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Autore: CrisBo    15/05/2015    2 recensioni
Niente odora di caciotta e umidità come il bancone del Green Man.
È oblungo, scuro e coperto da crepe e cicatrici informe di sigarette e sigari abbrustoliti. Colpa dei passanti che ci hanno riversato sopra lacrime e risate, grida e lamenti, chi per una partita del Manchester finita male e chi per una donna fatale senz'anima. Quanti bicchieri di whiskey e amaretto consumati, rotti e martoriati, quante storie hanno avvolto il legno composto e un po' rustico di quel locale casalingo. Se ogni uomo ha una sua storia allora il Green Man – che di uomo ha almeno il nome – ne ha contate più di diecimila. [Dal prologo]
************
In una città dell'Inghilterra farete la conoscenza di Grace, di Alex, di Penny, Locke e una miriade di altri personaggi che il Green Man ha adottato tra le sue mura. Sarà proprio lì che l'incontro con un gruppo di attori cambierà la loro quotidianità. Perché c'è chi resta e chi va: ma ciò che succede al Green Man rimane al Green Man.
[ STORIA IN SOSPESO. Riprenderò al più presto. ]
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aidan Turner, Dean O'Gorman, James Nesbitt, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 15.
La felicità è silenziosa

L'ufficio di Locke sembrava essere stato colpito da una testata nuclerare, dallo sbarco in Normandia, da un'invasione di turisti giapponesi.

Tutto ciò che poteva essere fuori posto lo era.

Scartoffie in giro, penne rovesciate, lampadario storto, delle mutande su una mensola, i libri abbattuti da una grave forma di gravità terrena e Walter che dormiva a pancia all'aria, sopra quelle che dovevano essere i mocassini da passeggio del mio Grande Orso.

Un po' se lo meritava, quei mocassini color prato macchiato di escrementi di pecora erano orribili e dovevano essere nascosti alla vista.

Io avevo l'aria di una che non sapeva più bene da che parte sbattere la testa, in tutti i sensi possibili.

Qualcuno, dentro al cervello, stava roteando un sacco pieno di mattoni dentro e non riuscivo a capacitarmi di ciò che era successo.

Non riuscivo a trovare il mio vestito giallo da nessuna parte e, così, dovetti avvolgermi con un poster dei Led Zeppelin per cercare di coprire quei luoghi segreti del mio corpo.

La faccia di Jimmy Page era proprio ad altezza censura ma non potevo preoccuparmene in quel momento. 
Scavalcai Walter con un grande passo e cominciai a girare come una trottola, lanciai per aria un paio di bandane piratesche, un libro sulla vita degli Albatros, una gigantografia di Locke coi capelli e – infine – quella che doveva essere la maglia di James.

Il mio caro irlandese stava poltrendo senza vergogna sulla scrivania di Locke, avvolto da un amasso di coperte dal colore un po' stantio. 
Da quando mi ero svegliata, contro di lui, non riuscivo a pensare a nient'altro. 
Ero rimasta ad osservarlo dormire per un tempo che rasentava la follia e avevo deciso che era il caso di non farmi trovare in quelle circostanze.

Lo vedevo immerso in un sonno un po' tormentato; forse non stava avendo dei bei sogni, ma forse era anche colpa della luce divina che cadeva dalla finestra, colpendolo dritto in faccia.

Il sole mi sta simpatico, ma non quando filtra dal vetro per ricordarti che lui brilla e scalda, alla faccia tua che vuoi dormire. 
Provai ad aprire un'antina dell'armadio per bloccare quei raggi di fuoco ma riuscì, solamente, a bloccare la luce per metà. 
L'ombra arrivava fino al collo di James. La faccia era alla mercé dellla luce, senza via di scampo.

Rimasi per diversi secondi a cercare soluzioni alternative per evitargli un'abbronzatura ridicola e, decisi, di coprirgli la faccia con la prima cosa che trovai a portata di mano. 
Era uno strano centrino di pizzo.

Non mi domandai del perché Locke ne fosse in possesso. Continuai la ricerca del mio vestito giallo, mentre nella testa tentavo di riordinare i pensieri.

Ma faceva troppo male tutto, avevo la nausea, mi sentivo completamente immersa nell'odore di quel tizio che dormiva sulla scrivania ed ero incapace di fare mente locale.

«Walter, ho bisogno di una seduta.» Sussurrai al mio cane.
Quello continuò a dormire, incurante dei miei problemi esistenziali.
«Ah, bravo. Fai pure il finto tonto, eppure io c'ero quando quella cagnolina non ti ha voluto annusare il sedere e sei rimasto in lutto per un giorno. E ti ho anche permesso di innaffiare i tulipani quando-»
«Ehi...»

La voce di James interruppe il mio dialogo col quadrupede e mi voltai di scatto a guardarlo. 
Si stava spremendo il volto con una mano, cercando di tirarsi su. Il centrino gli era rimasto incollato alla faccia; era alquanto buffo.

«Che cosa mi è cresciuto in faccia?»
«Sei diventato un mutante.»

Risposi io, provando a sorridere. Lui fece un sorriso che mi lasciò un po' rintronata e ripresi a muovermi frettolosa dentro l'ufficio.

Non era molto grande ma era pieno di cianfrusaglie. Per poco non caddi come una pera cotta su un'aspirapolvere rosso fuoco di nome Henry.

Henry è il mio migliore amico dopo serate come quelle della festa. 
Aspira tutto con la sua lunga proboscide nera e sorride, incurante di ciò che è costretto a pulire.

«Buongiorno
Mi disse James con troppa dolcezza. Perché doveva complicarmi ancora di più la vita? 
«Perché indossi un poster?» Aggiunse, con voce un po' roca.

Non era da classificare come una cosa da psicopatici il fatto che volevo che parlasse ancora.
Mi piaceva il suono della sua voce, il modo in cui pronunciava le parole, il fatto che biascicasse un po'.

«Ho perso il mio vestito.»
«Credo di averlo trovato io.»

Io mi voltai verso di lui. 
Lui stava indicando un punto ignoto, su una piccola trave in legno che sbucava sopra la porta d'ingresso. 
Il mio povero vestito penzolava inerme e, guardandolo bene, sembrava aver combattuto contro intemperie funeste.

Fu come un lampo a ciel sereno, tutto ciò che era successo la sera prima mi tornò in mente così prepotentemente che ebbi le vertigini.
Mi sentì invasa da un calore atroce su tutto il corpo ed evitai di guardare verso James. Anche solo guardarlo negli occhi mi creava del disagio, adesso.

«Forse sono stato un po'...»

Lui cominciò a parlare e io stavo facendo mosse di judo pur di riuscire a prendere il mio vestito evitando che il poster dei Led Zeppelin scivolasse via dal mio corpo. 
Non era molto pratico come tubino.

«...Tu ti ricordi qualcosa

Mi voltai verso di lui dopo quella domanda e rimasi a fissarlo a lungo.

Sapevo di avere uno sguardo un po' da allupata ma non potevo controllarmi. 
Rimasi a osservare i suoi dettagli; i capelli spettinati, la barba rada, il fatto che avesse le guance arrossate e gli occhi un po' gonfi, ma accesi.
Feci una foto mentale di quel momento prima di scuotere il capo.

«Mi ricordo qualcosa...ina. Insomma, ciò che è successo è successo ma io credo di avere dei buchi neri nella memoria.»

Stavo mentendo.
Mi ricordavo ogni cosa, anche dei particolari che avevo paura avrei dimenticato, visto il mio stato alcolico della sera precedente.

Dopo che Billy aveva finito di cantare c'era stato un po' di pianto e molti abbracci. 
Lo scozzese dallo sguardo da bambino aveva creato la giusta dose di commozione nostalgica, ampliata dal fatto che eravamo tutti brilli e andanti. 
Molti rimasero a ballare, mentre altri ripresero a bere e a mangiare. E mangiarono eccome, anche se lo chef era ormai migrato dalle cucine da un bel pezzo. 
Si era portato due ragazze al centro dello spiazzo e s'era destreggiato in piroette e avvitamenti che neanche il ballerino Tippo-Pat col suo flamenco era riuscito a eguagliare.

Poi era stata la volta della musica dei flauti, delle cornamuse e dei tamburelli.

James mi aveva stretto e mi aveva trascinato a ballare con lui.

Sapevo che tutti ci guardavano ma forse era solo una mia impressione. 
Mi ricordo di lui che mi stringeva, mi faceva girare,mi allontanava e mi riprendeva. 
Io ero riuscita a calpestare i piedi a tutti, avevo travolto di nuovo Martin Freeman – il quale mi aveva consigliato un'assicurazione per tamponamenti – ed ero inciampata su James almeno dieci volte.

Ma lui ridevaa, continuava a farmi perdere la dignità con quel ballo e io ridevo con lui.

Quel bacio si era infilato nei nostri punti vuoti e li aveva riempiti con qualcosa che piaceva a tutti e due. 
Non mi preoccupavo più di quale altre ferite avrebbe aperto. 
Volevo godermi ogni piccola parte di quella sensazione e portarmela nella mente come qualcosa per cui sorridere.

Ci fu un momento in cui qualcuno provò, di nuovo, la mossa di Titanic e Locke s'era eretto come difensore della causa, indicando il foglio del divieto assoluto su quella mossa omicida. Aveva smerciato manate, blocchi, braccia incrociate e minacce in ogni dove.

Poi Richard volle brindare con noi ancora una volta – era diventata leggendaria la sua propensione a non sembrare minimamente ubriaco- e scontrammo i nostri bicchieri così forte che a Stephen gli scoppiò tra le mani e tutta la birra gli esplose addosso.

Ridemmo fino a farci mancare l'aria, anche se io non avrei dovuto ridere troppo visto che sarebbe toccato a me pulire. 
Dopo qualche insulto gratuito alla sua persona decidemmo che, ognuno, poteva andare in pace ovunque volesse.

Dean fu circondato da alcune ancelle dalla chioma fluente e lo vidi sparire in chissà quale orizzonte, un po' giù di morale perché Walter non lo aveva seguito.
Il mio quadrupede non si separava mai da me dopo certi orari. Gli avevo impostato alcuni obblighi canini come coprifuoco e aveva imparato a rispettarli tutti.

Tranne quello del: non mangiarmi i calzini mentre dormo.

Ogni volta che mi sveglio ho un calzino bucato, insalivato o sparito.

La ragazza di Aidan aveva salutato il suo riccio con un bacio passionale ed era fluita via, lasciando l'irlandese in preda ad uno sguardo un po' spento.
Locke e Mya stavano già per brindare ancora una volta.

Cercai Alex ma non riuscì a vederlo, in compenso c'era Penny – mi sembrò un po' turbata - e Richard alle prese con una presa in giro verso Martin.

Non riuscì a sentire il finale della sua frase “I tuoi capelli sembrano una moffetta mort...” che venni presa per un polso da James e trascinata via da lì.

La musica ancora si sperdeva nell'aria. 
Superai Shan intento a parlare in cinese contro il jukebox, 
Adam parlare con Jacq, il Belgo lanciare fuochi e fulmini dagli occhi e Russò cantare da solo con in mano una delle scarpe di Shan come microfono.

Paul era intento a raccontare a Billy la storia del famoso Fenicottero Dorato del Green Man e io gli urlai un “Deportatelo!” prima di sentire Paul urlarmi qualcosa.

Ma non seppi mai cosa. 
Dopo vari metodi per evitare di finire addosso ai tavoli mi ritrovai spiaccicata contro la porta dell'ufficio di Locke.

Ero bloccata e avevo James proprio davanti a me. 
Mi sorrideva in quel modo che mi faceva sentire come Gollum col suo tesssoro e il mio cuore cominciò a esplodermi nel petto.
Lui si avvicinò piano e mi posò la mano sulla guancia, carezzandomela.

«L'appuntamento col tuo Bofur è arrivato.»

E, con quella frase, io avevo tradito l'amore per Simon Pegg. Mi ero lasciata andare ad un sorriso senza più difese, ostacoli e blocchi. Poteva leggermisi in faccia la felicità che aveva sgomitato tanto per uscire così, come un fuoco d'artificio. Non m'interessava più di niente, volevo solo che continuasse a guardarmi in quel modo, a parlarmi in quel modo e a farmi sentire come un piccolo segreto nascosto.

Gli presi i lembi della camicia fra le mani e lo tirai verso di me, ma lui già mi si era plasmato addosso.
Senza più dire niente cominciò a baciarmi, sentendolo sospirare sulle mie labbra.

Smisi di pensare a qualsiasi cosa e mi concentrai su quel bacio. 
Avevo il cuore impazzito e, di nuovo, quella sensazione che mi stava invadendo.

Quel bacio ci portò ad aprire la porta, a intrufolarci dentro e dare il via ad una guerra mondiale senza fine.

Mi aveva preso in braccio e posto sulla scrivania di Locke, dopo aver fatto cadere tutto ciò che c'era sopra con una manata. 
C'era stato un rumore di rombi e tuoni ma non ci preoccupammo molto di essere stati sentiti.

Ci spogliammo a vicenda, senza smettere un secondo di baciarci e ci abbandonammo a quella notte passionalmente alcolica.

Per essere in uno stato che superava il livello limite consentito eravamo riusciti a restare svegli, attivi e pieni di energie per un tempo infinito.
Avevo ancora addosso quelle sensazioni. 
Le sue mani su di me, la sua bocca che mi mordeva e mi baciava ovunque. Il calore del suo corpo e il suo respiro.

Il suo odore.

Non aveva mai smesso di guardarmi e continuava a sorridermi.

Trovavo quel connubio di cose talmente estasiante che ancora mi sentivo scossa dai brividi, al solo pensiero. 
Neanche se avessi avuto le parole per descrivere ciò che sentivo sarei riuscita a creare l'esatta scala di emozioni che avevo provato quella notte.

Sapevo solo che avrei voluto che il tempo si fermasse e sentirmi così anche il giorno dopo. E quello dopo ancora.

«Mi sta scoppiando la testa, forse ho leggermente esagerato ieri sera.»

La sua voce mi interruppe ancora. 
Senza rendermene conto me lo ritrovai vicino, mi stava scostando alcune ciocche dal viso e mi fissava con un sorriso.

Doveva aver immesso del silicone dentro il volto per far sì che le sue labbra restassero sorridenti per così tanto tempo. 
Nemmeno io riuscivo in quell'impresa, ed ero campionessa olimpionica in questo.

«Non sembra.»
«Sono irlandese. Sono abituato.»
«Ah, mi scusi allora, signore.»

Lo presi in giro, con uno strano accento, e lui ridacchiò dandomi uno sbuffo sul naso. Solo in quel momento m'accorsi di come lo avevo ridotto.
Aveva graffi ovunque. Sulle braccia, sul collo e – lo sapevo – anche sulla schiena. Forse avevo un tantino esagerato.

«Credo di averti usato per rifarmi le unghie.»

Feci un ringhio da felino, alzando le mie dita piegate, prima di guardargli le braccia.
Lui abbassò lo sguardo e si controllò. 
Alcuni graffi li accarezzò col polpastrello e io avrei pagato oro per sapere cosa stesse pensando in quel momento.

Si comportava normalmente. Non aveva cambiato carattere.

Non era fuggito via.

Non so perché fossi preoccupata di una sua possibile fuga, forse perché dopo la partenza di mia madre verso giungle caraibiche sono sempre stata invasa da una strana paura. Per quanto non sia una persona avvezza al contatto umano per molto tempo, la possibilità di restare sola è una fobia che mi porto dietro come un fardello.

Il fatto che James presto se ne sarebbe andato via per sempre mi creava dei problemi interni non indeffernti ma non volevo pensarci in quel momento. 
Non volevo pensarci e basta.

«Dovresti vedere come sei ridotta tu, scimmietta

Feci una strana smorfia e zompettai fino ad uno specchio.
In realtà non è uno specchio ma una fender lucida appesa alla parete, dove probabilmente Locke si specchia per lucidarsi la pelata.

Avevo il collo ricoperto di morsi e segni. 
Sgranai subito gli occhi e controllai altrove. Avevo anche aperto il mio poster musicale per osservarmi con minuzia.
Feci un paio di piroette prima di voltarmi verso James.

«Ne ho uno anche sul sedere!»

Esclamai, facendo strusciare il mio poster-vestito.

«Mi metti incredibilmente fame. Non è colpa mia.» Mi rispose lui, innocente.
«E adesso come li nascondo? Non posso dire che sono punture di zanzare, non ci crederebbe nessuno.»
«Puoi sempre dire che erano mosconi enormi.»
«Il moscone enorme era solo uno.»

Dopo quella mia massima, che non voleva essere ambigua ma è uscita così, lui scoppiò a ridere. 
S'avvicinò a me di nuovo e mi prese il viso tra le mani.

Quando lo faceva dimenticavo ogni paranoia, era un tocco un po' da illusionista.

«Se non vuoi dirlo a nessuno, non lo diciamo a nessuno.»
«Credo che lo sappiano già tutti. Pure mio zio Harnold, che vive su una scogliera insieme ad uno sputacchiere.»
«Amo le scogliere.»
«E le scogliere amano le scogliere.»
Dissi io, non sapendo bene cosa stessi dicendo. Ormai ero conscia del fatto che quell'uomo mi turbava il raziocinio.
«Pensavo che le scogliere amassero me.»
«Purtroppo il vostro sarebbe un amore tormentato.»
«Come Romeo e Giulietta?»
«Sì, o come Thorin e Bi-»

Mi bloccai appena in tempo, stavo per rivelare un mio dubbio in merito ad un nano ed un hobbit di mia conoscenza e sulla loro presunta tensione sessuale.
James colse come una faina il mio riferimento, e già stava per sghignazzare, ma io lo bloccai sul nascere con una manata sul petto.

«Oh, ma non importa. Stiamo zitti. Non è successo niente. Se ci fanno domande ci inventiamo scuse, siamo bravi con le scuse. E, specialmente, quest'ufficio noi non lo abbiamo visto neanche da lontano, chiaro? Se Locke scopre che ho fatto cadere le sue penne placcate per terra mi rinchiude nello strozzatoio
«Credo di averti anche cosparso di maionese, ad un certo punto.»
«Farà il lancio del giavellotto con me!»
Continuai io, disperata - tralasciando volutamente il discorso sulla maionese - ,e lui mi schiacciò un po' la faccia con le mani. 
Mi venne una strana faccia da papera e lui sghignazzò, crudele.

«La Trinciabue non ti farà nulla, ti proteggo io.»

Io provai a sorridere ma in quella morsa le mie labbra erano bloccate a cuore, o a sedere di neonato, perciò alzai le mani per fare la stessa cosa con il suo volto.
Lui tentò di mordermi le dita.

«Ora capisco perché mi sono svegliata con una voglia di patatine fritte.»
«La senape non l'ho trovata.» Si giustificò lui.
«Tu invece odori di cocco.»
«Sì, ti sei messa in testa che io fossi un cocktail ieri sera.»
«Eri un cocktail al Malibu, il mio preferito.»
«Ooooh bè, allora.»

Mi schiacciò ancora di più la faccia, fino a spemermi le guance. 
Rise di gusto e s'avvicinò a me, appoggiando le labbra sulle mie. 
Mi lasciò respirare il viso e infilò le dita tra i miei capelli. Io, invece, le feci scendere fino al suo petto.

Questa volta niente irruenza o morsi o sospiri d'eccitazione. 
Era un bacio dolce, da assaporare con calma e sentire, lento, il benessere farsi strada nel corpo. 
Cominciai ad accarezzarlo piano e sentivo le sue dita scivolare sul mio collo, accarezzandomi i segni che lui stesso mi aveva lasciato.

Si staccò da me lentamente e rimase a fissarmi. 
Io avevo l'aria di una che si era perduta su molte strade. Non lo trovavo il mio sentiero.

Non avevo i palmipedoni ad aiutarmi.

«Mi è tornato l'appetito.»

Mi sussurrò con voce un po' bassa, avvicinando le labbra al mio orecchio, fino a scendere più giù.
Io presi a respirare con una fatica immane e sorrisi, sentendomi scottare.

«Le mie unghie si sono smussate ancora.» Risposi con voce altrettanto bassa. 
E stavo già per abbandonare la faccia di Jimmy Page al suo triste destino col pavimento quando sentimmo dei rumori provenire da fuori.

Ci voltammo col cuore in gola e ci bloccammo di colpo.

«Si può sapere perché c'è una gelatina gigante sopra le mie birre?»

La voce di Locke ci invase come la grande onda di Kanagawa e ci rivestimmo alla velocità della luce. 
Ci fu una catapulta di vestiti lanciati in ogni dove. James riuscì a infilarsi la maglietta al contrario e la sua camicia a quadri come un turbante. 
Io avevo infilato il vestito un po' storto e avevo delle mutande sulla testa.

Riuscimmo, in un qualche modo ancora sconosciuto, a rimetterci a posto e io uscì come una furia dalla stanza. 
Avevo ancora il sapore di James sulle labbra quindi ero in uno stato poco attivo. 
Per non parlare dei segnali che il mio corpo mi mandava, giusto per aiutarmi in quell'impresa.

Il fatto che quell'uomo mi faceva diventare una molecola vagante senza cervello non andava del tutto bene.

Non appena uscì fuori dalla porta per poco non sbattei contro Locke.
Anche lui non aveva un bell'aspetto; sembrava avesse sbucciato quintali di cipolle visto il suo sguardo gonfio, lucido e arrossato.

«Non ti chiederò perché stai uscendo dal mio ufficio ancora vestita come ieri. Ma che cavolo hai fatto al collo?»

Dannazione. 
Mi ero del tutto dimenticata di poter essere affetta da domande di questo genere, in fondo avere delle incisioni dentali addosso non era cosa da tutti i giorni.

Cominciai a boccheggiare senza riuscire a trovare una scusa adeguata.
Poi mi ricordai di avere una salvezza canina a portata di mano e decisi di sfruttarla.

«Walter! Mi è...ha passato tutta la notte a mordermi. Per gioco. Ieri si è sentito un po', ecco, solitario. In solitudine. Era come quando, lo sai no?»
«Devi smetterla di fare cose strane col tuo cane. A forza di usarlo come psicanalista lo stai facendo diventare scemo come te.»
«Ah-ah-ah.»

Non stavo ridendo sul serio ma d'altronde neanche lui era in ottima forma, sapevo che non avrebbe fatto domande. 
O almeno lo speravo con tutto il cuore.

Ero rimasta appiccicata alla porta, sperando che non avesse intenzione di entrare lì dentro proprio in quel momento. 
Se avesse trovato James le scuse sarebbero state alquanto ridotte.
Non credo che avrebbe creduto alla storia di lui che entra dalla finestra per salvarmi dall'arrivo di un venditore di bonghi.

«Sta per arrivare Jacq a darci una mano. Alex non mi risponde al telefono e Mya è dovuta correre a salvare un'anziana al bingo. C'è stata una rissa nell'ospizio.»
«Oh, è Guendalina?»
«Ma non lo so. Tra l'altro Dean e il riccio hanno dormito qui. Tu hai visto James?»

Cercai accuratamente di non far spuntare il sorriso sul mio viso a quella domanda.
Mi veniva difficile non sciogliermi in un ammasso di dolcezza melensa ogni volta che ripensavo a ciò che era successo. Odiavo sentirmi come una Bridget Jones innamorata ma stavo perdendo il controllo di me stessa. O lo avevo già perso.

D'altro canto ero risoluta a fare andare via da lì il Grande Orso, anche se il mio atteggiamento da mastino da porta poteva destare sospetti.

«Perché avei dovuto vederlo? È tuo amico. Non ho un localizzatore per ogni volta che James è...via.»

Fare l'indifferente poteva essere la mia salvezza. 
Locke mi fissava con aria un po' scettica e io cominciai a gesticolare, per ipnotizzarlo.

«Vado a chiamare Alex, sono sicura che a me risponde. Ah, prima ho visto fuori dalla finestra un piccolo baracchino che vendeva delle birre artigianali.»
«Cosa? Criminali. Quella è una mia specialità, come osano vendere birra artigianale nel mio quartiere. Gliela ficco su per il-»

Avevo colpito un punto debole. 
Lo vidi fiondarsi verso l'uscita insultando le zone lombari dei presunti criminali e io ripresi a respirare, aprendo la porta veloce.
Vidi James intento a rimettere tutto a posto. Non so come aveva fatto ma era riuscito a far sembrare quella stanzina quasi decente.

«Perché Cole ha dei centrini di pizzo?»
«Me lo sono chiesta anche io.»

Lui fece una strana faccia e poi sgusciò fuori, il mio cane insieme a lui.

«D'accordo io ora esco per non destare colpi mortali al nostro pelato. Torno dopo.»
«Esci dallo spiazzo, l'ho mandato fuori a uccidere la concorrenza. Non ci vorrà molto prima che si accorga che non esiste. A meno che non si sia messo a inveire contro il venditore di burrito, giù all'angolo.»
«Li ho assaggiati una volta, sanno quasi di burriti veri.»

Io sorrisi e gli diedi una spintarella. Lui ritornò davanti a me e mi diede un altro bacio, promettendomi di tornare.
Le farfalle nel mio stomaco frullavano le loro ali dappertutto.
Assaporai quei due secondi di bacio prima di lasciarlo andare. Lo guardai uscire e rimasi in quello stato comatoso per molto tempo.
Passarono almeno due ore prima di riuscire a farmelo passare, e neanche del tutto. 

Ero riuscita a riordinare quasi tutto l'interno, avevo fatto sparire la gelatina gigante, mi ero cambiata, avevo fatto i codini ai capelli di Aidan e ora c'era solo Dean intento a sorseggiare il mio miracoloso intruglio da scuoti budella e lo vedevo di uno strano colorito verdognolo.

Walter, dopo aver marcato gli ultimi vasi di Jacq, gli aveva appoggiato il muso sulla gamba e lo assisteva con apprensione. 
Avrei dovuto concedergli il nuovo brevetto di assistente malati. Magari con una percentuale di pagamento per ogni guaito di incoraggiamento.

«Cara, ho sistemato fuori. Ho lasciato lo striscione però, mi piace davvero molto. Ah, e tra l'altro c'è fuori Billy che sta dormendo sopra una panca.»
«Ma c'era anche prima?»
Domandai io, sgranando gli occhi.
«Non lo so. Qualcuno gli ha disegnato uno strano cono gelato sulla guancia. Dean, vuoi una coperta? Ti vedo un po' pallido.»

Dean sventolò una mano, facendo una strana smorfia e riprese a bere quel liquido dal colorito un po' decomposto. 
Non aveva ancora detto una sola parola, forse non era abituato a eccedere così tanto.

«Mi dici, però, cosa ti è successo? Sembra che qualcuno ti abbia mangiato. Non è che è stato il nostro James?»
Continuò lei, tornando a perquisirmi con lo sguardo. Lei e la sua scaltrezza.
«È stato Walter. Stanotte era...irrequieto.»
«Non pensavo si chiamasse così, ora, James. Io lo sapevo che succedeva. Lo sentivo nell'aria. Siete carinissimi insieme.»

Dean si voltò verso di noi con uno strano sorriso malizioso e io stavo già per sprofondare nel mio solito buco nero.

«Jacq, non è...non è successo niente con James. Con James poi. Insomma, tra tutti proprio lui?»
«Non mi dirai che è stato quello Will?»

Non volevo mentire a Jacq ma, nello stesso tempo, non volevo che vincesse la sua scommessa. 
Non mi andava di passare un'intera giornata in mezzo ai fiori. I fiori sono maligni: attirano le api. 
Pregai che una salvezza cadesse dall'alto e interrompesse quella conversazione.

«Salve!»

Billy era sbucato dal suo antro. 
Aveva ancora indosso il kilt scozzese – non era così bello come lo avevo immaginato la sera prima – e I capelli chiari tutti sparati da un lato. 
Faceva quasi tenerezza.

Il famoso cono gelato disegnato sulla sua guancia non era un vero cono.
La mente genuina di Jacq non aveva colto riferimenti sessuali a quella specie di fallica opera d'arte ma io sì. 
Riuscì a non scoppiargli a ridere davanti alla faccia ma fu un'impresa titanica.

«Credo che sto per vomitare.» Disse lui, facendo una smorfia.
«Non farlo qui, per favore.» Esclamai io, già in panico.
«Vieni, ti accompagno. Grace prepara la tua medicina.»

Jacq era piroettata verso di lui e l'aveva diligentemente portato verso i bagni.
Lei non sembrava reduce di una festa apocalittica, mi chiesi se la sua vicinanza col mondo della natura alleggeriva gli effetti di tutti quegli alcolici afrodisiaci.
Tornai a guardare verso Dean, mentre preparavo l'ennesimo intruglio. Lui mi fissava con lo stesso sorriso di prima e io non sapevo bene cosa dire.

«Non ho detto niente, io.»
Si difese subito lui, neanche avesse letto nella mia mente qualche velata minaccia alla sua persona.
«Non pensare neanche.»

Dal nulla sentimmo il rantolo di Aidan, intento ad abbracciare uno sgabello, e poi tornare a ronfare come se nulla lo sclafisse.
Io avevo già mandato messaggi di S.O.S a Alex e a Penny ma nessuno dei due mi aveva risposto.

«Sai, James è sempre stato un po' così. Gli piace farsi piacere, gli piace farci ridere e insieme a quell'altro hobbit non hai idea di quanto ci tormentavano. Durante le scene di Bosco Atro abbiamo riso così tanto che, alla fine, le allucinazioni le avevamo sul serio.»
«Stai dicendo che sono allucinogeni loro?»
«Oh sì.»

Dean annuì e poi fece una smorfia, appoggiando il bicchiere sul bancone. Lo vidi perdersi in chissà quale pensiero, o quale ricordo. Sorrise da solo e rimase in silenzio per un po'. Probabilmente la festa era servita più a loro che a tutti gli altri, per ricordare com'era sentirsi di nuovo insieme, come se il tempo non fosse passato.

«Tu devi piacergli molto.»
Mi scossi dai miei pensieri e trovai lo sguardo di Dean.

Sorrisi ma non sapevo bene cosa rispondere, quindi cominciai a fare strani gesti con le dita. 
Dovevo smetterla di imbarazzarmi per ogni cosa, il mio corpo aveva bisogno di una tregua. Anche il mio cuore. Il mio cervello.
Il mio fegato.

Tutto.

«Ti ha anche marchiata.»
«Non è stato James.»
«Già, e io sono Robin Hood.»
«Potresti anche esserlo, io non conosco la tua presunta doppia vita.»

Lo presi in giro e lui ridacchiò divertito. Non volevo continuare quella conversazione e, per fortuna mia, entrò Locke tutto trafelato dalla porta.
Non sapevo se si era perso o si era messo a cercare, realmente, il baracchino di birre artigianali. 
Lo vidi trasportare un paio di sacchi di carta igienica dai colori insoliti.

«Grace, vieni con me! Buongiorno Dean.»
«Non hai trovato il baracchino?»
«No, deve aver fiutato la mia aura malvagia ed è fuggito. Entra dentro il mio ufficio e aspettami lì, ti devo parlare.»

Mi venne in mente una di quelle scene da film dell'orrore, senza sapere bene perché. Forse aveva capito qualcosa.
Non mi chiamava mai dentro al suo ufficio per parlare, di solito mi diceva le cose davanti a tutti, senza vergogna.
Solo un paio di volte avevo avuto un confronto particolare: quando decidemmo di vestire Alex come un coniglio pasquale per utilizzarlo come mascotte primaverile a sua insaputa e quando mi disse la ricetta segreta della sua birra Locckiana preferita. 
Ancora adesso non potevo nominare la mia sapienza verso ignoti, ero legata ad un vincolo specifico che mi proibiva di rivelare il segreto della birra buona.

Locke è un po' come il creatore della Coca Cola.

Non appena rientrai lì dentro fui, di nuovo, invasa dai ricordi della sera precedente. 
Faceva un po' ridere il fatto che poche ore prima, su quella scrivania io e James avevamo fatto di tutto
Controllai con minuzia che non ci fossero indizi, ma poi mi ricordai che Locke non era Sherlock Holmes e ritornai tranquilla.

Quindi col cuore a mille, le mani sudate, il sorriso da psicopatica e un tremolio gambale non indifferente.
L'unica cosa a cui stavo pensando era il fatto che volevo rivedere James. 
Avevo una voglia matta di stare con lui, di baciarlo ancora, di toccarlo.

Ero un miscuglio di troppe cose insieme, non riuscivo neanche a pensare a nessuna di quelle canzoni della salvezza.
Provai Lorella Pazzerella ma niente da fare.

«James me lo ha detto.»

Esordì lui con un tono che non riuscì a decifrare. Io lo guardavo con aria un po' stralunata e provai a tenere il controllo sulle mie parole. 
La mia mente non mi aiutava, mi allineava lettere a caso. Avevo un vocabolario elfico nel cervello.

«Detto...cosa? Io non...»
«Dai, lo sai. Mi serve qualcuno di fidato quindi ho pensato a te. So che non mi concedo mai una vacanza ma, questa volta, ho accettato. Probabilmente tornerò qui dentro e troverò il locale bruciato, una voragine di terra al posto del Green Man e I miei giardini essiccati ma sono disposto a rischiare.»

Ripresi a respirare dopo un'agonia violenta. Stava parlando del fatidico regalo di James.

«Quindi ritorni da Frida?» Chiesi io, sgranando gli occhi.
«Cosa?!»
«Niente.»

Mi cucì le labbra. 
Non era saggio dire a Locke che sapevo i segreti della sua gioventù, avrebbe dato la colpa a James. 
Non che la cosa non fosse divertente uguale ma ora, per James, provavo cose molto più reali, mi sentivo quasi protettiva nei suoi confronti.

«Vado in Irlanda. Non adesso, sia chiaro, prima ti devo istruire ma credo che tu saresti perfetta. Tanto lo so che ti spacci come una Supervisor nelle tue conferenze da barman.»
«Io? Io non ho mai-»
«Vuoi diventare la mia Supervisor, Grace?»

Io non riuscivo più neanche a pensare, avevo perso l'uso dei vocaboli per l'ennesima volta. 
I fuochi d'artificio nel mio stomaco erano diventati petardi nucleari, sentivo il cuore rimbombare e chiedermi pietà.
Era da tempo che speravo di poter avere più responsabilità, muovermi all'interno del mio Green Man sapendo che potevo decidere anche io. 
Finalmente potevo dare al mio locale il suo suono e la mia felicità ebbe spicchi indecenti, tanto che mi ritrovai ad alzarmi di scatto e ad abbracciare Locke.

Non era una cosa solita. Non succedeva mai, quindi rimanemmo un po' perplessi entrambi.

«Oddio Grace, hai cambiato analista?»
«No, Walter ha una tariffa economica.»

Mi abbracciò stretta, nonostante tutto, e io gli sussurrai un “grazie” prima di sgusciare via e sorridergli contenta.

Da quando James e gli altri balordi erano venuti al Green Man stava tutto cambiando. 
E la mia paura che stesse cambiando tutto in peggio era stata vana.

Non c'era più niente di terrificante nel cambiamento, era solo diverso. 
Sapevo che il mio Green Man ora spuntava nei giornali come pub storico. 
Qualcuno aveva scattato foto della festa. Molti sapevano. 
Molti sarebbero arrivati per constatare di persona ciò che quelle mura contenevano e avevano da raccontare.

Ma la nostra storia continuava, anche di nascosto, sotto il rumore del legno e nell'odore della birra.
I miei amici stavano cambiando e io con loro.

Nel mio animo si instaurò la consapevolezza che essere ottimisti non era una brutta cosa. 
Ricordai un discorso fatto con Mya, tempo prima, in cui era bene che la felicità non venisse urlata. 
Doveva fluire silenziosa, come un segreto, perchè alcune orecchie non sono fatte per sentire.

Ma io mi sentivo così e volevo urlarlo davvero: cosa poteva andare storto, adesso?


 


 


 


 


 


 

NA:

Scusate il vergognoso ritardo ma ho passato una settimana piuttosto piena di impegni e abito in una città dove non hai tempo neanche di respirare che è già finita la giornata quindi mi scuso per l'attesa ç_ç come capitolo non è un granchè, I know, ma è una via di mezzo che porterà a quelli finali. Ormai non manca molto, nella mia testa è tutto impostato. Mi sto anche dedicando ad altre robbbbe quindi se ci metto molto ad aggiornare è anche per questo. Chiedo veniaaaa. Intanto ringrazio le mie fanciulle bellissime che mi seguono e mi leggono sempre e mi recensiscono <3 E' specialmente a voi che chiedo scusa per il ritardo, odio farvi attendere. E ringrazio tantissimo anche BlackandLupin che mi ha messo nelle ricordate. Grazie di cuore!
​Un bacio a tutti e buona giornata <3 spero a presto.


 

  
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