Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: Woland Mephisto    23/05/2015    3 recensioni
Salve! Questa "storia" è un mero esperimento a cui ho pensato proprio oggi, ispirandomi alla pagina facebook "Il peggio di EFP", sulla quale vengono pubblicate le cose più stupide e assurde che io abbia mai letto. E quindi volevo scrivere qualcosa di stupido e assurdo anch'io, perciò ecco la mia storia.
Diciamo che non ha nessuna trama, sto scrivendo esattamente senza pensare, perché voglio proprio vedere cosa uscirà fuori da tutto questo delirio. Se avete voglia di farvi due risate gratis e senza motivo, passate pure.
Detto ciò, voglio solo dire che non è mia intenzione offendere nessuno con questa storia, anzi, ho scritto più che altro per ridere con voi tutte autrici/lettrici delle assurdità che vengono fuori in certe storie e dei cliché che spesso tutti usiamo. Grazie a chiunque vorrà passare e ridere insieme a me, ne sarò felicissima.
Genere: Demenziale, Parodia, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Nonsense, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Attenzione: la seguente storia contiene argomenti al 200% demenziali e idioti. I deboli di vescica sono pregati di munirsi di appositi vasini da porre sotto il corpo per non bagnare sedie o poltrone, perché la lettura potrebbe causare incontinenza. Si consiglia inoltre di munirsi di bombole d'ossigeno piene per prendere aria di tanto in tanto, poiché le risate potrebbero togliere il fiato.
Per morti causate da alitosi di chi ride di fianco a voi, comportamenti strani, inquietanti e disturbanti, attacchi epilettici e di panico per le troppe risate e Armageddon dovuta all'esplosione  della superficie terreste, la sottoscritta dichiara di non avere alcuna responsabilità.
Detto ciò: divertiamoci insieme!


 
- Di velocità supersoniche e poteri della (s)figa -
 


 
«Alzati, checchina!», gli disse Tom in preda all’euforia, dopo che gli effetti della morfina erano andati a farsi benedire. Detto ciò, artigliò con forza il materasso, lo ribaltò mentre la suddetta checchina ci stava ancora dormendo e sbavando sopra e lo fece cadere a oltre un metro di distanza, sommergendo l’altro sotto lenzuola, cuscini e materasso stesso. Tutto di un misto di fuxia, rosso e rosa shocking, naturalmente.
«Argh! Ghdasssflokkkggrrr!», fu il grido disperato dell’intrappolato.
Al che il gemello maggiore sorrise soddisfatto e sornione e, godendo come un riccio, se ne andò dalla stanza per combinare qualche disastro altrove.
Trümplitz riemerse dal groviglio di coperte con la faccia stravolta, i capelli più drizzati di quando se li conciava con la lacca e la piastra, un po’ di bavetta ancora gocciolante dalla bocca semi-aperta e dal mento e gli occhi mezzi arrossati.
«Dov’è il cannone?», chiese con la voce strascicata dal sonno, prima di tornare giù come una pera cotta, a dormire nell’intrico che erano i resti del suo letto. E lode ai sonniferi della scorta del paparino incosciente.
Intanto, al piano di sotto, Georg era arrivato alla porta e Jörg lo aveva fatto entrare con uno sguardo semi disgustato che suggeriva un certo timore che quello si sbattesse il suo unico figlio ancora abbastanza normale. Quello che non sapeva era che Georg se lo sarebbe sbattuto a destra e a manca molto volentieri, ma non lo faceva solo perché quell’altro non aveva capito una ceppa.
Tom vide l’amico alla porta e, con la velocità di uno Shuttle in orbita, passò davanti al padre, artigliò quello per la giacca di pelle e lo trascinò dentro, ululando: «Oggi la tua Audi la guido iooooo!!!», al che l’altro dovette solo seguirlo, impotente, perché altrimenti si sarebbe ritrovato schiantato con la faccia contro il muro per effetto d’inerzia.
«La mia piccola la guido solo io! Tu non mi hai mai fatto guidare la tua moto!», rispose l’altro, con la testa che gli girava, dopo aver barcollato un po’ per essersi fermato bruscamente. Realizzò che si trovavano in camera del ragazzo e lo guardò con un misto di vaga curiosità e divertimento, chiedendogli anche: «Ma che diavolo stai facendo?».
«Costruisco un mitrucile, che è un misto tra un mitra e un fucile», gli rispose quello, armeggiando con un sacco di pezzi di ferro, alcuni anche un po’ arrugginiti.
«Dovrai farti l’antitetanica se tocchi quella roba, lo sai?», fu il commento sarcastico del castano, che rise da solo perché, evidentemente, Tom non aveva capito niente di quello che aveva detto.
E infatti si voltò verso di lui sconcertato affermando: «Hey, no! Io non voglio niente che sia contro le tette!».
Silenzio imbarazzante per Georg e silenzio contemplativo per Tom.
«Okay, senti…», il bassista cercò di cambiare ancora discorso: «a che diavolo ti serve un mitra-coso o come diavolo si chiama?».
«Un mitrucile e mi serve per combattere i malvagi nel mondo, così avrò un sacco di belle pupe ai piedi, tutte pronte a farmi quello che voglio!», rispose l’altro, con uno sguardo malizioso che mandò Georg in estasi, con tanto di nosebleed estemporaneo.
Poi, riprendendosi, gli chiese ancora: «Ma non ti bastano quelle che hai già?», e qui un attento ascoltatore avrebbe potuto sentire un ringhio sordo, come di un cane il cui territorio è stato brutalmente varcato illecitamente.
«Amico, le tipe non bastano mai, lo sai!», Tom lo guardò come se fosse un alieno appena sceso sulla terra.
«Insomma, che diavolo hai, oggi?», aggiunse, con uno sguardo da bambino dell’asilo che faceva concorrenza a quello di Bill.
«Niente, Tom, solo che… è strano che ti serva quel coso per conquistare qualcuno», cercò di fargli un velato complimento, omettendo per bene la parola “ragazze”.
«Sì, lo so che sono favoloso, ma non c’è mai limite alla favolosità!», si pavoneggiò, dandosi arie d’importanza.
Georg avrebbe davvero voluto rispondergli qualcosa, ma per amor proprio decise che era meglio tacere e assecondarlo.
Intanto, dalla stanza accanto, cominciavano a sentirsi le urla belluine di Bill sul fatto che nessuno lo avesse svegliato, che era in ritardo, che sarebbe dovuto andare a scuola come un orrendo mostro senza trucco e… «Che diavolo ci fa il mio materasso per terraaaaaaahhh?!», chiese mentre ci inciampava sopra per via del fatto che stava correndo per tutta la stanza sbracciando gli arti superiori in aria, in preda a chissà qualche sconcerto psicotico.
Georg guardò Tom interrogativamente e quest’ultimo, con un’alzata di spalle da gnorri, rispose semplicemente: «Forse ha le mestruazioni di nuovo, questo mese». Il castano spalancò gli occhi e per poco non fece lo stesso anche con la bocca, ma poi decise per l’ennesima volta di non porre domande, per la sua sanità mentale.
Questo prima di capire che l’avrebbe persa comunque vedendo il detto gemellino androgino entrare in camera di Tom quasi completamente nudo, urlando: «Che diavolo di fine hai fatto fare al mio beauty case, brutto orco rastoso?», mentre guardava il gemello maggiore con un’aria di sfida, una mano su un fianco, indicandolo con l’indice dell’altra, mentre un boa di piume verde acido gli aleggiava intorno partendo dal collo.
Georg non si sarebbe mai più ripreso da quello shock.
Tom lo guardò stralunato, si coprì gli organi visivi come se fossero appena stati corrosi dall’acido e urlò pietosamente: «I miei occhi! I miei oooccchiiiiiii!», in una pessima imitazione di un moribondo.
«Ti ucciderò nel sonno con il mio eyeliner, squilibrato!», gli disse Bill, facendosi largo come se stesse passando la regina del mondo e aggiustandosi il boa al collo in un frusciante movimento altezzoso, per poi mettersi freneticamente a cercare il suo beauty case dei trucchi per tutta la stanza del gemello, mettendola a soqquadro. E meno male che lo trovò presto, perché avrebbe potuto sembrare un panzer della Wemacht più che un essere umano, talmente era distruttivo nelle sue ricerche.
E, più ratto di un torero completamente vestito di rosso che sta per essere infilzato da due corna non molto socievoli, sparì dalla stanza come per magia, lasciandosi indietro solo l’eco di un «addio!».
Tom si scoprì gli occhi e disse: «Meglio non assistere a certe scene!», mentre Georg aveva ancora lo sguardo fisso e inorridito sul punto in cui fino a tre nanosecondi prima si trovava Bill.
 
°°°
 
Mentre i due migliori amici prendevano l’auto di Georg, che alla fine aveva ceduto facendola guidare a Tom anche se era senza patente – tanto era talmente perfetto che non lo avrebbero mai fermato per un controllo e quindi poteva chiudere un occhio – Bill dovette andare a scuola a piedi, praticamente di corsa, perché era in ritardo e sarebbe arrivato ancora più in ritardo.
E in più, mentre correva a perdifiato con la milza in fiamme e i piedi – che stavano urlando pietà - infilati in un paio di Jimmy Choo tacco diciassette, miracolosamente spuntate fuori dal suo armadio, un autobus pieno di ragazzi diretti al suddetto liceo gli sfrecciò davanti e lo schizzò tutto di acqua fangosa di una pozzanghera che, non si sa come né perché, si trovava lì per terra.
E, bagnato com’era, scivolò anche un bel po’ di volte e si scorticò le mani nel tentativo di salvare la faccia.
Eh, il trucco prima di tutto!
Arrivò a scuola fradicio dalla vita in giù, con le Jimmy Choo rovinate – quello sarebbe stato il suo unico pensiero per tutto il giorno! – e mezzo spellato sulle mani, sulle ginocchia e sugli avambracci.
Un bulletto a caso gli passò di fianco, lo urtò facendolo sbattere contro il muro e poi crollare per terra in lacrime, non prima di aver colpito anche il secchio della spazzatura con la testa spinosa.
Sempre piangendo e con il trucco ormai sfatto – maledizione, ci aveva messo così tanto impegno a tenerlo intatto! – si precipitò al suo armadietto, vi posò lo zainetto e i libri che gli servivano per le ore successive e prese quello della prima ora.
Mentre stava andando in classe con il passo di uno zombie sotto sedativi, sentì un “Psssst! Pssssssst!” alla sua destra e si voltò a controllare.
Gustav era appoggiato all’angolo tra il muro e gli armadietti, in penombra, e lo guardava con sguardo abbastanza truce. Bill rabbrividì impercettibilmente, si guardò intorno nel corridoio deserto e poi indicò se stesso con aria interrogativa.
Il biondo annuì, sorridendo famelico, e con un dito gli fece cenno di avvicinarsi. Al che Bill, la cui vescica non resse a quel sorriso inquietante, scappò in bagno e ci rimase per dieci buoni minuti. Ma non aveva affatto calcolato che Gustav lo avrebbe seguito fin là e avrebbe picchiato il pugno sulla porta del gabinetto gridandogli dietro: «E fammi entrare, cretino!».
«Ma sto facendo cose private!», s’indignò l’altro, ben intenzionato a rimanere lì finché il biondo non se ne fosse andato.
Cosa che non successe per quasi un’ora e mezza e, alla fine, Bill fu “provvidenzialmente” salvato dall’arrivo di un nuovo insegnante, il signor Jost, che spedì Gustav in presidenza e, più per pietà e compassione che per giustizia, riportò Bill in classe, mentre tremava come una foglia al vento.
Una volta che il ragazzo si fu seduto, più o meno al sicuro, al suo banco, fu bersagliato da una miriade di palline insalivate che gli finirono dappertutto: tra i capelli, sulla faccia, sulla maglietta, una perfino dentro la maglietta, passando dalla nuca.
In effetti avevo scritto più o meno al sicuro.
Voltandosi di scatto e sibilando dalla rabbia, con la faccia chiazzata di rosso, cercò di inveire contro tutti quelli che gli capitavano a tiro, quando un ceffone calò sulla sua guancia facendo girare la sua testa di centottanta gradi esatti, riportando il suo sguardo sulla lavagna.
Lo shock fu talmente forte da fargli spalancare la bocca e inumidire gli occhi, proprio mentre il professore si voltava e gli rivolgeva velenose parole: «Trümplitz, lo sanno tutti benissimo che non capisci un’acca di quello che sto spiegando, ma addirittura fare quell’espressione stralunata mi sembra troppo», e poi gli mise una bella nota d’ammonizione sul registro.
La giornata era cominciata davvero alla grande. (Prego, notare il sarcasmo)
Passò tutto il resto del tempo a togliersi dai capelli e dal corpo tutte quelle palline di carta umidicce che lo facevano sembrare un albero di natale monocolore e fantasticando sul professor Jost.
Era stato carino con lui, in fondo! Lo aveva salvato dal sadismo di Gustav, quindi poteva considerarlo un alleato, addirittura un eroe!
All’ora successiva, però, tutto tornò alla normalità e Bill non ebbe, ancora una volta, un attimo di pace. La vecchia megera della professoressa di chimica, infatti, lo aveva chiamato alla lavagna per un’interrogazione a sorpresa, chiedendogli un argomento a cui non erano ancora arrivati, con la conseguenza che Bill fece scena muta.
«Un altro due per Trümplitz! Davvero, Betty, se tu fossi appena un po’ più lenta andresti all’indietro!1», disse l’arpia.
«Ma io mi chiamo Bill e sono un maschio!», cercò di difendersi lui con la forza della disperazione, almeno su quel fatto che tutti sembravano ignorare bellamente.
«Sì, sì, certo, Bethany, ora torna al tuo posto», concluse quella, con una risata generale della classe.
Depresso più di prima, Bill se ne tornò al banco, cominciando a raschiarlo tutto con le unghie affilatissime, cercando comunque di non guastare il french, che gli era costato più di sessanta euro dall’estetista. Sessanta euro che aveva rubato da Tom, ben inteso, altrimenti non avrebbe mai potuto permetterselo.
A un certo punto, però, suo fratello cominciò a dargli fastidio punzecchiandolo con la penna sulla schiena e lui, irritato, si girò – a suo rischio e pericolo, dato che l’arpia-Moira-Orfei sembrava ancora più incattivita dalla menopausa, quel giorno – e gli gridò a pieni polmoni: «Ma la vuoi piantare, brutto rimbecillito?».
Al che, con tutta la nonchalance del mondo, il gemello maggiore rispose: «Io non sono per niente brutto, Coso. E poi, se dici che sono brutto io, sei brutto anche tu, perché siamo gemelli: difetto in uno, difetto nell’altro!», e sfoderò un sorriso sornione a cui nessuno degli esseri femminili presenti, insegnante compresa, riuscì a resistere, sciogliendosi in un coro di sospiri frementi.
Bill non rispose, più per il cortocircuito mentale che gli aveva provocato la risposta intelligente di suo fratello che per il fatto di essere a corto di argomentazioni, ma si limitò a uno sguardo molto perplesso e a piegare di lato la testa sgranando gli occhi al massimo, come un cagnolino che non capisce.
Ma poi l’arpia si risvegliò dalla sua trance e lo prese per la collottola, trascinandolo dritto dritto in presidenza, dove Gustav lo stava aspettando, affamato come un lupo a digiuno da tre settimane e, vedendolo, si pregustava già la sua libbra di carne, mentre Bill inorridiva al solo pensiero di quello che gli avrebbe fatto.
E intanto, in classe, Tom messaggiava Georg per ringraziarlo della dritta su cosa rispondere a suo fratello gemello, dicendogli che la cosa aveva attirato ancora più figa del solito. E Georg si diede mentalmente del dannato perché aveva permesso al ragazzo più figo del mondo di avere altre donne a disposizione.




Unica nota presente nel testo:

1. Frase detta da Draco Malfoy a Goyle nel film (se non vado errata) "Harry Potter e la Camera dei Segreti".

 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: Woland Mephisto