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Autore: kleines licht    17/05/2015    4 recensioni
Ispirata alla recente assenza di Jared alla JIB6.
Dal testo:
" Riusciva quasi ad immaginarselo, mentre provava a distrarsi, inventando qualche battuta e tirando qualche sorriso, giusto per suggerire a tutti che ogni cosa sarebbe tornata al suo posto, quando il primo ad avere paura era lui."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jared Padalecki, Jensen Ackles
Note: nessuna | Avvertimenti: Furry
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Buonsalve a tutti!
Ho deciso di scrivere questa ff perchè gli ultimi avvenimenti relativi a Jared e alla sua assenza alla JIB6 non potevano essere ignorati. Dopo il suo tweet, risalente ormai a ieri, e dopo le lacrime di Jensen sul palco mentre parlava di Jared non ho potuto fare altro che pensare e ripensare a come sta ora il nostro gigantor, e in tutto questo non potevo fare altro che ritrovarmi a scrivere su di loro :3
Ci tengo a precisare che Jared non ha specificato la causa precisa della sua assenza, che potrebbe anche essere un semplice raffreddore, ma che l'evento di depressione risalente a qualche anno fa è realmente accaduto (ed è uno dei moventi della campagna #AlwaysKeepFighting ^^) ed effettivamente Jensen lo ha aiutato ed era presente ;)
Detto ciò spero che possa piacervi, lasciatemi un commentino se vi va (anche solo per dirmi che non solo l'unica preoccupato per moose) e nulla, buona lettura
Baci
J

Desclaimer: i personaggi citati non mi appartengono (al momento) e tutti i fatti narrati sono inventati.



I'LL WATCH YOUR BACK...ALWAYS.

La luce del sole filtrava appena tra le serrande abbassate. Sentiva chiaramente i bambini giocare al piano di sotto, e sapeva bene che Gen stava semplicemente cercando di distarsi, e distrarli: loro non lo avevano visto, qualche anno prima, e nemmeno lei in realtà ma sapeva che solo parlarne l’aveva sconvolta.
Non voleva ferirla o preoccuparla, e ogni volta che sentiva i suoi passi salire le scale o si muniva di un sorriso, anche se tirato, oppure semplicemente chiudeva gli occhi e fingeva di dormire. L’ultima cosa che voleva, in realtà, era preoccupare chiunque gli stesse accanto, e si era sentito parecchio in colpa anche solo a twittare ai suoi fans, chiedendogli aiuto.
Ma al di là di tutti gli altri, quello per il quale si sentiva davvero in colpa era Jensen. Già solo pensarlo oltre oceano non era piacevole, con tutte quelle ore di volo che li separavano, ma di solito era semplice: o era accanto a lui, oppure aveva ben altro a cui pensare, malgrado non smettessero mai di tenersi in contatto, anche solo per qualche battuta.
Ora che si trovava a letto, però, con nove ore di fuso-orario a separarlo dal collega, e chiudere occhio era praticamente impossibile Sapeva che lo stava pensando, sapeva anche che era preoccupato per lui e che non si sarebbe dato pace fino a che non lo avesse visto di nuovo in forze, mentre sorrideva come era ormai abituato a fare.
La cosa che più lo infastidiva, in realtà, era non sapere quando e se quello sarebbe successo di nuovo. Sapeva bene di aver predicato di continuare a lottare, e ci credeva davvero ma diventava difficile trovare un modo per cui farlo con tutti quei pensieri per la testa, e la voglia di reagire assopita chissà dove.
A dire il vero, sotto sotto, aveva paura: quell’essere così imprevedibile, non sapere quando si sarebbe sentito abbastanza sicuro da uscire di casa lo metteva a disagio. Lui stesso pensava che fosse solo un malanno, qualcosa di passeggero, ma avevo bisogno di qualcuno che glielo dicesse e la voce di Gen non bastava.
Lui…la amava con tutto sé stesso e non avrebbe mai smesso di farlo. Così come amava anche le due piccole pesti, che avevano già provato a farlo alzare saltando sul letto, malgrado i tentativi di fermarli da parte di sua moglie.
Sapeva che loro tenevano a lui, che lo facevano per aiutarlo ma aveva bisogno di qualcun altro, e non riuscire a nasconderlo lo faceva infuriare. Certo, Jensen era il suo migliore amico ovviamente, ma non era sicuramente siamesi, potevano vivere l’uno lontano dall’altro, anche se erano abituati a vedersi ormai ogni giorno da dieci anni.
Pensava di essere riuscito a mantenere una certa dignità e autonomia, e invece si ritrovava a fissare il comodino, su cui aveva lasciato il telefono, nella speranza di ricevere anche solo un messaggio da lui. Ne aveva bisogno, tremendamente bisogno: era una sorta di imprinting, il loro, come se averlo tirato fuori da una situazione apparentemente simile una volta lo avesse reso un eroe. Il suo eroe.
Ed effettivamente, per molti versi, era così: aveva scelto lui per appoggiarlo nella sua campagna proprio perché vedeva in quegli occhi, nelle sue parole, la capacità di tirarti fuori da qualunque cosa, anche dal peggiore schifo che potesse esserci. E gli sarebbe bastato anche solo un abbraccio, in quel momento, o sentire il campanello suonare e sapere che il suo buddy  era lì.
Sei un uomo adulto, grosso e vaccinato Jay! Dannazione non puoi dipendere così tanto da Jensen, poco importa che lui ti abbia salvato una volta, puoi farcela da solo no?! Lo hai detto tu…always keep fighting. Always, non solo con Jensen nei paraggi. Provò a spronarsi ma non riuscì a fare a meno di sussultare e tendersi all’istante quando il telefono vibrò, riempiendo la stanza di un rumore normalmente fastidio ma in quel momento parecchio piacevole.
A dire il vero Jensen non aveva smesso un solo secondo di tempestarlo di messaggi e chiamate. Da quando lo aveva avvisato di non sentirsi bene, non aveva fatto alto che scrivergli o telefonargli in ogni secondo libero. Ed era quello che adorava di quell’uomo: la sua capacità di ca
pire le cose al volo, senza che ci fosse bisogno di spiegargliele, rischiando solo di farsi del male.
Lui aveva capito tutto prima ancora di finire di leggere il messaggio, ne era certo, e la risposta rapida, immediata ne era la conferma. Odiava saperlo preoccupato, probabilmente stanco per le ore di sonno che lui stesso aveva contribuito a rubargli ma al tempo stesso gli sembrava una delle cose migliori del mondo: sapere che lo stava pensando lo faceva sentire decisamente meglio, ormai.
Non era troppo sicuro di quando quel legame si fosse instaurato e fosse diventato così forte, ma sapeva che quella era l’ennesima prova che non potesse farne a meno, in nessun modo.
Prese il telefono tra le mani, stringendo appena gli occhi di fronte alla luce, quasi dolorosa, che lo colpì senza preavviso ma aprì lo stesso il messaggio.

Hey bro, come va? Il panel è appena finito e…qui manchi a tutti. Gli ho detto di non preoccuparsi troppo, che stai riposando e hai solo bisogno di stare con la tua famiglia … se vuoi ci possiamo sentire, se te la senti.

Sorrise scuotendo appena il capo: sapeva che sarebbe finita così, che se Jensen avesse intuito quel che gli passava per la testa avrebbe cominciato a diventare ansioso, quasi ossessivo. E sapeva anche che era qualcosa di loro, che li accumunava: se le parti fossero state invertite lui avrebbe fatto lo stesso, se non di peggio.
Riusciva quasi ad immaginarselo, mentre provava a distrarsi, inventando qualche battuta e tirando qualche sorriso, giusto per suggerire a tutti che ogni cosa sarebbe tornata al suo posto, quando il primo ad avere paura era lui.
E sapeva anche che, da bravo amico, non avrebbe dovuto dirgli niente ma fingere semplicemente che tutto andasse bene eppure era quasi sicuo che non sarebbe stato possibile: Jens lo avrebbe sorpreso anche dall’altro capo del telefono, in un’altra Nazione e nasconderglielo avrebbe solo peggiorato le cose. Ormai  erano così: sempre sinceri, su qualunque cosa. E forse Jens aveva ragione, più che amici era fatelli ormai.

Hey buddy! Mi sento un po’ meglio, al momento… hai fatto bene a tranquillizzarli. Dovresti vedere i tweet che mi hanno scritto, mi sono trovato a piangere come una ragazzina almeno una ventina di volte! Pensavo di riposare un po’ sai? Magari più tardi…che ne dici?

Rispose velocemente, sapendo che dall’altra parte c’erano due mani leggermente tremanti e due occhi sgranati, in attesa. E sapeva anche che, lui così come Jensen, erano consapevoli che la sua fosse solo una scusa per pensare in silenzio, e per lasciare all’altro il tempo di lasciarsi andare, riposarsi magari o anche solo distrarsi per qualche istante.
Perché nonostante tutto l’idea di togliergli qualcosa, di costringerlo a preoccuparsi per lui gli faceva annodare lo stomaco, e aveva paura di rovinare tutto quanto il quel modo: se solo fosse stato capace di cavarsela davvero da solo forse Jensen sarebbe stato meglio, forse gli avrebbe risparmiato qualche problema.
Si ritrovò a sospirare, profondamente pronto ad appoggiare di nuovo il telefono sul comodino, come se davvero non aspettasse una risposta! Era combattuto, in realtà: una parte di lui avrebbe voluto che Jensen lo lasciasse davvero in pace, assicurandogli che per una volta avrebbe pensato solamente a sé stesso ma dall’altra parte non voleva smetterlo di sentirlo vicino, di sapere che lui c’era e che ci sarebbe sempre stato e quell’assenza era solo un caso, una coincidenza, un evento da non ripetere. Era lavoro, era successo e basta ma lui aveva bisogno di sapere che Jensen non lo avrebbe lasciato solo.
Qualche istante dopo il telefono tornò a vibrare, stavolta più intensamente, accompagnato da un avviso sonoro che ormai aveva imparato a conoscere bene: twitter. Ed eccolo lì, l’avvertimento chiaro e tondo di Jensen che non intendeva arrendersi, che tutto il mondo doveva sapere –compreso lui stesso- che lui non lo avrebbe lasciato andare.
.@jarpad get some rest, my brother. I got ur back...Always. #AlwaysKeepFighting #SPNfamily
   
 
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