Storie originali > Azione
Segui la storia  |       
Autore: DavidCursedPoet    18/05/2015    0 recensioni
Questa storia parla di un giovine ragazzo, Derek, che ha maturato(ahilui) la convinzione di essere la vittima assoluta di un mondo, a suo dire, troppo crudele e che decide, a suo modo, di provare a cambiare la propria condizione.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve a tutti. Il mio nome è Derek. Se vi dovessi raccontare di me, la prima cosa che direi, è che sono nato vittima. La sorte ha voluto che non nascessi in una famiglia disastrata, che fossi educato normalmente, che frequentassi una buona scuola, mi diplomassi normalmente, con buoni voti. Che leggessi molto, che fossi molto riflessivo e molto sensibile. Sono contento di essere così. Forse la mia sventura risiede proprio in questo: sono troppo riflessivo e troppo sensibile. Insomma, sì, una di quelle persone a cui non puoi dire:" Fai schifo!" perché si offenderebbe e non ti parlerebbe più. A dire il vero, non so da cosa sia nata la mia sensibilità, fatto sta, che probabilmente è questa la causa della mia deriva.
 
Alle scuole medie, forse anche a causa della mia piccola statura, sono stato più di una volta vittima di bullismo: è pur vero che io ho provato ad oppormi, da solo, con le mie poche forze, però, ricordo ancora quei tre ragazzi. Mi chiesero di andare fuori al cortile della scuola con loro, una volta. Io, che li conoscevo solo di vista, li seguii, non avevo idea di ciò che stesse per accadere. Uno di loro, mi chiese:" Senti, Derek, per caso tu ce l'hai il cellulare?" "Ma certo!" "Me lo fai vedere?" Io anuii e glielo porsi, così, su due piedi, senza pensarci, col candore di un bambino, orgoglioso di quel piccolo tesoro. Inutile dire che dopo averci dato un'occhiata lo gettò a terra, tra le risa sguaiate degli altri due. Ci rimasi male, a dir poco. Sentivo che ero sul punto di piangere. E mi mollò un pugno, dopodichè andò via. Ripresi il cellulare. Andai dalla mia professoressa di italiano e spiegai l'accaduto, non mi interessava delle conseguenze: ero convinto che l'avrebbero pagata cara quei tre per l'affronto che mi avevano fatto. "Eh, Derek, mi dispiace tanto, adesso andrò a parlare con quelli, vedrò di farli calmare." Di fatto, non accadde nulla. Ci sono stati tantissimi altri casi in cui ho subito cose simili ed io ho sempre cercato di oppormi, senza far mai ricorso alla violenza. "I veri uomini non hanno bisogno di essere aggressivi, mi dicevo." Sì, ero convinto dell'ideale secondo cui le parole sono più efficaci dei pugni. Ora direi che è a dir poco ironico.
 
Poi, alle superiori, la situazione è cambiata. Sono cresciuto, ho trovato altre persone simili a me, ho iniziato ad avere alcuni amici, se così possono chiamarsi. All'inizio, i miei rapporti d'amicizia erano a dir poco idilliaci, davo molta importanza a coloro che mi circondavano, facevo di tutto per metterli a loro agio, scherzavo, ridevo, giocavo, aiutavo, quando e se possibile, consolavo. Alla fine, hanno finito per approfittare della mia bontà. Mi chiamavano "dolcetto". Sì, insomma, uno di quei nomignoli da due soldi, che però, forse, aveva un fondo di verità. L'ho odiato e lo odio ancora. Ogni volta che lo sentivo, reagivo male, alla fine, ho iniziato ad isolarmi sempre più, perché non ne potevo più di essere sfottuto, non mi piaceva sentirmi dire che ero una persona troppo dolce, troppo sensibile.
Dal terzo anno di superiore ho iniziato a rimanere a casa quasi ogni giorno, uscivo quel tanto che bastava per far star tranquilli i miei poveri genitori, che, poveretti, della mia vita non sapevano nulla: avevo buoni risultati a scuola, non causavo loro nessun problema a casa, stavo sempre per fatti miei, ripulivo la mia stanza e non ne uscivo quasi mai. Rimanevo a leggere e studiare, talvolta giocavo al PC. Amavo i classici della letteratura europea quelli che oggi sono in declino, sì. Ed ho sempre avuto una predilizione per gli autori "oppressi". C'era una sorta di simpatia fra me e loro (simpatia vuol dire, infatti, condivisione di dolore), tuttavia non ho mai pensato di scrivere, se non ora, dato che, ormai, non mi rimane altro da fare.
Pian piano mi sono reso conto della tristezza che mi circondava ed ho maturato alcune concezioni che non a stento posso definire filosofiche: il mondo si divide in due tipi di persone: oppressori ed oppressi. I primi ricorrono alla violenza ed alla demagogia per tenere sotto scacco i secondi. Questo grande meccanismo è insovvertibile, perché gli oppressi sono inabili a reagire: a loro (forse anche a me) basta vivere ed avere un piccolo spazio in cui potersi sfogare e distrarsi, di tanto in tanto; come per me i libri. Sono arrivato alla conclusione che gli oppressi, al fine di non essere più tali, devono indossare le vestigia degli oppressori e sostituirli. Molti pensano che questo ragionamento sia infinitamente semplicisitico e stupido: ritengo che queste persone siano o dei pigri o degli oppressori essi stessi. Posso garantirlo, perché, durante la mia infanzia ed adolescenza ci ho provato in tutti i modi: ho provato in tutti i modi possibili ad oppormi a chi voleva prendersi gioco di me, a chi piaceva la mia sofferenza: le conseguenze furono l'attirarmi odio da parte di chi mi circondava. Coloro che avrebbero dovuto aiutarmi, gli adulti, erano impassibili, ritenevano che le cose "si sarebbero sistemate da sole", come spesso ci si augura. Sì, a chi non piace che tutto di sistemi da sé? Peccato che non avvenga quasi mai. Dopo il liceo, dunque, iniziai la carriera universitaria, iscrivendomi alla facoltà di filosofia: mi sono ritirato, ma probabilmente, laureandomi non sarebbe cambiato molto. I miei genitori sono rimasti alquanto delusi da ciò, tuttavia, hanno accettato di buon grado che io lasciassi l'università. Adesso sono passati alcuni anni, non ho trovato un impiego fisso, diciamo.
 
Alla luce di tutto ciò che mi era accaduto, comunque, ho maturato la convinzione che andasse fatto qualcosa. Non mi sarei mai perdonato mai e poi mai di lasciare tutto così com'era: decisi di diventare un ideologo. Sì, mi attaccai all'idea di Giustizia, sì, con la G maiuscola. Pian piano, pian piano, come un verme che divora ingordo una mela dall'interno le idee di Giustizia e Vendetta si facevano largo nel mio cuore, ormai troppo ferito per essere risanato. Da quando avevo lasciato l'università, fino a quando non decisi di agire, non uscii di casa nemmeno una volta, ero completamente noncurante di tutto e di tutti. Se il mondo, come ci hanno sempre fatto credere, ha una ragione d'essere ed è stato creato da un Dio buono e giusto, sarei riuscito in quel che volevo: in verità, non nutrivo grandissime speranze, ma contavo sull'appoggio della fortuna. Mi sarei costruito una nuova vita, una nuova identità, sarei diventato un'altra persona. Certo, sapevo che avrei corso dei rischi enormi e che addirittura, poteva finir peggio di com'è finita in realtà, ma se un oppresso non decide di assumersi le proprie responsabilità, rimane sempre oppresso. Di tutto quel che ho fatto non mi pento, anzi, confesso, nonostante tutto, di andarne orgoglioso.
 
Finalmente, dopo parecchie settimane in cui non avevo fatto altro che pensare e pensare per conto mio, decisi che ero pronto. Mi preparai, presi tutti i miei risparmi ed uscii di casa. Era giunto il mio momento: il momento del riscatto, il momento della vendetta.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Azione / Vai alla pagina dell'autore: DavidCursedPoet