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Autore: giraffetta    13/05/2015    2 recensioni
|| Peeta!centric // Missing Moment Mockingjay ||
All'improvviso, la stanza si riempì con voci assordanti.
“Di che colore è la paura? Di che colore è la paura, Peeta?” sibilavano maligne, entrandogli nelle orecchie e torturandogli il cervello.
Peeta contrasse i muscoli doloranti, mentre decine di punture gli bucavano la pelle, la carne, e iniettavano dentro di lui veleno corrosivo, acido, tossico.
Sentì il sangue andare a fuoco e la vista divenne confusa, mentre un tremito incontrollato s’impossessava delle sue membra e lui perdeva lentamente conoscenza, circondato da un unico sibilo devastante.
“Di che colore è la paura, Peeta?”
“È nera, nera come la morte e il dolore e la tortura!” gridò.
...
“Di che colore è la paura? Di che colore è la paura, Peeta?”
“È nera, nera come l’odio che provo per Katniss Everdeen. Essa va distrutta, annientata, e sarò io a farlo.” recitò Peeta in maniera meccanica, come una poesia.
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è stata scritta per l’iniziativa “Ready, Set, Prompt!” indetta dal gruppo Facebook The Capitol”. Il prompt è "Di che colore è la paura?"




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Giorno 11esimo
 
Un ragazzo esile ed emaciato era steso su un lettino al centro della stanza bianca, immobile. Robuste cinghie di cuoio gli imprigionavano i polsi e le caviglie, segnando la pelle con striature rossastre e imprimendo segni affilati nella carne.
La stanza era buia, eccetto che per un faro di luce puntato proprio su quel lettino, a illuminare il volto sporco e graffiato di Peeta Mellark.
Il ragazzo aveva un labbro spaccato, un occhio completamente nero e un profondo taglio sulla guancia destra, da cui stillavano ancora piccole gocce di sangue vermiglio, ma era sveglio. Continuava a roteare gli occhi da una parte all’altra, provando a resistere alla luce accecante che sembrava perforargli le pupille, e contemporaneamente, scuoteva le cinghie nella speranza che esse si sciogliessero e lo lasciassero libero.
All’improvviso, mentre lottava contro i legacci, la stanza si riempì con voci assordanti, sempre più insistenti, provenienti da chissà quale luogo.
“Di che colore è la paura? Di che colore è la paura, Peeta?” sibilavano maligne, entrandogli nelle orecchie e torturandogli il cervello. Peeta si dimenò come un ossesso, ignorando le fitte di dolore alle costole incrinate, e digrignando i denti.
“È nera, nera come la morte e il dolore e la tortura!” gridò, provando a coprire il sibilo fastidioso di quelle voci. Ma esse erano insistenti, incalzanti, e agognavano una risposta precisa, che il ragazzo tardava a far arrivare.
Peeta contrasse i muscoli doloranti, mentre decine di punture gli bucavano la pelle, la carne, e iniettavano dentro di lui veleno corrosivo, acido, tossico.
Sentì il sangue andare a fuoco e la vista divenne confusa, mentre un tremito incontrollato s’impossessava delle sue membra e lui perdeva lentamente conoscenza, circondato da un unico sibilo devastante.
“Di che colore è la paura, Peeta?”
 
***
 
Giorno 22esimo
 
Un ragazzo scarno e dall’aria malaticcia era steso su un lettino al centro della stanza bianca, immobile. Robuste cinghie di cuoio gli imprigionavano i polsi e le caviglie, segnando la pelle con striature rossastre e imprimendo segni affilati nella carne.
La stanza era buia, eccetto che per un faro di luce puntato proprio su quel lettino, a illuminare il volto sporco e graffiato di Peeta Mellark.
Il ragazzo aveva grossi lividi su tutta la parte sinistra del viso, il naso deviato da una parte e le labbra spaccate in più punti e dal colore violaceo, ma era sveglio.
Continuava a muovere una mano, scoprendo, con stupore, di averla legata al letto da una cinghia di cuoio. Il dolore allo zigomo era diventato ormai un lento pulsare, ma il ragazzo sentiva la mascella ancora indolenzita.
Voltò di poco la testa, per sfuggire all’accecante luce del faro proiettato sul suo letto, e si leccò le labbra aride e screpolate. Stava per assopirsi nuovamente, quando la stanza si riempì di voci e sibili, strisciandogli inevitabilmente dentro il cervello stanco.
“Di che colore è la paura? Di che colore è la paura, Peeta?” chiedevano le voci con impazienza, con insistenza. Peeta gemette e tirò con forza le cinghie cui era legato, impotente.
“È… è…” provò ad articolare, scosso dagli spasmi di dolore. “È nera, nera come la morte… e il dolore…” terminò a fatica, la gola bruciante per la sete. Ma non era quella la risposta corretta e le voci non cessarono, alzandosi anzi di volume.
Contemporaneamente, decine di punture gli perforarono il corpo, iniettandogli ancora veleno denso e bruciante. Peeta sentì la carne andare a fuoco e si abbandonò, rassegnato, alle contrazioni involontarie dei suoi muscoli, pregando che l’incoscienza corresse ad aiutarlo. Ed essa andò in suo soccorso, facendogli perdere i sensi, mentre le voci continuavano a sibilare cattive intorno a lui.
“Di che colore è la paura, Peeta?”
 
***
 
Giorno 33esimo
 
Un ragazzo debole e cereo era steso su un lettino al centro della stanza bianca, immobile. Robuste
cinghie di cuoio gli imprigionavano i polsi e le caviglie, segnando la pelle con striature rossastre e imprimendo segni affilati nella carne.
La stanza era buia, eccetto che per un faro di luce puntato proprio su quel lettino, a illuminare il
volto sporco e graffiato di Peeta Mellark.
Il ragazzo aveva il viso completamente tumefatto, il naso rotto e grossi tagli su tutto il volto, su cui si era raggrumato il sangue scuro, ma era sveglio.
Continuava a rimanere fermo sempre nella stessa posizione, abbassando di tanto in tanto le palpebre sugli occhi vuoti e vacui, ormai lontani, per sfuggire alla luce accecante del faro.
Era in attesa di qualcosa, Peeta, ma non riusciva a ricordare bene cosa. Sapeva solo di dover rimanere all’erta, concentrato, provando a ignorare tutte le fitte di dolore che il suo corpo gli inviava fin dentro il cervello.
Finalmente, le voci tanto aspettate arrivarono, riempiendo la stanza con i loro suoni sinistri.
“Di che colore è la paura? Di che colore è la paura, Peeta?” domandavano con cattiveria, strisciando lungo tutto il suo corpo martoriato per insinuarsi sotto la pelle. Peeta non si mosse, lasciando che i sibili entrassero in ogni poro della pelle, cullandosi in quelle voci come un bambino.
“È… è…” si sforzò di pronunciare, sempre più a fatica. Sentiva le parole rotolargli nella testa come biglie, ma era incapace di farle uscire fuori, nonostante si sforzasse e schioccasse la lingua contro il palato. E, intanto, le voci continuavano a sibilare, stanche di attendere una risposta che non arrivava.
Non ebbe nemmeno il tempo di provare a formulare un’altra parola, che decine di punture calarono sul suo corpo offeso, iniettandogli ancora e ancora il veleno ustionante e bollente, che corrodeva tutto e lasciava solo cenere.
Peeta si sottopose alla tortura senza battere ciglio, lasciando che il bruciore palpitasse in ogni fibra del suo essere, che raggiungesse il cervello e lo spegnesse. Prima di abbandonarsi all’oblio, sentì ancora una volta il sibilo rimbombargli nelle orecchie, maligno e sicuro.
“Di che colore è la paura, Peeta?”
 
***
 
Giorno 50esimo
 
La poltrona di pelle bianca troneggiava nel salotto ampio e accogliente, dinanzi ad un camino in pietra e a un piccolo tavolo ovale, su cui era disposto un servizio da tè.
Il giovane uomo seduto sorseggiava con gusto la bevanda calda, osservando distratto il cielo fuori dalla vetrata posta alla sua destra. Deposta la tazza al suo posto, Peeta si asciugò le labbra con un fazzolettino pulito e si rilassò contro lo schienale, stirando una piega del vestito bianco che indossava.
Aveva il viso pulito e i capelli ben pettinati; profumava di erbe e muschio e il colletto della camicia bianca era ben stirato e teso, sotto la giacca dallo squisito taglio sartoriale.
Il giovane guardò distrattamente l’orologio posto sulla mensola del camino e sorrise. Il momento stava per arrivare, poi avrebbe fatto una passeggiata nella serra, in attesa della cena e della sua consueta lettura serale.
Proprio mentre stava ricordando a che pagina si era fermato la sera prima, un piccolo “bip” lo riportò alla realtà. Peeta fissò il disco elettronico posato sul tavolino e, con la pressione del dito indice, schiacciò l’interruttore posto al centro. Subito, una voce soave e gentile lo salutò, per poi passare alla solita domanda di rito.
“Di che colore è la paura? Di che colore è la paura, Peeta?” chiese melliflua, calcando su ogni parola con voce melodiosa. Peeta sorrise all’aria e si lisciò i capelli perfetti.
“È nera, nera come l’odio che provo per Katniss Everdeen. Essa va distrutta, annientata, e sarò io a farlo.” recitò in maniera meccanica, come una poesia.
La voce del disco si congratulò con lui, salutandolo e spegnendosi in un sibilo lontano. Peeta spense l’apparecchio elettronico e si alzò, lo sguardo vacuo e spento, perso chissà dove.
Prima di uscire e raggiungere la serra, si guardò allo specchio, per aggiustarsi un invisibile capello fuori posto. Poi, alzò gli angoli delle labbra all’insù e provò a sorridere, beandosi del pensiero che di lì a poco avrebbe distrutto la ragione della sua paura e del suo odio: Katniss Everdeen.
Alla fine, la macchina per distruggere la Ghiandaia Imitatrice era pronta.







Senza titolo 1






NOTE:
Sì, sono tornata con l'ennesima storia, questa volta su Peeta! Non avevo mai scritto prima qualcosa che fosse incentrato solo su Peeta ma, complice il prompt che ho scelto, ho deciso di provarci ed ecco cosa è venuto fuori!
Ho provato a descrivere le varie fasi del depistaggio, per far risaltare come, col passare dei giorni, Peeta sia stato manipolato a livello mentale e portato a credere che Katniss fosse il nemico da combattere. Spero di aver fatto un buon lavoro e di aver mantenuto Ic Peeta, seppur in una fase dove tanti in sè non era!
Grazie a chiunque abbia letto <3

bacioni,Giraffetta
  
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