed aveva visto l’odio, l’invidia e la cattiveria. Erano tornati in lacrime dalle loro mamme. Dopo tre mesi di incubi, di paranoie e di un male invisibile indotto dai sussurri di Kyra, che appariva nei loro sogni e li tormentava come il fantasma del Natale passato, Aleksei e sua sorella erano stati rispediti all’orfanotrofio.

La quarta volta mamma e papà se n’erano fregati di loro. Li avevano portati a Kiev, dove avevano altri bambini per cui lo stato dell’Ucraina pagava forti sussidi. Sistemati in una stanza con altri sei ragazzini, li avevano praticamente lasciati a loro stessi. Era passato un anno dal loro arrivo quando mama smise di prendere i suoi antidepressivi e ricominciò a bere. Un giorno la trovarono nella vasca da bagno, chiusa a chiave e completamente dissanguata nell’acqua calda che continuava a scorrere implacabile. Papa cercò di tenersi la sua fonte di ricchezza, ma lo stato si oppose ed i bambini tornarono alle loro tane.

La quinta volta mamma e papà cercarono di fare le cose per bene. Lei lavorava molto, lui era un brav’uomo. I mesi scorrevano in una sorta di normalità mai provata prima di allora: due anni insieme, tra alti e bassi, come una normale famiglia... e poi le sue mani grandi si erano chiuse sul corpo minuto e gracile di Kyra, che aveva solo otto anni, nel buio della sua stanza. Aveva smesso di mangiare e piangeva sempre, si rifiutava di giocare con gli altri bambini e spesso anche di andare a scuola. Quando la verità colpì suo fratello come un mattone caduto dal cielo, la sua rabbia esplose e colpì ancora più forte: le artigliate di Aleksei si fermarono solo quando Kyra glielo impose usando tutta la sua energia, implorandolo di smettere. Papa non morì dissanguato per miracolo. Aleksei la prese per mano e la portò in stazione, convinto di poterla portare da Parigi a Drezna a bordo di un treno, senza un soldo in tasca. Dopo l’intervento della polizia, il loro rientro in patria fu semplice. Un sollievo, quasi.

«Non abbiamo bisogno di una famiglia, Kyra.» glielo aveva sussurrato la notte prima dell’ultimo addio all’orfanotrofio di Mama Vasya, dopo essersi infilato nel suo letto, stringendola per fermare il lieve tremore delle sue spalle nervose. «Noi siamo una cosa sola, per sempre.» le aveva promesso soffiandole un bacio tra i capelli. Il giorno dopo partirono per gli Stati Uniti. Nessuna mamma e nessun papà ad accompagnarli. Solo Elizabeth e Robert, i loro due - nuovi - genitori adottivi.
  
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