Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: JoiningJoice    24/05/2015    1 recensioni
Poteva sopportare il braccio e la gamba amputati; ma la pelle della parte destra del volto e del torace era rossa e gonfia, carne viva che non si sarebbe mai rigenerata; e poi c'era stato quella maledetta cavità dove prima c'era l'occhio, e Marco era sembrato così piccolo, fragile e patetico che dopo aver svuotato lo stomaco sul prato appena fuori dalle tende Jean era scappato dove nessuno avrebbe potuto vederlo piangere, ed era rimasto nascosto per ore, maledicendosi di averlo salvato ogni minuto di più.
La cosa peggiore, ora, non erano le cicatrici o gli arti mutilati. No, la cosa peggiore era vedere riflesso nello sguardo e nei modi lontani di Marco quel suo pensiero di sette anni prima, quella sua colpa. Ogni centimetro di lui sembrava esprimere ribrezzo e rancore. Lui che era stato un amico e un confidente ora mutava nel più odioso degli estranei – e la cosa era reciproca.

What if? - Marco sopravvive alla battaglia di Trost. Non del tutto.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Can't let you leave

can't let you live?




L'inverno aveva portato via tutto il calore, esiliato in luoghi impossibili da raggiungere la vita stessa dalla terra e dal cielo. Jean osservò il cielo grigio – era così da quando erano tornati dalla spedizione, e non accennava a cambiare. L'umidità appesantiva l'aria come un manto ma le nuvole non sembravano voler cedere loro la pioggia necessaria a coltivare i campi, e la situazione tra i contadini e il Regno rischiava nel prendere pieghe pericolose. Era una buona cosa che il Re fosse un uomo capace ma severo, per quanto riguardava il governo.

Chinò il capo e sistemò meglio la cappa sulle proprie spalle, sospirando. Un tempo non si sarebbe mai preoccupato della situazione politica all'interno delle Mura – ma era stato il tempo dell'ignoranza e delle illusioni, il tempo in cui credeva ancora alle voci del popolo povero e ignorante con cui era cresciuto. Passeggiando tra le strade della capitale era tanto probabile incrociare nobili in abiti di tessuti raffinati quanto mendicanti impegnati ad elemosinare qualche moneta; i palazzi dorati di cui aveva parlato la sorella di suo padre un giorno si erano rivelati tristi abitazioni grigiastre abbastanza vicine l'una all'altra da regalare al paesaggio un'aria opprimente anche lontano dalle vere e proprie Mura, e nei marciapiedi non erano incastonati diamanti e gemme preziose come aveva sussurrato la vicina di casa a sua madre, mentre lui origliava in cortile. Il quartiere in cui si dirigeva, poi, era così decadente da sembrare un luogo delle Mura Esterne anziché un viale della capitale; ma era anche il posto in cui era situata la clinica che aveva scelto lui, ed era giusto rispettare la sua scelta. L'ultima che avesse fatto da sette anni a quella parte.

Bussò al portone di legno e attese che lo spioncino si aprisse, rivelando il volto di una giovane donna. - Capitano! - Esclamò, richiudendo lo spioncino e aprendo dopo pochi istanti il portone. - Non la aspettavamo oggi. È successo qualcosa? -

Jean scosse la testa. Quell'appellativo e i modi gentili erano sempre una lieve sorpresa, nonostante si fosse ampiamente meritato entrambi con l'impegno dimostrato nella Legione Esplorativa. - Il Comandante ha deciso che meritavamo un giorno libero dopo il successo dell'ultima missione. - Spiegò brevemente. - Lui come sta? -

Il sorriso debole della ragazza appesantì il cuore di Jean come un macigno. - Come sempre, Capitano. Si rifiuta di parlare per la maggior parte del tempo, ma non ha più causato danni dopo l'incidente dell'anno scorso. - Le ultime parole furono poco più di un sussurro; alzò il braccio ad indicare alla loro sinistra, verso uno degli edifici. - È nell'ala ovest, lo abbiamo trasferito lì per motivi di sicurezza del personale. Nelle sue condizioni non è pericoloso, ma è comunque un soldato addestrato. Spero che non... -

Jean alzò una mano per zittirla, ringraziando per un solo momento che l'autorità del suo titolo gli permettesse di far cessare quel fiume di parole così dolorose. - Puoi andare, sorella. Da qui posso proseguire da solo. - Mormorò. La giovane non se lo fece ripetere una seconda volta, congedandosi rapidamente. Jean abbassò il cappuccio della cappa verde e sospirò una seconda volta, consumando a rapide falcate i metri che lo separavano dall'ala ovest. All'interno la clinica era arieggiata e illuminata dalla luce proveniente dal cortile; Jean sbirciò dentro ad ogni stanza, prima di trovare ciò che stava cercando.

Anche dopo sette anni, quel profilo rovinato da ustioni e cicatrici riusciva sempre a stringergli lo stomaco e a farlo sentire in colpa per una serie praticamente infinita di motivi. Marco non si voltò neanche quando Jean tamburellò con le nocche sulla porta per segnalare la propria presenza, l'unico occhio sano rivolto alla finestra. Era seduto su una delle due poltrone della stanza, un libro posato sulla gamba sinistra e la mano destra poggiata sulla copertina, immobile. Jean lo raggiunse e si sedette sulla poltrona a fianco alla sua, accavallando le gambe e premendo una mano contro la bocca per soffocare la necessità di parlare immediatamente.

Non era cambiato molto dall'ultima volta che Jean aveva messo da parte le proprie paure e aveva deciso di andare a trovarlo, circa sei mesi prima; i capelli erano sempre troppo lunghi per quelli che Jean sapeva essere i suoi gusti, e l'espressione distante del volto così atipica del ragazzo che era stato da renderlo una persona del tutto diversa. E poi c'era la cornice, un corpo martoriato e sfigurato. Il moncherino del braccio sinistro arrivava fin sopra il gomito, ma la gamba destra era recisa fino a metà coscia. Jean ricordava chiaramente la maniera brusca in cui uno dei medici che avevano trascinato via da lui il suo corpo agonizzante si era fermato a dirgli di essere grato; se il morso non fosse stato quello di un Titano, la ferita non sarebbe mai stata esposta al calore elevato del corpo di quei mostri, né sarebbe stato possibile cauterizzarla come invece era avvenuto naturalmente, seppur con risultati orribili. Aveva dovuto ringraziare il bastardo che gli aveva quasi portato via Marco.

Il braccio non era stato altrettanto fortunato. Avevano dovuto cauterizzare la ferita coi mezzi a disposizione del campo medico improvvisato appena all'interno del Wall Rose, e un Jean in stato catatonico era stato informato della necessità di recidere tendini e muscoli vari. C'era voluta tutta la sua forza di volontà per non vomitare addosso al dottore, ma non era bastata nemmeno quella la prima volta che aveva visto Marco dopo le operazioni. Era corso via da quella mostruosità, l'ombra distorta e macabra e sbagliata del suo amico. Poteva sopportare il braccio e la gamba amputati; ma la pelle della parte destra del volto e del torace era rossa e gonfia, carne viva che non si sarebbe mai rigenerata; e poi c'era stato quella maledetta cavità dove prima c'era l'occhio, e Marco era sembrato così piccolo, fragile e patetico che dopo aver svuotato lo stomaco sul prato appena fuori dalle tende Jean era scappato dove nessuno avrebbe potuto vederlo piangere, ed era rimasto nascosto per ore, maledicendosi di averlo salvato ogni minuto di più.

La cosa peggiore, ora, non erano le cicatrici o gli arti mutilati. No, la cosa peggiore era vedere riflesso nello sguardo e nei modi lontani di Marco quel suo pensiero di sette anni prima, quella sua colpa. Ogni centimetro di lui sembrava esprimere ribrezzo e rancore. Lui che era stato un amico e un confidente ora mutava nel più odioso degli estranei – e la cosa era reciproca.

- Ciao. - Lo salutò dopo un lungo silenzio, consapevole che non avrebbe mai ricevuto risposta. Non c'era stata una sola volta in cui Marco gli avesse rivolto la parola, nonostante con gli anni avesse preso a parlare saltuariamente con le suore e alcuni degli altri pazienti. Anche la gola era stata gravemente danneggiata dall'ustione, ma Jean non aveva idea di come ciò avesse influito sulla sua voce. Quei silenzi erano uno dei tanti motivi per cui le sue visite si erano fatte più rare. - Spero non ti dispiaccia se rimango qui per un po'. Una volta non ti dispiaceva. -

Come previsto, Marco non rispose. Jean gettò un'occhiata al libro tra le sue mani – le dita gli impedirono di leggerne il titolo, ma aveva un'aria vecchia e consunta. - Di che si tratta? - Domandò.

Non avrebbe risposto. Già sapeva che non lo avrebbe fatto – e già una parte di lui si chiedeva perchè mai gli facesse ancora visita, perchè mai pagasse la retta di quella stupida clinica. Un suono basso lo distrasse dai suoi pensieri, e solo dopo qualche istante Jean si rese conto che si trattava della voce di Marco. Roca, quasi un sussurro, ma era la voce di Marco.

- Armin me lo ha portato. -

Rimase a fissarlo sbalordito, cercando di metabolizzare tutte le nuove informazioni. Marco aveva aperto bocca per rivolgergli la parola dopo sette anni – guardava ancora imperterrito fuori dalla finestra, ma stava parlando; e Armin sapeva dove lui si trovasse, da abbastanza tempo da portargli uno dei suoi libri. - Marco. - Esclamò; la sua stessa voce gli suonò pietosa. Strinse le dita nei braccioli della poltrona. - Cosa...come fa a sapere...Armin? -

Il suono che seguì fu ancora più sorprendente del precedente – perlopiù accompagnato da un cambiamento nell'espressione fino ad allora immutabile di Marco. Il ragazzo scoppiò a ridere – e come la sua voce era una risata e così carica di disperata tristezza da far risalire un brivido sulla schiena di Jean. - È un segreto? - Domandò. Jean si morse la lingua. - Sono il tuo segreto? -

Il Capitano continuò a non rispondere. Avrebbe potuto farlo solo con una conferma di cui Marco non aveva bisogno, e a quel punto, forse, Marco avrebbe smesso di nuovo di parlargli. Non voleva la situazione tornasse al punto di partenza. Sarebbe stato la distruzione totale di ogni sua speranza. - Perchè mi parli? - Chiese, piano. Si sporse leggermente in avanti, sperando di poterlo sfiorare, di poter scatenare in lui una reazione che fosse più di una semplice risata di scherno; ma Marco non si mosse, calando semplicemente lo sguardo sulla copertina del libro.

- È un libro molto strano. - Sussurrò, sviando la domanda di Jean come Jean aveva sviato la sua. Sollevò il tomo e lo valutò, inclinandolo da una parte e dall'altra. - Non è una raccolta di favole o un saggio. È la storia di un ragazzo che cerca di superare la necessità di morire. -

Fu come se l'inverno fosse entrato in quella stanza, come avesse afferrato ogni parte dell'anima di Jean e l'avesse stritolata nella sua morsa incapace di pietà. Si allontanò lentamente, poggiando la schiena sul tessuto soffice della poltrona.

Armin sapeva. E Marco era consapevole che anche lui sapeva ciò che aveva tentato di fare poco più di sei mesi prima.

Sei mesi prima gli era stata recapitata una lettera di una certa urgenza dalla matrona della clinica, dove veniva riportato lo spiacevole incidente che Marco aveva causato due notti prima. A quanto pare aveva trovato un modo per derubare il custode della dispensa dei medicinali della chiave della stessa mettendolo al tappeto nel processo, per poi seguitare a cercare di rubare precise erbe medicinali che se ben miscelate lo avrebbero portato al conseguimento di quello che era probabilmente stato il suo unico obiettivo per buona parte dei sei anni precedenti.

- Sei egoista, Jean. -

Jean si rese conto che Marco stava piangendo. La lacrima corse sulla sua guancia e si posò sul suo labbro, e Marco alzò il braccio buono per asciugarsi il viso. Jean non fece lo stesso per le proprie lacrime.

- Mi dispiace così tanto dirtelo. - Proseguì Marco. Era così stupido che cercasse di scusarsi, riflettè Jean. Così da lui – tanto da lui che per un momento fu tentato di farsi avanti e sfiorarlo, trovare un modo per rassicurarlo. Il momento morì schiacciato dalla verità della confessione di Marco. - Non ce la faccio più a vivere così. Perchè mi hai portato qui? Perchè sei venuto a salvarmi, quel giorno? -

All'improvviso furono di nuovo seduti uno di fronte all'altro su una panca della mensa, a discutere degli argomenti più stupidi e futili – quelle conversazioni che solo i ragazzi possono permettersi, e che nonostante questo erano state strappate ad entrambi troppo presto. E Marco stava riflettendo su una domanda posta da qualcuno – Eren, forse? Sembrava il genere di domande idiote che avrebbe potuto porre solo Eren. Era bellissimo anche nel corrucciarsi, e nel modo in cui nascondeva il mento dietro una mano mentre si fermava a pensare a che risposta dare. Ma alla fine aveva detto che sì, sarebbe morto volentieri per una causa giusta. Non c'era nulla di codardo in una morte simile.

Marco, Marco, Marco. Lui e il suo stupido agire come fossero cavalieri delle fiabe lette da bambini, e la sua stupida mancanza di un egoismo che abbondava in Jean, oggi come allora; e mentre Jean finalmente si asciugava le lacrime, la realizzazione del fatto che l'unico atto egoista di Marco in tutti quegli anni fosse stato il tentativo di togliersi la vita lo colpì con la forza di un pugno allo stomaco.

Non si era reso conto di essere scivolato giù dalla poltrona e in ginocchio addosso a Marco, la fronte poggiata sulla mano sana, le dita strette attorno al tessuto dei suoi pantaloni; ma gli sembrò l'unico luogo in cui fosse giusto trovarsi, in quel momento. - Non potevo semplicemente lasciarti morire. - Sussurrò, combattendo contro una seconda ondata di lacrime. - Non potevo semplicemente, io non... -

La mano sfuggì alla pressione della sua fronte e si posò sui suoi capelli. Jean chiuse gli occhi, assaporando quel gesto così necessario al suo corpo da spaventarlo quasi. - Avresti dovuto, non credi? -

L'attimo dopo fu scaraventato via da un'improvvisa forza. Impegò un secondo per comprendere che Marco doveva averlo scaraventato via; un altro secondo per osservare il soffitto scuro e buio in legno dei dormitori. E un terzo secondo per sollevarsi dal sottile materasso e gettare via le coperte, rivelando il proprio corpo e quello di Marco, sdraiato nel buio accanto a sé.

- Jean, fa freddo, rimetti la coperta a posto... - Protestò Marco nel sonno. Jean lo ignorò, sollevandosi e girando lo stoppino della lanterna per accenderla e controllare il viso del suo compagno di letto. Era ancora perfettamente intatto – così come lo erano il suo braccio e la sua gamba, e il resto del suo corpo. Jean lasciò andare un sospiro che con sua sorpresa si rivelò un singulto abbastanza forte da spezzargli il petto; non lasciò a Marco il tempo di stropicciarsi gli occhi e aprirli, optando per il prenderlo a pugni mentre era ancora incapace di difendersi. Marco reagì sbarrando gli occhi e lamentandosi ad ogni cazzotto ricevuto, portando la spalla ferita lontana dalla furia del più piccolo. - Che diavolo fai? -

- Brutto...grosso...e maledetto idiota! - Sibilò Jean. Interruppe la sua sfuriata per nascondere il viso dietro le mani. - Non farmi spaventare mai più così. Che cazzo di incubo! -

Marco lo fissò confuso; spense lo stoppino e lo trasse a sé, risollevando la coperta su di loro. Nel silenzio e nella calma del dormitorio, Jean smise di singhiozzare nel suo abbraccio e ascoltando il perfetto ritmo del suo respiro. - Vuoi parlarne? - Domandò piano quando Jean si fu calmato abbastanza da non tremare più.

Lui scosse la testa, poi annuì. - Ti era successo qualcosa e mi odiavi. - Rivelò. Solo dirlo gli fece tornare la voglia di prendere Marco a pugni. - E in generale il mondo faceva abbastanza schifo, ecco. -

Sentì Marco trattenere una risata. - Mi stavi picchiando perchè ti odiavo in un sogno? -

- Non è che mi odiavi soltanto! - Protestò Jean, alzando lo sguardo per guardarlo. Anche al buio, potè vedere il modo in cui Marco stava chiaramente mordendosi il labbro inferiore per non esplodere in una risata. - Ti era partito via metà corpo, probabilmente perchè facevi il cretino con Eren! E odiavi me perchè ti avevo salvato, ti rendi conto? Odiavi me! Perchè avevo portato via il tuo culo lentigginoso da un Titano! -

A questo punto, per sua grande sfortuna, Marco non stava neanche più cercando di trattenere le risatine. - Jean, è per via del discorso che abbiamo fatto a cena! - Mormorò, razionale. - Eren ha chiesto se saremmo disposti a morire combattendo i Titani e io ho risposto di sì. Non c'è nulla di male! -

Chinò il capo per fissarlo direttamente negli occhi, e il suo respiro si infranse sulle labbra di Jean. Poteva anche essere stato uno stupido incubo, ma solo vedere entrambi gli occhi di Marco al loro posto lo sollevò tanto da farlo sporgere in avanti per premere le proprie labbra contro le sue. Non era la prima volta che si baciavano – capitava, con la scusa della frustrazione e dell'esercitarsi in vista di quando avrebbero avuto una ragazza. Jean aveva quasi creduto fosse vero, per un po'; Marco no. Si separò da lui e lo guardò aprire piano le palpebre appesantite dal sonno, fissarlo come incantato.

- Non ti odierei mai per avermi salvato la vita. - Sussurrò. - Con metà corpo o senza, vivo o ridotto in cenere. Sarò sempre grato che tu ci abbia provato, e del tempo che abbiamo passato assieme. Ok? -

Jean annuì. Tutte quelle emozioni in pochi secondi erano troppe per lui – preferì stringersi ancora di più a Marco e sentire il suo corpo contro il proprio a una risposta verbale. A Marco sembrò andar bene così.

- Jean? - Lo sentì chiamarlo.

- Mmm? -

- Sono felice. -

Jean aprì un occhio e lo sollevò verso il capo di Marco. Per un attimo gli sembrò quasi di vedere il soffitto bianco della clinica del suo incubo – e il volto del ragazzo completamente sfigurato, le labbra piegate in un sorriso. Ma quel momento svanì rapido com'era arrivato, sostituito dal buio e dal freddo invernale a malapena allontanato dal calore del corpo di Marco.

- Anche se nell'incubo ti odiavo, sei venuto comunque da me. - Lo sentì sussurrare. La sua voce era carica di sonno, e le ultime sillabe si trasformarono in uno sbadiglio. Jean nascose un sorriso nel tessuto morbido della sua maglia.




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minchiaquantotempofigaquantotempo

no davvero sono ANNI che non posto – specie roba NELL'UNIVERSO CANON. Più o meno. Sono stanca morta e non ho granchè da dire se non scusarmi per le serie in corso interrotte e dirvi che vado a morire a letto scusate vi voglio bene davvero

   
 
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