Anime & Manga > D.Gray Man
Segui la storia  |       
Autore: Alex Wolf    23/05/2015    2 recensioni
Storia prima denominata "La frusta dell'esorcista."
Dal capitolo 7°.
«Siete spregevole!» La mano di Thierry sfiorò la mia guancia, prima che la mia stessa Innocence gli imprigionasse il polso in una morsa ferrea. Riuscii a vedere il mio riflesso nei suoi occhi sorpresi, spaventati: una macchina assassina che non prova pietà per nessuno, neppure per coloro che combattono nella sua stessa fazione.
«Sono un diavolo, scelto da Dio ma pur sempre un diavolo, e in quanto tale è nella mia natura essere spregevole» sibilai, strattonandolo da una parte. Il corpo dell’uomo volò attraverso la foschia, tagliando la nebbia e creandovi un corridoio che si andò a riempire qualche minuto dopo il suo passaggio; dopo di che, atterrò sotto l’albero del Generale. Richiamai a me l’innocence, tornando a vedere a colori abitudinari e sistemai entrambe le braccia sui fianchi. Gli puntai un dito contro, affilando lo sguardo quasi a volerlo tagliare. «Prova a sfiorarmi ancora e la tua vita finirà in quell’istante.»
Genere: Generale, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allen Walker, Nuovo personaggio, Rabi/Lavi, Un po' tutti, Yu Kanda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 13.


Red.



Image and video hosting by TinyPic
 

Sangue e destino.
 



Parigi.


«Che volete?»
Anita trattenne un sospiro sorpreso, confusa da quel benvenuto che di buono non aveva proprio nulla.  Il ragazzo dietro al bancone era bello, alto e ben piazzato e in un certo senso le faceva accapponare la pelle. Quegli occhi leonini, più blu della notte li esaminavano con astio. Ma probabilmente anche lei avrebbe reagito così con le persone che gli avevano rovinato la vita, pensò.
Komui si fece avanti, il lungo impermeabile nero brillava sotto le luci a neon. Le gocce cadevano sul pavimento creando piccole pozze, facendo un rumore che sembrava durare ore e che rimbombava nelle orecchie della scienziata con forza. Aveva il cuore che batteva veloce.
«Lo sappiamo, ma abbiamo bisogno di lei.»
«E per cosa?» Le sopracciglia del giovane si corrugarono, donando al suo sguardo una luce pericolosa. «Vi siete già presi tutto quello che avevo.»  Si voltò a guardare una piccola bambina dai capelli neri che giocava poco lontano dal bancone del bar, poi congelò il Supervisore con la voce: «Non vi permetterò di portarmi via anche mia figlia, se è questo che pensate.»
Più lo guardava, più era sicura di vedere l’immagine maschile della giovane esorcista. E più si soffermava sulla bambina –con quei suoi corti capelli a caschetto e la pelle di porcellana- più le ricordava la ragazza di cui erano venuti a chiedere informazioni.
«Non siamo qui per sua figlia» aveva una voce decisa Komui, mentre si toglieva il capello che tanto gli piaceva dai lunghi capelli. «Siamo qui per sua sorella.»
Il ragazzo deglutì a fatica, prima di riprendere il controllo del suo corpo. Lo sguardo sorpreso lasciò il posto a quello di un felino impaurito e inferocito. Lasciò andare il bicchiere che stava pulendo fino a quel momento, e il rumore attirò l’attenzione della bambina. Gli occhi neri incontrarono quelli di Anita, senza però vederla realmente: ma questo era quello che pensava la scienziata.
«Andatevene.» Strinse le mani sul bancone, così forte che i muscoli sotto la maglia si gonfiarono e il legno scricchiolò.
Anita si sentì pervadere dalla paura. Era così furioso che da un momento all’altro si aspettava di vedere Bloody Rose scatenarsi dalle sue braccia e stringerle il collo in una morsa letale. Sapeva che non poteva essere così, ma l’aspetto che aveva sembrava proprio quello di Evangeline quando perdeva il controllo.
«Komui» sussurrò la bionda, poggiando una mano sul soprabito del proprio capo, «dai andiamocene. Non dovevamo venire qui.»
«Solo un attimo.» Le rivolse un sorriso, poggiando la propria mano su quella di lei. «Ascl-»
«Non ho intenzione di ascoltarvi!» Il grido di Marco fece tremare i bicchieri e le bottiglie poste sugli scaffali. «Non ho mai parlato a mia moglie e mia figlia di voi, della vera causa della morte della mia famiglia perché non avevo intenzione di immischiarle in niente. Perciò andatevene via!»
Anita chiuse gli occhi: odiava sentire gridare gli uomini in quel modo. Vedere i loro volti oscurarsi e le vene sul collo gonfiarsi di rabbia.  Le ricordavano una cosa che avrebbe voluto dimenticare, ma che non intendeva andarsene. Era sempre li, quell’insieme di ricordi dolorosi. Costantemente al suo fianco.
Qualcosa le tirò il giubbotto, portandola a distrarsi. Internamente ne fu grata. La piccola mano della bambina di Marco le stringeva la stoffa, continuando a chiamarla con voce bassa. Le labbra rosse, di quei trucchi venduti dai negozianti per i bambini, sussurravano in continuazione il suo nome. Sembrava quasi una canzone.
 La scienziata si abbassò, trattenendo il fiato. Sembrava davvero di stare davanti a una piccola Evangeline, in tutto. Con quegli occhi a taglio di gatto, la bocca sottile, la pelle tanto pallida da sembrare un foglio.
Per un momento Anita si sentì come impallidire, il cuore le ruzzolò nel petto. Si chiese come sarebbe stata la vita di Evangeline se i suoi genitori non fossero morti, se non avesse dovuto abbandonare il fratello –che adesso stava per litigando con Komui. La visione di quella piccola creatura la fece sentire in colpa: che diritto avevano avuto, che diritto avevano quelli dell’Ordine Oscuro di strappare una persona dalla sua famiglia? Se lo chiese più volte, in pochi attimi.
«Come ti chiami?» le domandò la piccola, con una voce dolce quanto il miele. Stava accarezzando il simbolo dell’Ordine Oscuro, lo teneva d’occhio come se ne fosse attratta come le mosche dal miele. Una luce balenava nelle sue pupille.
«Anita. Tu?»
«Evangeline… significa “bene”» sussurrò la piccola. Le prese la mano e la voltò rivolgendo il palmo verso l’alto, cominciando a far passare le mani sulla pelle fredda. «Il nome Anita mi piace molto, sai che significa “misericordia e pietà”? E anche “grazia divina”?»
«Davvero? Non… non lo sapevo.» Le sorrise morbidamente, soffermandosi sulla smorfia attenta che sostava su quel viso giovane.
 “Bene”, pensò, era proprio adatto a descrivere la “sua” Eve. Quell’unica parola racchiudeva in se tutto l’essere che quella giovane donna era, e la scienziata non aveva vergogna di dirlo.
«Il signore si chiama Komui, non è così? Significa “colui che compie la volontà divina”»,  liberò la mano e passò ad analizzare il polso, «ma anche “colui che va contro la volontà divina”.»
Le parole di quella piccola creatura l’affascinavano, tanto che si dimenticò delle urla che le circondavano. La paura scomparve, dissolvendosi come una nube attorno a lei e un muro cadde fra loro e i due uomini mentre parlavano. «Come sai tutte queste cose, Ev-», le sembrava strano affibbiarle quel nome, troppo abituata a usarlo per richiamare un qualcuno che non era chi aveva davanti.
«Chiamami Lynn» l’aiutò la piccola, senza però degnarla di uno sguardo, «la mamma mi chiama sempre così. L’unico che mi chiama “Eve” è mio padre, sempre lo stesso giorno dell’anno, ogni anno.» Abbassò di più la voce, e riprese a parlare come persa in un limbo: «Ogni tanto piange, si alza in piena notte e va sul balcone a osservare le stelle; ma per farlo deve passare davanti alla mia camera e così lo sento. Forse ripensa alla zia, ha una sua foto nascosta in camera sua.»
 La piccola la ipnotizzò con uno sguardo vuoto e pieno al tempo stesso. Con due occhi che sembravano buchi neri: prendevano ogni cosa, la incanalavano e non lasciavano uscire nulla. Milioni di miliardi di risposte vi erano nascoste all’interno, e nessuna di loro avrebbe mai più trovato la luce. Sarebbero state utilizzate in futuro in modo discreto, e su questo Anita non aveva dubbi.
Lynn non parlò più, chiuse gli occhi per qualche minuto e quando li riaprì una piccola lacrima scese a rigarle la guancia. Il bel visino era stato sfregiato da una smorfia, che scomparve subito non appena la piccola sembrò tornare alla realtà. La lacrima si dissolse, perdendosi sul pavimento del bar.
«Come sai tutte queste cose?» domandò la scienziata, sperando di distrarla dai pensieri tristi che l’avevano avvolta in quegli istanti. Probabilmente, non doveva essere stato facile neppure per lei –a discapito dell’età- far finta di nulla con suo padre.
Le mani morbide della bambina pigiarono nuovamente qualche secondo sul polso con attenzione, mentre lei restava concentrata in una specie di mondo a metà tra il vero e l’assorto. Qualche ciuffo di tenebra le oscurò i lineamenti.
Come sapeva quelle cose, quelle verità sul passato di suo padre? Come era arrivata a conoscere la storia Eve, nonostante Marco non le avesse mai raccontato nulla?
«E’ questo il suo punto debole» affermò la bambina, puntellandole con l’indice una vena sul polso. «Si. E’ proprio qui.» La lasciò, gettando le braccia lungo i fianchi nascosti dalla stoffa azzurra del vestito.
Anita socchiuse le dolci labbra rosse, interdetta. «Il punto debole di chi?»
«Della Zia. L’ho visto nei tuoi ricordi, quando ti ho sfiorato.» Il fiato della bionda si bloccò in gola, mentre le urla dei due uomini sembrarono bloccarsi a metà strada.
Tutto rimase in stallo, in bilico sopra ogni cosa. Il silenzio calò nella stanza come un velo. L’astio che si era impadronito della scena, con le urla accorse in suo soccorso, si polverizzò fino a rimanere un ricordo lontano. Niente si muoveva, solo i vetri che tremolavano un poco al passaggio delle carrozze sulla strada. L’impossibile stava accadendo davanti ai loro occhi. Oh meglio, la paura più grande di un uomo che si era visto portare via tutto stava iniziando. La storia si stava ripetendo: stesso nome, stessi colore di capelli, stessi tratti.  La scienziata sperava non lo stesso destino.
Marco trattenne il respiro, osservando la sua piccola dagli occhi brillanti lanciarsi in un circolo vizioso senza fine.
«C-come scusa?» Komui si avvicinò, ma la bambina non lo degnò di un singolo sguardo. Era troppo concentrata su Anita per notare qualcos’altro. «Cos’hai appena detto?»
«L’ho visto.» E il viso di Evangeline sorrise, senza rimorsi o paura.
Gli intensi occhi scuri brillavano sotto la luce delle lampade, riflettendone qualche lama che andava a donare al suo sguardo un colore più chiaro, simile a quello del padre.
«Questo è…» Anita non sapeva come descriverlo, perciò terminò la frase lanciando un’occhiata a suo collega che da dietro gli occhiali esaminava attento la piccola.
Nei ricordi di Marco scattò una scintilla, che lo portò ad agire con velocità. «BASTA COSI’!» Prese in braccio la bambina, stringendola a se. I suoi occhi fulminarono la giovane scienziata, che intanto si era alzata.
Il fratello di Evangeline era un tipo alto e muscoloso, perciò quando la donna si trovò a fronteggiarlo ebbe come la sensazione di assomigliare ad una misera falena, mentre lui pareva un’aquila. Forte, fiera, pronta a scendere in picchiata per tagliarla in due con il suo becco affilato.
Le dita stringevano il corpo della piccola come arpioni: non voleva lasciarla andare.
«Basta. Basta. Non vi è bastato portarmi via tutto il resto? Andatevene.» Non c’era più astio nella sua voce, solo stanchezza e arrendevolezza. In quegli occhi marini si stava spegnendo la scintilla di rabbia, e si stava insinuando nel suo animo la consapevolezza che urlare non sarebbe servito a niente: l’Ordine Oscuro era parte della sua vita nel male, perché di bene in tutto quello non c’era proprio niente, e non l’avrebbero mai lasciato in pace.
«Signor Corsi», la voce di Anita non era mai stata più flebile, «siamo al corrente dell’astio che prova nei nostri confronti, e sinceramente lo trovo più che giustificato, ma non siamo venuti qui per sua figlia –principalmente.» Fece un bel respiro, azzardando un passo verso l’uomo: «Siamo venuti per domandarle qualcosa su sua madre e suo padre, perché crediamo che abbiano parlato di quel viaggio di ritorno con qualcuno, quella volta. E’ probabile che si trattasse di un membro della famiglia Noah, così volevamo sapere se aveva visto qualcosa allora.»
Le labbra di Marco si socchiusero sorprese. Posizionò meglio Lynn sul suo braccio. «I miei genitori potrebbero essere stati traditi?» Non poteva credere a quelle parole.
«Potrebbe esserci di peggio» intervenne Komui, lanciando poi un’occhiata alla piccola tossì un poco «ma sarebbe meglio parlarne in privato. Non sono argomenti adatti a una bambina.»
«Ne verrei a conoscenza comunque, Caposezione» si affrettò a freddarlo lei, scatenando un piccolo sorriso di Anita.
«Tale e quale a tu-sai-chi» sussurrò –in un certo senso fiera-  la bionda al giovane uomo, facendo poi l’occhiolino alla ragazzina.
 
Prima di seguire i due scienziati, che si stavano dirigendo verso il bancone del bar per prendere posto, Marco rifilò uno sguardo a sua figlia. Ogni tanto capitava che gli ricordasse sua sorella –quasi sempre a dire la verità- ma non pensava che persino il loro destino fosse uguale.
Da quando Christa, la madre, le aveva regalato quella piccola pietra verde qualche giorno fa, tutto era come precipitato in un baratro senza fondo per lui. Aveva visto i suoi segreti venire alla luce, le sue paure più profonde scoperte dalla sua stessa figlia, il suo passato essere scoperchiato e riportato in vita. La bambina che lui avrebbe voluto tenere al sicuro da quel secondo mondo parassita che viveva nel loro, che avrebbe voluto stringere ogni sera con la consapevolezza che era sana e salva e immune a quegli orrori era la stessa che, adesso, gli sorrideva con la consapevolezza che tra non molto l’avrebbe dovuto lasciare.
«La zia» gli sussurrò all’orecchio sorridendo «è una tipa in gamba, sai papà? Ha superato tante brutte cose. Chiedi alla Signora Anita di lei.» Saltò giù dalle sue braccia e con un sorriso vivace corse dalla donna, costringendola a prenderla in braccio.
 



A Edo
 

Si sentiva soffocare, e faceva tremendamente male. Il collo sembrava andargli a fuoco, e più Tyki Mikk stringeva più lei rantolava in cerca d’aria. Stava tropo male. Stava soffocando. Vedeva davanti a se tante piccole macchie, apparivano e scomparivano ad una velocità incredibile e avevano costantemente diverse grandezze e colori. Le danzavano davanti come i lontani fiori dei ciliegi che si erano salvati dalla distruzione di quel luogo.
Si chiese per quanto ancora sarebbe riuscita a sopportare la presa del Noah sulla sua trachea. Ora che non aveva più l’uso della sua Innocence, dopo quel dannato scontro in mare con il Livello 3, si sentiva tremendamente fragile e… inutile. Non poteva saltare, non poteva liberarsi, non poteva combattere perché le gambe le dolevano in continuazione! Era semplicemente in trappola e non c’era niente da fare.
«Lenalee!» La voce di Lavi era distante, le orecchie della giovane esorcista la captarono a stento. Avrebbe voluto rispondergli, ma riuscì solo a pensare di riempir ei polmoni d’ossigeno.
Il Noah la tirò più vicina a se, facendola scontrare con il proprio petto. Riusciva a sentire il calore del corpo di lui insinuarsi oltre la stoffa della divisa, il suo respiro soffiarle sopra la parte destra del viso bendata. Non era come quando l’abbracciava suo fratello: allora il calore era tepore dolce e ben accolto, e il respiro una carezza dolce. Adesso aveva paura: più vicina si rivelava al corpo del suo assalitore più probabilità c’erano di essere ferite.
«Le donne dovrebbero morire senza opporre resistenza» dichiarò il moro, afferrandole meglio la gola. Dalle labbra le uscì un gemito.
«Lenalee!» L’urlo di Lavi, questa volta, le risuonò nei timpani con una forza sovrumana. La portò a stringere le palpebre dal dolore, dallo shock.
Dicono che quando si è in procinto di morire si riviva la propria storia alla velocità della luce, e per lei non fu diverso. Lenalee si ritrovò al buio,  sentì la paura invaderla con una forza prepotente quando rivide il viso dell’uomo che l’aveva terrorizzata; si calmò non appena Komui gli mostrò il proprio sorriso, e quando i ragazzi della sezione scientifica le dettero il “bentornato”. Provò gioia non appena si figurò davanti la faccia di Lavi e Kanda, e Crowely; arrossì alla vista di Allen e perse un battito quando Evangeline le arrivò davanti: l’espressione rilassata, come sempre quando parlava con lei, e la voce calma mentre le leggeva una delle tante poesie che possedeva. E nuovamente Komui,  che battibeccava con la ragazza. Suo fratello che l’abbracciava.
Si sentì abbandonare, Lenalee, quando le dita di Tyki strinsero con tanta forza la sua gola da farle pensare che il suo momento era giunto. La gola le bruciava, le parole raschiavano contro essa come il gesso sulla lavagna.
 Nemmeno il pugno che Chaoji, il marinaio salvatosi dalla lotta contro gli akuma, aveva sferrato al Noah l’aveva fermato dal compiere il suo obiettivo. Gli era solo passato attraverso, nulla di più.
«Lenalee!» Una nuova voce irruppe nel discorso fra i due, risvegliando la giovane dallo stato di congelamento in cui si trovava.  Riconosceva quel timbro forte e deciso, graffiante e ben udibile nonostante il vento le fischiasse con forza nelle orecchie.
E poi ci fu uno schiocco e un fendente colpì Tyki proprio sulla guancia, sfiorando anche lei. Poté sentire lo spostamento d’aria, il sibilo ancora prima che la frusta serpentina di Eve colpisse il Noah. Sorrise inaspettatamente, cercando l’amica con gli occhi. Ma l’esorcista sembrava invisibile nel buio di quella notte. Un’ombra fra le tenebre.
«Ti do due  opzioni, porcospino: o la lasci, o perdi il braccio. A te la scelta.» Come un diavolo, Evangeline apparve dal tetto di una casa vicina e atterrò a pochi metri da Tyki. Gli ossi più verdi di uno smeraldo luminescente, affilati come rasoi si fermarono in quelli d’ambra del riccio.
Lenalee trattenne il fiato, mentre il Noah saltava di lato scartando un attacco di Kanda, la cui Mugen fischiò nell’aria con velocità.
«Oggi ci sono un mucchio di persone, eh?» Il moro accarezzò il collo a Lenalee, sorridendo divertito ai due esorcisti davanti a lui. In particolare i suoi occhi gravavano sulla ragazza dagli occhi cangianti, che aveva serrato la mascella. Gli sembrava cresciuta dopo il loro ultimo incontro; appariva ai suoi occhi lucenti come una giovane guerriera.
Tyki poteva ancora ricordare il sapore delle sue labbra sulle proprie, il profumo misto all’odore di sangue che aveva inalato quel giorno sul campo di battaglia. In un certo senso, gli era piaciuto essere colto alla sprovvista in quel momento. Essersi fatto rubare un bacio da un’esorcista lo rendeva in qualche modo più… lussurioso. Aveva fatto una cosa proibita, e provava un piacere immenso in tutto ciò.
Soffiò il vento scompigliandogli i capelli, mostrandogli per un secondo qualche ciocca bianca nascosta molto bene in quelli di lei. Un lampo gli attraversò gli occhi. Cosa le stava succedendo? Poteva usarlo a suo favore?
«Anche tu sei un amico di quell’imbroglione chiamato Allen Walker?» chiese sfrontato il Noah, colpendo lo spadaccino alla sprovvista.
Kanda borbottò scocciato, migliorando la presa sulla sua katana. «Tzk. Non mi interessa quel pidocchio.»
«Pidocchio?» Il giovane Tiky non avrebbe mai immaginato che, oltre che a Evangeline, ci potesse essere qualcun altro dell’Ordine Oscuro di così poche parole.  
E come se l’avesse chiamata, la ragazza schioccò le nocche e fece un passo avanti, guadagnandosi l’attenzione del gruppetto che assisteva alla scena. Guardava il Noah con gli occhi, ma con la mente pensava solo alla sua amica, ancora preda di quel fantoccio dal viso angelico. «Immagino tu abbia scelto la seconda opzione, Porcospino. Bravo, è la mia preferita!»
Senza aspettare una risposta dall’uomo la giovane scattò: frustò l’aria con cattiveria distruggendo una parte di tetto sottostante.
Era bella Eve, pensò Lena dimenticandosi per qualche istante del pericolo in cui si trovava, agile, aggraziata in quei movimenti tanto distruttivi. La mascella aveva assunto un’angolazione diversa ora che si era rasata i capelli sottostanti, sembrava più fluente e femminile. Un cobra pronto ad avvelenare la sua preda.
«Eve» sussurrò la cinese mentre Tyki la portava sempre più lontano dai suoi compagni, per difendersi dagli attacchi, e vedeva le loro ombre fondersi con la notte. Solo lo spadaccino e l’amica rimanevano visibili, li rincorrevano con foga senza mai fermarsi e dissolvevano ogni Tease che il Noah gli scagliava contro.
La giovane si muoveva veloce, ma come ogni volta Lenalee poteva vedere il dolore nascondersi dietro quello sguardo assassino. Non poteva provarlo in prima persona, ma da quello che suo fratello gli aveva raccontato l’Innocence di Eve era ben diversa dalle altre: aveva una forza distruttiva che feriva anche il padrone. E lei avrebbe voluto aiutarla, dirle di smettere di combattere ma non poteva perché in realtà non voleva. E si rendeva conto che erano pensieri da egoista, ma lei non voleva morire li, così –fra le mani di una Noah, presa come ostaggio senza nemmeno aver avuto la possibilità di combattere. Senza aver riabbracciato suo fratello.
 Non voleva.
Si dibatté più forte che poté quando sentì la terra sotto i piedi, e la frusta della giovane combattente sfiorarle un polso (appena un sussurro, un tocco leggero prima di ritirarsi) per tentare di afferrarla. Strinse le palpebre, l’esorcista imprigionata, e si dimenò ma le dolevano le gambe e sentiva che stava venendo meno.
«Dovrei fare in modo che tu non possa più ribellarti?» le sussurrò Tiky all’orecchio prima di stringere con forza la sua gola con un braccio.
Lenalee tentò di liberarsi, invano. «Torcile un capello e ti ritroverai senza testa!» sentì gridare, prima di perdere i sensi.
 


Evangeline.
 

Kanda attaccò, arrivando a sfiorare il viso di Lenalee. La punta di Mugen si fermò in tempo, accarezzandole il profilo del naso.
Tyki, che con il suo corpo poteva attraversare qualsiasi cosa –tranne l’innocence- aveva agito così in fretta che nemmeno eravamo riusciti a calcolare le sue mosse. E adesso chissà dov’era finito, perso nel giardino di quella casa divenuta il nostro campo di battaglia.
Mi mossi con sveltezza, sentendo il vento gelido della notte insinuarsi sotto il lungo soprabito che indossavo. Il nero della notte si mescolava con il tessuto impermeabile, non brillavano sopra esso neppure le poche stelle erse in celo. Ero un’ombra; ma non c’era niente di nuovo in questa affermazione.
Lenalee. Mi avvicinai, ma prima che riuscissi a sfiorarla notai che qualcosa si stava avvicinando nel buio. Silenziosa, sinistra. Affilai lo sguardo.
La cosa attaccò, e io fui costretta ad allontanarmi dal corpo della ragazza in fretta. Tyki la riprese con se, parando immediatamente un attacco di Yuu.
L’esorcista fu gettato lontano: colpì il muro e lo sentii gemere. Non avevo mai visto tanta forza bruta in un attacco donato con noia, come non avevo mai preso atto del fatto che Yuu fosse umano. Che potesse provare dolore. Adesso, però, che lo vedevo barcollare sulle gambe non potevo fare altro che pensare fosse vero.
«Yuu, come ti senti?» domandai, deviando per qualche minuto le farfalle divoratrici che Tyki gli gettava contro.
«Non chiamarmi Yuu!» Fendette con la spada uno stormo di animali, prima di portarsi una mano alla spalla sinistra. Gli doleva.
«Evidentemente è tutto ok» intervenne Tyki.
Lo guardai con astio. Sentivo il sangue fluire nelle vene impetuoso, con una forza tale che quasi pensavo sarei andata a fuoco. Rose si agitava forte contro il mio polso. Riuscivo a sentire il “crack” prodotto dalla pelle del mio braccio destro che andava a venarsi, simile a quella di un serpente in piena muta.
Gli avrei staccato la testa, a quel porcospino, poi ci avrei giocato a pallone. Mentre vedevo Lenalee svenuta fra le sue braccia, sentivo la testa scoppiare.
«Lasciala andare!» strillai, scaraventando la frusta contro di lui con tanta forza da spaccare un intero muro quando le borchie che la ricoprivano si conficcarono al suo interno.
Tyki volò indietro, evitando il colpo con maestria. «Sei arrabbiata, Cagnaccio? Rivuoi il tuo padrone indietro?» mi canzonò, passandosi una mano fra i capelli.
La desolazione di Edo gli faceva da sfondo. Uno scenario perfetto per un distruttore come lui.             Il vento gelido lo accarezzò, mentre gli occhi furbi brillavano di divertimento.
Serrai i pugni. «Sarà meglio che la lasci andare, altrimenti»
«Cosa? Hai intenzione di correre verso di me e baciarmi ancora?» Il mio cuore perse un battito, mentre Yuu alla mia sinistra si lasciava andare a un’esclamazione –la prima che gli avessi mai sentito fare in tutta la mia breve vita- molto colorita su quell’accaduto.
«Che c’è, Cagnaccio, ti ho punto sul vivo?» Quegli occhi d’ambra, che tanto mi avevano affascinata quel giorno in battaglia, adesso, mi parvero più viscidi che mai.
Strinsi forte la mia frusta, affilando lo sguardo. Più lo scrutavo più volevo ucciderlo. Il suo modo di toccare Lenalee, di stringerla mentre era inerme a causa sua mi faceva infuriare. La sua convinzione di potermi battere, il suo sorriso da vincitore di una battaglia già vinta mi faceva imbestialire. Il suo carattere menefreghista, malizioso non faceva altro che farmi vedere rosso.
«Sei morto.»  E non era un commento così per dire, ma un’esclamazione che andava a leggere nel futuro.
Scagliai contro il Noah Rose, più forte che potei. Ma Tyki sembrava sempre più veloce, nonostante i miei sforzi. Nemmeno un attacco a sorpresa lo colse impreparato.
A un tratto, sentii il mio cuore perdere qualche battito e d’istinto mi portai la mano libera al petto. Batteva ancora, sentivo il ritmico ticchettio che scandiva i battiti. Forse era stato solo un momento, questione di attimi che scomparve immediatamente.
Il Noah non si accorse di nulla.
«La rabbia ti farà venire le rughe» affermò, evitando con maestria un frontale.
«Tu invece non le avrai mai, perché morirai prima della vecchiaia!» E questa volta lo colpii con forza al braccio sinistro, strattonandolo nella mia direzione.
Udii la sua carne lacerarsi, le borchie di Rose infilarsi sotto la pelle e tirarla per portarlo verso di me. E lui esclamava poderosamente, si rivoltava contro l’Innocence maledicendoci.
Gemette, riuscendo però a districarsi dalle spire della frusta. «Ahi ahi», arretrò fino a saltare su l’ennesimo tetto. Sembrava un gatto, schivo e attento. Furioso.
Sorrisi compiaciuta, nel vederlo sanguinare copiosamente; nell’osservare i buchi e il rosso acceso che gli macchiavano la camicia pallida e la pelle.
 «Non ti hanno mai detto che le persone aggressive non riscuotono molto successo in amore?» C’era astio nei suoi occhi, mentre gridava quelle parole dall’alto della sua nuova postazione.
Lo ignorai seguendolo veloce, senza esitazioni. Sentivo i rumori della battaglia che incombeva alle mie spalle, vedevo la desolazione creata da quegli akuma giganti ma non me ne importava. Tutto quello non aveva senso, perché non era lei. Perché non significava nulla per me. «E chi se ne frega!» ammisi atterrando davanti al giovane, con maestria e forza. «Potrei vivere senza amore, sopportare questa Innocence, morire in continuazione per milioni di anni, se sapessi che il mio comportamento salverebbe sempre Lenalee.»
Tyki sgranò le palpebre, per poi affilare lo sguardo. «Se non sapessi che lei è il tuo appiglio per non cadere nel baratro, direi che ne sei innamorata.» Le sue braccia forti alzarono Lenalee per posizionarla meglio, e allora mi persi a osservarla come prima non avevo fatto.
Sembrava stesse soffrendo. Mi morsi le labbra. No, non era solo un pensiero incosciente di un ragazza: lei stava male e me lo sentivo nel petto; nel cuore che doleva e nella testa che pulsava. Era più che una semplice sensazione. Potevo capirlo dal modo in cui la sua bocca era piegata, il suo unico occhio visibile si contraeva in quel sonno agitato. Che cose le stava succedendo!? Che stava combinando Tyki nella sua testa?  
«Devi ridarmela!» strillai al limite. «Questo è un ultimatum, Porcospino.» Caricai il polso, pronta ad attaccare.
Un braccio mi cinse il bacino tirandomi indietro, stringendomi ad un corpo rigido e caldo; i capelli lunghi del ragazzo mi solleticarono il collo e la sua mantella mi nascose per qualche secondo prima di venire smossa dal vento.
L’esorcista guardò il nemico, affilando lo sguardo. «Mi stai sottovalutando, riccio.» Yuu mi spinse un po’ indietro, senza lasciarmi andare però.
Sentivo la tensione del mio compagno spargersi sulla pelle, fra le mie ossa. Il braccio destro mi lanciava stilettate di dolore da quanto lo stringeva, e pensai di aver persino udito nuovamente il rumore della pelle che si spezzava sotto la manica. Probabilmente lo sentirono anche i due ragazzi, perché i loro occhi seguirono i miei.
Conoscevo alla perfezione le insenature createsi sull’involucro che rivestiva i miei muscoli, le escoriazioni che lo solcavano negli stessi punti. L’ennesimo suono, così vicino alla gomito, mi portò a socchiudere le labbra e morderle fino a far uscire il sangue. Non provavo dolore, solo continue e pressanti pulsazioni ritmiche che mi balenavano nel cranio come un beat. E il rumore si alzava, sempre di più, portandomi sull’orlo dell’esaurimento, finché non chiusi gli occhi incrociandone altri due.
Neri. Profondi. Gentili. Sembrava mi parlassero, mentre potevo vederli analizzare il mio corpo da cima a fondo. Avevano una parvenza di unico e famigliare, ma erano troppo distanti perché riuscissi a comprendere che cosa li rendesse tali.
Socchiusi la bocca, ignara di quello che stava accadendo attorno a me. Potei sentire solo Yuu che m’inveiva contro: «Hai esagerato con quel tuo marchingegno al braccio», per poi tornare ad affettare Tyki con la lingua. «Mi stai sottovalutando. Pensi che non sia in grado di tagliare tutte queste tue stupide farfalle?»
E, Dio, quanto avrei voluto reagire e rispondergli ma mi parve di essere incollata al suolo con le mani legate dietro la schiena e la lingua tagliata. Non riuscivo a parlare, a muovermi, a ragionare come si deve: mi sentivo posseduta. Lo ero? Non potevo fare niente.
 Mi sentivo attratta da quello sguardo nero come per forza maggiore. Strinsi le palpebre, caddi nell’ignoto.
Nel buio di quel luogo, nei reconditi della mia mente, si fece largo un piccola luce bianca che sfrecciò davanti ai miei occhi lasciando una scia che pian piano scomparve assieme a essa. Poi, in lontananza esplose in una cascata di scintille illuminando il corpo in piedi di una bambina.
Aveva lunghi capelli corvini, una corta frangia, pelle chiara e labbra sottili che sorridevano assieme agli occhi cenerini. Un lungo vestito cremisi, che rasentava il suolo, le danzava intorno a ogni piccolo passo. Prese a correre verso di me ridendo, ma non mi vide realmente. Sembrava… felice. Divertita come una bambina può essere in quel mondo che si crea, dove tutto va bene e le cose cattive non esistono. Giocava, scoccando avanti e indietro una frusta sibilante.
Poi si accorse di me, ci guardammo. Ci guardammo per tanto tempo dritte negli occhi, provai un brivido. Quegli occhi neri si fusero al verde, e mi colpirono nel profondo. Una sensazione già conosciuta che, però, non riuscivo ad identificare mi lasciò l’amaro in bocca e un buco nel petto, un nodo allo stomaco.
 La bambina divenne adolescente, la luce divertita nei suoi occhi scomparve lasciando il posto ad un’altra più buia. Il vestito si dissolse in una pioggia di sangue e il suo corpo venne ricoperto di cenere nera che andava a raggrumarsi ad ogni goccia e scendeva, solcava la pelle chiara rigandola. Le iridi rosse mi abbagliarono, gli strani fili color rubino che avevano iniziato a volteggiarle attorno mi puntarono.
Deglutii a vuoto, mentre la vedevo farsi sempre più vicina. Si fermò a pochi passi da me, allungò una mano rovinata e la ritrasse, come a volerci ripensare, alzandosi nuovamente. L’adolescente sparì, diventando buio nel buio. Nient’altro che un’ombra, ovvero quello che era stata.
Comparve la nuova lei. Niente più luce in quegli occhi neri e bianchi, così simili a quelli di un fantasma. Niente più sangue su quei fili pallidi e sottili che si aprivano alle suo cospetto, dai suoi polsi, come tanti raggi di luce inesistente. Solo ferite su quel corpo martoriato; pelle distrutta che si squama, come quella di un serpente.
Un serpente. Era quella la parola che meglio descriveva quella ragazza ormai arrivata al limite.
Deglutii ancora, vedendola sorridermi. Alle sue spalle potevo ancora distinguere i due penetranti occhi neri che mi avevano rinchiusa in quello strano posto. Non si muovevano, non fiatavano.
La nuova figura mi sfiorò il volto, arrivando con le sue labbra alle mie e poggiandovi sopra un casto bacio. Tremai dentro, nel profondo, mentre tutto oscillava impetuosamente.
La ragazza si allontanò, avvicinandosi al confine con le tenebre che l’avrebbe nascosta alla mia vista, inghiottita. Sorrise un poco, si lasciò cadere, divenne cenere che il vento trasportò via.
Gli occhi neri si chiusero, una lacrima li solcò inumidendone le ciglia. Poi, com’erano arrivati, scomparvero assieme.
Qualcosa mi morse. Con violenza e ingordigia. Gridai, sentendo la pelle venir strappata da centinaia di piccoli denti aguzzi, insaziabili. Spalancai le palpebre quel tanto per riuscire a vedere le Tease di Tyki accerchiate attorno a me, poggiate sulle mie spalle come una coperta di ricercato tessuto viola.
Non riuscivo a capire dove mi trovavo. Attorno a me era come se la battaglia si fosse estinta: dov’erano tutti?
Il cielo nero era anonimo mentre mi alzavo e scacciavo via i predatori, strappandoli con tanta forza da non sentire più il dolore. Rivoli di sangue scarlatto macchiarono i miei abiti, le mie braccia. Le gocce, il loro calore s’irradiava sulla mia pelle stanca e seguiva il percorso del braccio tuffandosi sulle punte delle dita, da cui si tuffavano con tranquillità.
Un senso di nausea mi avvolse in una morsa letale, portando a gettarmi in ginocchio. Mi piegai oltre il tetto e vomitai nella strada sottostante. Poi mi pulii con il soprabito distrutto e lo gettai via, rialzandomi. Che scena pietosa.
«Ma guarda come ti sei ridotta, nemmeno tua nonna» mi rimproverai, cominciando a camminare sui tetti. Più acquistavo velocità più i miei passi si facevano sicuri. Le tegole sembravano reggere bene il mio peso, perciò non c’era nulla di cui dovevo preoccuparmi, a parte il freddo. Senza qualcosa a coprirmi le spalle l’aria si sentiva di più: più dura, più arcigna, più fredda.
Quando finalmente ritrovai Yuu, Tyki gli stava lanciando Lenalee come fosse un sacco di patate. Ringhiai, attirando la loro attenzione e mi precipitai dalla giovane.
«Ah, ma sei ancora viva.» Il Noah sorrise, caricando Tease nella sua mano destra.
«Tu non per molto, invece» sputai acidamente fuori, parando il corpo di Kanda con il mio. «Ora ci facciamo un bel balletto solo io e te, Mr. Capellicotonati.» Presi fiato, e con tutta la buona volontà gridai nella mia testa e sussurrai sul campo: «Innocence, secondo livello: veleno della rosa, attivati.»
Ed ecco che Rose fremette, si arrampicò oltre le mie spalle e abbracciò i miei arti. Tentacoli rossi scaturirono da quella che una volta era stata un’unica frusta, da entrambe le parti, e si andarono a ergere sopra la mia figura frementi.
Tyki sorrise, ma nei suoi occhi qualcosa si spense: non era più tanto sicuro di essere il vincitore designato della battaglia.
«Ce la faccio da solo, piv-»
Osservai Yuu, che si zittì per la prima volta da quando l’avevo conosciuto. «Zitto, e resta a guardare mentre ti salvo la vita, pivello. E ora» sorrisi diabolica «lasciami inaugurare questa danza, Porcospino.»
I fili di Rose si scatenarono in aria. Corsero verso il cielo e poi si gettarono sulla terra, creando un’onda simile a sangue che colpì a raso i piedi del Noah. Mi lasciai sfuggire un grugnito di frustrazione, senza arrendermi. I serpenti strisciarono sulle tegole, si arrampicarono nel vento e continuarono a rincorrere il nemico finché quest’ultimo non decise di saltare troppo in alto persino per loro.
«Finiamola qui, che ne dici Cagnaccio?» Un raggio di luce viola piombò su di noi. Correva come un cane da caccia dietro una lepre, non aveva intenzione di fermarsi.
Non ci può tenere tutti, mi dissi. Così, feci la scelta più veloce che mi si parò davanti agli occhi: voltai la schiena al getto, diressi i tentacoli verso Yuu e Lenalee e li circondai con essi per proteggerli. Vi si chiusero attorno creando una barriera protettiva, lontana dal pericolo imminente.
Almeno ho la certezza che è al sicuro. Potevo già sentire il dolore attanagliarmi le carni, il calore cuocermi i muscoli e strappare i tessuti fino a ridurli in cenere. Respirai a fondo, senza voltarmi. Il sangue colava ancora sulla mia pelle dalle miriadi di piccole ferite, ormai ai miei piedi si era creato un piccolo rivolo che colava fra le insenature delle tegole e scendeva fino alle grondaie, perdendosi.
«Eve-chan!»
«Baka Usagi!» Scese dal cielo, i capelli rossi scompigliati e la bandana in procinto di volare via. Poggiò la sua schiena contro la mia. Era caldo e aveva il respiro pesante, ma sembrava riuscire a reggersi bene sulle proprie gambe.
«Evangeline, ho bisogno che tu mi spinga in avanti» spiegò Lavi, allineandosi meglio con la linea della mia figura.
Mi accigliai, piegandomi leggermente sulle ginocchia per trovare più appiglio. Potevo sentire Yuu lamentarsi all’interno del bozzolo, maledicendomi con tutte le lingue di sua conoscenza. «Che diavolo hai intenzione di fare, Lavi?»
«Il colpo che sta per arrivare è forte, potrebbe spingermi indietro e farmi perdere l’equilibrio. Cerca di contrastare la mia caduta, Evangeline, e forse riusciamo a uscire da questo inferno.»
Alzai gli occhi al cielo, ma ubbidii senza battibeccare. Quando il colpo del Noah raggiunse il martello di Lavi sentii il suo corpo venir gettato contro il mio. Mi stava pressando, ma sebbene alcune tegole erano rese scivolose dal sangue riuscii ad riacquistare sempre l’equilibrio e lui non cadde. I nostri corpi tremavano di sforzo, all’unisono come guidati da un timer. Il suo profumo saliva alla mie narici assieme a quello ferroso del liquido rosso, a quello di bruciato e a quello del sudore. Il vento si era fatto forte e turbolento, scuoteva i vestiti su e giù con veemenza e cattiveria: frustavano nei mulinelli trasparenti colpendoci come le Tease di Tyki sulle ferite.
Finalmente, l’attacco cessò. Si era consumato in poco tempo, che a me era parso sotto forma di ore. Avevo le gambe indolenzite, il torace fremente e il corpo dolorante.
«Questa gente» soffiò fra i denti Tyki, dall’alto della sua postazione. Lo intravidi con la punta dell’occhio: volava, bellissimo nella sua figura giovanile, pericoloso come un raro fiore.
Proprio quando ci stavamo preparando ad un nuovo attacco, il Noah della lussuria scomparve.
Lanciai uno sguardo all’Arca che ci sovrastava, mentre richiamavo a me l’Innocence. Tutto questo, non era neanche l’inizio.

 



Note di Autore
 
Image and video hosting by TinyPic
 

Isil: Well… Non mi dilungo, perché tutto questo scrivere (non parlo solo di questa FF) mi sta uccidendo e devo studiare amministrazione (maledette società! Quanti tipi ne devono esistere, è?!)
Evangeline: Tanto, anche se ti fossi dilungata nessuno ti avrebbe calcolata. No one read what you write here.
Isil: Jerk. Ad ogni modo => perdonatemi per il ritardo assurdo. Ma, io sono solo una diciottenne piena di compiti Y.Y Oh, a proposito: CIAO BEGGHIIIIII :3
Evangeline: Cia.
Isil: Nemmeno una “O” per la Beggggggggghi?
Evangeline: Tzk. No.
Isil: @-@ [°]-[°]... #sospiro# Buona notte gente.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > D.Gray Man / Vai alla pagina dell'autore: Alex Wolf