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Autore: Mia    03/01/2009    2 recensioni
Storia nata per il concorso di sherry90. Ispirata alle splendide canzoni dei Kamelot "Elisabeth I - Mirror, mirror" e "Elisabeth II - Requiem for the innocent", ognuna delle quali occupa un capitolo di questa breve storia. Una donna entra in possesso di uno specchio misterioso, ma quale orribile segreto può nascondere un oggetto così splendido?
Genere: Dark, Sovrannaturale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Requiem for the Innocent

“Mother can you hold me
one more time again?
Whisper “I still love you” in my ear?
Mother did you lie?
Would you tell me why?
There is something deeper that I fear...”

Ero irrimediabilmente cambiata, esteriormente, ma soprattutto interiormente.
Del cambiamento esterno si accorsero tutti e presto le mie ancelle cominciarono a temermi: mi stavano lontane e presto si sparse la voce che io fossi una strega malefica che, dopo essermi unita carnalmente col Demonio nel sabba, avessi ottenuto in dono da lui l’eterna giovinezza.
Molte di loro se ne andarono, altre rimasero solo perché ben retribuite o perché, se avessero abbandonato il castello, non avrebbero avuto altro posto dove andare. Ma nessuna di loro volle più avvicinarsi a me da sola ed io non feci nulla per smentire quelle voci, anche perché meno quelle stupide mi stavano intorno meglio mi sentivo. Ogni momento di solitudine, infatti, lo passavo davanti allo specchio, perdendomi nella contemplazione della mia immagine.
L’unica ad essersi accorta del mio cambiamento interiore era invece Charity, mia figlia. Era una splendida bambina di quattro anni, sul cui viso risplendeva la bellezza che avevo perso e ritrovato e la cui fanciullesca innocenza era pura e completa.
L’unica cosa che poteva distrarmi dalla contemplazione di me stessa era la mia bambina, la quale era così simile a me eppure così diversa da essere un sollievo per il mio spirito. Mi bastava guardarla per tornare, anche se magari solo per qualche attimo, la donna che ero stata prima che quel misterioso giovane mercante dagli occhi antichi mi vendesse lo Specchio di Tabitha.
Quando lei mi abbracciava il mondo sembrava fermarsi e la mia mente, per un attimo, quasi rifiutava la singolare influenza che lo specchio aveva su di me, ma l’istinto di liberarmene non durò mai abbastanza perché questo accadesse veramente.
Da quando lo specchio mi aveva donato nuovamente la giovinezza, Charity si era dimostrata molto più affettuosa nei miei confronti: veniva a cercarmi molto più spesso di un tempo e mi chiedeva sempre di abbracciarla e mi chiedeva se le volevo bene.
-Che sciocchina che sei! – le rispondevo, accarezzandole i biondi capelli ed intercettando lo sguardo di quegli occhi così innocenti – Certo che ti voglio bene e te ne vorrò sempre.-
Ma lei non sembrava mai del tutto rassicurata dalle mie parole e si stringeva più forte a me, quasi temesse che io potessi allontanarmi da lei, lasciandola sola per sempre. La mia bambina era rimasta l’unica persona che non avesse paura di me, l’unica che osasse avvicinarsi a me da sola, anche se la sua balia faceva di tutto per impedirle di vedermi o di parlarmi. Ma lei non ascoltava coloro che cercavano di tenerla lontana da sua madre: lei era la mia bambina e mi avrebbe amato sempre, anche se fossi stata davvero la più perfida delle streghe. Ed anche io la amavo, poiché era l’unica in grado di tenermi in vita, l’unica che fosse in grado di scavare in profondità nella mia anima, per tirarne fuori il lato più umano, che, sebbene non me ne accorgessi, perdevo ogni volta che i miei occhi incontravano il loro riflesso nello Specchio di Tabitha.
Un giorno mi trovavo nelle mie stanze e tenevo Charity sulle ginocchia: ella, appoggiata al mio petto, si lasciava accarezzare i capelli e mai pace mi era sembrata più grande, mai silenzio più completo ed amabile di quello che ci avvolgeva. Si era addormentata al suono della mia voce ed ora io, ad occhi chiusi, mi aggrappavo a quel momento, sperando che non finisse mai, così non mi accorsi che Charity si era destata e si guardava intorno assonnata, finché un urlo di terrore non squarciò l’aria, costringendomi ad aprire gli occhi.
Charity urlava, piangeva, nascondeva il volto nel mio petto ed io non sapevo cosa fare, né cosa la spaventasse, fino a che non la vidi indicare, con la manina tremante, lo specchio: lo guardai e per un secondo scorsi il bagliore di quei terribili, freddi, mortali occhi neri e ne ebbi paura.
Presi in braccio Charity ed uscii dalla stanza e rimasi con lei fino a che non si fu calmata e, per la prima volta da mesi, sentii dentro un odio profondo per quello specchio malefico. Sentivo che, se avessi voluto, questa volta sarei riuscita a liberarmene per sempre e fu con questo intento che rientrai nella stanza.
Mi avvicinai con cautela allo specchio. Guardai il mio riflesso e qualcosa dentro di me esitò. Volevo davvero liberarmi di ciò che mi aveva mostrato la via dell’immortalità? Cosa sarebbe accaduto alla mia bellezza, alla mia giovinezza se avessi portato a termine il mio intento? Probabilmente le avrei perse per sempre: avrei gettato via il bene più prezioso che avevo; sarei invecchiata e un giorno avrei chiuso gli occhi per sempre. Guardai nuovamente gli occhi del mio riflesso e mi persi in essi ancora una volta: come avevo potuto pensare di gettare via il più prezioso dei tesori?
Stavo ancora contemplando me stessa e la mia bellezza quando, improvvisamente, l’immagine nello specchio cambiò. Vidi una donna canuta, avvolta in un bianco abito verginale: non la potevo vedere in faccia, poiché aveva il volto abbassato, nascosto dai lunghi capelli, ma era debole e stanca, seduta su un freddo pavimento di pietra ed, attorno a lei tutto era buio. Infine sollevò lentamente il capo fino a che mi fu possibile vederla in faccia ed un grido di orrore e dolore mi riempì la bocca, poiché l’orribile vecchia dal volto scavato, gli occhi infossati e le mani scheletriche che mi fissava dall’altra parte dello specchio ero io.
Mi gettai a terra e, piangendo, accarezzavo e baciavo lo specchio, pregandolo di perdonarmi e di mostrarmi un modo per salvare me stessa da quella sorte funesta.
A queste mie parole l’immagine nello specchio scomparve, sostituita da un’altra: gli occhi innocenti di Charity incontrarono i miei e nella mia mente subito fu chiaro ciò che dovevo fare.

***

Quella sera andai nella stanza di Charity e mi sedetti sul letto accanto a lei, cantandole una canzone per farla addormentare mentre le accarezzavo la testolina dorata. Quando ebbi finito vidi che era ancora sveglia, allora le sorrisi e la abbracciai, ma quando feci per alzarmi ed uscire lei mi richiamò indietro, e la sua vocina limpida e cristallina sembrava ansiosa e triste.
-Madre, puoi stringermi ancora una volta? Sussurrami nell’orecchio: “Ti amo ancora”, così non avrò più paura.- Allora le sorrisi e la strinsi forte a me, carezzandole la testa.
-Certo che ti amo ancora e ti amerò sempre, amore mio.- ma proprio quando la stavo per mettere sdraiata per rimboccarle le coperte la udii sussurrare, con voce appena udibile.
-Madre, mi hai mentito? Dimmi, perché? Ma c’è qualcosa di più profondo che io temo…- e dicendo queste parole, si addormentò, mentre una piccola lacrima le rigava il viso.

Justify the malice I portray!
Daggers in the darkness find your way,
when the moon is full and piercing bright.
Drench me with your innocence tonight.


Lasciai la stanza ed aspettai che il buio fosse completo prima di rientrarvi.
Charity dormiva profondamente e quando giunsi accanto al suo letto mi fermai a guardarla mentre, con la manina destra stretta attorno al bordo del cuscino, si succhiava il dito teneramente.
Infine, con voce flebile, le sussurrai: -Ti prego, perdona la mia malvagità.- e distolsi lo sguardo.
Infilai la mano destra sotto il mantello, estraendone due pugnali.
-Pugnali, trovate la vostra via nell’oscurità, quando la luna è piena e di un bagliore penetrante!-
Alzai lo sguardo verso la finestra ed aspettai: aspettai che la luna piena proiettasse il suo fatale raggio all’interno della stanza, illuminando la via ai miei pugnali e intanto cercavo dentro di me la forza di fare ciò che stavo per fare.
Ed eccolo: un pallido, timido, crudele raggio di luna entra dalla finestra, posandosi delicatamente sulla gola di Charity.
Ed allora nulla poté trattenere la mia mano e mentre le lacrime mi offuscavano la vista io continuavo a colpire il fragile corpicino di mia figlia, e intanto gridavo: -Bagnami con la tua innocenza, stanotte!-

”Don't you want to die,
walk beside me evermore.
Don't you feel alive
like you've never felt before?”

Improvvisamente tutto intorno a me si fece sfocato e le forze cominciarono a mancarmi. Mi fermai e mi sentii svenire.
Non so quanto tempo mi ci volle per riprendermi, se pochi secondi o numerosi anni, ma quando aprii gli occhi la luce della luna non illuminava più la stanza. Tutto era buio ed i miei occhi non sembravano in grado di abituarsi all'oscurità, poiché non riuscivo a distinguere i contorni di nulla.
Quando udii una voce dietro di me mi voltai e vidi lei. Charity mi fissava, il volto pallido e argenteo, quasi illuminato dalla luce lunare che non c'era più.
I suoi occhi spalancati, la sua piccola bocca semi aperta in un gridi muto di terrore inespressi, le piccole mani tese verso di me.
Ma guardandola non riuscii a provare pietà per lei, il sangue del mio sangue, la mia unica figlia. Una nera freddezza aveva indurito il mio cuore come una pietra ed io la guardavo senza riuscire a commuovermi alla vista di quella creatura spaventata e inerme.
-Madre... madre, perché mi hai abbandonata? Madre... mi hai mentito.- e in quel momento una lacrima le scivolò lungo la guancia diafana e la bocca si storse in una smorfia di dolore.
Solo in quel momento vidi sul suo collo, delle ampie ferite, dalle quali colava molto sangue.
-Non piangere, amore mio – ma il tono della mia voce rimaneva piatto e freddo, nonostante le parole dolci – non ti ho abbandonata, e rimarrò per sempre accanto a te. Grazie a te noi due staremo insieme per sempre e tu non soffrirai più.-
Mi abbassai fino a che non potemmo guardarci in faccia.
-Non vuoi morire? Camminare per sempre accanto a me? Ora non ti senti viva come non ti sei mai sentita prima?-

Visions of the future:
unprofound and blurred.
I have passed the point of no return...

Sentendo queste parole le lacrime le scesero copiose dagli occhi ed allora la mia mente si offuscò ed io vidi me stessa. Ero in piedi ed il mio volto era bellissimo: neppure durante la mia giovinezza ricordavo di essere stata così bella.
La mia pelle era diventata liscia, candida, perfetta; i miei occhi non erano mai stati così luminosi, mai le mie labbra più seducenti e carnose ed i miei capelli sembravano splendere di luce propria.
Allora guardai le mani dell'altra me stessa e vidi che erano ricoperte di macchie scure, incrostate di una sostanza terribilmente simile al sangue. Allora sorrisi, poiché non capii che quella visione del futuro mi era stata mandata come monito.
Non me ne accorsi, accecata com'ero dal desiderio di sconfiggere la vecchiaia.
Avevo superato il punto di non ritorno...

“Justify the malice I portray.
Let me keep my beauty one more day,
when the moon is full and piercing bright.
Drench me with your innocence tonight.”
Your blood preserves my place in time.

Mi girai nuovamente verso mia figlia e presi le sue piccole, delicate manine fra le mie. La terribile ferita alla gola era profonda ed i suoi occhi pieni di terrore. La sua pelle era fredda come il ghiaccio.
-Ti prego, perdona la mia malvagità... - le sussurrai, mentre guardavo i suoi grandi occhi, colmi di lacrime, immergersi nei miei.
-Se tu mi ami, lasciami conservare la mia bellezza ancora un giorno, quando la luna è piena e di un bagliore penetrante. Bagnami con la tua innocenza stanotte.-
Il gelo nel mio cuore era completo: nulla più mi importava della creaturina che io stesso avevo generata, ma l'unica cosa che per me contava era il suo sangue. Dovevo averlo, per immergermi in esso ed ottenere l'eterna giovinezza che mi era stata promessa.
Non vedevo altro davanti a me se non la bellissima me stessa che sarei potuta diventare non appena fossi riuscita a bagnarmi con quel sangue puro ed innocente...
Ma Charity esitava....
Mi guardava piangendo e scuoteva la testa. Si liberò dalla mia presa e si allontanò di qualche passo.
Fu allora che persi il controllo di me stessa.
Afferrai mia figlia per un braccio e la buttai per terra, mentre lei piangeva e si dimenava, cercando di sfuggire alla mia presa.
Quanto terrore in quegli occhi!
Come ho il coraggio di definirmi madre? Quale madre non si commuoverebbe davanti agli occhi pieni di lacrime di sua figlia, che implora pietà, non riuscendo a credere che sua madre possa volerle far del male.
Ma non ci fu pietà nel mio cuore e la mia mano era ferma quando, con un colpo solo, trafissi il cuore di Charity, facendone sgorgare il sangue.
Il liquido vitale mi inondava come acqua pura e la mia pelle sotto di esso sembrava rinascere.
Avevo ucciso mia figlia, ma la mia vanità era più grande della pietà. Non provai alcun rimorso nel guardare il corpicino esanime della mia creatura, i cui occhi, ormai spenti e vuoti, anche nella morte, erano puntati su di me e mi osservavano con paura e sgomento.
Chiusi gli occhi per distogliere lo sguardo da quella visione orribile e quando li riaprii non c’era più neppure una goccia di sangue sul pavimento, né sui miei vestiti.
Sapevo perfettamente che cosa dovevo fare.
Sollevai Charity fra le mie braccia e mi diressi verso la finestra e come già avevo fatto una volta, la lasciai cadere nel vuoto, con sguardo freddo ed impassibile.
Quando tornai in camera mia mi diressi subito verso lo specchio per contemplare il risultato della mia sanguinosa opera; e allora, per la prima volta, quando i miei occhi incontrarono la sua superficie, incrociarono lo sguardo maligno di quelle pupille fredde e scure, ma non ne ebbi paura e quando nello specchio apparve l’immagine di Charity non mi stupii, ma le sorrisi e bisbigliai: -Il tuo sangue preserva il mio posto nel tempo.- Lei non disse nulla, limitandosi a sorridermi a sua volta, ma il suo sorriso mi gelò il cuore, perché i suoi occhi non le appartenevano e brillavano di quella luce malvagia ed oscura.
Fu allora che mi resi conto, per la prima volta, di quello che avevo fatto e piansi, perché capii che nulla avrebbe salvato la mia anima dalla dannazione.
  
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