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Autore: Triz    21/05/2015    3 recensioni
E se si trovava lì, nella cucina del suo bilocale, a dare una scatoletta di cibo al proprio gatto - se non era morto, lo doveva solo a lei, Rose Bennet.
La storia di come Hugh Collins fu salvato da Rose e delle conseguenze di questo evento.
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Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nome (su EFP e sul Forum): Triz (EFP e Banner), Triz93 (Forum)
Titolo: Auld lang syne
Fandom: Originale
Genere: Introspettivo, Song-fic
Avvertimenti: Nessuno
Gruppo: Gli addii
Eventuali note dell’autore: In fondo alla storia.

Certe persone vivono più cose a vent'anni che a ottanta.
Hugh Collins non ricordò mai dove aveva sentito o letto questa frase, ma ritornava lo stesso alla sua memoria ogni volta che pensava a quell'anno passato insieme a lei.
Un anno, trecentosessantacinque giorni che potevano sembrare insignificanti se paragonati a una vita intera, eppure in quei giorni Hugh si era accorto di non essersi mai sentito così vivo.
E se si trovava lì, nella cucina del suo bilocale, a dare una scatoletta di cibo al proprio gatto - se non era morto, lo doveva solo a lei, Rose Bennet.

 
Should auld acquaintance be forgot, 
And never brought to mind? 
Should auld acquaintance be forgot, 
And auld lang syne? 

Ricordare la salvezza implicava, spesso, dover rivivere il pericolo scampato.
Hugh ripensava con un brivido di terrore ai giorni bui e sempre uguali che lo avevano reso sempre più infelice, fino a quel mese in cui non pensava costantemente che, forse, a nessuno sarebbe importato se lui non ci fosse stato più.
Del resto, chi mai poteva lasciarsi dietro? I genitori erano morti molti anni prima, non aveva animali domestici a cui badare, aveva pochissimi amici e l'ultima relazione stabile risaliva a quattro anni prima.
Non credeva che fosse una brutta idea, rifletté quel giorno di primavera raggiungendo in macchina l'ufficio, e perciò decise che avrebbe sistemato le cose in ufficio come al solito, dopodiché avrebbe raggiunto il tetto del palazzo e...
«Permesso, scusi» trillò una ragazza bionda entrando di corsa nell'ascensore insieme a lui. L'accozzaglia di colori che indossava e che la facevano assomigliare a un pappagallo umano contrastava molto con il completo scuro di Hugh, che si accorse che le fossette del suo sorriso erano indirizzate proprio a lui.
«Deve andare al sesto piano?».
«Oh, sì, anche lei?».
«Strano, non l'ho mai vista prima».
«Inizio oggi, sono in prova» rispose lei e con un sorriso ancora più largo gli porse la mano: «Sono Rose Bennet».

 
For auld lang syne, my dear,
for auld lang syne.

Rose Bennet, il nome di uno dei tanti personaggi che si sarebbero presto dimenticati di lui.
Questa era la prima impressione di Hugh su Rose e nemmeno il fatto che fossero vicini di scrivania o che lei approfittasse di ogni piccola pausa per attaccare bottone sembrava fargli cambiare idea.
Come aveva poi sperato, la giornata di lavoro passò in fretta e senza particolari noie: aveva già finito di sistemare il lavoro arretrato e aspettava sbuffando che l'ascensore arrivasse per portarlo al suo ultimo viaggio, quando anche Rose finì il suo lavoro e si mise vicino a lui
«Buonasera, signorina Bennet».
«Ancora? Ma le ho già detto che può chiamarmi per nome» lo rimproverò lei gentile e l'aria si riempì della sua risata cristallina: «Anzi, perché non cominciamo a darci del tu?».
Hugh non capiva il senso di tutta quella confidenza, ma decise di accontentarla: «E va bene, Rose» disse fingendo un sorriso amichevole e l'ascensore arrivò.
Entrò e fece per premere il pulsante per andare sul tetto, ma si ricordò che anche Rose era nell'ascensore e cambiò idea. Tanto l'indomani, rifletté schiacciando il pulsante del pianoterra, sarebbe stata un'altra giornata valida per tentare.
Ma né il giorno dopo né in quelli successivi, Hugh Collins premette quel pulsante.

 
We'll tak a cup o' kindness yet, 
For auld lang syne. 

Rose divenne speciale per tutto l'ufficio.
Non aveva chissà quale dote straordinaria, anzi era la tipica ragazza precaria anche piuttosto impedita con i computer - Hugh non avrebbe dimenticato mai quando aveva passato più di due ore a spiegarle come funzionava un programma. Qualcosa di Rose faceva sì che parecchi impiegati dell'ufficio rimanessero stregati da lei, ma Hugh aveva la sensazione che lei facesse di tutto per destinare a lui molte più gentilezze di quante ne riservasse ai colleghi.
Nei primi tempi, credeva di sbagliarsi e si convinceva che quella era solo una fase, ma non passò molto prima che anche Hugh finisse nella rete.

 
We twa hae run about the braes
And pou’d the gowans fine,
But we’ve wander’d monie a weary fit,
Sin auld lang syne.

Hugh si innamorò definitivamente di Rose durante l'annuale pic nic che l'ufficio organizzava a primavera.
Appartati dal resto degli impiegati, che tenevano d'occhio i bambini in libertà o che ne approfittavano per strappare qualche promessa di promozione, Rose e Hugh si erano seduti al tiepido sole dei primi di aprile. Avevano parlato a lungo mentre prima sbocconcellavano i panini che avevano portato con loro e poi, quando Rose iniziò a giocherellare distratta con la cravatta che aveva tolto a Hugh, lui si lasciò scappare la storia del suicidio.
Dire che Rose era rimasta sconvolta sarebbe stato un eufemismo.
Con la bocca aperta e gli occhi terrorizzati, Rose gli afferrò la testa tra le mani e lo osservò attentamente, come alla caccia di una ferita grave che lei doveva assolutamente curare.
«Ma è stato prima di conoscerti, Rose» provò a protestare Hugh, ma Rose rimase seria: «Ora io...».
Lei lo baciò senza dargli il tempo di concludere e Hugh, lasciandosi un po' trascinare dall'atmosfera, le passò una mano tra i capelli biondi ignorando un commento divertito di Phil O'Connor, che passava di lì per caso.
«Hugh, non pensare mai più di farlo» disse lei quando si separarono e Hugh promise, anche se quella fase terribile della sua vita era finita.
Non ci volle molto a Rose per tornare la ragazza spensierata che era arrivata al pic nic, ma Hugh si propose anche di non fare mai più nulla che potesse sconvolgerla fino a quel punto.

 
We twa hae paidl’d in the burn
Frae morning sun till dine,
But seas between us braid hae roar’d
Sin auld lang syne.

Rose Bennet si licenziò dall'ufficio un anno dopo aver conosciuto Hugh.
Lui fu il primo a saperlo e ci mancò poco che la birra che stava bevendo con lei gli andasse di traverso: «Ma perché?» chiese quando ebbe finito di tossicchiare.
«Non è colpa tua o di qualcun altro, Hugh, se è questo che credi» si affrettò a rispondere Rose alzando le mani: «Purtroppo sono io, è il mio carattere».
«Il tuo...?».
«Non mi piace fermarmi troppo a lungo nello stesso posto per vedere le stesse facce» lo interruppe Rose: «Sono fatta così».
Rabbia: è questo che provò Hugh di fronte a quella frase di Rose. Credeva di poter giustificare così la sua scelta di andarsene? Facile, chiunque ci sarebbe riuscito.
La piccola mano di Rose si posò con delicatezza sul pugno chiuso di Hugh e la rabbia che l'uomo provava si placò un po': odiava ammetterlo, ma anche questo faceva parte del carattere di Rose.

 
And there’s a hand my trusty fiere,
And gie’s a hand o thine,
And we’ll tak a right guid-willie waught,
For auld lang syne

Alla stazione, Rose non arrivò solo con la sua valigia.
«Lui è Bobby» spiegò indicando la palla di pelo che teneva in braccio e sorrise: «La gatta della mia ormai ex padrona di casa ha figliato da poco e ho pensato di affidarlo a te, Hugh, così potrà farti compagnia in mia assenza».
«Sicura di non voler restare?» domandò Hugh a bruciapelo e Rose sospirò.
«Hugh...».
«D'accordo, come non detto».
Il sorriso di Rose divenne più triste e la ragazza mise il gattino tra le mani di Hugh: «Grazie, Rose» mormorò lui accarezzando con un dito la testolina del cucciolo.
Rose gli diede un ultimo bacio a fior di labbra, prese in mano la valigia e si allontanò con la folla di viaggiatori verso i binari.

 
For auld lang syne, my dear,
For auld lang syne,
We’ll tak a cup of kindness yet,
For auld lang syne!

Erano passati due anni dal giorno in cui Rose prese il treno per chissà dove e, in quel tempo, Bobby era riuscito a diventare il gatto più grasso e pigro che Hugh avesse mai visto.
Hugh non riusciva a non pensare a Rose senza che una punta di nostalgia si insidiasse nel cuore assieme a un po' di rimpianto: forse avrebbe dovuto insistere, pensò anche che magari avrebbe potuto provare a farla desistere quello stesso giorno alla stazione.
Ma c'era quella parte di sé, meno romantica e più pratica, che credeva che forse non sarebbe cambiato niente.
Ed era questa parte ad avere il sopravvento ogni sera, quando Hugh dava da mangiare a Bobby e si sedeva per mangiare a sua volta: si versava un bicchiere di vino e con la mente faceva un brindisi a Rose e ai giorni trascorsi che non sarebbero mai accaduti se lei non fosse comparsa nella sua vita.

















Note dell'Autrice
La canzone che dà il titolo alla storia e a cui appartengono i versi è un canto popolare scozzese che si canta la notte di Capodanno o in occasione della fine di un periodo passato insieme a un gruppo e mi sembrava la canzone più adatta per la storia.
Un altro riferimento a Auld lang syne è il nome del gatto Bobby, diminuitivo di Robert Burns, colui che ha scritto la canzone.
Per concludere in bellezza, ti lascio il "cast" di prestavolti dei protagonisti: Carey Mulligan (Rose Bennet) e Martin Freeman (Hugh Collins).
Concludo le note ringraziandoti del contest e sperando che la storia sia di tuo gradimento.
A presto,
Triz
  
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