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Autore: Jewels5    21/05/2015    8 recensioni
Lei era drammatica.
Lui era dinamico.
Lei era precisa.
Lui era impulsivo.
Lui era James e lei era Lily, e un giorno condivisero un bacio, ma prima condivisero numerose discussioni, poiché lui era presuntuoso e lei dolce, e le questioni di cuore richiedono tempo.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: James/Lily
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Prima: Mary sta uscendo con un ragazzo di nome Umbert Stebbins. Adam McKinnon ha detto a Marlene di amarla a Maggio, ma Marlene voleva mantenere la loro relazione platonica. Il fratello maggiore di Donna, Kingsley, è un auror e Donna ha una sorella minore di nome Bridget e due fratelli minori, Isaiah e Brice. I suoi genitori erano stati tra i primi omicidi ad alto profilo di Voldemort. Sirius è stato buttato fuori dai Malandrini per il suo scherzo a Piton, ma Remus e Peter hanno deciso di perdonarlo. James no. Sirius e Donna lavorano al Paiolo Magico. Petunia Evans sta per sposarsi e Lily è una damigella, ma è frustrata perché Petunia non ha ancora detto a Vernon che Lily è una strega. Pensa che Petunia stia evitando di dirglielo per alzare un’altra barriera tra loro due.

 

Capitolo 25–“La Settimana delle Pretese”

O

"Hey Jude"

 

Phillip Stoake, trentadue anni, non era nessuno di particolare. I suoi amici dicevano che non avrebbe fatto male a una mosca.

Era nato a Newcastle, con due genitori babbani e una sorella minore, magica come lui. A Hogwarts era un Tassorosso e tutto ciò che questo implicava. I suoi voti non erano niente di speciale, ma aveva una reputazione da bravo ragazzo.

Si era sposato con la sua fidanzata di Hogwarts, Louise, due anni dopo aver completato il suo settimo anno e lavorava come custode al Ministero della Magia.

Nei giorni successivi, la gente avrebbe cominciato a capire che era il suo lavoro ad averlo reso un ottimo candidato… beh, il suo lavoro e il suo status di sangue. Perché, altrimenti, Philip Stoake non era nessuno in particolare–i suoi amici dicevano che non avrebbe fatto male a una mosca.

Non aveva semplicemente senso che in un lunedì di nessun reale significato, lui dovesse camminare nell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, dare la parola d’ordine che gli consentiva l’accesso agli uffici dei maggiori ufficiali e indirizzare ad Alexander Potter, capo dello stesso ufficio, un messaggio che, sosteneva Philip, proveniva dal Signore Oscuro.

I suoi occhi erano assenti e spenti. La sua voce monotona e priva di emozioni. Il suo viso pallido come la morte. C’erano lividi su tutto il suo corpo, nascosti dai suoi abiti da custode ma scoperti dopo, che mostravano che aveva opposto resistenza alla costrizione dei mangiamorte. Ma alla fine era caduto, aveva ceduto alle loro pretese, ed era stato costretto a portare avanti la sua missione.

La sua missione.

“Ho un messaggio dal Signore Oscuro per il Ministero della Magia,” disse Philip Stoake, trentadue anni, in quel caldo pomeriggio di giugno (il primo giorno della Settimana delle Pretese). Alex Potter si alzò dalla sua scrivania, la sua mano già nella tasca della veste, dove era riposta la bacchetta. Due assistenti della sala esterna, che avevano provato e fallito a impedire a Philip di entrare nell’ufficio del Signor Potter si affrettarono dentro dietro all’intruso, bacchette pronte ad attaccare se necessario, ma Potter alzò una mano per fermarli.

“Chi sei?” chiese teso.

“Ho un messaggio dal Signore Oscuro per il Ministero della Magia,” ripeté Philip Stoake, trentadue anni. Un qualunque studente del primo anno avrebbe potuto dire che era sotto incantesimo. “Porto il primo messaggio. Gli altri seguiranno. Se le pretese non saranno soddisfatte immediatamente, ci sarà una punizione.”

I due segretari guardarono spaventati al Signor Potter, ma lui vedeva solo Philip. “Non assecondiamo minacce di questa natura,” disse. “Dimmi il tuo nome.”

“Ho un messaggio dal Signore Oscuro per il Ministero della Magia. Porto il primo messaggio. Gli altri seguiranno.”

“Qual’è il tuo messaggio?” chiese Potter.

“Tutti i maghi nati da due genitori babbani dovranno avere le loro bacchette spezzate e i loro ricordi del mondo magico cancellati. I nati babbani minorenni saranno espulsi da Hogwarts e avranno le loro memorie cancellate. A nessun nato babbano sarà concesso praticare la magia in Inghilterra.” Philip si fermò. “Questa è la prima pretesa.”

“Come ti chiami?” insistette il Signor Potter. “Per favore, cerca di ricordare…”

Ma Philip Stoake, trentadue anni. aveva completato la sua missione. Tirò fuori la sua bacchetta molto velocemente, troppo velocemente perché qualcuno nell’ufficio reagisse, e si tagliò la gola. 

(Lunedì)

“Hai sentito questa storia?” chiese Lily al telefono, alzando il volume della radio magica mentre un’altra notizia sulla morte di Philip Stoake veniva annunciata. “È terribile.”

“Oh,” replicò Mary dall’altro capo del telefono, “Quel tizio Stoake? Lo so! Chi crede di essere, provare a farci cacciare dal mondo magico!”

“Mare, era sotto l’Imperius,” disse Lily.

“No, non lui. I mangiamorte e… Tu-Sai-Chi.”

“Oh. Giusto.”

Rimase in silenzio per un minuto. “Sta peggiorando, non è vero?” chiese infine la voce di Mary. “La guerra.”

Lily, che stava preparando la sua colazione, sospirò e si sporse sul bancone. “Sì.”

“Lo hai detto a tua madre? Io non ho detto niente ai miei genitori…”

“No, non glielo detto nemmeno io.”

“Probabilmente è meglio così,” disse Mary. “Si preoccuperebbero soltanto.”

Lily non rispose. Il suo toast uscì dal tostapane, e lei tenne il ricevitore tra la spalla e l’orecchio. “Ascolta, Mary, devo andare.”

“Sì, anche io. Appuntamento con Stebbins dopo, sai, e non ho nemmeno cominciato con i capelli.”

“Okay. Ti chiamo dopo.”

“Ti voglio bene.”

“Anche io. Oh, e Mary…”

“Sì, Tesoro?”

“Stai attenta, sì?”

“Certo, cara. Ciao.”

“Ciao.” 

Lily posò il telefono e cambiò la stazione alla radio così che quando sua madre sarebbe tornata con la spesa, ci sarebbe stata solo un’innocua canzone di Celestina Warbeck in onda. 


La cosa buona del giocare a Quidditch (o un derivato senza boccino, comunque) con Remus e Peter era che, dal punto di vista delle abilità, erano inferiori a James. Non che questa fosse una questione di ego o qualcosa di immaturo del genere. Piuttosto, i giocatori con minore esperienza dovevano concentrarsi più di James, e–di conseguenza–ci poteva essere poca conversazione.

James non voleva parlare con nessuno dei dannati traditori pugnalatori alle spalle con un piede in due scarpe.

Non voleva nemmeno che se ne andassero, però, quindi doveva fingere che non gli importasse che erano  pugnalatori alle spalle con un piede in due scarpe, e il miglior modo per farlo in maniera convincente era di evitare completamente di parlare… o parlare razionalmente, ad ogni modo–che era il perché, l’istante in cui non avrebbe potuto più convincerli a continuare questo stratagemma della partita di Quidditch, James aveva intenzione di ubriacarsi completamente.

Geniale, pensò, mancando intenzionalmente il tiro mediocre di Remus in direzione della sua porta.

Restituendo la pluffa offensiva, James volò al centro del campo quasi regolamentare dei Potter. Nel corso degli anni i Malandrini avevano sviluppato un sistema per giocare a Quidditch con solo quattro giocatori–Sirius l’aveva chiamato “Fake-ditch.” Le squadre erano divise in due contro due, con un membro di ogni squadra che giocava da cercatore e gli altri due nel ruolo sia di cacciatore che di portiere. I cercatori dovevano scambiarsi con i cacciatori-portieri ogni mezz’ora circa, e Sirius e James dovevano giocare contro, dal momento che avevano più abilità e pratica. Quest’estate, i tre Malandrini avevano tentato di adattare il gioco per un giocatore in meno, con James che giocava contro Remus e Peter. Benché le partite fossero abbastanza divertenti, non somigliavano per niente al Quidditch.

Per ogni goal, tutti e tre volavano al centro del campo dove Remus o Peter lanciavano la Pluffa per far sì che gli altri due la inseguissero, affinché ne guadagnassero il possesso.

Quando James e Remus si incontrarono al centro del campo, comunque, Remus non sembrava soddisfatto del suo ultimo goal.

“Sei arrabbiato con me,” lo accusò.

James inarcò le sopracciglia. “No, non lo sono,” insisté, provando a dargli la Pluffa.

Remus ignorò il gesto. “Sì, lo sei. Mi hai appena fatto fare goal.”

“Non è vero.”

“Prongs…”

Peter si unì a loro.

“Che succede?”

“Prongs è arrabbiato con noi.”

“Non è vero.”

“È per questo che ha mancato l’ultimo goal di proposito?”

“Ovviamente.”

“Anche se,” James sbuffò, “avessi mancato l’ultimo goal di proposito–e diciamo la verità, è due-contro-uno, e sto vincendo comunque, non capisco come facciate a pensare che sono arrabbiato con voi! Siete fuori. Ecco, qualcuno prenda questa…” Provò, ancora una volta, a dargli la Pluffa, ma nessuno dei suoi amici sembrava particolarmente interessato al gioco ormai.

“Atterriamo,” disse Remus, più come affermazione che come suggerimento. Peter lo seguì a terra, ma James esitò, sbuffando, prima di gettarsi in picchiata e incontrare gli altri due sull’erba. Lo guardarono con aria d’attesa.

Cosa?

Remus sospirò. “Sei arrabbiato con noi perché abbiamo perdonato Sirius.”

“Non mi importa,” disse James, stringendosi nelle spalle.

“Sì che ti importa.”

“Non mi importa.”

“Si che ti im…”

Non mi importa, okay? Lascia perdere.”

James incrociò le braccia irritato; sapeva che era un errore… li stava allontanando con la sua testardaggine e non avrebbe dovuto farlo… doveva essere più attento.

Remus si accigliò. “Se non sei arrabbiato, allora parliamone, sì?”

No.”

“Perché sei arrabbiato!”

“Perché non voglio parlarne!”

“Stronzate.”

Nell’interesse di non litigare, James si morse la lingua e provò a comportarsi normalmente. “Andiamo dentro,” suggerì con forza, voltando le spalle agli altri due e dirigendosi verso la casa.

Prongs,” lo chiamò Remus, e lui e Peter lo seguirono. James si fermò, perché non poteva averli davvero arrabbiati con lui, vero? Non poteva lasciarli andare via, perché sarebbero andati da Sirius e poi…

James si rese conto per la prima volta che era una questione di custodia. Stava giocando a braccio di ferro e stava perdendo.

“Cosa?” chiese, troppo bruscamente, girandosi verso di loro.

Remus esitò. “Io l’ho perdonato, Prongs, e io ero quello che avrebbe assalito Piton. So che è il tuo migliore amico, e ti senti tradito o non so cosa, ma… è tempo di lasciar…”

Non riuscì a fermarsi.

Come?” lo interruppe ad alta voce. “Come hai potuto semplicemente perdonarlo?” Come hai potuto semplicemente lasciar perdere? Non ha senso!”

Remus non aveva una risposta inizialmente; Peter, ad ogni modo, sì. “È Sirius.” Entrambi guardarono Wormtail. “Era uno stupido errore, ma… lui ci darebbe un’altra occasione.”

L’espressione di James rimase risoluta, comunque, e si voltò nuovamente verso Remus. Remus fissò James con uno sguardo intenso per diversi secondi e poi disse: “se qualcuno può perdonarmi per quello che sono… quello che ho fatto per diventare così e tutto quello che comporta… credo di poter perdonare Sirius per i suoi sbagli.”

Solo per un secondo, lo sguardo di James si addolcì, tanto che Remus pensò di essere riuscito a passare attraverso… poi, la rabbia tornò nei suoi occhi nocciola, e James scosse la testa. “Non è abbastanza.”

Furibondo, Remus alzò gli occhi al cielo. “Me ne vado,” annunciò.

Bene,” sbottò James. Peter rimase fermo. Remus, da parte sua, si diresse verso la casa, camminando velocemente. Lasciò cadere la scopa–una di quelle di James–sullo scalino e prese l’entrata che portava in cucina. Fu solo in quel momento che si ricordo che la Signora Potter era ancora a casa.

“Ciao, Remus,” disse distrattamente. Stava in piedi dietro il bancone, scrivendo un messaggio con una piuma.

“Oh–salve, Signora Pot…”

Ma lei probabilmente non l’aveva nemmeno sentito. “James sta entrando?”

“N-no. Non credo…”

“Bene. Non voglio litigare.”

Remus aprì la bocca per chiedere di cosa stesse parlando, ma lei continuò bruscamente.

“Hai sentito cosa è successo stamattina al Ministero?”

“Cosa? Oh, sì, quel tizio con la ‘pretesa…’”

“Beh, l’ufficiale del Minister–il testimone–che i giornali hanno menzionato… ho appena ricevuto un gufo…”

“Non è… il Signor Potter…?” cominciò Remus, temendo il peggio.

“Sta bene,” lo interruppe velocemente la signora Potter. “Sta bene; nessuno lo ha toccato, ma devo… devo andare adesso e…” stropicciò il pezzo di pergamena e Remus realizzò che doveva essere un messaggio di spiegazioni. “Lo dirai a James? Non ne ho tempo e lui discuterà, e…”

Remus annuì lentamente. “Si, certamente.”

“Grazie, Remus.” Lei gli sorrise calorosamente e poi, voltandosi, lasciò la cucina, i suoi tacchi che risuonavano sul pavimento. Remus rimase da solo nella stanza per un minuto o due, prima che sentisse il cigolio della porta della cucina, e James e Peter apparvero.

“Ancora qui?” sputò James, afferrando bottiglie di burrobirra dal congelatore incantato–una per lui e una per Peter.

“Non penso che me ne andrò all fine.” Remus lo guardò, e James notò la sua espressione lugubre.

“Cosa è successo?”

Alcune cose, decise Remus, erano più importante del portare rancore. “Forse preferiresti sedere.”


C’era questa famiglia di quattro persone (un padre, una madre, e due bambini piccoli) seduti in un angolo del pub, facendo un rumore tremendo mentre pranzavano. Il padre sembrava annoiato ed esausto, la madre stressata, e i bambini sembravano un mucchio sporco e viziato. C’era un mago più vecchio, dall’aspetto professionale, seduto vicino alla porta, distratto dal suo purè e salsicce da un rotolo di pergamena che era probabilmente per il suo lavoro, perché continuava a borbottare e a grattare via con la piuma. C’era anche una vecchia strega che odorava di tabacco, che si occupava di un largo bicchiere di whiskey (il suo secondo) ad un tavolo vicino alla finestra. Stava canticchiando una melodia familiare con uno sguardo triste e perso nel vuoto.

Il Paiolo Magico alle tre del pomeriggio di lunedì era un posto deprimente.

Donna pulì il bancone già impeccabile per la sedicesima volta, semplicemente perché non c’era nient’altro da fare. La folla dell’ora di pranzo era finita una o due ore prima, e un’altra folla sarebbe arrivata tra circa un’ora, ma in questo momento, la maggior parte delle persone che passavano attraverso il pub erano lì solo per tornare alle loro stanze o utilizzare il passaggio per Diagon Alley.

Il cling-clang della campanella sulla porta quasi echeggiò nella stanza quando l’ingresso sulla strada si aprì, ma Donna fu l’unica dei sette maghi e streghe nella stanza ad alzare lo sguardo.

Era Pip, un mago sulla settantina, col naso schiacciato e i capelli bianchi; passava la maggior parte dei suoi pomeriggi a bere (se non al Paiolo Magico, altrove), e durante il suo primo giorno al Paiolo, a Donna era stato detto (da Tom, il suo capo) di fermarlo prima di quanto volesse. Pip non era una persona cattiva, davvero. Non era un ubriaco tranquillo (che era sempre la cosa più triste), ma non era troppo rumoroso. Davvero, non si ubriacava mai troppo. Beveva il suo idromele lentamente e regolarmente, però, seduto al bordo del bar e raccontava storie a chiunque fosse disposto ad ascoltare. Donna in genere prestava attenzione solo perché lui era .

“‘Pomeriggio, signorina,” la salutò Pip, la sua faccia rossastra si illuminò alla vista di Donna.

“Salve,” replicò Donna.

“Il signor Black è qui oggi, signorina?”

“Sarà qui stasera con Tom,” disse l’altra. Il proprietario Tom (Donna non era sicura di conoscere il suo cognome) aveva assunto sia Donna che Sirius per aiutarlo al Paiolo Magico, mentre due dei suoi soliti lavoratori (due sorelle, Adelaide e Leona) erano in vacanza. Tom lavorava la sera, quando era più affollato, e Donna e Sirius facevano a turno per aiutarlo. Chiunque non fosse al bar la notte di solito si occupava del bar e della locanda il pomeriggio o la mattina (anche se Tom non era mai troppo lontano). Donna aveva anche lavorato per un turno di notte una volta, dalle undici di sera alle nove del mattino, anche se il bar era chiuso allora e doveva solo restare sveglia in caso qualcuno volesse una stanza al piano di sopra. Anche quello era meglio dell’infinito turno del pomeriggio. Anche se il pub era freddo e buio, ogniqualvolta la porta veniva aperta, permetteva ad una folata di umida e calda aria di luglio entrare, e anche se i clienti erano pochi in quell’ora, dozzine di streghe e maghi erano disposti ad andare alla Gringott, al Ghirigoro, da Florian Fortebraccio e qualunque altro negozio di Diagon Alley.

Pip si sedette alla sua solita seduta al bar e ordinò una pinta di idromele, che Donna gli consegnò rapidamente.

“Il diavolo è lì fuori, signorina, c’è,” la informò il mago, una volta che ebbe bevuto profondamente dalla pinta. “E il mio incantesimo di raffreddamento non è più quello di una volta.”

Donna annuì. “Può succedere. Potresti provare a bere meno, sai. Troppo liquore con l’età talvolta diminuisce le capacità magiche.”

“Sciocchezze,” sbuffò Pip. “Non è il bere che mi ha fatto questo. Sono ‘ei pazzi del Ministero. Ci avvelena nel sonno, il Ministero. Non fidarti di loro, signorina. Non fidarti nemmeno un po’.”

Donna si sporse sul bar. Sapeva di dovergli tenere il gioco, o almeno divertirlo, ma a volte, non poteva farne a meno. “Il Ministero della Magia ti ha avvelenato così che il tuo incantesimo raffreddante non funzioni più?” chiese scettica.

“È giusto.”

“Perché mai dovrebbe importare al Ministero se tu sia in grado di fare un incantesimo raffreddante o meno?”

Ma Pip, prevedibilmente, si rifiutò di vederla a modo suo. Aggrottò le sopracciglia, temporaneamente scontroso, e prese un altro sorso di idromele. “Se non lo sai, non posso dirtelo, Signorina,” disse semplicemente. Donna realizzò che aveva distrutto la sua unica speranza di conversazione per la prossima ora, e così si mosse nuovamente verso il centro del bar e si sedette sul suo sgabello.

Il mago vicino alla porta pagò il suo conto e andò via, probabilmente per tornare a lavoro, la strega anziana continuò a canticchiare sognante, e Donna aveva letto tre quarti delle etichette degli alcolici della seconda mensola quando la campanella dorata sopra la porta suonò di nuovo. Non alzò lo sguardo questa volta, sapendo che era quasi certamente un cliente di Diagon Alley. Fu pertanto sorpresa quando un mago si sedette al bar, vicino alla parete opposta all’angolo di Pip. Fu ancora più sorpresa nel trovare che era qualcuno che riconosceva.

Vestito in abiti neri del ministero con un badge dorato luccicante appuntato svogliatamente al suo colletto, c’era Lathe. Sì massaggiò la fronte stancamente–i suoi occhi blu chiusi–mentre chiedeva: “Un Whiskey Incendiario, liscio.”

Donna prese due bottiglie d una mensola. “Ogden o Belladonna?”

“Ogden” Versò il liquore, e Lathe lo ingoiò velocemente. “Un altro, per cortesia.” Lei lo assecondò, e questa volta, l’auror procedette con più calma. Si sedette anche più dritto, aprendo infine gli occhi e gettando lo sguardo su Donna per la prima volta.

“Ti ho già vista da qualche parte?” chiese.

“Dovresti bere in servizio?” ribatté Donna. Ripose le bottiglie sulle loro mensole, e Lathe fece un sorrisetto. Rimosse il badge dal suo abito e lo fece ruotare sul bancone davanti a lui.

“Non sono in servizio, amica. Sembra che non ci sarò nemmeno per un incantesimo.”

“Ti hanno licenziato?”

“No. Sospeso per un’indagine. Merlino, io ti ho già vista da qualche parte… Ti ho mai arrestata?”

"No," replicò lei, offesa. “Ero ad Hogwarts questo scorso anno.”

“Non deve esserti piaciuta molto la scuola,” disse Lathe, lanciando uno sguardo malizioso intorno al locale. Donna incrociò le braccia, più offesa.

“Sappi che ho avuto cinque ‘E’ ai miei G.U.F.O. Ho appena finito il mio sesto anno, questo è tutto. È un lavoro per le vacanze estive.”

Lathe annuì. “Beh, fa sempre bene. Quindi sei una studentessa di Hogwarts, giusto? E del settimo anno? Un po’ giovane per occuparti di un bar…”

Tu sei un po’ troppo giovane per guidare indagini degli auror.”

“Sono un prodigio.”

“Anche io.”

“Nell’alcol?”

“In tutto ciò che mi interessa.”

“Incluso l’alcol.”

“Incluso l’essere pagata.”

Lathe rise. “Hai vinto. Un altro, per cortesia.” Lei glielo versò e si sedette di nuovo sul suo sgabello di nuovo. “Non credo,” cominciò adesso, “che tu conosca una ragazza divertente di nome Evans, vero?”

“È nella mia stessa casa e anno.”

“Ah…” Un forte sorso di Whiskey Incendiario: “Quindi sei una Grifondoro, allora. Non mi sono mai piaciuti molto i Grifondoro quando andavo a scuola. Ero un Corvonero. Tu mi sembri estremamente familiare…”

“Mi hai accusato di aver incantato qualcuno il tuo primo giorno al castello,” disse Donna, ricordando l’incidente con malizia. “Oltre quello, non credo di averti visto da allora.”

Lathe si accigliò dietro il suo bicchiere. “E sei certa che non ti abbia mai arrestata? Ho un’idea di te nel dipartimento auror per qualche ragione.”

“Potresti star immaginando mio fratello, allora.”

“L’ho arrestato?”

“No, è uno di voi.”

“Un auror? Come si chiama?”

"Kingsley... Kingsley Shacklebolt."

Il riconoscimento si diffuse immediatamente sul volto di Lathe. “Giusto–sei la sorella di Kingsley, allora. Ha una foto dell’intera prole sulla sua scrivania… la sua scrivania è proprio accanto alla mia in questi giorni. Ovviamente sei molto più grande adesso.”

Donna acconsentì che questa fosse la verità, sapendo esattamente di quale foto stesse parlando Lathe. Era l’ultima foto dell’intera famiglia…

“Quindi sei la sorella di Kingsley? Dal modo in cui parla di te, immaginavo che fossi metà gigante, metà drago. Non in un senso cattivo…” aggiunse rapidamente Lathe. “Solo una forza da stimare.”

Compiaciuta per quella descrizione di se stessa, Donna non dibatte il punto. Invece, chiese: “quindi perché stanno indagando su di te? Non hai preso una bustarella, vero?”

“Niente di così male,” fu l’unica risposta di Lathe, e c’era una punta nella sua voce che disse a Donna di lasciar perdere. Fece un altro sorso di Whiskey Incendiario. “Avrei dovuto essere un barista,” rimuginò in dettaglio, guardandosi assentemente attorno nel pub. “È un lavoro molto pratico.”

“Cosa te lo fa pensare?” volle sapere Donna.

“Beh–nessuno cerca di ucciderti quotidianamente, no?”

“Peggio. Cercano di parlarmi.”

Lathe sembrava divertito. “Non ti piace parlare con le persone?”

“Non mi piacciono le persone che si siedono e pensano che perché gli verso il liquore, voglio sapere tutto dei loro problemi. I loro problemi sono stupidi di solito in ogni caso. Voglio dire–perché nel nome di Merlino mi dovrebbe importare se un tizio crede che la moglie lo stia tradendo? E dove pensa di poterle dire di non farlo, quando lo vedo comprare drink per piccole sgualdrine bionde tutto il dannato tempo?”

“Lo prendo come un ‘no.’”

Donna si accigliò. “Non mi dispiace parlare con persone intelligenti,” lo corresse freddamente. “Ma se ne incontrano davvero poche in un turno pomeridiano in un pub.”

L’auror inarcò le sopracciglia. “Mi stai insultando, Shacklebolt in miniatura?”

Confusa: “No…”

“E per qualche ragione, ti credo.” Picchiettò pigramente con un anello sul suo mignolo contro il suo bicchiere quasi vuoto. “Sei una ragazza strana, sai.”

Donna incrociò le braccia impaziente. “Posso sospenderti il servizio, sai.”

“Ma perderesti la mia preziosa clientela!”

“Forse non mi importa.”

“Ma io conosco Tom…”

“Tutti conoscono Tom. È il dannato Paiolo Magico.”

“Okay, va bene.” Lathe fece spallucce. “Ma mantengo la mia posizione.”

Donna fece un’espressione, ma non ebbe l’opportunità di rispondere, poiché Pip scelse quel momento per richiedere che lei alzasse il volume della radio dietro il bar. Lo fece con un movimento della bacchetta, e immediatamente, un altro reportage su Phillip Stoake riempi il pub relativamente silenzioso. Donna si voltò nuovamente verso Lathe. “Eri lì? Stamattina–quando è successo?”

“Stesso piano, ala diversa,” disse Lathe impassibile. Fece un gesto per un altro Whiskey Incendiario. “Ero nell’ufficio auror. Drake–qualcuno dall’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia–è entrato urlando, e un gruppo di noi è corso lì, ma Stoake era già morto.”

“Cosa faranno?” Chiese Donna. Lathe fece solo spallucce di nuovo.

“Sono in ‘congedo,’” le ricordò seccamente. “E comunque, non sono sicuro che ci sia molto che possano fare.”

“Non pensi che presteranno alcuna attenzione alla pretesa però…?”

“Non siamo ancora messi così male.” Scosse la testa e ingoiò il resto del suo ultimo drink. “Posso dirti una cosa, però–non è un buon periodo per sospendere auror. Stoake ha detto che la sua ‘pretesa’ era la prima, quindi suppongo che non sia finita.”

Donna maledisse mentalmente il suo fratello idiota per perseguire letteralmente la carriera più pericolosa della loro generazione e stava proprio per dirlo ad alta voce quando un largo gruppo di maghi e streghe entrò nel pub, e doveva prendersi cura di loro. Come si rivelò in seguito, il gruppo parve dare inizio alla folla del tardo pomeriggio, e dal momento che Donna fu piuttosto occupata per la successiva ora circa, non parlò molto di più con Lathe per il resto del tempo in cui lui rimase lì.

(Martedì)

“—Avresti potuto essere ucciso! Il Ministero deve aumentare la sicurezza! Sono solo in stato di negazione a questo punto! Ne parlerò immediatamente a Victor oggi…”

James scambiò uno sguardo con suo padre attraverso il tavolo della colazione, mentre Grace Potter continuava ciò che sembrava lo stesso monologo senza tregua che era cominciato alle undici della sera precedente–quando le era stato finalmente concesso di parlare con il marito–e doveva ancora fare cinque minuti di pausa.

“… Non c’è assolutamente alcuna ragione per cui una cosa del genere possa accadere! Il Ministero della Magia! Potrebbe essere accaduto qualcosa al Ministro, o a chiunque! E pensare…”

“Mamma!” la interruppe James ad alta voce. “Davvero, penso che la tua rabbia sarebbe meglio se diretta verso qualcun altro.”

La Signora Potter ripose la sua tazza da te’ e incrociò le braccia. “Sei incredibilmente tranquillo riguardo alla quasi morte di tuo padre, James Alexander.”

“Grace…” cominciò il Signor Potter, ma James si intromise ancora una volta.

“Mamma, è seduto a tavola, monopolizza tutti i toast come al solito, sta perfettamente bene–il ritratto della salute. Cosa? Sarei triste se fosse morto!”

Sua madre si voltò verso il Signor Potter. “Sgridalo tu, Alex.”

“Perché devo farlo io?”

“Perché mi piace essere il genitore buono.”

James alzò gli occhi al cielo e si alzò dal tavolo. “Vado a vedere se è arrivato il giornale.” Si fermò vicino alla porta; “Papà, sono davvero felice che tu non sia morto.”

“Grazie, James.”

“Siete due idioti,” si lamentò la Signora Potter.

Scuotendo il capo, James si diresse all’ingresso e poi in una stanza più piccola vicino la cucina dove i gufi erano soliti portare la posta la mattina. Elisabetta Seconda sedeva sul suo trespolo e il gufo del giornale riposava sul davanzale della finestra, con La Gazzetta del Profeta sulla scrivania. James pagò due zellini all’uccello e prese il giornale. Non cercò immediatamente il cruciverba, comunque; il titolo di prima pagina colse la sua attenzione.

“Merda.”

Corse nella stanza della colazione, dove sua madre si stava ancora lamentando della sicurezza al Ministero, e lasciò cadere il Profeta sul tavolo di fronte a suo padre.

“Cosa…?” Ma il Signor Potter lesse il testo in grassetto e si interruppe.

Il Signore Oscuro Pretende Una ‘Purificazione del Ministero.’

In seguito alla pretesa di ieri, emessa da un dipendente del Ministero sotto Imperius, il Signore Oscuro ha richiesto una purificazione da tutto il ‘sangue infetto’ del Ministero della Magia. Nel fare ciò, il movimento dei Mangiamorte ha reclamato un’altra vittima.

La Nata Babbana Ava Lescano, 40 anni, è stata riportata come scomparsa due settimane fa. La sua famiglia credeva che fosse stata rapita a causa del suo coinvolgimento con l’organizzazione pro-babbani Maghi per la Pace, M.P.P.; la Signora Lescano è ricomparsa stamattina presto solo per scrivere una seconda pretesa del Signore Oscuro sulla parete esterna del Ministero della Magia, sulla facciata visibile ai babbani. Il messaggio è stato scritto appena dopo l’alba, con solo due maghi come testimoni; i maghi del Ministero si stanno coordinando con le autorità babbane per isolare l’area e cancellare la memoria di qualunque possibile testimone babbano.

La pretesa, incisa con ciò che si sospetta essere un Incanto Logos, appare come segue:

“Questo è il secondo messaggio. Gli altri seguiranno. Il Ministero della Magia è stato infettato da sangue corrotto e dovrà essere purificato da tale inquinamento. Membri del Ministero Mezzosangue e Nati Babbani dovranno essere rilasciati dalle loro posizioni e sostituiti da maghi di mente e sangue degni. Questo è il secondo messaggio. Se questa pretesa non verrà esaudita, ci sarà una punizione.”

Dopo aver consegnato il suo “messaggio,” la Signora Lescano si è tolta la vita, agendo probabilmente sotto l’influenza della Maledizione Imperius.

C’era altro, ma James non ebbe il tempo di leggerlo da sopra la spalla di suo padre prima che il Signor Potter si alzasse improvvisamente.

“È in questo modo che vengo a sapere di ciò?” sbottò a nessuno in particolare. “Figlio di puttana–devo andare.” 

"Alex..."

Ma lui era uscito dalla stanza prima che si potesse aggiungere altro. La Signora Potter era sbiancata, e James sapeva cosa avrebbe detto prima che lei avesse formato le parole.

“Devo andare anche io.”

“Mamma, lavori per il Tesoro…”

“James,” disse piano sua madre, “sai che non è per quello.”

Lo sapeva. “M.P.P.,” borbottò. “Anche tu ne sei membro.”

“Philip Stoake,” disse piano la Signora Potter, “Sapevo di aver riconosciuto il nome. Sua moglie, Louise, è un membro…”

James annuì lentamente. “Vai, allora.”

“Starai bene qui, da solo?”

Come sempre. “Certo. Vai.”

James la seguì nella stanza esterna, e la Signora Potter si fermò vicino alla porta. “Puoi contattare tuo cugino Sam tramite camino? Anche lui fa parte dei M.P.P. Solo per essere sicuri…”

“Lo farò.”

La Signora Potter annuì rapidamente. “Ti voglio bene.”

“Ti voglio bene anche io.”

Poi se ne andò. James si sedette sul gradino in basso della scalinata principale e si guardò attorno nella grande stanza vuota. Sospirò e si passò una mano tra i capelli.


“‘Dopo aver consegnato il suo “messaggio,” la Signora Lescano si è tolta la vita, agendo probabilmente sotto l’influenza della Maledizione Imperius…’ Mary stai ascoltando?”

Mary allontanò lo sguardo dallo specchio sulla sua scrivania per guardare dove Marlene sedeva sul letto, giornale in mano, trasferendo la storia che aveva inondato i giornali e le trasmissioni per tutto il giorno. “Lo hai già letto due volte,” le fece notare la bruna, ritornando al vetro e applicando del lucidalabbra. “Non posso fare a meno di sentirlo.”

“Ed esci comunque oggi?” pressò Marlene tristemente. “Non è sicuro.”

“Sono uscita ieri e non sono morta,” replicò Mary. “Tra l’altro, sarò con Stebbins.”

“È ancora strano che lo chiami per cognome.”

“E quale parte de ‘Il suo nome è Umberto?’ non afferri?”

“Va bene,” concesse Marlene scuotendo le spalle. “Ma preferirei che non uscissi oggi.”

“Starò bene. Cosa farai tu oggi, tesoro?”

“Aiuterò i tuoi genitori,” replicò Marlene, il suo tono abbattuto. “Mi servono i soldi.”

“C’era un babbano stupendo al negozio ieri,” le disse Mary, presumibilmente con l’intento di confortarla. “Flirtava anche spudoratamente. Magari ci sarà di nuovo oggi.”

“Passo, grazie. Inoltre… i ‘babbani stupendi’ reagiscono diversamente a me che a te. Hai la bacchetta, vero?”

“Certo che ho la bacchetta. E che stai dicendo? Le tue gambe sono lunghe milioni di anni, e sei bionda. I ragazzi lo adorano.”

“Perché non ripeti qualche buon incanto difensivo? E io non sono te. Non peso mezza oncia, e arrossisco quando flirto. Inoltre, sono esattamente il tipo sbagliato di femminile.”

“Oh, sai,” disse Marlene in modo annoiato, scivolando dal letto e muovendosi verso la scrivania, dove cominciò a rovistare tra i numerosi e disordinati averi di Mary, che variavano da capi di abbigliamento a riviste. “Io sono un maschiaccio quando dovrei essere femminile e sono femminile quando i ragazzi preferiscono che una ragazza sia un maschiaccio.” Mary le lanciò uno sguardo confuso, e Marlene elaborò: “Ad una ragazza è concesso amare i vestiti e i trucchi e le relazioni stabili fintanto che è ‘delicata’ e ‘dolce’, o le è concesso essere rumorosa e irritante fintanto che non le interessano i trucchi, non le servono i trucchi ed è una sgualdrina. Ma io ci metto un’ora a prepararmi la mattina e reggo il whiskey incendiario troppo bene. È la combinazione sbagliata. Il mondo è piuttosto ingiusto.”

“Non ho idea di cosa tu stia parlando,” insisté Mary, ancora occupata dal suo armadio. Marlene sospirò e si sedette alla scrivania, prendendo svogliatamente una lettera che era poggiata lì.

“Chi ti ha mandato questa?

“Chi mi ha mandato cosa?”

“Questa lettera.”

“Sulla scrivania?”

“Sì.”

Mary lanciò un’occhiata da sopra la sua spalla. “Adam.”

“È ancora a San Francisco vero?”

"Mhm."

In quel momento, c’era letteralmente una sola cosa nella mente di Mary MacDonald. Avrebbe dovuto indossare il cardigan blu o quello verde? Entrambi le stavano fantasticamente, ed entrambi stavano bene con il suo prendisole. Quello blu era più casual, ma se avesse indossato quello verde, avrebbe potuto indossare i sandali verdi, e quelli facevano sembrare le sue gambe ancora più magre. Ma le piaceva davvero tanto quello blu e come faceva risaltare i suoi occhi… non che i ragazzi passassero parecchio tempo a guardare i suoi occhi, eppure… il colore preferito di Stebbins era il blu, quindi c’era anche quello.

Blu o verde, il grande dilemma dell’ora.

Ma se la concentrazione di Mary fosse stata meglio equipaggiata nel multitasking, avrebbe potuto ricordare un minuto o due prima esattamente cosa diceva la lettera da Adam McKinnon–la lettera che si trovava correntemente in possesso della sua migliore amica.

Sfortunatamente, Mary non lo ricordò un minuto o due prima. Piuttosto, se lo ricordò alquanto tardi.

La bruna si voltò giusto in tempo per vedere Marlene che lasciava cadere la pergamena sulla scrivania e si alzava.

“Merda,” imprecò Mary.

"Prudence Daly?" Marlene chiese a voce piuttosto alta. “Sta uscendo con la dannata Prudence Daly? Io odio Prudence Daly!"

“Perché odi Prudence Daly?" volle sapere Mary.

Marlene esitò. “Beh–lei è… lo sai… minuscola. E femminile. E probabilmente più intelligente di me. Non lo so, non mi è mai piaciuta, ecco tutto!” Marlene si sedette di nuovo sul letto. “E perché non mi ha detto che sta uscendo con Prudence Daly? Perché a scritto a te poi?”

“Hai letto la lettera, vero? Aveva bisogno di sapere cosa…”

“Non riesco a credere che stia uscendo con la Dannata Prudence Daly! In America, niente meno!”

“Ora, Marlene,” la confortò la sua amica, sedendosi accanto a lei. “Si sono messi insieme ad un matrimonio–una di quegli scenari ‘Mio cugino sta sposando tua sorella’ che succedono d’estate e che finiscono entro il primo di settembre. Storie estive, sai.” Marlene sembrava leggermente rincuorata, ma non interamente soddisfatta. “Ovviamente,” continuò Mary deliberatamente, “sembra quasi che tu sia un po’ gelosa…”

“Non sono gelosa!” protestò Marlene prevedibilmente. “Io non sono gelosa. Mi piace solo essere informata quando il mio migliore… okay, il mio secondo migliore amico esce con una.”

“Beh, se tu…”

“E trovo interessante che lui stia voltando pagina così velocemente.”

“Beh, Cara, sono passati due me…”

“Non che io sia preoccupata dal fatto che abbia voltato pagina. Io voglio che volti pagina.”

“Quindi dovresti essere…”

“Ma Prudence? La Dannata Prudence Daly? Davvero.”

Mary decise di non provare a dire null’altro, ma, con un espressione astuta, prese il maglione blu dalla sua stampella e se lo mise. Si esaminò allo specchio, e in un prendisole fiorato che mostrava più gambe di quante ne nascondeva, con il suo cardigan blu chiaro e la sua acconciatura alta e complicata, stava davvero piuttosto bene.

“Preferirei comunque che tu non uscissi,” borbottò Marlene, prendendo di nuovo il giornale. “Stebbins è un Tassorosso… non so se sarebbe abbastanza bravo in uno scontro.”

Mary alzò gli occhi al cielo e si voltò verso la sua migliore amica, sorridendo in modo confortante. “Ti farebbe sentire meglio se invitassi Stebbins a passare il pomeriggio qui invece?”

Illuminandosi considerabilmente, Marlene annuì.

“Bene. Ma sei in debito, Price.”

“Grazie, Amore.”

Scuotendo la testa, Mary andò di nuovo a controllarsi allo specchio–solo per assicurarsi che il suo eyeliner fosse perfetto–mentre Marlene, ancora apparentemente assorbita dal giornale, mormorava qualcosa sulla Dannata Prudence Daly.


"Lily," la rimproverò sua madre attraverso la cucina; “chiudi il rubinetto–c’è la siccità sai.” 

Lily eseguì, anche se non felicemente, e aggiunse: “Se mi lasciassi fare a modo mio, potrei utilizzare un semplice incanto aguamenti, e…”

“Non ora, Lily,” la interruppe la Signora Evans. “C’è Vernon nell’altra stanza.”

La rossa, che stava lavando il suo piatto del pranzo, lo ripose e si voltò verso sua madre. “Dovrà scoprirlo ad un certo punto, no?”

La Signora Evans scosse appena la testa, tornando alla pila di bollette che stava esaminando, e le due donne furono raggiunte dalla terza prima che potesse essere detta qualunque altra cosa.

“Vernon resta per cena,” annunciò Petunia. “Ce n’è abbastanza, vero?”

Troppo facile, pensò Lily, così si astenne dall’ovvia battuta “Vernon mangia come un maiale” e si sedette senza una parola al tavolo della cucina.

“In abbondanza,” replicò la Signora Evans, che aveva probabilmente previsto la situazione. Vernon di solito rimaneva per cena.

“Bene.” Petunia si avvicinò al lavandino, dove cominciò a sciacquare i piatti che aveva appena portato dal salotto, e, nel frattempo, Lily lanciò alla Signora Evans uno sguardo significativo. La donna più anziana scosse di nuovo la testa, questa volta con un significato specifico, e, per un momento, le due furono coinvolte in una battaglia silenziosa. Poi, Lily si voltò sulla sedia verso Petunia, che–lavando ancora i piatti–dava le spalle alla sua famiglia.

“Petunia,” cominciò con coraggio, e la Signora Evans sospirò.

"Mmm?"

Con uno sguardo cauto verso la porta chiusa che le separava da Vernon: “Io–anzi, noi ci chiedevamo quando avessi intenzione di parlare con il tuo fidanzato.”

Petunia rimase immobile per un momento, ma solo per un momento, e poi riprese a lavare. “Non so di cosa tu stia parlando.”

“Di me,” disse Lily con enfasi. Petunia non disse nulla. "Tuney..."

La bionda posò i piatti e si voltò verso le altre due. “Stavate parlando di me, vero?” chiese brutalmente. La sua faccia era arrossata.

No,” disse Lily ad alta voce. “Stavamo parlando di me. Sai, comincerà a farsi delle domande, e non potrai continuare con la storia della ‘mentalmente disturbata’ per sempre.”

"Lily..."

“Oh, Mamma, sai che è vero,” la interruppe Lily, lanciando un’occhiata a sua madre. “Marge mi ha detto tutte le strane cose che pensa di me, e devono pur venire da qualche parte…”

“Non ti riguarda affatto cosa io voglia discutere con il mio fidanzato,” scattò Petunia. “E io ti ringrazierò del fatto che non parlarli di me alle mie spalle!”

“Non lo stavamo facendo,” insisté Lily, alzandosi. “Ma lui dovrebbe…”

“Oh, abbassa la voce!”

Lily parlò in un sussurro più alto: “Lui dovrebbe saperlo. Sono una damigella, per l’amor di Merlino!”

“E allora?”

"Petunia..."

“Ragazze,” intervenne la Signora Evans, “Lily, lascia perdere. È una scelta di Petunia.”

“Ma…”

“Sì, Lily, è una mia scelta…”

“Ma…”

"Lily."

Sconfitta, Lily si sedette di nuovo. Petunia la guardò in cagnesco mentre usciva dalla cucina. La Signora Evans sospirò profondamente. “Non riuscirai a conquistarla in quel modo.”

“Conquistarla?” ripeté Lily, scettica. “È un po’ tardi per quello, non credi?”

“È difficile per lei, Lily.”

“Ma perché non vuole dirlo a Dursley?”

La Signora Evans le lanciò un’occhiata. “Come pensi esattamente che tu cominceresti quella conversazione, Signorina Lily?”

“Non è questo il p…”

“E tu credi che Vernon sarà particolarmente aperto all’idea?”

Lily incrociò le braccia e si stravaccò in avanti sul tavolo. “Quindi anche tu pensi che non sposerà Petunia se lo scopre.”

“Anche?”

“Beh–è quello che Tuney pensa, no?”

La Signora Evans esitò. La sua espressione era imperscrutabile, ma Lily pensava che sua madre fosse piuttosto inclinata a dissentire. “Dai qualche credito a tua sorella.”

“Cosa dovrebbe significare?”

“Solo–solo che magari non dovresti avere tanta fretta nel far confidare il tuo segreto a Vernon da Petunia. È una questione davvero complicata.”

Gli occhi di Lily si strinsero. “Ti ha detto qualcosa, vero?”

“Non ho intenzione di discutere…”

“Mamma…”

"Lily." E c’era un’indiscutibile finalità nel suo tono, così Lily si accontentò di alzare gli occhi al centro e mettere il broncio. La Signora Evans inarcò le sopracciglia, e poi, in un tono rassegnato, chiese: “Hai ancora fame?”

“Sì, ma non c’è cibo in casa…” (Cortesia della dieta imperialistica di Petunia…)

“C’è del cioccolato nel mobile accanto alla ghiacciaia.”

Lily si accigliò. “Stai cercando di placarmi con la cioccolata?”

“Sì.”

“Beh, non sta funzionando,” Eppure, la rossa si diresse verso il mobile in questione e, localizzando il cioccolato in questione, si sentì un po’ meglio. Ma solo un po’.

Anche il testimone di Vernon–un tizio dalla faccia dura, dal nome stereotipico di Rex–si presentò per cena. Con le sue spiacevoli distrazioni, Lily non ebbe alcuna opportunità per parlare con Petunia per la maggior parte del pomeriggio, e, invece, non fece alcun tentativo. Infatti, fu Petunia ad iniziare il dialogo dopo cena quella sera.

La due ragazze vennero lasciate sole brevemente nel salotto, dal momento che la loro madre era in cucina, e Vernon aveva portato Rex alla porta. Lily si stava appena alzando per ritirarsi nella sua stanza quando Petunia parlò. 

"Lily."

"Hmm?"

La faccia di Petunia sembrava pallida, e c’era solennità nei suoi occhi di ghiaccio. “Vernon e io andremo a fare un giro in macchina stasera.” Lily attese che concludesse. “Gli dirò di te stasera.”

Lily non sarebbe potuta essere più sorpresa se sua sorella avesse appena annunciato che aveva intenzione di scappare a Bermuda. “Oh. Io–oh.” E, dal momento che pensava di dover dire qualcos’altro. “Beh, è una cosa buona, no?”

Ma Petunia non diede alcuna risposta verbale; la sua espressione cambiò solo appena per indicare che aveva sentito la domanda di Lily, e poi, annunciando la sua inclinazione nel prendere un cardigan prima di andarsene, la sorella maggiore uscì dalla stanza.

(Mercoledì)

Sirius entrò nel Paiolo Magico giusto in tempo per sentire Donna sbottare “Stronzate,” prima di spegnere prontamente la radio dietro il bar. Il mago inarcò le sopracciglia e si fece strada verso la sala principale.

“Buongiorno?” suggerì lui, e Donna incrociò le braccia al petto, appoggiandosi contro il bar.

“Hai sentito l’ultimo ‘messaggio’?”

“‘Ripulire’ il Ministero? Sì.”

“No, ce n’è uno nuovo,” disse Donna con impazienza. Si raddrizzò, cercando qualcosa che aveva infine riposto sulla mensola alle sue spalle accanto ad una bottiglia di vino. Era l’ultima Gazzetta del Profeta. Donna la lanciò sul bar vuoto, e Sirius si avvicinò per leggere il titolo.

“Voldemort vuole che tutti i mezzosangue siano registrati con il Ministero,” dedusse con irritazione. “Fottuto stronzo. C’è stata un’altra…”

“Vittima?” offrì Donna. Lei annuì. “Un mezzosangue questa volta. Si sta espandendo. Sei in ritardo, tra parentesi.”

Sirius afferrò un grembiule e sospirò. “Solo di un minuto.”

Due minuti,” lo corresse.

“Il mondo è finito in mia assenza?”

“No, ma la folla del pranzo comincerà presto, e non voglio vedermela tutta da…”

"Shack."

“Cosa?”

"Rilassati.”

Per un momento, Donna sembrò toccata dall’ordine; poi, fece spallucce e ribatté: “Levati dalle palle.”

Sirius alzò gli occhi al cielo.


Lily si era già addormentata prima che Petunia fosse tornata martedì notte, e Petunia era andata via di nuovo prima che Lily si svegliasse mercoledì, così le due sorelle non si erano incontrate prima che Petunia fosse tornata mercoledì sera dopo una giornata in città. La Signora Evans era uscita, e Lily sedeva nella sua stanza, ascoltando i The Five Keys e divorando Victor Hugo in una fervente procrastinazione dei suoi compiti per le vacanze. Di conseguenza, la più giovane delle sorelle Evans non sentì affatto sua sorella tornare a casa prima che Petunia bussasse alla sua porta chiusa.

“Avanti?”

Petunia entrò; sembrava stanca, ma era impeccabile come sempre nel suo vestito a fiori e scarpe basse–non sembrando affatto come se avesse passato l’intera giornata a fare commissioni nel caldo. 

“Tuney,” la salutò Lily, sedendosi immediatamente e sentendosi per un momento pateticamente inferiore in shorts di cotone e una maglietta. L’espressione di sua sorella le comunicò che veniva per consegnare un messaggio serio, e non ci potevano essere dubbi sul suo contenuto. “Sei tornata…”

Petunia impiegò un lungo periodo di tempo prima di dire qualcosa, comunque. Chiuse la porta della camera da letto alle sue spalle, ignorando l’invito a sedersi di Lily, e si morse le labbra ansiosamente. Una serie di potenziali disastri attraversarono la mente della ragazza più giovane, mentre si immaginava ogni possibile reazione di Vernon. Me certamente non avrebbe fatto qualcosa di troppo drastico…

E in un momento di selvaggia fantasia, Lily s’immaginò Dursley annullare il matrimonio. S’immaginò una Petunia dal cuore spezzato, che difendeva la sua sorellina nonostante le sue stesse evidenti riserve...

Lily trattenne il respiro in attesa.

“Gliel’ho detto,” disse Petunia in tono gelido.

Lily si prese un momento per digerire la notizia, quindi replicò: “Beh, è una cosa buona, non è così? Voglio dire, se sta per diventare mio cognato, è meglio che...”

“Vernon ti vuole fuori dal matrimonio.”

“C-cosa?” balbettò la ragazza più giovane. “E tu che cosa gli hai detto?”

“Puoi ancora venire, se vuoi,” continuò Petunia. “Tuttavia ci sono cinque testimoni dello sposo; Rachel Richards dovrebbe entrare nel tuo vestito da damigella, ma ho bisogno che tu lo restituisca. E ti siederai con nostra madre durante la cerimonia e al ricevimento. Sposterò lo zio Donald a un altro tavolo e...”

Petunia!” la interruppe Lily veemente. “Non puoi...non puoi permettergli di dirti cosa fare in questo modo! Non è una sua decisione!”

“Lo so,” disse Petunia; il suo tono si addolcì di un infinitesimo. “Ma ha ragione; questo non è il tuo posto, Lily. Sin da quando sei andata in quel posto...”

“Hogwarts non ha niente a che fare con tutto questo!” gridò Lily. “Come puoi permettergli di fare una cosa del genere?”

Vernon non sta facendo proprio nulla,” scattò l’altra.

Lily saltò giù dal letto, affrettandosi verso la sorella. “Che cos’è questa storia? Cosa intendi con “Vernon ti vuole fuori dal matrimonio”? Che cosa gli hai detto?”

“Gli ho detto di te...” Come se fosse ovvio; “Gli ho semplicemente detto la verità.”

“Ma perchè vuole...?”

“Oh, Lily,” la interruppe Petunia, sprezzante; “è naturale che sia successo questo! E’ naturale che non ti voglia al matrimonio! Perchè mai vorebbe...? Ed io...” Un barlume di emozioni sfavillò nei suoi occhi. “...lo sapevo che sarebbe successo questo!”

“Tu...?”

“Certo, naturalmente! Che altro sarebbe potuto succedere?”

“Tuney...”

“Sapevo – ho sempre saputo che questo è quello che sarebbe successo se avessi detto di te a Vernon! Ma la mamma – la mamma si ostinava a volere che tu venissi al matrimonio, mentre tu continuavi a dire che io avevo paura, e continuavi...continuavi a premere e insistere! Non potevi proprio lasciare andare!”

“Quindi è colpia mia, non è vero?”

“Certo che è colpa tua!” gemette Petunia.

“Quindi che cosa ha detto?” chiese Lily. “Che non ti avrebbe sposato se io fossi rimasta una damigella?”

“Vernon mi sposerebbe a qualunque costo. Lui mi ama.”

“Allora..”

“Non voglio avere più niente a che fare con te, Lily! Sei via in quella scuola tutto l’anno...ti sei persa tutto. Quando ho finito la scuola, tu non eri ancora tornata a casa...avresti dovuto essere presente per molte cose –per parlarmi dopo il mio primo appuntamento, per consolarmi dopo una rottura...quando papà è morto...”

“Non osare, Petunia...”

“Il punto è...” insistettè Petunia con odio, “che noi non siamo sorelle. Non siamo nemmeno amiche. Tu sei andata via, e io non voglio avere più niente a che fare con te! E neanche Vernon dovrebbe volerlo. Tu non puoi far parte sia della mia vita che...”

“Quindi scegli lui?”

Petunia non rispose subito. Alla fine, mormorò: “Sei tu quella che se n’è andata.”

Lily fissò incredula la sorella, del tutto a corto di parole.

Che altro sarebbe potuto succedere?

A ciò, Lily aveva un centinaio di risposte; ne aveva una in particolare, ma se la rimangiò, e non era certa se fosse per non ferire la sorella o perchè aveva paura che non le sarebbe importato nulla.

“Quindi ho bisogno che tu restituisca il vestito,” disse ancora Petunia. 

Era quasi come se non sapesse che il cuore di Lily si stava spezzando.

“...Entro domani, al più.”

Quasi.

Si voltò per andarsene, ma Lily ritrovò la voce prima che Petunia lasciasse la stanza. “Petunia,” la pregò. “Perchè stai...? Io ti conosco...non lo faresti mai se tu non...” (“lo volessi”, stava per dire.)

La mano di Petunia indugiò sulla maniglia della porta, con la schiena ancora rivolta verso Lily. “Tutto questo è colpa tua.” Quindi, quasi come se non sapesse che il cuore di Lily si stava spezzando, Petunia se ne andò.

(Giovedì)

Il Signore Oscuro Esige Immediate Dimissioni del Ministro

Di Jillian Jones

Giovedì a mezzogiorno, il Paiolo Magico presentava l’improbabile combinazione di folla e silenzio. Ogni tavolo era pieno e il bar stracolmo; Tom aveva persino magicamente esteso una delle pareti per aumentare lo spazio per stare in piedi, eppure quasi nessuno parlava. Invece, ascoltavano le ultime notizie alla radio magicamente amplificata; tre morti a Bristol, e un’altra pretesa di Lord Voldemort. 

Era una di quelle cose che non volevi sentire da solo.

Donna stava lavorando con Tom, e Lily, Marlene e James erano tra la moltitudine di maghi e streghe nel pub. Lily era seduta con Marlene nel centro della sala affollata, mentre James era seduto a una certa distanza con un mago che Lily non conosceva.

Il mago alla radio aveva una voce ricca, profonda e addolorata che Lily pensò non avrebbe mai potuto dimenticare finchè avresse avuto vita. Non era solo il messaggio, e non erano solo le tre morti a Bristol – era il fatto che, finalmente, il vero messaggio di Voldemort era diventato chiaro. Le sue piccole pretese erano insignificanti a confronto; doveva sapere che il Ministro della Magia non avrebbe dato le dimissioni, che ai Nati Babbani non sarebbero state spezzate le bacchette e che i mezzosangue non sarebbero stati registrati. Ma a lui non importava, non è così?

Non era quello il punto, e giovedì, con altre tre morti, Lily pensò di aver finalmente compreso tutto.

Il suo vero messaggio era che poteva uccidere chiunque volesse; che poteva fare qualunque cosa volesse e niente e nessuno sarebbe stato in grado di fermarlo. Non stava esigendo qualcosa; si stava mettendo in mostra.

Ed era terrificante.

“...su Londra sembra essere calato il silenzio, mentre il Signore Oscure ha emanato un’altra pretesa ai Maghi d’Inghilterra...”

Alcune persone la chiamavano guerra, riflettè Marlene, ma non lo era–non proprio. Nelle guerra–almeno in quelle babbane–c’erano dei fronti; c’erano eserciti e uniformi. C’erano battaglie: le persone si presentavano, combattevano e si uccidevano a vicenda, e veniva chiamato inferno, ma almeno c’era–coerenza. Almeno si sapeva chi era il nemico.

Questo tipo di codardia non era una guerra; era semplice, schifoso assassinio. 

“...tre membri della M.P.P, una coalizione di maghi e streghe dedicata ad assicurare un’esistenza pacifica e l’uguaglianza tra coloro aventi diverso stato di sangue...”

Sam Dearborn era una ragazzo interessante.

Aveva frequentato Hogwarts per due giorni esatti, ma il Cappello Parlante l’aveva smistato a Tassorosso e i suoi genitori purosangue, sentendosi umiliati, l’avevano riportato a casa. O almeno, era così che Sam raccontava sempre la storia.

James in un certo qual modo ammirava il suo eccentrico cugino; non aveva paura quasi di nulla, tra cui l’ira della madre intimidatoria, e questo diceva molto. Nel corso degli anni, James aveva visto Sam straordinariamente felice, l’aveva visto ubriaco e l’aveva visto annoiato. L’aveva visto furioso, deluso, speranzoso e disorientato.

Ma James non pensava di aver mai visto, prima di quel pomeriggio, un Sam Dearborn triste.

Il mago più grande (poichè Sam aveva sei anni più di James) non incontrava lo sguardo di nessuno. Non stava facendo battute; non c’era nessun entusiasmo sul suo viso lungo, sottile e lentigginoso. Sembrava semplicemente triste, mentre faceva ruotare sul tavolo un distintivo rotondo e dorato, non più grande di un galeone. Le lettere M.P.P. erano incise sulla superficie della spilla.

“Erano brave persone,” aveva mormorato Sam poco prima. “Non se lo meritavano.”

James non ne dubitava.

Lily era nella sala. James l’aveva notato l’attimo in cui era entrata, anche se non si ricordava esattamenta di averla vista arrivare con Marlene. Per quanto si sentisse in colpa a pensarci in un momento come questo, James non poteva fare a meno di lanciare qualche occhiata occasionale nella sua direzione. Lei stava bevendo burrobirra e aveva un aspetto estremamente solenne, più pallida del solito, tanto che il rosso delle labbra e il verde degli occhi erano in forte risalto.

“...Gli Auror arrancano nella ricerca di un qualunque indizio o schema che possa aiutare a impedire ulteriori violente consegne di nuovi messaggi...”

“Gli Auror arrancano,” pensò Donna amaramente, mentre versava gin ad una anziana strega al bar. L’affermazione sembrava abbastanza semplice, ma implicava molto di più...gli auror arrancavano nella ricerca...lasciavano le loro case per giorni alla volta, lavoravano come pazzi quando ritornavano a casa, cercando di trovare una soluzione che non sembrava esistesse...

Ovviamente, era più facile farli sembrare degli incompetenti–arrancavano–era più facile per tutti, perchè dopotutto nessuno voleva sentire che non c’era niente che nessuno potesse fare. Neanche Donna voleva immaginare una cosa del genere.

“...Il Ministro della Magia ha in programma di rilasciare la sua dichiarazione questo pomeriggio...”

Quando Sirius entrò nel pub a mezzogiorno e mezza, era solo per controllare il piano dei turni affisso sul retro, ma la folla inusuale, tetra e malinconica, attirò la sua attenzione, così rimase dietro al bancone con Donna per alcuni minuti.

“Il tuo amico è qui,” lo informò lei, come un mormorio sordo si diffondeva tra la moltitudine di maghi e streghe nel Paiolo Magico.

“Non so se l’hai notato,” ribattè Sirius freddamente, “ma non è più esattamente mio amico.”

Donna si limitò ad alzare le spalle. “In tal caso, faresti meglio a stargli alla larga.”

Sirius inarcò un sopracciglio. “E per quale motivo?”

“Scatti d’ira sono all’ordine del giorno – ci sono state due risse da questa mattina.”

“Non mi dire,” Sirius ghignò amaramente. “Allora è meglio che me ne vada. Ci vediamo tra qualche ora, Shack.”

Donna non diede risposta, ma si limitò a soddisfare un’altra richiesta di Wiskey Incendiario.

James aveva visto Sirius entrare; aveva notato come il suo ex migliore amico si era infilato dietro al bancone, era sparito nel retro del bar ed era poi riapparso qualche minuto dopo per scambiare qualche parola con Tom e Shacklebolt. L’annunciatore alla radio ormai non faceva altro che ripetere le stesse cose, quindi sedate conversazioni erano cominciate per tutto il bar. Sam disse qualcosa di insolitamente cinico, e un mago vicino suggerì rabbiosamente che il Ministro avrebbe dovuto dare le dimissioni, se solo per porre fine a quella situazione.

Sirius si diresse verso la porta sul retro che portava a Diagon Alley.

“Pensaci, Prongs! Andrà lì, passerà sotto il Platano Picchiatore, vedrà Moony...”

James risentì le supposizioni entusiatiche di Sirius, vecchie di mesi, ma che ciò nonostante pungevano ancora come un taglio appena fatto...

“Non far finta che ti sarebbe interessato anche un minimo di Piton se non fosse stato per lei...”

Pungevano e bruciavano e dolevano e gli facevano ribollire il sangue nelle vene...

Il movimento dei Mangiamorte reclama un’altra vittima...

Starai bene qui, tutto da solo?

Tre morti a Bristol...

Non se lo meritavano.

James fece quasi cadere il suo bicchiere dal tavolo quando si alzò in piedi. Sirius se n’era già andato, discretamente così come era venuto.

“Torno subito,” mormorò James a un distratto Sam, che si limitò ad annuire.

Lily aveva visto James lasciare il pub dietro a Sirius, così riportò il fatto a Marlene quando la bionda fu di ritorno al loro tavolo angusto con un altro giro di Burrobirra. Marlene aggrottò la fronte.

“Non dovremmo...?” cominciò Lily, ma la sua compagna scosse la testa.

“Affari loro, non nostri.”

“Ma...”

Lily.” Marlene sospirò pesantemente. “Non puoi risolvere tutto.”

James si ritrovò nel calore opprimente e sotto il cielo grigio di una Diagon Alley desolata. Una manciata di maghi e streghe percorrevano il viale, ma, a parte questo, James non aveva mai visto quel posto così deserto. Sirius fu facile da individuare, leggermente ingobbito mentre camminava con le mani in tasca.

Black!”

Il mago si arrestò al sentire il suo nome, gridato in tono neutro da qualche parte dietro di lui. Si voltò e vide James avanzare velocemente verso di lui. Troppo scioccato per ribattere, Sirius aspettò che James parlasse di nuovo.

La sua espressione era difficile da decifrare, come se anche lui fosse incerto di cosa fare o del motivo per cui aveva richiamato l’attenzione di Sirius. Alla fine, tuttavia, James incrociò lo sguardo con quello di Sirius, e c’era qualcosa di malevolo nei suoi occhi.

“Non m’importa di quello che dice Remus,” gli disse James senza mezzi termini; “Non ho intenzione di perdonarti.”

Solo quando si rese conto di essere deluso, Sirius si accorse di essere stato speranzoso. “Ah, è così?” mormorò dispassionatamente.

“Esatto.”

“Beh...congratulazioni allora.” Sirius fece per andarsene, ma James non aveva ancora finito.

“Sei un bugiardo, sai.”

Sirius si fermò.

“Lo sei. Sei un bugiardo e un codardo egoista. Non penso che tu abbia mai fatto una singola cosa per qualcuno che non fosse te stesso...”

“Va al diavolo.”

James si avvicinò di più e in un tono teso e amaro pose la sua sfida: “Mandamici tu stesso.”

I pugni di Sirius si strinsero contro i suoi fianchi, ma altrimenti non si mosse. Si limitò a ricambiare lo sguardo duro di James per diversi secondi. James era ora più alto di lui (ma era da anni che se lo aspettava), e portava anche un nuovo paio di occhiali–strano. Sirius si era in un certo qual modo aspettato che James rimanesse sempre uguale in quell’ultimo paio di mesi.

“Non ho intenzione di fare a pugni con te, Prongs,” disse alla fine. Questo era tutto quello che James voleva al momento–una lotta. “Stai sprecando il tuo tempo.”

“Paura?”

Va al diavolo.”

Si voltò di nuovo con l’intenzione di andarsene, e ancora una volta il tono di scherno di James lo fece fermare.

“Immagino che tu abbia paura, Sirius. Mi chiedo che cosa ci voglia... potrei chiamarti traditore del tuo sangue... questo spingerebbe Regulus ad attaccare, non è vero?”

Sirius si voltò ancora una volta; la sua bacchetta era estratta adesso. “Non vuoi davvero farlo,” scattò, affrontando di nuovo James. “Anch’io so come ferirti, Prongs.”

“Ma hai paura,” schernì James.

“Non è vero.”

“E invece sì.”

Sirius ghignò malignamente. “Almeno io non vengo sempre secondo a Mocciosus.”

Lo sguardo di James si scurì dalla rabbia. Indicò la bacchetta di Sirius, stretta tra dita bianche. “Vuoi davvero lasciarmi credere che la userai?”

“Non tentarmi.”

Ma ovviamente, quelle erano esattamente le intenzioni di James. Diede uno spintone alla spalla di Sirius. “Come, così?” pungolò prima di dare un altro spintone.


Trovare James e Sirius non si rivelò affatto una sfida per Lily e Marlene, una volta che ebbero messo piede a Diagon Alley. Alcuni spettatori avevano formato un cerchio, e qualcuno stava urlando quel incentivo senza tempo destinato ad attirare altre persone ovunque venisse pronunciato: “Rissa!”

Lily e Marlene si scambiarono uno sguardo. “Te l’avevo detto che era una buona idea,” commentò la prima.

“Non fare l’arrogante,” ribattè l’altra, ed entrambe si affrettarono verso la folla di persone.

Bacchette abbandonate e dimenticate, James e Sirius stavano per lo più rotolando nello sporco della strada acciottolata, colpendosi dovunque riuscissero ad arrivare. Entrambi stavano sanguinando.

Ragazzi!” gridò Marlene, visto come nessun altro sembrava stesse facendo molto per risolvere la situazione. James e Sirius la ignorarono, continuando a darsele di santa ragione, quindi la bionda estrasse la sua bacchetta.

Lily, tuttavia, fu più veloce. Proprio quando James era riuscito a tener fermo Sirius sotto di lui e aveva chiuso il pugno per colpirlo, Lily si fece avanti e gli afferrò il braccio alzato, tirandolo via con tutte le sue forze. Non riuscì esattamente a districare James, visto che lui era molto più grosso di lei, ma riuscì ad impedire il colpo imminente, facendo voltare James verso il nuovo arrivato.

“Levati di mezzo, amico...” cominciò a dire, ma s’interruppe nel vedere di chi si trattava. Lily inarcò le sopracciglia e continuò a tirare il braccio di James. Sirius riuscì così a riguadagnare la libertà e a sedersi con una mano sul labbro sanguinante, mentre James si alzava in piedi. “Questi non sono affari tuoi,” le disse, meno violentemente ma non senza rimanere serio.

“Voi due siete patetici,” scattò Lily. “Altre tre persono sono morte questa mattina e voi due siete qua fuori a darvele come dei bambini di cinque anni!”

“Tutto ciò non ti riguarda, Lily,” ripetè James fermamente. Entrambi notarono come lei stesse ancora tenendo stretto il suo braccio, e lui lo tirò via nello stesso momento in cui lei lasciò andare, imbarazzata.

Certo che mi riguarda,” ribattè. Anche Sirius si alzò, e con un ultimo sguardo torvo diretto a James, si voltò e si diresse verso il suo appartamento. James se ne andò nella direzione opposta, borbottando tra sè e sè. Lily si voltò verso Marlene, la quale alzò gli occhi al cielo.

“Io prendo James, tu occupati di Sirius,” disse Marlene, sospirando. Lily annuì e cominciò a inseguire l’ex-Malandrino, mentre Marlene inseguiva James. 

Lily raggiunse Sirius arrivati davanti alla farmacia; il suo aspetto, notò in quel momento, era decisamente disastrato.

“Avresti dovuto lasciarci combattere,” le disse, appoggiandosi contro il muro del negozio, mentre Lily faceva apparire un asciugamano bagnato per pulirgli la faccia. “Entrambi ce lo meritavamo.”

Lily roteò gli occhi. “Che cosa è successo?”

Sirius si limitò a scrollare le spalle e a prendere l’asciugamano che gli veniva offerto. “Lui voleva fare a pugni, suppongo, quindi ce le siamo date.”

“Che cosa ha detto? Merlino, il tuo occhio si sta gonfiando... qui...” Si occupò del cerchio nero che si stava formando intorno all’occhio di Sirius, e lui aspettò che lei ebbe finito prima di parlare. “Allora?”

“Ha detto che mi odia.”

Sinceramente sorpresa, gli occhi di Lily si spalancarono; “Ha davvero detto questo? Con quelle esatte parole?”

Sirius sorrise senza allegria. “No,” disse, scuotendo la testa. “No, non è andata così. Ma ad ogni modo, l’ha detto.”

“Non capisco cosa vuoi dire.”

“Voglio dire...” Sirius pensò al modo migliore per esprimersi, “Voglio dire che io e James ci conosciamo troppo bene per limitarci a – picchiarci. Ci sono certi... limiti che non si possono superare, e ci sono certi argomenti che non si possono affrontare–cose che non puoi dire, ma che se lo fai, allora... non si può più tornare indietro.”

Lily si accigliò. “E questa cosa–lui te l’ha detta?”

Sirius annuì; “E io l’ho detta a lui.”

“Oh.”

Rimasero in silenzio per un pò, quindi Sirius aggiunse con amaro divertimento: “Non hai intenzione di chiedermi cosa ci siamo detti?”

“Ma per favore.” Lily distolse lo sguardo, sperando che lui non notasse la sua evidente curiosità. “Quelli veramente non sono affari miei.”

Sirius si tolse l’asciugamano dal viso e si guardò le mani, dibattendo internamente su qualcosa, senza alcun dubbio. “Probabilmente no,” disse infine. “Dovrei rientrare,” aggiunse, indicando il piano superiore dell’edificio dove si trovava il suo appartamento. “Vorrei farmi una doccia prima di andare a lavoro.”

“Okay.”

Sirius entrò nel portone. “Ciao, Lily.”

Lily lo salutò, ma lo richiamò prima che fu sparito all’interno. “Cambierà idea,” disse, sincera, e si rese conto che stava cercando di convincere se stessa tanto quanto Sirius. Il mago scosse la testa.

“Non penso proprio.”

La sua espressione, appena prima di andarsene, era grave e tetra. C'erano delle linee che Lily non aveva mai notato in precedenza, e i suoi occhi grigi erano invecchiati.


Marlene, nel frattempo, aveva raggiunto James mentre lui si stava infilando in un vicolo buio oltre la Gelateria Fortebraccio. Le ci volle un momento prima di rendersi conto di dove si stesse dirigendo, quindi si affrettò, afferrandogli un braccio per fermarlo. 

“Nocturn Alley, Potter? Ma fai sul serio?” Lasciandolo andare, Marlene incrociò le braccia. James sembrò sorpreso di vedere Marlene, e lei penso di sapere il perchè. “Ti aspettavi venisse Lily.”

James ignorò la sua affermazione, invece ribattendo: “Qui c’è un pub che mi piace. Faresti meglio ad andare, Price.”

“Il tuo naso sta sanguinando,” fece notare Marlene.

“Posso occuparmene da solo.”

“Oppure posso farlo io.” E prima che James potesse protestare, ad uno sventolio di bacchetta sentì il suo naso fare crack, mentre ritornava a posto.

“Eh, mica male, Price.”

“Sono una strega dai molti talenti,” replicò Marlene seccamente.

James s’infilò le mani in tasca e si appoggiò contro il muro dell’edificio più vicino–un negozio minaccioso e male illuminato, con un cartello in vetrina che leggeva “Occhi di Ragno a Dozzine.”

“Che cosa ci fai qui?” chiese lui. “Prometto di non fare più a pugni con nessuno, se serve a qualcosa.”

“Ancora non riesco a capire quale sia la situazione,” si lamentò Marlene.

“E’ meglio che tu non capisca,” borbottò James. “Basta sapere che Black è un idiota e che non voglio più avere niente a che fare con lui.”

“Oh,” disse Marlene. “Va bene.”

James le lanciò un’occhiata.

“Beh, che cosa ti aspettavi che dicessi?”

“Pensavo avessi delle perle di saggezza da rifilarmi, considerando il fatto che mi hai seguita fino a qui per una qualche ragione...”

“Oh. Beh...” Marlene ci pensò per un attimo. “Suppongo di essere innamorata,” disse infine. James si limitò a fissarla. “Ne sono certa–davvero. E sai una cosa... penso di esserlo stata per tutto questo tempo, solo che non me ne sono mai resa conto fino a... qualche tempo fa.” James continuò a fissarla come se fosse pazza, così, incontrando il suo sguardo, Marlene sogghignò. “Beh che c’è? A te è permesso assecondare i tuoi piccoli dilemmi emotivi in tempi come questi e a me no?”

James si strinse nelle spalle. “McKinnon?”

Marlene non rispose esattamente, ma nemmeno negò, e questo era di per sè una conferma. “Sei la prima persona a cui lo confesso,” disse invece. “Ma suppongo che tutti lo sappiano comunque.” Mantenne un’espressione triste e distante per alcuni secondi, poi si riscosse e continuò, in tono pratico: “Ha una ragazza ora. Prudence Daly.”

James cercò di farsi venire il mente che aspetto aveva. “Oh–quella bella ragazza indiana di Corvonero?” Marlene si accigliò, e James si schiarì la gola: “Giusto. È... decisamente orrenda.”

Ridendo, Marlene scosse la testa. “Non lo è, invece,” sospirò la bionda. “Ma ad ogni modo, voglio arrivare a qualcosa con tutto questo.”

“E sarebbe...?”

“Non si ha sempre il tempo di fare le cose che si vogliono fare per... aggiustare le cose. Io non so cosa ti abbia fatto–Sirius, intendo. Magari è imperdonabile, ma, personalmente, io non aspetterei di scoprirlo.”

“Questa non è una questione di tempo, Marlene.”

“Certo che lo è. Ogni cosa lo è. Voglio dire–pensi davvero di non voler mai più essere amico di Sirius?”

“No, io...”

“E poi,” insistette lei, “pensi davvero che lui aspetterà per sempre che tu cambi idea e lo perdoni? Prima o poi smetterà di sentirsi in colpa e comincerà a biasimare te tanto quanto tu biasimi lui, e a quel punto sarà davvero troppo tardi.” Marlene sospirò e si tirò indietro una ciocca di capelli sfuggita alla sua coda di cavallo. “Le persone non aspettano per sempre, James. Non lo fanno e basta.”

Marlene se ne andò poco tempo dopo, e James rimase solo nella stradina in penombra. Per quanto Diagon Alley fosse deserta, Nocturn Alley quel pomeriggio lo era ancora di più.

“Sirius sta bene, se te lo stavi chiedendo.”

Questa volta, era davvero Lily, e c’era tanto nervosismo nella sua voce quanto bastava a spingere James ad alzare lo sguardo verso di lei. A un certo punto, tra quando l’aveva separato da Sirius e quel momento, la strega si era tirata indietro i capelli in una coda bassa, che le ricadeva sulla spalla destra.  Aveva i capelli più corti che le incorniciavano il volto appiccicati alla fronte, e le guance arrossate per la calura. Oltretutto, non sembrava particolarmente contenta di lui, le mani sui fianchi, strette al cotone della gonna viola che indossava. La gonna viola che le arrivava più o meno a metà coscia, e...

James si riscosse.

Le ragazze facevano tanto le santarelle.

“Non me lo stavo chiedendo," rispose.

"Giusto," scattò Lily sarcastica. "Perché adesso lo odi."

James sospirò. "Pensavo che non prendessi parti."

"Non lo faccio."

"Pensavo che non saresti venuta a dirmi quando perdonarlo."

"Non l’ho fatto." Lily spostò il peso e incrociò le braccia al petto. "Ma ora si, perché—perché adesso è diventata decisamente una cosa stupida."

"Capisco," borbottò. "Quindi tutte queste sceneggiate ti hanno stancata, è così? Solo perché a Remus non interessa più non significa che anche io sia pronto a saltare a bordo del..."

"Oh, scemenze..."

"Che?”

"Ho detto scemenze! Sono sciocchezze, e lo sai!"

"Perché ti importa tanto?" James le chiese, accalorato.

"Perché, idiota che non sei altro..." Tirò fuori la bacchetta, e per un secondo, James scioccamente pensò che gli avrebbe lanciato una maledizione. Invece, la agitò una volta, e una specie di pezzo di stoffa bianca apparve alla sua estremità. Era un asciugamano freddo e bagnato, che lei gli passò, presumibilmente per il sangue e la polvere che stavano iniziando a incrostarglisi in faccia. "... Perché, per chissà quale stupida ragione, si dà il caso che voglia bene a entrambi, e non mi va giù che tu…”

"Perda la mia occasione?" James la anticipò. "Merlino, parli come Marlene."

"Beh, è vero. Oh, dammi qua..." Appallottolò l’asciugamano che James non stava usando e iniziò a strofinargli il viso con forza. Le oppose resistenza, piagnucolando, ma Lily non gliela diede vinta. "Giuro, hai tre anni certe volte”.

"Grazie, Mamma," James ribatté alla fine quando ebbe finito, ma doveva ammettere che la stoffa fredda sul viso era un miglioramento significativo. Appallottolandosi in mano l’asciugamano, Lily gli raddrizzò gli occhiali, e poi fece un passo indietro come per sorvegliare il proprio lavoro.

"Adesso sembri quasi umano," notò. "Se solo iniziassi a comportarti da tale."

"E comunque, da dove proviene tutta questa ostilità?" James volle sapere.

Lily emise un verso denigratorio. "Ti prego, Potter, aggirarsi furtivo per Notturn Alley, farsi coinvolgere nelle risse—e Sirius è il tuo migliore..."

"Black era il mio migliore amico..."

"...E tutti e due state facendo decisamente i ridicoli in questa situazione, come se ci fosse sempre tempo a disposizione per aggiustare le cose..."

"...Quindi preferiresti che fossi amico di quel quasi assassino..."

"...Quando davvero, se gli ultimi giorni hanno provato niente, è che di tempo non ce n’è..."

"...di nuovo questa storia del tempo..."

"...Tutti quanti ormai sono andati da lui, perchè non puoi farlo tu...?"

"...E quindi dovrei fare perdona e dimentica solo perchè tutti gli altri lo hanno fatto...?"

"...Se avessi anche un minimo di sale in zucca, ti metteresti sotto i piedi quel maledetto orgoglio, e diresti quello che vuoi dire e basta!"

"Il che sarebbe cosa esattamente?"

"Che ti dispiace!"

L’aveva più o meno urlato, e James la fissò, sbalordito. "Mi dispiace? A me dispiace?"

"Sì," disse Lily con veemenza. "Ti senti in colpa per quello che sarebbe potuto accadere a Piton, perché tu sai che non è stato solo colpa di Sirius. Per lui, era solo un altro scherzo, e tu pensi che la ragione per cui lui lo credeva sia che, per tutti questi anni, hai inventato scuse, e ti sei comportato come se non importasse quello che facevi agli altri—a Piton, a chiunque... ed ecco perché lui non si è reso conto della differenza... non gli è venuto in mente che quello fosse diverso dal... gonfiare la testa di Bertram Audrey o far sparire i capelli di Kevin Sherbatsky, o... qualunque cosa! Hai sempre detto—a me e a tutti gli altri—che era solo uno scherzo, che in realtà non avevi fatto niente di sbagliato, e poi Sirius ha fatto questa cosa, e tu ti senti in colpa!"

"Quindi è colpa mia, non è così?"

"No!" gridò Lily. "Non è quello che sto dicendo! Ma mi stai ascoltando o no? Sto dicendo che non è colpa tua, e che tu devi renderti conto che Sirius ha fatto uno stupido, orribile sbaglio, ma questo non significa che tu sia una persona orribile!"

All’inizio, Lily pensò che James stesse per ribattere, ma le parole sembrarono morirgli a fior di labbra, e vacillò. "Avrei potuto fermarlo," disse inaspettatamente. Lily sospirò.

"E l’hai fermato."

"No, non è vero." James scosse la testa. "Non mi... non mi sbagliavo completamente su Sirius tutto questo tempo—ma mi sbagliavo abbastanza da non prevedere una cosa del genere."

"Vuole solo che lo perdoni," Lily si scoprì a implorare. "L’hanno già fatto tutti."

James si guardò i piedi. "Io non ci riesco."

Lily sbuffò. "Testardo cretino." James sussultò.

"Spocchiosa."

Fece una smorfia, e poi si ricacciò indietro i capelli sudaticci. "Fa caldo qui fuori," lamentò. "Me ne vado." Prima di andarsene, comunque, borbottò di nuovo: "Cretino."

"Spocchiosa," rispose risentito, e poi Lily scivolò attraverso il passaggio per Diagon Alley e scomparve.


Era quasi ora di cena quando Lily tornò a casa, e la trovò quasi abbandonata al caos. Quasi persino prima che Lily richiudesse la porta, la Signora Evans la raggiunse, furiosa.

"Che significa questa cosa che ho sentito, che non parteciperai al matrimonio?" domandò. "Ieri era tutto a posto, e oggi non partecipi al matrimonio, e Tuney è andata a prendere Rachel Richards per vedere di farla stare nel tuo vestito, e..."

"Mamma, ti prego," sospirò Lily, "fammi riprendere un attimo, prima di affrontare la questione."

"Sciocchezze! Hai detto che saresti andata a pranzo con Marlene, e adesso sono praticamente le cinque, e Petunia non mi vuole dire niente..."

"Mamma, io..." Ma faceva troppo caldo per litigare, e tutto (la guerra, Petunia, James, e Sirius, il matrimonio, e tutto il resto...) si stavano ammassando uno sopra l’altro troppo in fretta per Lily, e quindi, prima di accorgersene, delle lacrime le pizzicarono agli angoli degli occhi, e tutto quello che voleva era mettersi a letto e nascondere il viso sotto le lenzuola e non pensare, parlare, o muoversi mai più...

L’espressione della Signora Evans si ammorbidì subito. "Oh, Lily," sospirò. La strinse a sé, le braccia attorno alla figlia minore, e Lily iniziò a piangere.

(Venerdì)

La primissima cosa che Donna Shacklebolt fece il venerdì mattina fu accendere la radio. Era—o credeva di essere—preparata al peggio, ma quando arrivò, la notizia non fu meno sconcertante.

La nuova pretesa era stata consegnata, questa volta a La Gazzetta del Profeta. Un reporter era stato assassinato, e il Signore Oscuro adesso esigeva che ogni mangiamorte sottoposto a fermo o sotto arresto fosse immediatamente rilasciato e riabilitato. La strega che annunciò il messaggio a RSN non sembrava sorpresa, ma c’era urgenza nella sua voce, e sapeva quello che Donna pensava che ormai tutti già sapessero—che tutto questo doveva smettere… che se continuava così... beh, comunque, non doveva.

Donna si tirò via dal letto e iniziò a vestirsi, quando bussarono alla porta della sua stanza da letto. Si abbottonò in fretta la camicia e andò ad aprire. Era Kingsley.

"Vado a lavoro—i bambini dormono, ma Audrey sarà qui presto."

Audrey McKinnon—la sorella maggiore di Adam—era l’ultimo aiuto assunto a casa Shacklebolt.

"Pensavo che oggi rimanessi a casa," Donna protestò. "Stamattina devo lavorare, e..."

"Non posso non andare; già siamo a corto così..."

"Siamo a corto anche qui, Kingsley!"

"Beh e allora perché non ci rimani tu a casa?"

"Perché la mia paga è settimanale, e ci servono i sol..."

"Non ci servono i soldi; stiamo bene."

Donna lo guardò male. "Solo se conti sul fatto che Isaiah non vada a Hogwarts l’anno prossimo... a malapena c’è quanto basta, di quello che mamma e papà hanno lasciato, a coprire le spese per me e Bridge quest’ anno, e presumo che a voialtri piaccia mangiare..."

"E allora vai a lavorare," ribatté Kingsley. "Sta arrivando Audrey."

"Kingsley."

"Che?"

Donna sospirò, strofinando via la sonnolenza dagli occhi. "Brice e Isaiah hanno bisogno di te... non sono brava con loro—non per questo genere di cose."

Kingsley appoggiò una delle grandi mani pesanti sulla spalla della sorella. "È solo quello che credi. Ti adorano."

"Kings..."

"Sarò presto di ritorno," promise. "Sul serio, questa volta."

Non serviva litigare con lui, Donna lo sapeva, così annuì soltanto. "Okay."

"Ci vediamo stasera."

"Ciao."

Donna andò a fare colazione in cucina alle otto—niente di particolare, solo tè, toast e uova—e poi salì di sopra a prendere Brice, il suo fratello più piccolo; Bridget, sua sorella, comunque, era già lì, che vestiva il bambino di sei anni, e chiacchierava con lui dei suoi progetti per la giornata.

"Lavori oggi?" chiese Bridget, quando Donna entrò in camera da letto.

La sorella maggiore annuì. "Tornerò presto, comunque. E anche Kings."

"Così dice," disse Bridget con un sorriso consapevole. "Laviamo i denti, Brice."

"Possiamo farlo fare allo spazzolino?" chiese Brice squittendo, e Bridget annuì, ridendo. Donna seguì curiosa la coppia in bagno, dove Bridget tirò fuori la bacchetta fresca di negozio e la agitò una volta in direzione dello spazzolino blu di Brice. Immediatamente, saltò su, levitando obbediente davanti a Bridget mentre lei vi spremeva su il dentifricio. Poi, lo spazzolino volò in bocca a Brice e, con accuratezza sorprendente, iniziò a spazzolargli i denti.

"Dove hai imparato a fare una cosa del genere, Bridget Cecelia Shacklebolt?" Donna volle sapere. "Lo sai, non ti avrei comprato quella bacchetta così presto se avessi saputo che avresti infranto la legge."

"Audrey mi ha insegnato, e a nessuno interessa un po’ di magia minorile in una casa di maghi," la liquidò Bridget saggiamente. Lo spazzolino proseguì il proprio lavoro sui denti di Brice, e Donna, osservando la sua sorella minore supervisionare la scena con tale calma, non potè fare a meno di riflettere che Bridget era molto più brava in questo genere di cose di quanto lei avrebbe mai potuto sperare di essere. Non era solo il modo in cui si occupava di Brice (o Isaiah, per quello che contava), ma l’abilità in generale—il modo in cui comunicava, la grazia con cui agiva... era molto più saggia della Donna di undici anni—probabilmente più saggia della Donna di diciassette...

"Sputa, per favore," ordinò Bridget, e mentre Brice obbediva, sciacquò lo spazzolino e lo ripose nella tazza.

Brice, come Donna, aveva capelli ricci e fitti, così Bridget non provò nemmeno a domarli, ma si bagnò un po’ le mani e le passò tra i ricci neri del bambino. "Sarai qui per cena, vero, Donna?"

"Sì."

"E quando compreremo il resto delle cose per la scuola?"

"Non finchè non arriva la tua lettera, Bridge."

"E sei sicura...?"

"Per Agrippa, Bridge, già sei capace di stregare spazzolini da denti; ma certo che riceverai la lettera”.

"Io pure voglio una lettera!" insistette Brice, e Bridget gli diede un bacio sulla guancia.

"Non finchè non avrai undici anni, Signor Brice. E nel frattempo avrai la Signorina Flowers all’asilo." Sorridendo, Bridget aggiunse con un sussurro rivolto a Donna: "Gli piace." Poi, prese la mano di Brice, lo fece scendere dal piccolo sgabello che usava per raggiungere il lavandino, e lo portò giù in cucina. Donna li seguì.


"In segno di rispetto del reporter assassinato, Cary Young, la Gazzetta del Profeta ha deciso di non diffondere il messaggio del Signore Oscuro come è stato consegnato questa mattina," disse lo speaker di RSN, la voce carica di gravità. "Comunque, abbiamo qui con noi, stamattina, una delle giovani colleghe di Young, scrittrice, e corrispondente speciale della Gazzetta del Profeta, Dorthea Grey. Signorina Grey..."

"Grazie, Malcolm."

"Certo—vorrei solo che le circostanze del nostro confronto di oggi fossero meno... tragiche..."

"Tutti al giornale sono distrutti... Cary era così benvoluto..."

"Certo, certo. E un reporter dalle idee così innovative..."

"Senza dubbio..."

"Signorina Grey, era nella stanza quando il Signor Young è entrato questa mattina...?"

"C’ero, sì."

"Può dirci cosa è successo?"

"Beh..." esitazione: "Beh, Cary è entrato nell’ufficio stampa... presto, intorno alle sette... ce n’era già un sacco di noi, ovvio, perché stavamo tutti aspettando di sentire se ci fossero… sperando, certo che non fosse un altro attacco, ma in attesa di scoprire... e poi Cary è entrato—non ha parlato con me, ma con Mitchell—Mitchell Letterer, che ha la scrivania quasi all’inizio, lui è l’opinionista d’opposizione—e non so cosa abbia detto a Mitch esattamente, ma so che ha detto che aveva un messaggio che doveva essere stampato nel Profeta di quella mattina... e poi  Mitch ha cercato di farlo uscire dalla trance, e tutti più o meno ci siamo accorti della confusione... Jillian—Jillian Jones, una delle reporter, ha cercato di trovare la bacchetta, con la speranza di fermarlo, ma è successo tutto così in fretta..."

La voce di Dorthea Grey si spezzò, e il giornalista, Malcolm, le diede un momento per ricomporsi.

"...Proprio... proprio prima che accadesse, Cary ha consegnato a Mitchell una lettera da pubblicare, ed era proprio lo stesso messaggio—la stessa richiesta..."

"Ed è questa che Il Profeta si è rifiutato di pubblicare...?"

"Sì, è stata girata al Ministero per essere esaminata..."

Da dove era seduta al tavolino da trucco, Mary spense la radio e rabbrividì, sentendo, all’improvviso, molto freddo, nonostante il caldo umido e tiranno. Spiò l’immagine riflessa allo specchio, e il volto stanco e privo di trucco le restituì lo sguardo. Gli occhi sembravano più piccoli, senza tutto l’eyeliner, i brillantini e il mascara; la pelle pallida e piena di imperfezioni. Mary non amava guardarsi quando era così, anche se ovviamente era parte naturale della sua routine—ogni mattina, si guardava allo specchio sul lavandino, individuava ogni imperfezione che la vessava, e poi lavava e strofinava e applicava il Bubotubero Bum, un intruglio rosa e puzzolente che faceva meraviglie per il suo incarnato, prima di asciugarsi e iniziare col trucco.

Coi cosmetici, era un’artista—più Tiziano che Leonardo. Era un movimento organico. Dove serviva il colore, lo metteva—non sempre la tinta che ci si poteva aspettare, ma sempre abbondante e vivido. Sua madre le aveva sempre detto che stava benissimo senza tutta quella roba, ma una volta una zia le aveva detto che sembrava "meno scialba" con gli occhi truccati, e comunque, adorava applicarlo. Amava la trasformazione e il processo e il colore, e adesso senza non si piaceva.

La scialba, insicura, comune Mary Macdonald.

Non era proprio lei.

Quindi, tralasciando il dubbio momentaneo, Mary prese il primo flacone e iniziò a dipingere.

Quando ebbe finito, lasciò la stanza e, con un 'ciao' noncurante a sua madre, uscì nell’androne, scese di sotto, e arrivò alla familiarissima porta n° 12, dove Marlene viveva.

"Ehi, Mare," la salutò la sua amica, aprendo la porta. "Pensavo che oggi lo passassi con Stebbins”.

Mary scrollò le spalle. "E’ che—avevo voglia di stare con te oggi..."

Marlene sembrò capire. Annuì. "Fa troppo caldo per uscire," acconsentì la bionda, spostandosi di lato per far entrare Mary nell’appartamento. "Staremo in casa."


James non era intelligentissimo, pensò. Oh, certo, era abbastanza sveglio, ma sinceramente, l’essere svegli risultava molto più facile quando tutti gli insegnanti se lo aspettavano da una persona. Il trucco consisteva nel farglielo pensare di te, e qui, James aveva un vantaggio—il vantaggio di una grossa casa vuota in cui crescere: una grossa casa vuota con un sacco di libri, e come unici amici solo maghi molto più anziani, molto più saggi.

Non era stato mai cosciente della sensazione di solitudine prima di Hogwarts, e la noia era come una seconda natura. Sua madre cercava di passare molto tempo a casa, ma non aveva sempre funzionato, e non tutti gli elfi domestici erano compagni allettanti. Quindi James imparò a leggere molto presto, e attaccò la sezione Incantesimi della biblioteca dei Potter. Da lì, proseguì con le maledizioni e la magia trasfigurativa; teoria magica era interessante, ma la storia lo annoiava, così come pozioni. Gli piacevano i libri con le creature magiche. Il suo preferito in assoluto, comunque, era sempre il Quidditch.

E così, quando James andò Hogwarts, aveva più background della maggior parte degli altri del primo anno. Si era fatto quella fama, e la fama di persona intelligente—assieme a una buona memoria—era tutto quello che ci voleva, pensò, per avere successo a Hogwarts.

Era strano pensare, James meditò, che questi stessi volumi che ora stava spolverando ed esaminando un tempo gli erano apparsi così avanzati, così complessi. Sorrise a un libro di storia... appena comprata la bacchetta, all’inizio, l’aveva fatto levitare dritto dritto in testa a sua madre... un incidente, ovviamente.

E c’era un libro di maledizioni che un tempo aveva divorato con avidità, prima di capire, purtroppo, che ci avrebbe messo anni e anni  prima di riuscire a fare quel genere di magia (in realtà, più o meno sei mesi). C’era anche un libro chiamato Etica Magica di Stokstad, Volume Uno che aveva a malapena capito e in gran parte saltato, tranne per il capitolo sugli Inferi.

Fu questo che James alla fine scelse quella mattina, perché aveva finito il cruciverba del Profeta e non gli premeva granché leggere i titoli. Già sapeva cosa ci sarebbe stato scritto. Sua madre e suo padre erano tornati di nuovo tutti e due di corsa in ufficio, tanto presto che James non si era nemmeno svegliato, fino a quando la Signora Potter era entrata piano nella sua stanza per dirgli arrivederci e che la colazione era pronta, quando ne avesse voluta un po’.

James si sedette sul divano più vicino e aprì il grosso tomo scelto, alla prima pagina. Aveva sentito spesso le lamentele su come la sala comune di Grifondoro fosse davvero troppo rumorosa per fare i compiti, ma James riteneva il silenzio assordante della sua grande casa vuota molto peggio.

Non si sentiva solo. No.

Era solo che—beh, mattine del genere... con il reporter assassinato e una nuova pretesa di Voldemort... era giusto il tipo di mattina che uno preferiva passare in compagnia di qualcun altro. Sarebbe stato bello stare un po’ con la madre, o il padre, tutto qui.

Certo che erano impegnati, e non poteva avercela con loro per i loro ovvi doveri... pensò solo che sarebbe stato più felice se fossero stati normali strega e mago della loro età... tranquillamente in pensione, in pace, e al sicuro.

Stupido.

Sul serio, stupido.

Stava bene.

La porta del piccolo studio si aprì, facendo entrare un mago vestito di nero. Si affacciò guardando James. "Tutto a posto, Signor Potter?"

Questo era l’auror di servizio a casa loro, per sicurezza, fin dal primo incidente il lunedì. James si era quasi dimenticato di quel tipo; praticamente era invisibile la maggior parte del tempo.

"Tutto a posto," assicurò James. Il mago—Chesky—annuì e scomparve ancora una volta fuori dalla porta.

Sul serio, James stava bene.

Si rivolse alla pagina seguente di Etica Magica e cominciò il capitolo uno.


Erano circa le tre, l’inizio del turno di Donna, quando Lathe entrò al Paiolo Magico, ordinando il suo tipico “Whiskey Incendiario, liscio,” e prendendo posto in una sedia in fondo al bancone.

“Un po’ presto, no?” gli fece notare lei, più per essere fastidiosa che per altro.

“Che altro ho da fare?” replicò, imperturbato. Non ingoiò il liquore in un colpo solo, però. A parte il sempre presente Pip e una strega dalla locanda, il pub era vuoto. Nessuno voleva andare in giro oggi.

Donna si sedette sul suo solito sgabello dietro al bancone, stringendosi nelle spalle. “Non lo so–non hai una famiglia? Sembra quello che stanno facendo tutti questa settimana… si nascondono finché non finisce…”

“Questa era l’ultima pretesa,” disse Lathe con un’inaspettata confidenza e Donna inarcò le sopracciglia.

“Come fai a saperlo?”

“Lo ha detto lui. Il ragazzo–Giovane. Tutti gli altri messaggi avevano un qualche… avvertimento riguardo ad altri messaggi in arrivo, ma questo no.”

“Come fai a saperlo?” ripeté Donna. “Il Profeta non ha pubblicato le esatte parole, pensavo che fossi stato sospeso dal Ministero.”

“Lo sono. Ho ancora amici lì, però.”

“Oh.”

Lathe finì il suo whiskey e Donna non aspettò per riempirlo. “Come fai a sapere che non ho finito per questo pomeriggio?” scherzò lui e Donna alzò gli occhi al cielo. “Va bene.”

“Quando torni a lavoro?” chiese lei. “Non hai alcuna idea di quando revocheranno la sospensione?”

“No,” replicò semplicemente l’auror, ma Donna pensò che sembrava un po’ più preoccupato dalla situazione rispetto a quanto dava a vedere. Immagino come sarebbe stato se Kingsley fosse stato sospeso per qualcosa e poi quasi desiderò che potrebbe succedere. Quando lo disse ad alta voce, comunque, Lathe rise. “Sai che non vieni pagato per la durata della sospensione, giusto?”

“Beh, non voglio che sia sospeso per settimane, come te… senza offesa…”

“Nessun problema.”

“…Solo qualche giorno. Un fine settimana, forse.”

Lathe rise di nuovo.

“Penso solo che sarebbe stato bello per i miei fratelli e sorelle avere qualcuno imparentato con loro intorno questa settimana,” si difese Donna, incrociando le braccia. “È quello che tutti gli altri stanno facendo, ad ogni modo…”

“E tu? Di certo Tom ti avrebbe lasciato la mattina libera?”

Donna fece spallucce. “Mi piace essere pagata, però. Diciamo… se vieni licenziato, credi che daranno un aumento a Kingsley?”

Lathe inarcò le sopracciglia e Donna realizzò che sarebbe potuto apparire in modo sbagliato.

“Insensibile?” suppose.

“Solo un po’.”

Pip, dall’altra parte del bancone, richiese un’altra pinta e Donna fu temporaneamente occupata con quello, ma tornò dal lato del pub di Lathe dopo aver finito con l’altro. “Da quanto sei un auror?” volle sapere.

“Tre anni,” disse Lathe. “E ci sono stati tre anni di addestramento prima.” Donna annuì pensierosa; dibatté sulla possibilità di domandare o meno la domanda che pizzicava la sua curiosità, ma decise di no, solo per avere Lathe che rispondeva a quella per lei: “Lo conoscevo un po’.”

“Chi?”

“Tuo padre. Stavi facendo i conti, no?”

“No.”

Lathe fece spallucce. “Ad ogni modo, ho lavorato per parte del mio ultimo anno di addestramento con lui.”

Donna desiderò improvvisamente che stessero parlando di qualcos’altro. Parlare dei suoi genitori non era troppo doloroso o qualcosa del genere–il passato era il passato e tutto il resto–ma discutere di suo padre portava sempre allo scomodo ricordo che Kingsley era abbondantemente nella stessa situazione in cui era stato suo padre…

“Quanti anni avevi?” chiese d’improvviso Lathe.

“Quattordici.”

Lui annuì. “Probabilmente non vuoi sentirlo, ma… era un auror brillante, tuo padre. E anche tuo fratello è piuttosto sveglio.”

No, non voleva sentirlo.

“Sì, i miei genitori erano dei veri eroi,” borbottò Donna con sarcasmo. Lathe sembrava un po’ sorpreso e lei aggiunse: “Non ho intenzione di romanticizzarli perché sono morti. Papà non avrebbe dovuto… non avrebbe dovuto parlare in quel modo di fronte a…” si interruppe.

“Voldemort,” supplì Lathe e Donna annuì.

“Suppongo che abbiano lottato per quello in cui credevano,” continuò cupamente, “ma li ha fatti uccidere. E se avessero tenuto la testa bassa, allora io non dovrei spendere quasi ogni giorno delle mie vacanze estive a lavorare in un dannato pub, e mio fratello non dovrebbe fare da schiavo per il ministero solo per assicurarsi che possiamo permetterci Hogwarts, e Brice potrebbe effettivamente ricordare i suoi genitori, e Isaiah non sarebbe stato espulso due volte dalla scuola elementare babbana, e Bridget non dovrebbe far loro da madre.” Donna non sapeva da dove venisse tutto questo, ma prima di potersi fermare, il resto si riversò fuori: “le persone possono dirmi che i miei genitori erano una grande strega e un grande mago e che sono morti con onore e che dovrei essere orgogliosa, ma la verità è che… avevano un dovere verso cinque persone che hanno messo al mondo, e non hanno compiuto il loro dovere, perché erano coraggiosi.” Amaramente: “Perdonami se non sono terribilmente entusiasta riguardo al fatto che mio fratello è un auror brillante–preferirei che fosse solo un mago vivente a questo punto.”

Lathe non sembrava né scioccato né turbato dalla confessione di Donna, e questo la irritò un po’. “Ho detto che Shacklebolt era un mago sveglio,” la informò il mago con calma, “ma è anche intelligente. Si tiene fuori dai guai, riguardo la politica.”

“Mette comunque a rischio la sua vita,” gli fece notare Donna.

“La sua vita era già a rischio–tutte le vostre lo sono, a causa dei vostri genitori.”

“Ah, gli eroi.”

Lathe fece spallucce. “Forse hai ragione. Forse tuo padre ha sbagliato a parlare in quel modo, ma–credo che lo abbia fatto perché… pensava che sareste stati più al sicuro in un mondo completamente privo di Voldemort e dei mangiamorte, e se aveva la opportunità di aiutare a ottenere questo, allora doveva coglierla.”

“Ma non l’ha ottenuto.”

“No,” ammise Lathe; non offrì alcun lato positivo o spiegazione per questo, anche se Donna quasi se ne aspettava uno. Prese semplicemente un altro sorso del whiskey incendiario.

Donna si alzò, prendendo un bicchiere pulito e lucidandolo svogliatamente con uno straccio. “Che mi dici di te?” chiese. “È per questo che sei un auror? Per proteggere qualcuno?”

Lathe non rispose subito, e quando lo fece, fu evasivo. “Non ho famiglia,” disse.

“Nessuno?”

“Beh… i miei genitori, tecnicamente, ma sono babbani e pensano che sia morto.”

“Loro–cosa?”

“È… meglio per tutti se i miei genitori operano sotto l’errata impressione che io sia deceduto,” disse Lathe, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Donna espirò incredula.

“Sei pazzo,” gli disse. “Più strano di quanto lo sia io.”

“Ora sei semplicemente scortese.”

Donna si sporse sul bancone a poca distanza dall’auror. “Che succede a qualcuno che è sospeso?” chiese curiosa. “Voglio dire–sei stato qui due o tre volte questa settimana e solo durante il mio turno. So che sei stato qui anche quando c’erano Tom e Black. Tu stai solo… seduto in giro e bevi?”

“Per lo più,” disse Lathe allegramente. Donna aggrottò le sopracciglia e lui si difese: “Non mi è permesso bere quando sono in servizio, e sono sempre in servizio. Dovrei almeno beneficiare da questa situazione in qualche modo.

“Ma non devi… non so–provare la tua innocenza o qualcosa del genere?”

“Ma non sono innocente,” rispose calmo Lathe. Finì il whiskey incendiario fece una faccia ridicola, e fece segno per averne un’altra.

“Ti ubriacherai,” lo avvisò Donna. Quando gli ebbe versato il liquore, si tirò su, palmi contro il bancone, e scosse il capo. “Non ti capisco affatto.”

Lathe prese un lungo sorso. “Stanno indagando su di me riguardo all’omicidio di un mangiamorte; io ho ucciso un mangiamorte. Non c’è molto che possa fare per provare la mia innocenza.”

Questo (e un po’ d’altro) Donna aveva dedotto dai giornali e dalla sua connessione con Lily. “Logan Harper?” chiese, e Lathe quasi sobbalzò al suono del nome. Annuì.

“Ma lui era un mangiamorte. Non capisco.”

“Meglio non provare a capire il Ministero della Magia, Shacklebolt in Miniatura. Persino il Ministero non capisce il Ministero.”

Donna alzò gli occhi al cielo. “Ma se lo hai ucciso e questo è il motivo per cui sei nei guai, perché stanno indagando? Perché non ti licenziano e basta?”

Lathe espirò irritato; chiaramente, questo non era qualcosa che aveva particolarmente voglia di discutere–con la sorella barista di un collega, pensa–ma a Donna davvero non importava. Aspettò con aria d’attesa per la sua risposta… se avrebbe dovuto subire le storie della vita dei clienti giorno dopo giorno, potrebbe anche aver avuto qualche risposta che voleva davvero. “Pensano,” continuò Lathe, “che lo abbia ucciso perché è un purosangue. Che avrebbe potuto essere salvato. Arrestato. Processato e tutto il resto.”

La domanda rimase sospesa in aria per qualche secondo prima che Donna la chiese: “Avrebbe potuto?”

Lathe abbassò lo sguardo sul whiskey incendiario. “Dovremmo vedere, credo.” Ingoiò il resto del suo bicchiere e cominciò ad alzarsi. “Okay, allora–che ne dici di uno per la strada?” Colpì il suo bicchiere vuoto con l’anello sul suo mignolo. Donna aprì la Ogden, mentre Lathe prendeva i soldi per il conto. Bevve il whiskey incendiario velocemente e poi, con un rapido cenno a Donna, si diresse verso l’ingresso di Diagon Alley. Esitò vicino alla porta, comunque. “Ascolta…” cominciò l’auror, “io non darei… intendo, io non creerei dei problemi a Shaklebolt… voglio dire, tuo fratello, dei problemi riguardo a questi giorni–non è affar mio, sì, ma voi siete quello di cui parla sempre, onestamente, e… io non so. Essere un auror non è proprio come lo descrivono.”

“Allora perché sei così disposto a tornare?” volle sapere Donna.

Lathe fece spallucce. “Chi dice che lo sono? Paga schifosa e orari terribili.”

Donna scosse il capo. “Proprio come Kingsley. Non capisco, ma ne siete così… ossessionati. Merlino sa se ci sono lavori migliori–più sicuri, più interessanti, meglio pagati… ma per qualche dannata ragione, voi auror non potete starne lontano.”

Lathe ghignò. “Non una cattiva valutazione del mestiere, Shaklebolt in Miniatura.” Si voltò per andarsene ancora una volta, aggiungendo mentre se ne andava, “Ci vediamo.”

Quando l’auror se ne fu andato, Donna tirò fuori la sua bacchetta, pulendo il bicchiere che aveva usato e facendolo levitare fino al suo solito posto sulla mansola. Sirius entrò nel pub qualche minuto dopo.

“Sei in anticipo,” gli fece notare.

“Cosa altro ho da fare?” ribatté Sirius. “Ho visto uscire Lathe–è stato qui a lungo?”

“Non molto. Perché?”

Sirius si strinse nelle spalle. “Nessuna ragione–è stato qui per un bel po’ questa settimana.”

“Suppongo di sì.”

Sirius rinfrescò il drink di Pip. “Ti ha detto una di quelle sue folli storie da auror?”

“No.” Donna si sentiva molto apatica; aveva parlato abbastanza.

“Eh, beh, dovresti chiedergli di quella volto al Cairo.” Sirius afferrò il suo solito grembiule. “Sai perché è stato sospeso, no? Quell’affare degli Harper… La famiglia è riuscita ad ottenere un inchiesta e ora il dipartimento degli auror è a corto… proprio adesso.”

Ma Donna sapeva già tutto.

“Ragazzo interessante,” continuò Sirius. “Lathe, voglio dire. Oi, la sua famiglia babbana pensa che sia morto–figo, eh?”

Donna lo guardò. “Gli uomini sono così strani.”


Il Signore e la Signora Potter tornarono dal ministero intorno alle sette di venerdì. Quest’ultima era stata fuori per ore, ma era rimasta in giro per materializzarsi con il marito. Trovarono il figlio nella libreria, coinvolto nelle ultime pagine di un grosso libro.

“Hai mangiato?” chiese la Signora Potter, sedendosi accanto al figlio, mentre il Signor Potter andava al piano di sopra a cambiarsi. “Sei terribilmente pallido, James.”

“Ho mangiato circa un’ora fa.”

“Non siamo così in ritardo stasera,” mormorò sua madre, passandogli affettuosamente le dita tra i capelli. “Potremmo mangiare insieme, che ne dici?”

James posò il libro. “Certo, mamma.”

“Che hai, caro?”

“Nulla; sto bene.”

“Cosa stai leggendo lì…?”

Ma prima che James potesse rispondere, il Signor Potter riapparì alla porta, e la sua espressione era cupa.

“Scusatemi…”

La Signora Potter si voltò per guardare suo marito che entrava dalla porta e James notò che sembrava tanto sorpresa quanto lo era lui.

“C’è qualcosa che voglio discutere con entrambi.”

“Cosa c’é, Alex?”

Il Signor Potter si sedette sul divano di fronte a loro. Si sporse in avanti, mani giunte davanti a sé e gomiti sulle gambe–stranamente scarico nella sua postura. “Io… Io ci ho pensato molto questa settimana. Non voglio fare nulla senza parlarne con voi, ma c’é… ci sono pochi dubbi per me che questa sia la cosa migliore–per tutti noi…”

“Alex…”

“Ti prego,” la interruppe piano il Signor Potter. “Solo–lascia che ve lo dica.” Sua moglie annuì piano, ma prese la mano di James, e la sua stretta tradì la sua ansia. “Ho deciso… beh, ho quasi deciso che–la cosa più giudiziosa da fare sia… dimettermi. Ho deciso di scendere a capo dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia.”

La Signora Potter lasciò la mano di James, spostandosi istantaneamente attraverso la stanza per sedersi accanto al marito, che strinse in un abbraccio. Vi erano lacrime nei suoi occhi, ma erano di gioia. Lo aveva voluto–lo aveva voluto per anni, pensò James, da quando erano cominciate le sparizioni e Voldemort ne aveva preso il merito… 

Ma James non era sicuro di come si sentisse. Suo padre sarebbe stato in giro più a lungo, certo, e non era come se avessero bisogno dei soldi, ma in qualche modo…

“James?”

La Signora Potter poggiava ora la testa sulla spalla del signor Potter e quest’ultimo guardava attentamente al suo unico figlio, ancora sul divano di fronte, con un’espressione illeggibile.

“Ora?” James si sentì chiedere. “Adesso, con tutto quello che sta succedendo…?”

“Non sarà immediatamente,” spiegò il Signor Potter. “Resterò per almeno un altro mese… Ma–la scorsa settimana… Non sono fatto per questo, James. Certamente non adesso, alla mia età…”

“E–quindi? L’orario è troppo lungo?” chiese James incredulo.

“No, no. Non è quello. È… il Ministero… è che, tutti meritano qualcuno che sia–in grado di fermarli.”

“Papà…”

“James, ascolta. Questa settimana, un uomo è entrato nel mio ufficio e si è suicidato… proprio di fronte a me. Ero completamente incapace di fermarlo. E ogni mattina questa settimana, altre morti, altre pretese, e io ero… non ho fatto nulla.”

“Non c’era nulla che potessi fare.”

“No, non c’era,” concordò suo padre. “Ma qualcun altro potrebbe essere in grado.”

“Ma cosa succede se ci sono altre pretese? Te ne stai andando adesso…”

“Non ci saranno altre pretese.”

“Come fai a saperlo?”

Il Signor Potter non rispose subito. “Ci sono molte cose che non capisco su quello che è successo di recente, ma… crediamo che il messaggio di oggi sia l’ultimo.”

James non era così semplicemente soddisfatto. “Va bene, ma che mi dici di quello che succederà dopo? Tutte le pretese dicevano che se il Ministero non le avesse assecondate, ci sarebbero state delle ripercussioni…”

“Ci saranno,” disse il Signor Potter con espressione vuota. “Ed è per questo che devo permettere a qualcun altro di provare a fermarli… per tutti gli altri e per la mia famiglia…”

“La tua famiglia? Noi? Papà, a chi importa di noi? Stiamo bene. Questo posto è una cazzo di fortezza! Nessuno ci prenderà qui…”

“E tu credi davvero di essere al sicuro? La mia posizione nel Ministero ha messo in pericolo entrambi per anni, e l’omicidio di Phillip Stoake era… piuttosto personale… nella sua esecuzione. Non posso correre il rischio più a lungo.”

James era silenzioso, cercava di apprendere tutto–di capire. “Solo–non vedo come tu possa mollare in quel modo… smettere di combattere…”

“No, James,” parlò improvvisamente Grace Potter. “Non quello. Mai quello.” Lasciò suo marito, si alzò, e si mosse per sedersi nuovamente accanto a James, prendendo la sua mano ancora una volta. “Ci sono altri modi per combattere.”

Lentamente, James si alzò. “Io… um… Vado a fare una passeggiata. Per pensarci…”

“James…”

“No, non sono arrabbiato,” disse velocemente. “Non lo sono. Davvero. Ho solo… ho bisogno di pensare per un po’. Prendere un po’ d’aria, sai?”

La Signora Potter tornò accanto a suo marito. “Non andare lontano.”

James annuì.


Alle otto quella sera, Sirius andò fuori per la sua pausa e una sigaretta, lasciando Tom con la piccola folla dentro al pub. Era un’altra notte calda–sembrava un’eternità da quando aveva piovuto l’ultima volta, e il cielo nero sopra di loro non era nuvoloso: una notte piuttosto ordinaria.

James Potter era quasi l’ultima persona che Sirius si aspettava di vedere, stando fuori alle spalle del Paiolo Magico con le mani in tasca e un aspetto in qualche modo nervoso. Eppure eccolo lì. Sirius si fermò, mentre stava per accendere la sua sigaretta.

“Hai già finito?” chiese James, sorpreso; “Lupin aveva detto che avresti lavorato fino a tardi stasera…”

Sirius finì di accendere la sigaretta e scosse la testa. “Sono in pausa.” Non lo disse, esattamente, ma la sua espressione chiedeva chiaramente cosa James stesse facendo lì in quel momento.

“Mi chiedevo se sarei dovuto entrare o meno,” spiegò James imbarazzato. “Ma–ehm–credo che non abbia più senso ora…”

Sirius prese un tiro attentamente. Non c’era speranza di essere deluso questa volta, mentre chiedeva in un tono cauto, ma non accusatorio: “Che ci fai qui?”

“Non ne sono sicuro.” James era, inspiegabilmente, nervoso. Sirius decise di aspettare per altro. “Credo… voglio dire–Io… Sirius, voglio che le cose tornino come erano prima, ma… ho solo… bisogno di una ragione.”

“Vuoi dire che sei venuto qui per farmi pregare,” replicò Sirius amaro. “Non lo farò. L’ho già–sai che mi dispiace. Sai che se potessi tornare indietro, lo farei. Ma quello che è successo, è successo, e devi capire cosa vuoi fare adesso.”

James si stizzì. “Quindi così–non… non ti importa.”

“Non è quello che ho detto…”

“È vero, però, se non sei nemmeno disposto a…”

“A far cosa? Pregare e implorare e strapparmi i capelli?”

“Rimedia!”

“Rimediare cosa, esattamente?”

“Questo! I Malandrini! Tutti noi!

Sirius lasciò cadere la sua sigaretta non finita sul pavimento e la schiacciò con la scarpa. “Mi dispiace, Prongs. Okay? Mi dispiace così tanto di–di aver detto a Piton di Moony, e mi dispiace che tu abbia dovuto sistemare il casino, e mi dispiace per tutto quello che è successo… o sarebbe potuto succedere quella notte… mi dispiace!” Fece un passo avanti, ma James fece un reattivo e difensivo passo indietro. Sirius indietreggiò di nuovo. “Vedi? Non te ne importa nemmeno… questo non riguarda più me o cosa posso fare, vero?”

 “Cosa significherebbe…?”

“Non vuoi perdonarmi,” gli parlò sopra Sirius. “Vuoi solo incolparmi!”

“Certo che voglio incolparti! È la tua cazzo di colpa!”

“Beh allora cosa vuoi da me, Prongs?”

James esitò; c’era qualcosa che voleva dire, ma non lo fece. Invece, piano: “Questa era un’idea stupida.”

“Cazzo se lo era.”

Irritato dal tono di Sirius, James aggiunse: “Lily non sa di cosa sta parlando.”

“Cosa vuoi dire?”

“Tu,” sputò James. “Deve pendere proprio dalle tue labbra per farla venire da ma a dirmi…”

“Oh levati dalle palle, non le ho detto di parlarti…”

“E allora per quale altro motivo avrebbe dovuto tentare di fare in modo che io ti perdonassi? Anche dopo…”

“Cazzo, Prongs!” imprecò Sirius, la ribollente frustrazione dentro di lui raggiungendo il punto di bollitura: “Sei davvero così cieco?”

Questo, James lo fraintese completamente. James trasalì. “Vuoi dire… voi due…?”

“Cosa? No–Merlino, no, Prongs! Sei un idiota! Pensi davvero che lo farei…?”

“Oh,” lo sbeffeggiò James, “dovrei pensare che sia al di sotto di te? Al di sotto dell’aspirante omicida fratello dell’aspirante mangiamorte?”

Poi, Sirius non poté più fermarsi.

Fece un passo avanti e tirò un pugno, lasciando James di stucco e facendogli cadere gli occhiali a terra. James barcollò, ma rimase in piedi. Il suo respiro si fece affannoso ed avrebbe potuto tirare fuori la bacchetta, ma non lo fece. Invece, un attimo dopo, entrambi i maghi erano a terra, ognuno colpendo l'altro con tutto quello che avevano dentro. 

James riuscì a mandare a segno esattamente due buoni colpi al naso di Sirius prima che quest'ultimo riuscì a spingerlo via, a terra, dove Sirius gli tirò un pugno prima di essere di nuovo spedito con un calcio sul pavimento di pietra della strada.

Nei romanzi, le risse sono di solito un'esperienza affascinante—una dimostrazione di coraggio ed abilità. Nella realtà, tuttavia la maggior parte delle risse—quelle spontanee, in ogni caso—sono solo disordinate ed imbarazzanti. Solitamente, i partecipanti relativamente inesperti non sono per niente entusiasti alla prospettiva di fare a botte e lo fanno solo in ultima istanza o a causa della pressione esercitata da altri. In ogni caso, le risse sono tipicamente brevi e prive di destrezza, con i due contributori che cercando semplicemente di colpire l'altro in ogni luogo o modo possibile.

Questa non fu differente, tranne che per un aspetto: la rabbia. Non la breve fiamma che divampa e muore dopo i pugni iniziali, per essere sostituita da istinto di sopravvivenza o paura. No, questa era stata una rabbia silenziosa e lenta che si era scatenata improvvisamente e senza misura.

Così, quando Sirius riuscì a rimettersi in piedi, James non fece un passo indietro per rialzarsi, ma afferrò la caviglia di Sirius e lo buttò di nuovo a terra. Sirius gli tirò un calcio sul mento, facendo uscire più sangue, ed entrambi si ritrasse abbastanza a lungo per barcollare in piedi. Poi James tirò a  Sirius un pugno nello stomaco, e Sirius spinse James contro il muro. Lo colpì un paio di volte, e poi James riuscì a prendere Sirius tra le costole, in modo da far piegare Sirius dal dolore, e James lo colpì in faccia prima che potesse provare a difendersi.

Sirius inciampò indietro. James provò a mantenere l'equilibrio ed il sangue gli stava colando sugli occhi. Con un ultimo scoppio di energia, Sirius fece per colpire James, ma quest'ultimo bloccò il gancio, e anche se andò a sbattere ancora una volta contro il muro, riuscì a spingere Sirius di nuovo via. Poi afferrò la sua bacchetta.

La diresse verso Sirius, ma appena alzò lo sguardo, James venne a scontrarsi con la punta della bacchetta del suo avversario.

Feriti, sanguinanti e sporchi, si fissarono e basta. Tra il sangue e la mancanza di occhiali, la visione di James non era quella che sarebbe dovuta essere, ma incontrò lo sguardo di Sirius, bruciante di rabbia.

Per un lungo momento, nessuno dei due si mosse.

Poi, James lasciò cadere la sua bacchetta. Sirius rimase ostinatamente fermo.

James si lasciò cadere a terra, tastando il terreno in cerca dei suoi occhiali e, una volta trovati, li fece nuovamente scivolare sul suo volto. Si strofinò la fronte stancamente, mentre Sirius continuava a fissarlo, confuso e non del tutto placato.

"Come cazzo hanno fatto le cose ad incasinarsi così, comunque?" Chiese James, la sua voce roca. C'era sangue nei capelli. “Tu ed io ed i Malandrini e tutto il resto—come è potuto accadere tutto questo?”

Lentamente, Sirius abbassò la bacchetta. "Non lo so", ammise a bassa voce.

“Sono stanco” disse James. “Tutto questo è stancante”.

Anche Sirius si lasciò cadere al suolo, le braccia poggiate sulle ginocchia mentre si curvava in avanti “Lo è,” concordò, annuendo. “Non so come fare.”

James rimase in silenzio per un po'. Alla fine, iniziò con una voce roca e distante, “Remus ritiene che se qualcuno riesce a perdonarlo per essere quello che è, allora lui può perdonargli praticamente qualsiasi cosa.” Sirius non disse nulla. “Peter pensa che sia stato solo uno stupido errore.” Un'altra pausa. “Lily...Lily pensa solo che sia la cosa giusta...” Con un ultimo respiro implorante: “Ma non è abbastanza per me; ho bisogno di qualcos'altro... Mi serve un motivo.”

Sirius annuì. Pensava di aver capito ora. “Non ho un motivo. Non è perdono se c'è un motivo.”

“Be' non è abbastanza, cazzo!” sbottò James. “Dove diavolo sei stato? Mio padre si sta dimettendo, e lui e mia madre sono sempre via, e sta succedendo tutto questo...” Le mani di James si persero di nuovo nei suoi capelli; stavano diventando lunghi ora, i suoi capelli, e le dita erano quasi sparite del tutto in mezzo alle ciocche nere. “Tu avresti dovuto—tu saresti dovuto esserci per cose come queste! Niente di tutto questo sarebbe dovuto accadere così!”

“Ma è successo!” Lo interruppe Sirius. “È successo così, e non posso rimangiarmelo—lo farei se potessi, ma non posso, e non so cosa vuoi che faccia!”

“Non lo so!” Ma speravo che tu lo sapessi!”

“Come aggiustare tutto?”

“Sì!”

“Be' io non ho una fottutissima idea al riguardo!” Stavano entrambi quasi urlando, ma con questo, i due ragazzi si zittirono di nuovo, e la tensione si smorzò un po'. Sirius parlò per primo.

“Tuo padre si sta dimettendo?”

James annuì, guardando da un'altra parte. “Lo ha detto a me e a mamma un'ora fa.”

Ancora silenzio. Poi—“Senti, James,” iniziò Sirius, “la verità è che c'è solo un motivo, e tu lo sai.” (Lo sapeva.) “Perché mi dispiace.”

James aveva sperato contro ogni speranza che Sirius avrebbe avuto qualcos'altro da aggiungere, ma ora si rendeva conto di aver sempre saputo che sarebbe stato impossibile.

“Non è abbastanza,” mormorò. “Mi dispiace. È solo che—non ci riesco e basta.”

Il viso di Sirius era pallido; tutta la rabbia era svanita. Ora sembrava solamente triste, ed annuì. James si rimise in piedi, e poi tese la mano, tirando su anche Sirius. Si fissarono per un momento.

“Mi dispiace di averti colpito,” disse James.

“Anche a me.”

Poi, con un veloce cenno di saluto con la testa, James si voltò. Aprì l'ingresso di Diagon Alley e lo attraversò rapidamente, con i mattoni che si chiudevano dietro di lui.


Nei momenti di disperazione, gli esseri umani possono non essere al loro meglio.

Lily si stava detestando in quel momento, ed era spaventata, ma era anche disperata, e doveva farlo—doveva provarci.

Quindi, bussò alla porta della camera di Petunia, e la voce di sua sorella replicò distrattamente: “Avanti.”

Lily entrò. Erano quasi le dieci, e sua madre era andata a letto, ma Petunia contava chiaramente di rimanere in piedi per un altro po'. 

Petunia gettò solo uno sguardo a sua sorella mentre entrava nella stanza prima di far tornare velocemente la sua attenzione all'invito che aveva in mano.

“Che cosa vuoi?”

Se avesse guardato più a lungo, Petunia avrebbe notate le lacrime negli occhi della sorella minore.

“Tunia, per favore,” la implorò Lily, ed il fatto che stesse piangendo era evidente nella sua voce, tanto che Petunia alzò di nuovo lo sguardo, sorpresa. “Per favore non farlo.” Si sedette ad un angolo ai piedi del letto. “Ti prego.”

Lily si detestava per dover chiedere, dover dire questa cosa, per fare questa richiesta, quando sapeva che era sbagliata, ma cos'altro poteva fare? Le lacrime cominciarono a scendere di nuovo, e supplicò: “Non lo sposare.”

E l'espressione di Petunia, che si era quasi ammorbidita, tornò in un attimo dura e fredda. “Lily, sei imbarazzante.”

“Non mi importa!”

“È imbarazzante starti a sentire.”

“Tunia, non ho mai voluto lasciarti indietro!” continuò in fretta Lily, “Mi dispiace! Ma tu sei mia sorella, e ti voglio bene, e non voglio che tu—devo dirtelo, perchè se non lo faccio, tu... noi non avremo più una vera opportunità di essere di nuovo sorelle... amiche, come prima...”

“Lily, smettila...”

“No, non la smetto!” Le lacrime scendevano più copiose ora. “Sono stata risentita con te, perchè ho sempre pensato che tu ce l'avessi con me e con quello che sono, ma c'è ancora tempo per aggiustare le cose tra di noi! C'è ancora una possibilità! Mi... mi dispiace, okay? Non avrei dovuto farti dire tutto a Vernon, m-m-ma l'ho fatto solo perchè pensavo che se non gli avessi detto nulla non mi avresti mai più vista dopo esserti sposata. Ed ora—non si tratta dell'essere una damigella. Non mi importa di quello; Io...” 

“Tu cosa?”

“Io—io voglio solo che le cose vadano bene tra noi!”

Petunia non disse niente.

Ti prego,” implorò ancora una volta Lily, in lacrime.

A quel punto, Petunia cominciò ad ammucchiare tutti gli inviti sparsi sul letto. Li organizzò in una mezza dozzina di pile ben ordinate, e poi in un'unica, alta fila che pose sul comodino. Lisciò le lenzuola damascate color lavanda, e poi, quasi nello stesso movimento, si ravviò i capelli chiari con la mano.

"Petunia."

Ma era come se Lily non fosse mai entrata in camera.

Petunia tirò le tende.

"Petunia!"

Lily aveva smesso di piangere, ma le lacrime indugiavano sulle sue guance arrossate; guardò sua sorella mentre metteva a posto la sua stanza immacolata. Petunia si muoveva senza fermarsi, senza esitazione o decisione; si muoveva da piano a piano—la sua routine serale. O si muoveva in modo aggraziato o come un automa.

Tunia,” disse Lily un'ultima volta, con voce rotta. Sua sorella aveva preso un cardigan—l'unico capo nella stanza a non essere piegato, drappeggiato sulla sedia della scrivania—e lo appese nell'armadio. Lily si alzò e si avviò verso la porta. Petunia lisciò la zona del letto che aveva occupato Lily, come se non fosse mai stata lì.

La minore lasciò la sorella mentre si occupava di un vaso di fiori sul davanzale.

(Sabato)

Sabato non ci furono altre rivendicazioni. Sembrò tirarsi un universale sospiro di sollievo, persino tra gli inviati di RSN, e la prima pagina della Gazzetta del Profeta era, rispetto al solito, assolutamente in tripudio. La mattina ed il pomeriggio passarono tranquillamente, con calma; l'edizione serale del giornale riportò che il Ministero della Magia aveva arrestato un sospettato Mangiamorte, e il resto delle storie riguardo le ora concluse rivendicazioni e le loro vittime. Nonostante tutto, tutti gli articoli avevano al loro interno lo stesso sottile indizio: nessuna nuova rivendicazione. Nessuna nuova vittima. 

Alcune volte, quando non ci sono vere vittorie, la gente ha bisogno di fare finta.

Lily si svegliò con la terribile sensazione di essersi addormentata piangendo. Indolenzita e appesantita, si alzò lentamente e con riluttanza dal letto, trovandosi in bagno senza avere alcun ricordo di essersi mossa. Si spruzzò acqua fredda sulla faccia salata, deidratata e arrossata e, appoggiandosi al lavandino, fissò il suo riflesso gocciolante nello specchio.

Era sabato, realizzò. In una settimana, sua sorella si sarebbe sposata.


Marlene stava lavando i suoi piatti. Aveva dormito fino a tardi quella mattina, così pranzo e colazione si erano, in un certo senso, uniti, ma comunque era quasi mezzogiorno meno dieci, e quello sembrava voler dire ora di pranzo, anche se i suoi capelli erano ancora bagnati dalla doccia mattutina e tutto quello che aveva addosso erano una vestaglia e dei pantaloncini di una tuta.

Finito il suo compito mondano, la bionda uscì dalla piccola cucina, attraversò il salotto, ed entrò in camera sua. C'erano esattamente due camere nell'appartamento dei Price—quella di sua madre e la sua—e sebbene fosse piccola, Marlene era felice di averla tutta per sé. Quando suo fratello, molto più grande di lei, era vissuto lì, avevano dovuto condividerla.

I muri erano verde scuro, coperti dai poster e dalle foto di Marlene—alcune delle quali dovevano essere rimosse per gli ospiti babbani, perchè si muovevano com'era consuetudine nel mondo magico. Mary e Lily le sorridevano dalla sua bacheca, e c'era una foto di tutte le ragazze del suo dormitorio, che salutavano con la mano e facendo boccacce all'obiettivo... era del quarto anno. 

E vicino ad alcuni biglietti strappati dal concerto dei Scopalinda a cui era andata l'estate scorsa, c'era una foto familiare di lei ed Adam, affissa alla bacheca di sughero con la sua spilla di Grifondoro. Stavano ridendo riguardo qualcosa e sembravano così... giovani. E ridicoli. Erano al quinto anno in quella foto—l'aveva scattata Lily con la macchinetta di Adam, subito dopo la Finale di Quidditch. Adam era bagnato fradicio, perchè i Grifondoro avevano reputato divertente passare la serata lanciando acqua a tutti i membri della squadra, e Marlene aveva strisce oro e rosse dipinte sul volto—una per ogni colore, lungo gli zigomi.

Era, pensò Marlene, una delle poche foto di se stessa che le piacevano. Probabilmente per via dell'angolo della macchinetta fotografica o qualcos'altro...

Marlene osservò la fotografia per circa un minuto intero, persa nei suoi pensieri. Poi, si spostò al tavolo all'angolo della stanza dove teneva il suo giradischi. Non aveva bisogno di scorrere tra gli album oggi, perchè sapeva già cosa voleva sentire. Pose il vinile che aveva ricevuto a Natale sul piatto e mise la prima traccia. 

Il familiare giro di note iniziò, e Marlene avrebbe potuto sorridere se non avesse avuto così tanta voglia di piangere. Sedendosi sul letto, Marlene prese un cuscino, che abbracciò al petto, mentre la voce del mago iniziava a cantare le prime parole. Tutte le canzoni migliori, pensò Marlene, erano sul dolore. 


Tutte le migliori canzoni, pensò James, erano sulla droga. 

Erano semplicemente oneste; brusche, ma adeguatamente sentimentali e genialmente strane. La semplice esistenza della canzone sconfiggeva l'inganno, perchè voleva dire che almeno i musicisti non avevano problemi ad ammettere che i loro testi venivano fuori da sostanze socialmente rigettate.

“A cosa stai pensando?” chiese la Signora Potter, sorseggiando il suo tè freddo dalla sedia più vicina a quella di James al tavolo della cucina. I Potter cenavano solitamente nella sala da pranzo, ma dato che c'erano solo loro due lì, la cucina andava bene per quella sera.

"Alla droga"

"James."

"L'hai chiesto tu."

Alzando gli occhi al cielo, la Signora Potter tornò al giornale che stava leggendo. James fece un sorrisetto, nel frattempo, e sedette svogliatamente al tavolo della cucina, girando la minestra con il cucchiaio.

E mentre la minestra marroncina schizzava sull'ovale argentato del cucchiaio da minestra, appannando il metallo per poi ricadere inevitabilmente di nuovo giù e movimentando il resto della zuppa, James ebbe una rivelazione sorprendente. Era il genere di epifania che si ha, per poi realizzare un momento dopo di aver sempre saputo quel concetto, ma di non averlo mai sentito prima: si era colto intellettualmente, senza accettarlo in modo emotivo. 

James realizzava ora, seduto lì nella cucina con la sua zuppa e cucchiaio e pane imburrato... che da un po' di tempo a quella parte, era stato veramente molto molto annoiato.

Non solo annoiato—letargico. Introverso. Stranamente disinteressato, spassionato...

Ed anche annoiato.

E, per da molto tempo secondo lui, James non aveva fatto assolutamente niente per rimediare. Sinceramente, non gliene era fregato abbastanza per provarci.

“Lui ci darebbe un'altra possibilità.”

Il respiro di James si fece corto.

"Ehi, anche io sono destinato alla povertà!" 

Lasciò cadere il cucchiaio.

“L'albero ha rotto il braccio di Sirius.”

“Era una piccola slogatura."

"Piangevi." 

"Non è vero!" 

"C’erano lacrime." 

"Non è piangere se non ti escono le lacrime dagli occhi, Potter." 

"Quindi lo ammetti che c’erano lacrime?" 

"No."

James provò ad alzare di nuovo il cucchiaio, ma le sue dita sembravano non funzionare.

"Perché? Perché avremo così tanta cattiva fama, che le persone parleranno di noi così tanto, da rendere scomodo fare l’elenco di tutti i nomi?"

"Esatto." 

La Signora Potter alzò lo sguardo dal giornale, avendo evidentemente notato il chiasso del cucchiaio contro la zuppiera in ceramica di James.

“Prongs, sei James Potter cazzo, e voglio che inizi a comportarti da tale, dannazione!”

“James, caro?” chiese sua madre.

Tutti commettono degli errori, James...Merlino solo sa quanti ne abbia fatti tu.” 

“James, che ti è successo?”

“Sai, Prongs, è stato quasi sexy." 

"Non sono in vena, Sirius." 

La Signora Potter gli smosse la mano, sbattendo inavvertitamente contro la zuppiera e rovesciando alcune gocce di minestra sulla tovaglia bianca.

"Forse stiamo maturando. Forse questa è quella cosa chiamata 'autocontrollo'."

"Non fare lo stupido...” 

“James, mi stai spaventando,” lo ammonì la Signora Potter.

"Prongs, siamo amici da sempre. Siamo amici da prima di sapere cos'era una maledizione Confundus... da quando eravamo così ignari da desiderare che Hogwarts non fosse aperta alle ragazze.  Siamo stati insieme in quasi ogni singola esperienza importante nella nostra vita…”

“Se qualcuno riesce a perdonarmi per ciò che sono... per quello che ho fatto per diventare così... Penso di poter perdonare Sirius per i suoi sbagli.”

“Sto dicendo che non è colpa tua, e che devi capire che Sirius ha commesso uno stupido, orribile sbaglio, ma non vuol dire che tu sia una persona terribile!” 

“Sirius, tu hai una famiglia. Hai Andromeda, hai me, hai...”

“Non siete così terribili come amici." 

“È una delle pecche dell'essere umani. Tu non ne capiresti niente, Prongs". 

“Pensaci, Prongs! Andrà lì, passerà sotto il Platano Picchiatore, vedrà Moony...”

"James, capisco la tua rabbia, ma Sirius fa parte della famiglia." 

“Anche io so come ferirti, Prongs.”

“Tu avresti dovuto—tu saresti dovuto esserci per cose come queste! Niente di tutto questo sarebbe dovuto accadere in questo modo!”

“Tutti gli altri sono andati a trovarlo ora—perchè tu non puoi?”

"Ma talvolta ti sorprendono anche per il meglio." 

“James!” ripeté sua madre, a voce più alta, e James venne in qualche modo sottratto dalla sua fantasticheria.

“Aspetta un attimo, mamma,” disse. “Sto pensando ad una cosa.”

(Domenica)

Domenica mattina, Elisabetta Secondail gufo di Jamesatterrò posandosi sulla finestra di Lily, con una lettera che riposava tra i suoi artigli. Lily aprì la busta, e quello che lesse la fece sorridere.


Domenica fece un po' più fresco. Il sole splendeva, e non c'erano state più richieste da Lord Voldemort. Nei giorni a seguire, la giornalista Dorthea Grey avrebbe coniato il nome per la settimana appena trascorsa—iniziando con la morte di Phillip Stoake e finendo con quella di Cary Young del Profeta—chiamandola, forse in modo poco originale, La Settimana delle Pretese.

“È il momento peggiore da quando questa guerra è iniziata,” sostenne, e, in quel momento, avrebbe potuto avere ragione.

Molte cose erano accadute quella settimana. C'era stato un totale di sette vittime, cinque “messaggi” dal Signore Oscuro, e quei pochi giornalisti che avevano continuato ad usare il suo nome fino a quel momento avevano ceduto ed avevano iniziato ad usare gli eufemismi popolari. Non c'era più nessun negazionista che sconfessava l'esistenza della guerra, o per lo meno, alla loro prospettiva non venne più dato alcun credito.

Il periodo di siccità inglese continuava, e c'era un gran parlare di uno sciopero al dipartimento meteorologico del Ministero della Magia. La vita continuò, e quelli che ricordavano la promessa di punizione del Signore Oscure avevano generalmente scelto di sperare per il meglio. Almeno per il momento, la Settimana delle Pretese era finita, e, a confronto, la vita ordinaria sembrò straordinariamente sicura.

Certo, nel novembre di quell'anno, si sarebbero tutti spiacevolmente ricordati della Settimana delle Pretese e di ciò che era stato promesso in ogni messaggio del Signore Oscuro. Ma ne riparleremo più avanti.

Diagon Alley sembrava rinata con la fine delle Richieste. Non era affatto affollata come una volta, ma le persone si muovevano facilmente tra i negozi domenica mattina, parlando con cordialità circospetta e godendosi il tempo più confortevole. Sirius percorse la breve distanza dal suo appartamento sulla Farmacia fino al Paiolo Magico, e persino lui non riuscì a sentirsi totalmente avvilito in quel momento.

Entrò nel locale dal retro, afferrò un grembiule e se lo legò in vita prima di entrare nella sala principale. Donna stava dietro al bancone, aspettandolo con una rivista in mano, e c'erano almeno una dozzina di clienti abituali presenti a colazione.

“Sei in ritardo” disse senza fare una piega Donna, senza alzare lo sguardo dalla sua rivista.

“Solo di un minuto.”

“Due.”

“È finito il mondo in mia assenza?”

Donna mise giù la rivista ed alzò gli occhi. “Non ho dormito tutta la notte, Sirius Black. Sarebbe saggio se tu non mi infastidissi proprio ora.”

“Vai a casa, Shack,” disse Sirius.

“Ci sto andando,” promise lei, slacciandosi il grembiule. Ad ogni modo, Donna esitò prima di sparire nel retro. “Il tuo amico è qui,” disse.

Sirius si guardò in fretta intorno, ed era vero, c'era James, seduto al bancone. Per un attimo, Sirius gelò sul posto; poi, scuotendo la testa, si rimboccò le maniche ed afferrò uno straccio per pulire il piano del bancone.

“Devo smetterla di dire a Moony il mio orario,” borbottò così da farsi sentire da James.

“Ho pensato che sarebbe stato meno strano del presentarmi a casa tua,” replicò James.

“Non molto.”

“Beh... scusa...”

Sirius posò lo straccio. “Non puoi affatturarmi o prendermi a pugni qui, Prongs. Sto lavorando. Quindi a meno che tu sia qui solo per ordinare qualcosa...”

“Non dirò che mi dispiace,” lo interruppe James. “Non sono neanche certo che questo non sia un grosso sbaglio, ma—comunque...” Deglutì. “Sei il mio migliore amico. E... penso sia abbastanza.”

Sirius lo fissò e basta.

“C-cosa?”

“Me lo vuoi far ripetere?”

“Lo sto prendendo in considerazione...”

“È abbastanza. Ho detto che è abbastanza.”

"Oh."

"Già."

“Quindi—quindi stai dicendo che...”

“Sì, è quello che sto dicendo.”

“Mi stai perdonando?”

“S-.”

“Oh.” Sirius si sedette sullo sgabello dietro al bancone, osservando James con attenzione. “Sei sicuro?”

"Sì."

"È... tutto passato?"

"Sì."

"Ed io sono..."

"Sì."

"Promesso?"

"Cosa? Sì."

“Oh,” disse Sirius di nuovo, e poi non disse altro. James aspettò.

Aspettò un altro po', poi iniziò ad annoiarsi. “Oh? Oh-cosa? Sei fatto di qualcosa, Padfoot?” domandò impazientemente.

Dopo un momento, Sirius sorrise. Si alzò in piedi. “No. No, stavo solo pensando.”

“Solo pensando?”

"Eh già."

“E...” James alzò le sopracciglia, “hai qualcosa da dire, magari?”

Sirius frugò in giro e, un attimo dopo, tirò fuori una bottiglia di Burrobirra, che mise di fronte ad un meravigliatissimo James. “Sì,” annunciò. “Ti perdono anche io.”

“Tu—mi perdoni anche tu?” ripeté l'altro, senza parole.

“Già.”

James aprì la bocca per chiedere qualcos'altro—probabilmente cosa gli era stato apparentemente perdonato—ma, dopo un momento, cambiò idea. Invece, prese la Burrobirra, tirò fuori la bacchetta ed aprì il tappo con un incantesimo. 

“Sei un idiota, Sirius Black,” disse, quando mise di nuovo giù la bottiglia.

“Mi sei mancato anche tu, amico”

James alzò gli occhi al cielo; Sirius sorrise più ampiamente. “Allora,” iniziò il primo in quel momento, “lavori in un locale...”

“Piuttosto fico, vero?”

“Come abbiamo fatto a non pensarci prima?”

“Lo so—la paga non è nemmeno male. Amico, hai gli occhiali nuovi; mi distraggono...”

“Non stanno nemmeno dritti... maledettamente seccante...”

“Ehi, ti ho detto che sto pensando di comprare una motocicletta...?”

“Tu sei fatto, Padfoot. Quando, esattamente, avresti voluto dirmelo?”

“Bella osservazione. Ma concentrati, Prongs—una motocicletta...”


Cara Spocchiosa,

Hai vinto.

Grazie,

Il Cretino

 

  
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