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Autore: AliceVolevaMorire    05/01/2009    15 recensioni
Mio fratello leggeva un libro su una barca, mentre la sua anima veniva traghettata da un punKaronte con le borchie che sbadigliava e si incantava a guardare l'acqua. "Non voglio vedere la casa rossa" urlava, a me che ero sulla sponda "Non potrei sopportarlo, e comunque devo studiare"
Genere: Malinconico, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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         .Such Great Heights.



E sognavo di lanciare brividi addosso agli altri e di distillare la mia bile in fata verde e di trovare una cura al mal di gola.
Ma sorrideva, sorridevano tutti e parlavano di cose che non conoscevo, e non era possibile che io non sapessi perchè li vedevo quando loro si vedevano
o forse non sapevo
o non volevo
o non sentivo
o non guardavo.
E da lontano mio fratello mi salutava con le lacrime agli occhi, perso nella sua vita blu o forse solo nella sua mente. Aveva i ricci più lunghi di quanto ricordassi e muoveva una mano immerso nella nebbia, dall'altra parte della strada, con la maglia di Dylan Dog e le scarpe da ginnastica finte e troppo americane e comunque mai viste addosso a nessun altro di certo. Aveva un giornaletto nell'altra mano e un becco di plastica in faccia e le orecchie da topo in testa. Mi ricordai di com'era da piccolo e mi venne da piangere
Perchè non volevo che scappasse
e si perdesse
e poi morisse

E gli urlavo di lasciar perdere, che poi un giorno gli avrei mostrato la casa rossa.

E sognavo di avvolgermi una coda intorno al corpo e di essere una donna meravigliosa .
Mio fratello leggeva un libro su una barca, mentre la sua anima veniva traghettata da un punKaronte con le borchie che sbadigliava e si incantava a guardare l'acqua.
"Non voglio vedere la casa rossa" urlava, a me che ero sulla sponda "Non potrei sopportarlo, e comunque devo studiare"
"Ma non c'è tempo" stridevo "Scendi giù di lì"
"Non parto certo per il fronte. Ci vediamo domani"
E poi più niente.
Era morto per una con le meches sbiadite. Lei era brutta e cattiva ma a quanto pareva aveva un sacco di fidanzati, oltre a lui.

Io nessuno.

Leggevo libri che parlavano di persone pure e innocenti che per non essere tristi martellavano un banco da falegname giocattolo.
Credevo che se fossi andata a un concerto da sola, per la legge dei telefilm avrei certamente trovato la felicità. Non era vero. Avrei voluto regalare la mia indole a qualcuno, perchè era molto scomoda. Forse avrei dovuto fare un figlio, e portarlo a teatro e in libreria e a fare le foto ai binari della ferrovia.
A caso, mi veneravano persone sbagliate.
Conoscevo un ragazzo che aveva gli occhi truccati e parlava di mondi invisibili. Era bello e distrutto, si muoveva nelle sue giacche lunghe e nelle sue scarpe anni 80 come un angelo storto. Dormiva al cimitero e a volte minacciava le persone con un coltello.  
Si drogava per vedere i fantasmi, mi spiegò. Mi aveva chiesto se era un problema. Gli avevo risposto di sì.
Mi cantò una ninna nanna rossa e disse che un giorno mi avrebbe sposata.
Poi, una notte, lo vidi collassare su degli scalini. Morto di bellezza in mezzo al piscio e alle siringhe.

E sognavo di astrarmi e diventare una disequazione o una parola in una lingua straniera, poi restavo assorta a guardare il gatto dormire.
Cado o non cado? Mi chiedevo sporgendomi dal balcone.
"Sei triste?" mi chiedeva al telefono il telefono stesso. Dicevo di no, che avevo la nausea.
C'era questo cancello su cui basavo la mia vita sentimentale. Per anni era stato al suo posto, poi a un certo punto era sparito. Poi era tornato, per qualche giorno. Poi era stato estirpato nuovamente e da molto tempo giaceva abbandonato sul prato retrostante.
Potevo controllare la situazione una volta alla settimana, ma non cambiava niente e la cassetta delle lettere non aveva intenzione di restituirmi il maltolto, cioè la lettera con le citazioni di Baudelaire o forse di Poe, che mio fratello aveva lasciato lì. Anche perchè qualcuno le aveva portate via. La lettera, le citazioni e anche la buca delle lettere.
A un certo punto, persi la speranza che il Cancello Sentimentale potesse essere risistemato.

E sognavo di ripetermi in me stessa e di avere uno spirito guida e un Karma positivo.
Avevo aperto troppe parentesi, ma non ero riuscita a chiuderne neanche una. Lo avevano fatto altri.
Avevo due letti e due spazzolini e due tazze per la colazione e poi basta. Una voglia a forma di freddo sul cuore mi indicava il giusto e l'inesatto e di fatto non serviva a niente.
Tutti camminavano tranquilli e io mi aprivo le costole con l'apriscatole cercando di annullare il male di vivere, che purtroppo per me non risiedeva nè nel cuore nè nei polmoni.
Allora mi aggiravo con il torace spalancato e ormai svuotato (gli organi li avevo nascosti in una scatola da scarpe in fondo allo stanzino, sotto gli stivali) ed ero preda di colpi di freddo e d'amore da delirio febbrile.
C'era chi si divertiva a macellarmi a colpi di ascia un giorno sì e troppi no, per esempio un tipo a lezione.
Di quelli che vorresti imbottigliarli e venderli per renderli accessibili a tutti e soprattutto a te stessa.
Io seppellivo lo sguardo sotto il fango incrostato nella gomma degli anfibi e tentavo di individuare poeti maledetti vestiti da universitari nei dintorni, tanto per far finta che non mi interessasse niente.
"Che imbarazzo"
"Che bella canzone"
"Che sciocca invenzione"
E si avvicinava, e si avvicinava. Una fossetta sulla guancia. Mi sconvolgeva così tanto che avrei voluto impiantarci la mia lapide e poi impiccarmi alle sue ciglia.
Allora cantavo per finta. Guardavo un corvo appoggiato al muretto e muovevo le labbra ripetendo un mantra pagano, sperando nel rovesciamento universale e in un bacio al contrario sopra la pioggia che saliva.

Non era finzione, ma pura infezione.

E sognavo di avere una borsa che autogenerasse sigarette e di rincontrare il mio bidello preferito e di avere un caleidoscopio.
Nessuno mi raccontava mai niente così raccontavo sempre io e tendevo a ripetermi.
Le cose che dicevo erano sostanzialmente aneddotica arcaica. E lei mi fissava, e diceva che era bello starmi vicina, perchè sembravo proprio il personaggio di un film, quindi sembrava di vivere dentro una sceneggiata tutti i giorni.
Credevo fosse un complimento, poi mi ricordai di quando qualcun altro mi aveva detto che quella mia peculiarità era ciò che mi rendeva insopportabile ai più, e mi sentii male. Dovetti riprendere i polmoni e il cuore dalla scatola e ricacciarmeli dentro in fretta e furia per sentirmi meglio, e in effetti non ci riuscii.
Non avevo voglia di andare a dormire perchè non avevo voglia di fare incubi insensati in cui il passato tornava a perseguitarmi armato di indifferenza e ignoranza. Per esempio, quella voglia a forma di pera sul braccio che aveva uno che avevo sbagliato a contraddire. Sembrava una malattia terminale, era terribile. Mi ero promessa che non avrei dovuto baciarlo, perchè se poi fosse morto ci sarei rimasta troppo di merda. Di fatto poi l'unica che perdette la salute in quella situazione fui solo io, e il morente sparì con i suoi attrezzini da cerusico saccente e la sua voglia a forma di pera che tutt'oggi nel ricordo assume forme mostruose.

Comunque, mi divertivo anche a schiacciare piano i polpastrelli del gatto. Era rilassante. Era l'unica cosa che mi restava da fare, oltre a calcolare le probabilità che aveva un avvenimento di capitare, se te l'eri già immaginato prima.
   
 
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