Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: Manu_Green8    24/05/2015    1 recensioni
Midnight Island è quel tipo di isola distaccata dal mondo, con leggi tutte sue e gli uomini che possono far parte di due diverse categorie: ricchi e poveri. Ad otto anni, nel giorno della scelta, i bambini scoprono a quale di esse apparterranno.
Cosa accadrà quando due bambini inseparabili si ritrovano ad avere destini differenti e vite completamente opposte?
----------------------------
Larry Stylinson
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Marzo 2289
Il silenzio regnava per le strade della città. L'unico rumore era il repentino scalpiccio frettoloso dei tacchi e delle scarpe eleganti sull'asfalto.
E poi in mezzo all'assoluto e irreale silenzio, una macchia di vita e colore emergeva quasi dal nulla. Il piccolo parco era stracolmo e bambini dai quattro ai sette anni correvano da una parte all'altra eccitati. Un piccolo bambino di sei anni aveva appena varcato la soglia di uno dei due cancelli che lo avrebbe portato nel loro unico spazio, dedicato a tutti i bambini della città. Un sorriso sul suo viso faceva emergere quelle meravigliose fossette che tutti gli adulti adoravano, e i ricci trabballavano su e giù a causa della corsa che il bambino stava intraprendendo. Gli occhioni verdi spalancati, alla ricerca di una sola persona. Ridacchiò. Come sempre quel piccolo furfante non era da nessuna parte. O almeno, non in un posto visibile. Avanzò spedito verso la grande roccia, quella all'angolo del parco e ci girò attorno.
Il sorriso si fece ancora più ampio, per quanto possibile, non appena vide una figura distesa a pancia sotto sull'erba, che gli dava le spalle, con i piedi in aria che si muovevano come a ritmo di una musica invisibile.
"Louis!" disse con la sua vocina squillante, facendo sobbalzare il ragazzino davanti a sé.
Louis si voltò appena, con un sorriso sul viso e un piccolo ciuffo di capelli davanti agli occhi.
"Harry! Quante volte devo ripeterti di non sbucare così dal nulla?" lo canzonò l'altro, tornando a prestare attenzione a ciò che aveva davanti.
"Scusa, non volevo spaventarti" si scusò il bambino, guardando per terra.
"Non mi hai di certo spaventato! Solo... non farlo" affermò deciso Louis, senza guardarlo.
Harry annuì. Era ormai abituato a quegli atteggiamenti dell'amico e senza dire una parola andò a sedersi accanto a lui, a gambe incrociate.
"Che stai facendo?" gli chiese il riccio, osservando il foglio poggiato per terra.
"Disegno" fu la semplice risposta del liscio.
"Che cosa stai disegnando?" questo interrogatorio avveniva ogni volta, nonostante Louis continuasse a ripetergli che non doveva chiedere sempre spiegazioni di tutto. 
Nella loro città ai bambini non era permesso.
Louis si illuminò e guardando Harry con gli occhi che brillavano disse: "Un'isola senza recinzioni".
Il piccolo bimbo di sei anni si accigliò. "Ma Lou! Non è possibile" si lamentò, pensando alle grandi recinzioni che separavano la loro città in due parti. Harry non aveva mai visto cosa ci fosse nella metà in cui non abitava.
Quando lo aveva chiesto a sua madre, la signora Styles, lei aveva semplicemente risposto che per il momento non doveva preoccuparsi di ciò che si trovava lì dietro, ma allo stesso tempo lo aveva ammonito di starne alla larga.
"Quel posto non fa per noi, piccolo. E spero che resti sempre così anche per te" gli ripeteva sempre con un bacio in fronte. Le parole della madre risuonavano nella testa, ma Harry annuiva e obbediva, tornando a divertirsi con i suoi giochi.
"Un giorno lo sarà, Haz! E' solo questione di tempo" affermò Louis con un cipiglio concentrato sul viso. 
Harry non disse nulla e lo guardò. Louis Tomlinson era il suo migliore amico da parecchio tempo ormai e le loro case erano a pochi isolati di distanza. Per avere soltanto sette anni e mezzo Louis era un bambino davvero intelligente e il riccio amava ascoltare le storie che l'altro gli raccontava. Quelle che preferiva erano quelle sulla parte oscura dell'isola, oltre le mura e i cancelli.
Lou gli aveva parlato qualche volta di ciò che gli insegnavano a scuola e della gente che abitava in piccole baracche e che lavoravano vicino al mare e alla campagna. Anche all'interno del parco alcuni bambini erano diversi da loro. Erano quei bambini che entravano dall'altro cancello e che anche con temperature basse indossavano sempre pantaloni corti o giacche striminzite. E non conoscevano moltissime delle cose che Harry usava quotidianamente, come la televisione, la radio o il computer.
Ma Louis gli raccontava sempre troppo poco. Quando Harry aveva tutta la sua attenzione, si interrompeva bruscamente, come se si fosse appena reso conto che quelle parole non sarebbero dovute uscire dalla sua bocca. 
"Non devi dirlo a nessuno, Harry. Io sono un bambino grande. Tu sei piccolo e non dovresti sapere queste cose" gli diceva. E quando Harry si rabbuiava dopo aver sentito quelle parole, Lou gli faceva subito un bel sorriso e gli stampava un bacio sulla guancia.
"Dai, Haz. Sei il miglior bimbo piccolo che ci sia in città. Canteresti per me?" gli chiedeva ed Harry non se lo faceva ripetere due volte.
Anche in quel momento, seduti sull'erba del parco, Louis lo riscosse dai suoi pensieri.
"Haz? Canti per me, mentre disegno?" gli chiese. Il più grande aveva una fissazione per la voce del più piccolo e dalla prima volta che lo aveva sentito cantare, glielo chiedeva ogni volta che ne aveva l'occasione. E quando giocavano correndo in cerchio e cantando, spesso Louis si interrompeva di colpo, lasciando che la voce del più piccolo non fosse oscurata dalla sua e gli arrivasse dritta alle orecchie. Harry dal canto suo amava farlo, soprattutto per il suo migliore amico, con cui aveva sempre condiviso tutto. Lou era sempre stato un fratello maggiore per lui e lo proteggeva anche dai bambini prepotenti del parco, quelli che rubavano i giochi ad Harry o che gli proibivano di salire sugli scivoli o nelle casette attrezzate per loro.
Louis era sempre pronto ad insultare quei bambini o a mandarli lontano da Harry, impossessandosi di nuovo dei suoi giocattoli e restituendoli al piccolo proprietario o talvolta conquistando una delle casette e non lasciando entrare nessun altro eccetto loro.
"Canta con me" rispose il più piccolo, che nonostate Louis lo negasse sempre, pensava che anche la voce dell'altro fosse calda e molodiosa.
"Non riesco a farlo mentre disegno". L'ennesima scusa pronta, diversa dalla solita: << non conosco quella canzone >> o << ho mal di gola >>. Harry capiva che si trattavano soltanto di scuse banali. Louis sapeva perefettamente tutte le canzoni e le filastrocche che Harry cantava.
Ma il riccio lasciava correre e iniziava a cantare senza esitare.
"Quella della giraffa?" chiese quella volta, illuminandosi. Harry amava le giraffe. Il giallo era sempre stato il suo colore preferito, lo stesso colore di quegli animali dal collo lungo. Sfortunatamente li aveva visti soltanto in televisione. Louis gli aveva promesso che un giorno lo avrebbe portato in una di quelle città, fuori dall'isola, dove si diceva che ci fossero giraffe e animali di altro tipo, come i leoni o i delfini.
"Sì, quella della giraffa" confermò Lou, sorridendo. E quando Harry iniziò a cantare e a far diventare quelle semplici e banali parole, una melodia perfetta, solo in quel momento il più grande poté tornare al suo lavoro, iniziando a muovere oltre che i piedi, anche la testa a ritmo di musica. Con il sorriso sulle labbra, anche quel pomeriggio, come tanti altri già trascorsi, sarebbe finito in fretta.


Dicembre 2289
In casa Tomlinson sarebbe dovuto essere un giorno di festa. Era il 24 Dicembre, il compleanno del piccolo Louis: quel giorno avrebbe compiuto otto anni. Quella età che per tutti i bambini sarebbe potuta essere una lama a doppio taglio. La giornata della scelta. O meglio la giornata del sorteggio. L'isola, Midnight Island, aveva sempre avuto un governo troppo attento all'organizzazione della società. O forse troppo poco, date le condizioni della parte povera e malridotta: la parte oltre le mura, che aveva sempre spaventato i bambini e i genitori della parte ricca e perfetta della città.
E così, quel giorno, anche Louis e i suoi genitori erano terrorizzati da quella fatidica lettera che avrebbe scelto le sorti del loro unico figlio maschio, il loro primogenito. La cosa peggiore era che il nome veniva associato alla zona della città in modo puramente casuale, a sorteggio. Soltanto in questo modo potevano rendere la popolazione delle due parti equilibrata, senza fare alcuna disparità. O almeno, così credevano.
Jay, la signora Tomlinson, quella mattina era seduta al tavolo della cucina, con suo marito davanti, in piedi e a braccia incrociate, mentre la lettera continuava ad essere rigirata tra le sue mani. Fortunatamente il piccolo Lou stava ancora dormendo beato nella sua stanza e non fu presente al momento in cui quella lettera venne aperta. Il momento che avrebbe spezzato il cuore dei suoi genitori. Il momento in cui avrebbero preso consapevolezza del fatto che loro figlio sarebbe stato separato da loro, per  finire nella parte povera della città, demolendo tutte le loro aspettive di una vita per lui serena e agiata.
Jay, non poteva fare altro che piangere tra le braccia di suo marito. Suo figlio dopotutto aveva soltanto otto anni. Era fin troppo piccolo per crescere in quel modo. Per crescere così in fretta.
E Louis fu proprio in quel modo che li trovò, quando una volta svegliatosi, si era diretto al piano di sotto con il cuore in gola, senza nemmeno godersi il fatto di essere diventato più grande e aver compiuto otto anni.
Da quando si era svegliato una brutta sensazione lo aveva assalito.
Quando il padre di Louis si accorse che il bambino li stava guardando dalla porta, con un'espressione vuota, era ormai troppo tardi. Louis aveva capito cosa stava succedendo e quali sarebbero state le sue sorti.
Il bambino si voltò e si mise a correre verso la porta di casa, con le lacrime che si stavano accumulando nei suoi piccoli occhi blu, con le voci di sua madre e suo padre che lo seguivano da lontano. Ma Louis non si sarebbe fermato.
Corse, mentre le lacrime rigavano ormai il viso e varcò la soglia del parco, in cui dal giorno dopo non avrebbe più potuto mettere piede. 
Arrivò dietro la solita roccia e si sedette per terra, lasciandosi andare ad un pianto liberatorio. Louis non voleva andarsene. Non voleva lasciare la sua casa, i suoi genitori, Harry.
Proprio Harry, il suo migliore amico da sempre, lo trovò in quel modo, seduto per terra con le ginocchia al petto e le mani sul viso.
Ad Harry si spezzò il cuore a vedere il suo forte amico in quel modo e si avvicinò lentamente. Cercando di non farlo spaventare sussurrò il suo nome, facendogli una carezza sui capelli.
"Louis, perchè piangi?" gli chiese, con le lacrime che rischiavano di cadere anche dai suoi occhi.
Louis si alzò in piedi di scatto, notando finalmente la presenza del bambino più piccolo. 
"Harry, non chiedere..." disse con voce sempre più affievolita, non riuscendo a continuare. Non quel giorno. Si asciugò in fretta le lacrime dal viso, mentre Harry lo guardava preoccupato.
"Stai bene?" gli chiese il riccio timidamente, scrutandolo con quegli occhi verdi che sembravano perforare l'anima di Louis.
Il più grande annuì soltanto, non riuscendo ad usare la voce. Non voleva dire una bugia.
E poi Louis fu come colpito da un masso. Sarebbe stata probabilmente l'ultima volta che avrebbe visto il suo piccolo amico. Non avrebbe più sentito la sua splendida voce intonare melodie.
Sapeva che il suo tempo stava per scadere e non poteva chiedergli di cantare un'ultima volta. Sarebbe dovuto tornare a casa. Sarebbe dovuto andare ad abbracciare la sua mamma, rimasta in lacrime in cucina e avrebbe dovuto passare gli ultimi istanti con loro. Era giusto colì. Harry era un bimbo forte. Ce l'avrebbe fatta anche senza di lui e sarebbe cresciuto bene. Louis se lo immaginava già vestito di tutto punto nella loro parte della città, perché era così che doveva essere. Era quello il suo posto, Louis ne era sicuro. 
E così senza dire una parola abbracciò il bambino davanti a sé affondando il viso nei suoi riccioli e inspirando il suo profumo. Sentì le piccole braccia stringersi intorno a lui e dovette staccarsi, prima che sarebbe stato troppo tardi e non sarebbe più riuscito ad allontanarsi da lui.
Il bambino dagli occhi verdi adesso lo stava guardando con paura e preoccupazione.
"Haz, non smettere mai di cantare, ok? Mai" gli disse, con le mani sulle sue piccole spalle.
"Lou, mi stai spaventando" disse Harry, con le lacrime agli occhi.
Louis scosse la testa e sorrise. "Promettimi che non lo farai" disse. Voleva sentirglielo dire.
Harry annuì. "Te lo prometto".
E poi Louis sospirò. "Ti voglio bene, Harry" disse con un filo di voce.
Harry spalncò gli occhi. "Anche io, Lou" disse con la sua vocina spezzata.
Louis annuì e cominciò a camminare, superando il più piccolo, verso l'uscita del parco.
"Dove vai?" gli gridò Harry, tremante.
Louis sorrise: "Ciao, Harry" disse soltanto, prima di voltargli le spalle e andare via.
E il riccio rimase in quel modo, in piedi e con le lacrime che gli scorrevano sul viso. Quella, nonostante Harry non lo sapesse ancora, sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto il suo migliore amico. E sebbene giorni dopo continuava a cercarlo al parco, lui non c'era. E sebbene continuasse a chiedere agli altri bambini o ai suoi genitori, continuava a ricevere risposte negative. "Non puoi capire, Harry!" gli aveva risposto sua madre una volta, arrabbiata e stufa delle sue domande.
Ed Harry era andato via sempre più abbattuto. Sì, lui non capiva affatto. Non capiva perché Louis Tomlinson non facesse più parte della sua vita. E lo avrebbe fatto soltanto quando la sua età sarebbe stata quella giusta per apprendere ciò che veniva insegnato a scuola. Ma ormai era troppo tardi e Louis Tomlinson non c'era più.


Febbraio 2306
Harry Styles aprì la porta della sua casa alle 20.08 , come ogni fottutissimo giorno. La sua giornata era una litania lenta dolorosa e tremendamente monotona. Da quando era diventato a tutti gli effetti un membro della parte ricca della città, aveva iniziato a studiare ossessivamente (o meglio, forzatamente) per diventare ciò che era oggi: un importante businessman. Il grande uomo d'affari che avrebbe continuato l'azienda di famiglia. Il turismo e le catene di alberghi erano ormai una nota fissa nella sua vita, fatta di conti, conti e ancora conti. All'età di otto anni aveva iniziato a studiare tutto ciò che gli serviva per diventarlo. Erano passati ben dieci anni e dopo aver ottenuto la sua laurea, una volta finito l'intero corso di studi, era entrato a far parte del mondo del lavoro, all'età di diciotto anni. 
Era ormai un ventitrenne e la sua vita, da ormai cinque anni, era costituita da assoluta monotonia. Si alzava prestissimo e dopo una sana colazione, passava almeno un'ora in palestra, prima di entrare nei suoi completi scuri, con giacche e cravatte di ogni tipo e filava dritto nel suo ufficio. Una grande scrivania ricolma di calcolatrici, telefoni e carte, in mezzo ad almeno altre trenta scrivanie, nell'immenso spazio al pian terreno dell'edificio. Sempre le solite persone, sempre le solite  penne in mano, sempre i soliti sorrisi finti sui visi. La pausa pranzo a metà mattina e di nuovo sulla scrivania. Harry continuava a chiedersi come il suo culo riuscisse a manenere quella forma e a non diventare piatto. O forse lo era, ma non riusciva a girarsi abbastanza per notarlo. Sta di fatto che la situazione non cambiava: alle 20 usciva dall'ufficio e impiegava otto minuti esatti per arrivare sotto al portico di casa sua, passando per un breve tratto davanti alla recinzione che lo divideva dal luogo putrido e malridotto della fazione straccioni, come tutti la chiamavano lì. 
E così, anche quel giorno stava aprendo la porta di casa, per spogliarsi immediatamente e buttare su una sedia i vestiti indossati per tutto il giorno, infilandosi in una tuta comoda, pronto a prepare la cena che consisteva per lo più in un'insalata e una semplice banana.
La cosa più  triste era che anche quel giorno sarebbe stato completamente uguale a tutti gli altri. Sì, anche il giorno del suo vetitresimo compleanno. Era davvero una cosa triste. Quel maledetto compleanno gli ricordava soltanto che gli anni passavano e lui era impantanato lì in una vita che Harry non voleva affatto e che avrebbe buttato volentieri nel cassonetto. Sì, ad Harry la sua vita faceva dannatamente schifo.
Nessuna donna lo aveva mai attratto a tal punto da sposarla, nonostante sua madre lo incitasse spesso a farlo. "Un degno uomo d'affari dovrebbe mettere su famiglia e creare un'atmosfera perfetta e...bla bla bla" quando sua madre iniziava per quella via, niente poteva fermarla ed Harry, durante le loro convesazioni telefoniche dopo cena disconnetteva semplicemente il cervello. Ma lui la vita perfetta, con una moglie dedita al lavoro e dei figli che avrebbero fatto la stessa fine non la voleva neanche se gliela avessero servita su un piatto d'argento.
In effetti Harry aveva altri interessi, che nella sua società non venivano completamente presi in considerazione. Amava cantare da quando era bambino e non aveva mai smesso di farlo. Il momento migliore per farlo era quando stava sotto la doccia, la mattina prima di recarsi al lavoro, quando il tubo della doccia diventava il microfono perfetto e lo scorrere dell'acqua copriva il suono della sua voce da eventuali orecchie indiscrete (cosa praticamente impossibile, date le spesse mura della casa, ma Harry aveva sempre paura di far sentire la sua voce al mondo). Oppure nelle notti in cui si svegliava di soprassalto per prendere dal cassetto il suo blocknotes e scrivere versi di canzoni che non sarebbero mai state cantate davanti ad un pubblico. Il pianoforte nel salotto della sua casa, infatti, era l'unica consolazione che gli restava e poteva essere un buon sostituto al televisore, che trasmetteva sempre i soliti programmi idioti.
Quella sera, Liam, il collega che possedeva la scrivania accanto alla sua e che cercava di essere suo amico da almeno cinque anni, dopo avergli fatto degli auguri che Harry trovava eccessivi, gli aveva proposto di andare a cena fuori con gli altri colleghi. Li aveva chiamati amici ed Harry non sapeva se ridergli in faccia o se guardarlo in modo criptico. Aveva optato per la seconda e aveva risposto in modo acido che non c'era nulla da festeggiare, lasciando un Liam imbronciato e forse anche ferito. Dopo cinque anni Harry era davvero stupito da come quel ragazzo continuasse a parlare con lui e a non voltargli le spalle. Dopotutto, chiunque lo sapeva: Harry Styles non aveva amici. Anzi, era placidamente considerato lo stronzo della città, che trattava tutti con superiorità o con indifferenza al lavoro e che stava in solitudine chiudendosi nel suo mondo. La gente amava fare supposizioni su come fosse la sua vita fuori dall'ufficio. Alcuni avevano scommesso anche sul fatto che andasse nelle zone clandestine, le parti in comune della città, poveri e ricchi, che in teoria non avrebbero dovute esserci, ma che in pratica continuavano ad esistere. Erano una sorta di bordelli con giochi di carte e stanze in cui sfruttare i servizi delle donne mezze nude che ballavano sui tavoli. Insomma, un putrido luogo a luci rosse.
Le uniche volte in cui lo scenario serale di Harry cambiava si trattava di cene di lavoro o di feste organizzate dagli anziani ricconi in cui sfoggiava le sue camicie trasparenti e i suoi pantaloni aderenti, attirando l'attenzione di giovani donne che a lui non importavano minimamente. 
Harry comunque non badava neanche a tutte le voci che c'erano in giro sul suo conto. Anzi a volte si ritrovava a pensare che quel genere di vita, tra alcool, divertimento e donne sarebbe perfino stato più dvertente del suo. Ma tutto restava sempre la solita stessa merda e Harry doveva continuare a tenersela per tutta la vita. Ormai, dopo tanto tempo si era decisamente rassegnato. 

Era passato quasi un mese da quando Harry aveva compiuto 23 anni. La sua vita continuava senza neppure una misera scintilla a vivacizzare il tutto. Quella sera, però, la tv stava trasmettendo un programma musicale e lui era eccitatissimo. Era un evento più unico che raro, di persone dell'oltreoceano. Tutto quello metteva ad Harry una curiosità immane del mondo esterno, ma il ragazzo sapeva perfettamente che il governo dell'isola non gli avrebbe mai permesso di lasciare quel luogo. Tutti gli spostamenti, le uscite e le entrate commerciali e umane erano gestite e organizzate proprio dal governo, che poteva quasi essere definito dittatoriale. Infatti Midnight Island era un'isola completamente distaccata dal resto della terra. Un piccolo mondo a sé stante.
Per cui, in quel momento si trovava davanti al televisore con in mano un frullato alla frutta, pronto per dare un po' di gioia alle orecchie. E tutto procedeva perfettamente fino a quando il campanello di casa suonò. Harry era davvero tentato di non rispondere. Di non alzare il suo fondoschiena dal divano e di continuare a guardare lo schermo. Chi diavolo suonava a quell'ora? In un primo momento mandò tutto al diavolo e lasciò perdere la porta, ma dopo pochi minuti avvenne una seconda scampanellata, più insistente. 
Harry gemette e si alzò dal divano, sbuffando. Andò fino alla porta borbottando irritato e la aprì in modo alquanto violento.
Il povero Liam apparve davanti a lui con il dito alzato verso il campanello.
"Suona un'altra volta Payne e ti taglio quel dito" lo minacciò.
Liam sorrise e disse: "Allora sei a casa! Ho una notizia bomba, Harry. Dovevo dirtela per forza" disse così velocemente che il riccio quasi non colse tutte le parole.
Harry sospirò. "Non potevi aspettare fino a domattina?" chiese irritato.
"No! Domani mattina sarebbe stato troppo tardi. Al lavoro affidano un nuovo incarico e avremo la possibilità di arrivare fino alla spiaggia" rispose l'altro davvero eccitato.
Già alla parola lavoro, Harry era tentato di sbattere la porta in faccia al ragazzo e di tornare al suo programma.
"Oh fantastico! Non vedo l'ora" disse ironicamente. "Adesso va via! O di meglio da fare!" disse e fece per chiudere la porta.
"Aspetta, Harry!" esclamò Liam, fermando la porta con una mano. "E' musica?" chiese, ascoltando il sottofondo del televisore.
Harry annuì soltanto.
"Grande! Posso restare?" chiese ed Harry fu un po' stupito dalla sua reazione.
Sospirò. "E va bene. Ma solo se chiudi quella bocca!" esclamò, mentre Liam faceva un verso vittorioso. E così i due ragazzi finirono sul divano di Harry, in silenzio e interessati al programma televisivo. E dopo tanti anni Harry aveva finalmente qualcuno dentro casa, anche dopo cena. Qualcuno di fastidioso, sì, ma pur sempre qualcuno.

L'ndomani mattina Harry andò al lavoro pesando all'incarico di cui gli aveva parlato Liam la sera prima. Odiava quel genere di incarichi, specialmente quelli in cui si dovesse arrivare fino alla fazione straccioini. E la spiaggia era proprio da quelle parti. Cinque minuti dopo essersi seduto alla scrivania, il loro capo, nonché suo padre fece il suo ingresso ottenendo l'attenzione di tutti i dipendenti, che si alzarono in piedi per lui.
Il signor Styles iniziò ad introdurre il progetto: si trattava di creare un albergo sulla scogliera, cosa alquanto strana, data la posizione. Ma proprio per quello era come una sfida: doveva essere distrutto il sudiciume della fazione povera per creare questo albergo illustre e spettacolare.
"L'incarico è assegnato a..."
Ed Harry continuava a ripetersi: "Non me. Non me. Non me".
"Harry Styles".
Ouch. Harry odiava definitivamente suo padre. Era proprio un dato di fatto.
Di tutti indipendenti entusiasti che c'erano suo padre aveva prorprio deciso di fargli questo "favore" e di affidargli l'incarico della sua vita. Al diavolo!



Louis Tomlinson era davvero stanco della sua vita. Da diciasette anni, da quando aveva dovuto lasciare la fazione ricca, la sua vita era fatta soltanto di lavoro, lavoro e ancora lavoro.
La mattina ai campi, alle serre e a trattare con la terra. Il pomeriggio alla spiaggia, pronti per la pesca. Ad ogni lavoratore veniva affidata una porzione di campo e di spiaggia che raramente cambiava. Dire che lo scenario non cambiava mai era davvero riduttivo.
E il fatto di tornare nella sua piccola casetta di legno fredda alla fine della giornata non poteva essere considerata una consolazione. Ancora dopo tanti anni la notte sognava con rammarico e delusione il letto caldo della sua antica fazione, sostituito adesso dalla piccola brandina in un angolo della casetta.
L'unica reale consolazione per Louis era il suo unico amico: Niall Horan.
Quel biondino, più piccolo di soltanto un anno, gli era stato vicino fin da quando era arrivato lì e Louis era sempre stato stupito dal fatto che riuscisse ad essere allegro e spensierato in ogni situazione, sebbene lui fosse nato proprio nella fazione povera.
"Lou! Lou, buongiorno" gli si affiancò in quel momento il biondino, con un sorriso sulle labbra, mentre Louis si dirigeva verso i campi.
"A te, Niall. Di buon umore stamattina?" chiese il più grande.
"Come al solito" rispose l'altro scrollando le spalle.
E così iniziarono a chiaccherare del più e del meno come avveniva ogni giorno. Solo stando vicino a quel ragazzo Louis poteva iniziare la giornata con il buon umore e arrivare così più facilmente alla fine della giornata. Senza di lui, in quella fazione sarebbe stato perso, doveva proprio ammetterlo.


Harry non voleva andare nella fazione degli straccioni. Era proprio l'ultima cosa che voleva fare, davvero. Ma quel maledetto incarico lo obbligava a farlo. Con il suo solito completo blu si avviò fino ai cancelli della recinzione, dove Nick, il guardiano e addetto alla sicurezza della fazione poveri, lo stava aspettando con un sorrisino sulla labbra.
"Pronto per il giro turisico, amico?" gli chiese.
Harry annuì storcendo le labbra all'appellativo "amico". Beh, pronto era una parola eccessiva, ma si limitò a stare in silenzio e a seguirlo.
Non appena misero piede all'interno della fazione lo scenario cambiò immediatamente. Le strade si fecero più scure, più sporche. Immondizia era sparsa per le strade e una puzza stagnante aleggiava nell'aria. La gente che camminava nelle vicinanze era vestita in modo molto povero con attrezzature di pesca o agricoltura nelle mani. Il caos e il rumore regnava in quelle strade, ma si interrompeva nel momento stesso in cui i due uomini passavano per le vie. Nick trattava sgarbatamente chiunque gli capitasse a tiro, insultandoli, dicendo di non sporcarli e di allontanare quella puzza, o semplicemente di togliersi dalle palle, ed Harry non se ne curava. Continuava a camminare spedito verso la spiaggia, senza soffermarsi sullo scenario davanti a lui. Rabbridiva al solo pensiero di tutto quello schifo.
Arrivati a destinazione ad Harry spuntò involontariamente un piccolo sorriso sulle labbra. Non aveva mai visto il mare così da vicino e gli faceva venire voglia di attraversarlo, superare l'ostacolo e scappare dall'isola. 
"Che palle!" esclamò Nick, distogiendolo dai suoi pensieri. "Che diavolo ci fa qui quel delinquente? Avevo riferito a tutti di andarsene da questa parte della spiaggia!" disse, puntando lo sguardo verso una figura sulla scogliera, con in mano una canna da pesca e lo sguardo verso l'orizzonte.
Nick camminò verso il ragazzo con Harry al seguito e gridò: "Ehi, tu! Che diavolo ci fai qui? Sloggia, ragazzo! Adesso la spiaggia serve a noi e tu qui non puoi proprio stare! Levati dalle palle". Nick era furioso.
Harry non poté fare a meno di ridere. Anche lui avrebbe voluto a trattare in quel modo i suoi colleghi. Beh, qualche volta in realtà lo faceva.
Harry sentì uno sbuffo provenire dal ragazzo, che iniziò a girarsi verso di loro. Ad Harry mancò il respiro. Quel ragazzo era di una bellezza immane: i capelli lisci erano scombinati e alcuni ciuffi prendevano le direzioni più disparate; i lineamenti dolci, in quel momento erano induriti dalla rabbia e guardava Nick come se volesse tirargli un pugno in pieno viso. Non appena si accorse di chi si trattava però, abbassò gli occhi. Quegli occhi che avevano il colore più bello che Harry avesse mai visto: blu, come l'oceano alle sue spalle.
"Ok, signore. Me ne vado" disse con una voce che fece rabbrividire Harry. Era così calda e sensuale, nonostante non avesse detto niente di particolare. Iniziò a raccogliere le sue cose mentre Harry, paralizzato si trovava a guardare i suoi vestiti. Indossava dei semplici bermuda malridotti e una felpa che doveva essere più grande di almeno due taglie. Era vestito come uno straccione, pensò Harry, ma aveva un fisico perfetto e mentre si abbassava, il riccio si ritrovò ad ammirare spudoratamente il suo fondoschiena.
E poi il ragazzo si voltò e finalmente, per la prima volta, il suo sgurdo si posò su Harry, facendo bruciare l'anima del riccio.
Il giovane pescatore cambiò espressione immedatamente. I suoi occhi si allargarono e la sua mente si perse nei meandri di chissà quali ricordi.

I capelli ricci ballavano insieme al bambino, che saltava la corda davanti a lui, mentre cantava una filastrocca sulle giraffe.
"Salta con me, Lou!" intonò la voce e il bambno più grande, seduto per terra scosse la testa.
"No, Haz! Tu sei molto più bravo di me" e il bambino sorrise per il complimento che gli era stato fatto, mettendo in mostra le fossette che Louis adorava.


Durò tutto pochissimi secondi. Il suo viso si abbassò in fretta, distogliendo lo sguardo dal ragazzo elegante davanti a sé e iniziando a camminare frettolosamente.
In pochissimo tempo il ragazzo era andato via ed Harry poteva tornare finalmente a respirare.

Louis camminava verso casa con passo spedito. Aveva il respiro corto e una frase continuava a susseguirsi nella sua mente: "Harry Styles era lì davanti a sé. Aveva rivisto dopo diciassette anni Harry Styles". Un sorriso si era formato involontariamente sul suo viso, pensando a quanto quel bambino piccolo e innocente fosse diventato un uomo, bello e scolpito come i bronzi di Riace. Il completo che aveva addosso gli stava alla perfezione e i capelli ricci arrivavano ormai alle sue spalle. I grandi occhi verdi illuminavano il suo viso e ai lati si erano formate delle piccole rughette. 
Louis era troppo eccitato. Non aveva mai pensato di poter rivedere il suo migliore amico di un tempo. Gettò l'attrezzatura da pesca davanti alla porta di casa, fremendo per l'eccitazione.
"Cos'è tutta questa frenesia? Cosa ti è successo, Lou?". La voce di Niall lo fece sobbalzare.
Louis non voleva dirglielo, ma non riusciva proprio a tenere la bocca chiusa con quel ragazzo. Si sedette sui gradini di casa e Niall lo imitò, mettendosi accanto a lui.
"Ho visto una persona, oggi. Alla spiaggia" disse il più grande con un sorriso sulle labbra.
"Un ragazzo?" chiese, Niall eccitato. Sapeva perfettamente dei gusti sessuali di Louis e lo aveva sempre appoggiato, nonostante dovessero tenerlo nascosto.
Louis annuì. "Non un ragazzo qualunque, Ni. Io... credo di aver rivisto il mio migliore amico" affermò.
Niall si rabbuiò. "Ma... pensavo fossi io il tuo migliore amico" borbottò con lo sguardo puntato a terra.
"Oh, Niall, certo che lo sei" gli disse, passando una mano sulle sue spalle. "Intendevo: l'amico che avevo prima di venire qui".
Niall spalancò gli occhi. "Nella parte ricca?" chiese a bassa voce.
Louis annuì. "Ni, è bellissimo" sussurrò.
Niall sospirò. "Lou, ma non possiamo mescolarci con loro, lo sai. E' un mondo dverso quello" disse abbattuto il biondo. 
Louis fu come colpito da una pietra, iniziando a metabolizzare che Niall aveva ragione.
Ma durò soltanto un attimo. "Voglio parlarci. Voglio rivederlo, Ni" disse deciso.
Niall lo guardò pensieroso. "Cosa pensi di fare?" chiese.
"Andrò alla spiaggia, ogni giorno, nello stesso punto di oggi".
Niall sorrise benevolmente. "D'accordo, Lou. Io ti apoggierò sempre, lo sai. Solo... non cacciarti nei guai" lo ammonì.
Louis fece un veso di gioia e lo abbracciò: "Grazie, Niall!". 
E il biondo ricambiando l'abbraccio, si ritrovò a pensare che non vedeva Louis eccitato in quel modo da anni ormai. Sì, se quel ragazzo gli faceva questo effetto, doveva assolutamente aiutarlo.


Harry non riusciva più a pensare correttamente. Da quando aveva visto quel ragazzo sulla spiaggia, continuava a rivedere e a ricreare i suoi lineamenti nella sua mente. Per un paio di giorni non era più tornato in quel posto. E in ogni momento della giornata la sua mente tornava sempre lì. Lo stesso Liam gli aveva fatto notare che sembrava diverso, ma lui aveva negato qualsiasi cosa a cui il collega aveva fatto riferimento, cercando di indovinare. E quando diventava troppo insistente, bastava soltanto un insulto per placarlo.
Sta di fatto che Harry voleva vedere di nuovo quel ragazzo. Decisamente.
La seconda volta che accadde, fu una visione talmene veloce che Harry rimase deluso. Stava tornando con Nick alla spiaggia, quando fu attirato da una risata cristallina che proveniva dall'altra parte della strada. Si voltò e vide che ad aver generato quel suono meraviglioso era stato proprio il ragazzo della spiaggia, che camminava spedito accanto ad un ragazzo biondo che poteva avere all'incirca la stessa età. I due ragazzi non si accorsero di lui ed Harry si ritrovò a provare per la prima volta un nuovo sentimento: gelosia. Sì, Harry era geloso  del ragazzo biondo che poteva stare accanto a quella creatura mervigliosa. Harry era geloso di una persona che neanche conosceva e non poteva farci assolutamente nulla.


Louis era andato in spiaggia ogni giorno, nello stesso punto e alla stessa ora. Ma niente di ciò che aspettava era accaduto. Harry non era tornato e Louis iniziava a pensare che ciò che diceva Niall era corretto. Loro facevano parte di due mondi diversi e non dovevano avere niente a che fare. Ma Louis ci aveva sperato. Per diciassette anni nei suoi sogni era tornata di tanto in tanto la voce di quel bambino riccioluto. Louis voleva sentirlo cantare di nuovo. Era convinto che dopo anni la sua voce fosse rimasta ugualmente stupenda. E Louis voleva assolutamente sentirla.
Anche quel giorno era fermo sulla scogliera. Di Harry neanche l'ombra e Louis sbuffò. Era infuriato. La sua vita non gli avrebbe mai dato niente di buono e doveva rassegnarsi. Stupida mente bacata, continuava a pensare mentre lanciava sassi nell'acqua immobile, formando piccole ondine circolari. 
Cotinuava a lanciare, quando una voce lo fece sobbalzare. 
"Ehi! Che stai facendo?" urlò una voce che si faceva sempre più vicina.
Louis sentì nella sua testa la voce di Niall che gli ripeteva di non mettersi nei guai. Troppo tardi, amico.
Si voltò di colpo, lasciando cadere il sasso che aveva tra le mani. E il suo respiro si bloccò. Era una visione, pensava, una maledetta visione. Harry Styles con un completo senza cravatta e la camicia sbottonata per qualche bottone stava lì davanti a lui, da solo.
E Louis non poté fare a meno di pensare che il vizio di arrivare alle spalle e farlo spaventare lo aveva ancora. Maledetto Styles.
"Che cosa vuoi?" chiese Louis arrabbiato e non sapeva nemmeno il perché. "Non me ne andrò da qui, stanne certo" gli intimò.
"Chi ti ha detto di andartene?" chiese l'altro con la voce melodiosa.
"Noi non possiamo stare nella stessa parte della città, nello stesso territorio e non capisco perché diavolo tu sia qui!" urlò Louis. Non si immaginava affatto che il loro secondo incontro sarebbe stato caratterizzato da un litigio. 
Ma Louis non riusciva a fermarsi. Sapeva che tutto quello non poteva essere giusto. Per niente.
"Per lavoro" disse Harry placidamente. Louis gli stava urlando contro e il riccio manteneva quella calma irreale. Come diavolo faceva?
"Sì, certo. Voi che chiamate lavoro lo stare seduti ad una sedia tutto il giorno. Voi non sapete che cosa sia realmente il lavoro!" continuò l'altro.
"Già, lo so. A me non piace il mio lavoro. E tu hai proprio ragione". Harry non sapeva perché stesse parlando in quel modo con quel ragazzo. Era il primo con cui riusciva ad abbattere la sua corazza e ad essere il vero sé. Harry pensava che lo avesse perso all'età di otto anni quel suo lato di sé e invece eccolo di nuovo lì. Harry aveva sentito un cambiamento dentro di sé, dal momento in cui lo aveva visto lanciare quelle pietre verso il mare. Finalmente quel ragazzo era di nuovo davanti a lui.
Louis rise amaramente. "Non venirmi a dire che hai una vita di merda, Haz! Tanto non ti credo".
Harry si raggelò: "Co-come mi hai chiamato?" balbettò, con il fiato sospeso. Soltanto sua madre lo chiamava in quel modo. Come faceva questo ragazzo a saperlo? Lo conosceva?
Louis si sentì morire. Quelle quattro parole lo avevano colpito come un fulmine a ciel sereno. Harry non lo aveva riconosciuto. E probabilmente non si ricordava nemmeno chi lui fosse. Dopotutto all'epoca aveva soltanto sei anni.
Non doveva andare così.
"Come fai a saperlo? Mi conosci?" chiese il riccio.
"Io... io no-non ti conosco" balbettò Louis. "Scusami, devo andare" disse, superandolo.
Ma Harry lo trattenne per il braccio. E quando si toccarono i loro corpi furono attraversati da scintille, fuoco e brividi di freddo allo stesso tempo.
Louis si scrollò la mano di dosso. "Lascisami in pace" disse, con lo sguardo per terra e scappò via, lasciando Harry lì immobile, che lo guardava andare via. Harry sentiva soltanto il vuoto dentro di sé.

Inutile dire che Harry ebbe una nottata di merda quella sera. Continuava a rigirarsi nel letto senza prendere sonno e quando ore dopo riuscì a farlo, i sogni gli incasinavano la mente.
E in mezzo a questi uno in particolare.

Un bambino stava davanti a lui. Harry era la versione adulta di sé all'interno del parco dei bambini. Harry sapeva che non doveva essere lì.
Il bambino dai capelli lisci e gli occhi azzurri si avvicinò a lui e lo abbracciò. "Ti voglio bene, Harry" disse, e improvvisamente il bambino divenne il ragazzo della spiaggia, che gli cingeva la vita con le braccia. 
"Anche io, Lou" si ritrovò a dire Harry. E poi venne staccato violentemente da quel ragazzo.


E i suoi occhi si spalancarono. "Louis!" si ritrovò ad urlare con il cuore che martellava nel petto.
Ecco perché quel ragazzo gli era così familiare. Ecco perché quel ragazzo conosceva il suo soprannome. Adesso Harry lo ricordava: quel ragazzo era Louis Tomlinson.


Harry aveva convinto Nick a lasciarlo passare. Doveva prendere delle misure sulla spiaggia per il nuovo progetto e non aveva bisogno di lui. Ci avrebbe messo poco. 
Harry sperava che Louis fosse di nuovo lì, ma quando arrivò sulla solita scogliera del liscio non c'era traccia. Si guardò intorno e notò una figura bionda seduta su uno scoglio con una canna da pesca in mano.
Era il ragazzo che aveva visto con Louis giorni prima. Si avvicinò al ragazzo e non appena fu a portata d'orecchio lo chiamò.
"Ehi" disse soltanto e l'altro, incuriosito dalla voce sconosciuta si voltò a guardarlo. 
Niall capì subito di chi si trattasse. Louis glielo aveva descritto giorni prima del loro litigio e il biondo pensò che Lou non si sbagliava. Quel ragazzo era davvero oggettivamente bello.
"Bisogno d'aiuto?" chiese Niall amichevolmente.
"Beh, in realtà sì. Ho bisogno... senti, potresti lasciare un messaggio per me al tuo amico? A... Louis" chiese velocemente.
Gli occhi di Niall si spalancarono. Allora Louis si sbagliava, quel ragazzo lo ricordava eccome. Niall aveva visto l'amico troppo abbattuto per lasciarsi scappare questa occasione. Voleva che Louis tornasse di nuovo a sorridere. 
"Cosa devo dirgli?" chiese allora.
Harry si illuminò. "Io.. beh, vorrei incontrarlo civilmente". Al che il biondo ridacchiò. Difficile dirlo con Louis in questione. "Potresti dirgli di venire qui, domani alla stessa ora dell'ultima volta?".
Niall annuì. "Sarà fatto, capo".
"Grazie" disse Harry, sorridendo e tornando nella sua parte della città.


Louis era nervoso. Continuava a sedersi e a tirarsi su dalla scogliera. Niall gli aveva riferito dell'incontro con Harry e adesso sentiva il suo cuore pulsare nelle tempie. Si era ricordato di lui e voleva incontrarlo. Il lavoro che i ricconi volevano fare in quella scogliera si stava rivelando davvero utile. Sbuffò. Harry era in ritardo. Quei dannati ricconi non sapevano cosa fosse la puntualità? Louis iniziò a camminare a destra e a sinistra, impaziente.
Dopo mezz'ora di attesa il ragazzo iniziava a sentirsi male. Non sarebbe venuto? Perché glielo aveva chiesto allora? Aveva capito che non doveva avere niente a che fare con lui? Erano due categorie troppo diverse dopotutto. Louis si sedette per terra sbuffando. Se Harry non si fosse fatto vedere di lì a mezz'ora, se ne sarebbe andato, si ripromise.
E mentre il groppo in gola iniziava a formarsi, le sue paure si realizzarono. Harry non era venuto. Gli aveva dato buca. E mentre tornava a casa, nonostante avesse quasi venticique anni le lacrime non potevano fare a meno di scendere sulle sue guancie. Louis ci aveva sperato, ci teneva. Evidentemente, Harry no.


Harry era disperato. Era bloccato in ufficio per colpa di suo padre. Doveva presentare a qualche uomo di un'azienda con chissà quale nome il loro progetto e aveva piazzato  la riunione proprio quel pomeriggio. 
Era veramente disperato. Avrebbe perso l'incontro con Louis e non poteva farci niente. Voleva urlare contro suo padre, ma non gli era permesso. Allora aveva iniziato ad urlare e a predersela con chiunque gli capitasse a tiro, Liam in particolre. In più, la riunione era stata un fiasco ed Harry non riusciva a concentrarsi e a spiegare bene il progetto. La sua mente in quel periodo era affollata da ben altri pensieri che uno stupido albergo.
Quando uscì dal lavoro, era ormai troppo tardi. Harry sperava soltanto che Louis gli desse un'altra possibilità. Che capisse che non era stata colpa sua, non era sua volontà dargli buca. Ma soprattutto sperava che potesse esserci un'altra occasione.
Sarebbe tornato lì il giorno dopo, si ripromise e gli avrebbe spiegato tutto.

Il giorno dopo Harry era in spiaggia. Nessuno in vista e lui non sapeva che fare. Non poteva andare in giro da solo per quella parte della città. Doveva rimanere in spiaggia. Era un idiota.
Era un fottutissimo idiota.
"Guarda che l'incontro lo avevi programmato per ieri, non per oggi" disse una voce dietro di lui, arrabbiata.
Harry si voltò di scatto e si trovò davanti il biondino che lo guardava con uno sguardo infuocato.
Il giorno prima a Niall si era spezzato il cuore a vedere Louis in lacrime, che davanti alla sua porta di casa non riusciva a girare le chiavi con le mani tremanti e ad aprire la porta. Niall aveva dovuto farlo per lui e lo aveva portato dentro, abbracciandolo e consolandolo.
"Io... lo so" disse Harry. 
"E allora perché non sei venuto? Hai avuto ripensamenti? Penso che sia troppo tardi, amico" disse Niall acidamente.
"Senti, io non volevo saltare l'appuntamento ieri, ma ho avuto un contrattempo e non sono riuscito a svincolarmi in nessun modo. Io volevo venire, lo giuro" disse Harry abbattuto.
"Raccontane una migliore, ragazzo".
"Non sto mentendo. Ti prego, fammi spiegare a Louis cosa è successo. Fammi avere un'altra occasione. Ti prego" supplicò.
Niall scosse la testa. "Non ti farò avvicinare ancora a Louis. Ne ha già subite abbastanza. Non ha bisgno di un riccone che lo prenda in giro".
Harry sbuffò. "Ascoltami, biondino. La mia vita fa letteralmente schifo. La scambierei con chiunque me lo chiedesse, ma non posso. Questa isola di merda preclude qualsiasi cosa tu voglia fare liberamente. Non abbiamo libertà alcuna. Da quando ho visto Lou su questa maledettissima spiaggia non faccio altro che pensare a lui. Quindi, ti sto scongiurando. Pensi che andrei contro la legge se non mi interessasse? Pensi che verrei qui senza pensare al mio maledetto lavoro, solo per vedere quel ragazzo? Te lo ripeto: non mi importa niente della mia vita. Te lo chiedo ancora: dove posso trovare Louis Tomlinson?" disse il riccio, arrabbiato e tutto d'un fiato.
Niall lo guardò, corrucciandosi. Harry forse aveva ragione.
Dopo un attimo di silenzio, disse: "Tu non dovresti essere qui. Tu non puoi stare in mezzo a noi".
"Lo so, ma non mi interessa" controbatté Harry, deciso.
Niall sospirò. Forse quel ragazzo non stava mentendo. Forse davvero aveva avuto un contrattempo e adesso voleva vedere Louis, non ferirlo. Forse doveva dargli un'altra possibilità.
Il biondo deglutì. "Se lo ferisci un'altra volta, giuro che passerò le recinzioni e ti ucciderò, chiaro?" gli disse puntandogli il dito contro.
Harry fece un piccolo sorriso. "Hai la mia totale approvazione".
"Evenue Street. 28. Seconda casa a sinistra. Sta sempre lì, dalle 20 in poi. Buona fortuna. E ricordati quello che ti ho detto" istruì Niall.
"Grazie amico" disse Harry appuntando mentalmente tutto quello che il biondo aveva detto.
"Sì, se rendi felice Louis, sarò io a ringraziarti" disse, prima di andarsene e lasciare Harry di nuovo solo.
Harry sorrise. Aveva una missione da compiere. E ci sarebbe riuscito a tutti i costi.

Harry aveva passato tutto il giorno a programmare il suo piano. Subito dopo il lavoro era tornato a casa normalmente, aveva cenato e poi aveva preso il sacco con dei vestiti che aveva preparato appositamente. Erano quasi le undici di sera quando uscì di casa, per dirigersi verso i bordelli clandestini. Era un piano malato, contro la legge, che non aveva esitato ad attuare per quel ragazzo che da giorni regnava i suoi sogni.
E va bene, si disse, sgattaiolando dentro a uno dei bordelli. La puzza di fumo e alcool aleggiava nell'aria ma Harry non se ne curò. Diede solo una piccola occhiata alla gente in giro, seduta per i tavoli a fare chissà quale gioco. Andò dritto ad un bancone. "Salve, ho bisogno di una stanza, per tutta la notte" chiese al dipendente.
"Mmh, quante donne?" chiese automaticamente.
"Nessuna. Solo la camera". Il barista lo guardò stranito, ma non fece domande e annuì. Dopotutto ciò che la gente faceva in quei posti che andavano contro la legge non era affar suo. Si fece pagare subito in contanti e gli diede una chiave.
"Buon divertimento" gli disse e Harry salì al piano di sopra, per trovare la sua camera.
Era una squallida camera d'albergo, ma Harry non se ne curò. Tirò fuori i vestiti dal sacco, vecchi e rovinati, fatti a posta per diventare il perfetto cittadino povero.
Lasciò tutto in quella camera e tornò al piano di sotto. Era pronto per andare.
Uscì dalla porta della parte povera e si ritrovò nella zona buia della città. Adesso doveva solo trovare la casa giusta.
Quando Harry lesse il 28 su quella porta di legno, rimase senza fiato. In giro non c'era nessuno a quell'ora di notte e per Harry era un bene.
Prese un respiro profondo e con il cuore in gola bussò alla porta con colpi frettolosi. In un primo momento nessuno rispose ed Harry pensò che stesse dormendo. O che non era in casa. Tornò a bussare ancora e poi sentì dei passi che si avvicinavano.
Qualcuno che brontolava dietro alle mura e poi la porta di legno che si apriva.
Louis Tomlinson apparve davanti ad Harry con addosso soltanto una maglietta bianca e dei boxer. Dei fottutissimi boxer. Harry rimase senza fiato. Sì, pensava che il suo cervello non avesse più il giusto ossigeno per lavorare correttamente. I suoi occhi non si staccavano dal ragazzo, dai suoi capelli disordinati, come se fosse appena sceso dal letto (e probabilmente era proprio così), e dal suo corpo perfetto.
Quando Louis si rese conto di avere Harry Styles davanti a sé, la prima cosa che fece fu quella di chiudere di nuovo la porta. Ebbene sì, Harry aveva appena ottenuto una porta sbattuta in faccia.
Harry ci rimase di stucco. Non si aspettava una reazione del genere. E non aveva intenzione di tornare a casa senza avergli parlato. Perciò, bussò di nuovo alla porta, insistentemente.
"Andiamo!" borbottò, continuando a bussare. 
Pochi minuti dopo, Louis, che era rimasto tutto il tempo immobile dietro all'uscio impanicato e non sapendo che fare, si ricompose e decise di aprire la porta.
"Cosa diavolo ci fai qui?" chiese acidamente.
Harry si guardò intorno. "Posso entrare? Insomma, prima che finiamo nei guai. Posso?" chiese.
Louis sospirò e lo lasciò passare. Quando Harry fu dentro, Louis chiuse la porta, mentre l'altro si guardava intorno. Era una piccola casetta. Un monolocale, della grandezza della stanza da letto di Harry e una porta che avrebbe dovuto ospitare il bagno, immaginò il riccio.
La cucina da un lato, con il piccolo tavolo e una brandina in un angolo della stanza. Harry si sentì male per il ragazzo, strappato dal loro mondo per vivere in un posto del genere.
"Cosa diavolo ci fai qui? E  come sei conciato?" chiese Louis, distogliendo il riccio dai suoi pensieri. 
Louis sentiva puzza di Niall in tutto quello e di certo gliela avrebbe fatta pagare.
"Io... volevo spiegarti che non è stata colpa mia se non sono venuto all'appuntamento" disse velocemente e Louis sentì un brivido al sentire l'ultima parola pronunciata.
"Sì, è stato tutto un susseguirsi di eventi ed ero disperato, ma non ce l'ho fatta. E poi sono venuto il giorno dopo e tu non c'eri e io avevo bisogno di spiegarti e non potevo venire qui in completo. Insomma, sto andando contro tutte le nostre leggi, capisci?" Harry disse ad una velocità inaudita e totalmente imbarazzato.
Louis ridacchiò istintivamente a quella reazione.
"L'hai fatto per me?" chiese senza esitazione.
Harry arrossì di colpo e Louis pensò che fosse adorabile. "Sì" sussurrò l'altro, guardando per terra.
Louis si lasciò sfuggire un sorrisino, mentre Harry continuava. "Mi dispiace. Adesso io mi ricordo. Non so nemmeno come abbia fatto a dimenticarti, ma tutto è stato così strano. Tu sei sparito e nessuno voleva spiegarmi e..." Harry stava lasciando venir fuori tutti i pensieri che gli erano frullati in testa in quei giorni.
"Ehi, frena, tigre. Vieni, sediamoci e puoi spiegarmi tutto ciò che vuoi" disse Louis, sentendosi in dovere di fermarlo.
Si sedettero per terra, con la schiena poggiata al letto di Louis.
"Scusa se non posso offrirti niente di meglio" si scusò Louis, imbarazzato.
"Ma che dici? E' perfetto. E... Lou, mi dispiace che tu abbia perso tutto. Questa isola fa davvero schifo" disse Harry.
Louis annuì e sospirò. "Già! Odio questa città" disse amaramente.
Rimasero un attimo in silezio, guardandosi.
"Harry?" disse Louis, interrompendo il silenzio.
"Sì?".
"Hai... Tu, insomma... Canti ancora?" Louis non poté fare a meno di rispondere.
Harry arrossì di colpo, ricordando la promessa che un tempo gli aveva fatto al parco.
Harry annuì.
"Davvero?" chiese Louis, eccitato.
"Davvero" confermò l'altro con un piccolo sorriso.
"Posso sentire?" Louis diventava sempre più eccitato.
Harry non cantava per qualcuno da tantissimi anni ormai. "Io... non adesso. Cioè, vorrei sapere qualcosa di te. Ho bisogno di sapere come hai passato questi anni. La prossima volta..." propose.
"Ci sarà una prossima volta?" chiese Louis, senza guardarlo negli occhi. Harry pensò che fosse bellissimo. Sembrava un bambino.
"Certo. Solo se tu vuoi. Io potrei venire tutte le volte che desideri. Posso usare lo stesso metodo di oggi e venire da te. Beh, finché non mi scoprono".
Louis spalancò gli occhi. "Non hai paura?".
Harry sorrise. "No. Non ho niente da perdere, Lou. Dicevo sul serio quella volta nella spiaggia. E adesso che ho trovato..." si interruppe.
"Trovato cosa?" lo incalzò il maggiore.
"Qualcosa che mi faccia stare bene, non ci rinuncerò così facilmente" terminò. 
Il sorriso che illumiinò il volto di Louis fece sciogliere il cuore di Harry.
"Ma... non sei sposato?" chiese il liscio, sperando vividamente che Harry non avesse seguito le tradizioni dei ricchi. 
"Cosa?" ridacchiò "No. Non avevo alcuna intenzione di creare una famiglia che non volevo in quel posto orribile".
Louis non era più arrabbiato. Si era reso conto finalmente che Harry era davvero in casa sua, lì e che lo avesse fatto solo per vederlo e spiegargli. Si era reso conto che forse, avrebbe riavuto indietro il suo migliore amico di un tempo.
E così, quella notte, parlarono di tutto. Di ciò che facevano nella vita, di come entrambi scrivessero canzoni nel loro tempo libero e di come la musica li entusiasmasse. Di tutto.
E prima che facesse giorno, Harry dovette tornare indietro. Tornò in quella camera d'albergo e si cambiò, tornando alla sua vita di sempre. I due si lasciarono con la promessa di rivedersi a breve.
Louis lo aveva abbracciato ed Harry aveva ricambiato volentieri, abbassandosi verso di lui. Dopo tanti anni infatti, Harry nonostante fosse il più piccolo aveva superato il ragazzo più grande di almeno una spanna.
"Grazie per avermi dato una seconda possibilità" sussurrò il riccio.
"Grazie per essere tornato da me" disse Lou, assaporando l'odore di vaniglia che proveniva da Harry.
E così, quella notte i due ragazzi non riuscirono praticamente a dormire.

Il giorno dopo, Louis si ritrovò a ringraziare Niall per quello che aveva fatto e gli regalò dei sorrisi che lasciavano sodisfatto il biondo. Ci aveva visto giusto: da questa storia sarebbe potuto nascere qualcosa di buono.
Harry e Louis iniziarono a vedersi sempre più spesso, nel solito modo. Di giorno lavoravano, di notte si incontravano da Louis e nei ritagli di tempo dormivano. Erano diventati sempre più legati e chiaccheravano ore e ore senza interruzioni, prima che facesse giorno e Harry sgattaiolasse via. Il riccio aveva anche mantenuto la promessa e adesso cantava per Louis tutte le volte che quest'ultimo glielo chiedeva. La prima volta era imbarazzatissimo, ma Louis lo aveva incitato e gli aveva fatto i complimenti come quando erano bambini e Harry si era preso di coraggio. Arrivarono anche a scrivere canzoni insieme. A volte Harry le cantava, a volte lo facevano insieme e Harry non poteva essere più che felice di questo. 
Ormai erano tornati ad essere i migliori amici di una volta. E non importava che l'uno fosse ricco e l'altro povero. Ai loro occhi, durante quelle notti, erano assolutamente uguali. 
Entrambi con il passare del tempo iniziarono a cercare il contatto tra di loro, tanto che mentre parlavano, Louis spesso giocava con le dita di Harry, mentre le loro gambe vicine continuavano a toccarsi. Una volta, Louis era talmente stanco che si era addormentato con la testa sulla spalla di Harry e quest'ultimo non aveva faticato per nulla a prederlo in braccio e sistemarlo sulla brandina, prima di accarezzargli i capelli e andare via da lì.
Entrambi stavano provando sentimenti mai provati con nessun altro. Louis iniziava a rendersi conto che si stava innamorando del suo migliore amico e lo stesso Harry avava anche iniziato a sognare che fossero qualcosa di più. Ma entrambi avevano paura di rovinare tutto e per il momento andava bene così.

Le cose si complicarono quando una notte, Harry, mentre tornava a casa venne fermato da qualcuno. Liam Payne lo stava guardando sconvolto. "Che cosa stai facendo? Che cosa hai lì?" chiese indicando il sacchetto con i vestiti. Harry inoltre indossava ancora il cappotto vecchio e striminzito che aveva usato per la zona dei poveri.
"Io... niente. Lasciami in pace" disse Harry acidamente andando verso casa sua. 
Ma Liam lo seguì. "Che diavolo stai combinando, Harry? Non dovresti metterti nei guai" continuò a dire.
Liam era più intelligente di quanto Harry credesse e ci mise pochi minuti per fare due più due. "Oh mio dio. Perché lo stai facendo?" gli chiese, mentre Harry apriva la porta. 
Sbuffò e disse:"Avanti! Vieni dentro". 
Liam lo seguì mentre Harry chiese: "Ma tu che diavolo fai in giro a quest'ora?".
"Avevo bisogno di schiarirmi le idee. Sai, vorrei chiedere a Sophia di sposarmi" rispose, grattandosi la nuca.
Harry pensò che Liam fosse fortunato ad avere soltanto quel tipo di problemi.
Sospirò. Ormai il gioco era fatto. Decise di fidarsi di qualcuno per una volta. Liam era intelligente e c'erano buone possibilità che non lo avrebbe fatto rinchiudere in prigione.
E così, mentre Liam ascoltava attentamente, Harry gli raccontò la sua storia, chiedendogli di tenere la bocca chiusa.
Laim sospirò: "D'accordo. Io vivo bene nella nostra parte della città, ma so quanto tu ti senta inadeguato. Ergo, è carino vederti sorridere di tanto in tanto" disse, pensando ai sorrisi che aveva fatto poco prima mentre parlava di Louis.
"Non dirai nulla?" chiese Harry, appena più sollevato.
"No. Vivi la tua vita con il tuo ragazzo, Harry. Tutti meritiamo la felicità" disse Liam, sorridendo.
Harry arrossì di colpo. "Lou no-non è... il mio ragazzo" balbettò.
E Liam ridacchiò, senza aggiungere altro. 
E così, quella sera Harry aveva finalmente trovato qualcuno di cui potesse fidarsi. Forse aveva trovato un altro amico.

La sera dopo Harry arrivò a casa di Louis con una brutta sensazione. Aveva paura di essersi fidato di Liam e voleva parlarne con Louis.
"Secondo me non c'è da preoccuparsi, Haz. Solo... non fare arrabbiare questo tipo" disse in piedi davanti all'amico, ridacchiando.
"Io.. ho solo paura che tutto questo possa finire. E non voglio. Un giorno potremmo essere scoperti e..." disse Harry sconsolato.
Louis si avvicinò. "Ehi" gli disse, passandogli una mano tra i ricci. "Non succederà. Siamo più forti di questo stupido governo" affermò deciso il più grende. Harry sospirò e sorrise, poggiando involontariamente le mani sui fianchi del maggiore.
Erano davvero troppo vicini e non appena Louis se ne accorse il battito del suo cuore accelerò. Non riuscì a resistere e mandando tutto al diavolo si sporse in avanti, facendo combaciare le labbra con quelle del riccio. 
Harry fu sorpreso in un primo momento, ma poi nel suo cervello partirono le campane e tutti gli strumenti musicali e avvicinò Louis a sé ancora di più, approfondendo il bacio e assaporando quelle labbra che continuava a sognare.
Quando si separarono le loro fronti si toccarono. "Louis" sussurrò Harry.
"Credi davvero..." Harry non ebbe il tempo di finire.
"Sta zitto e baciami, Styles!" disse con un sorriso e Harry fu ben felice di accontentarlo. Harry schiuse la bocca e lasciò che la lingua di Louis esplorasse l'interno. Era una sensazione indescrivbile ed entrambi in brevissimo tempo iniziarono a sentire i loro pantaloni diventare stretti. Le cose si fecero più veloci, i baci più approfonditi e frenetici e in poco tempo si ritrovarono nella brandina di Louis, con sempre meno vestiti addosso. Louis sopra Harry e le loro dita intrecciate, mentre il maggiore esplorava il corpo scolpito dell'altro.
E poi una sola frase. "Sei mio adesso, Harry" e la voce di Louis rese il più piccolo ancora più impaziente. "Sì, Lou. Avanti, muoviti" lo incitò e Louis non se lo fece ripetere due volte. E così guardandosi negli occhi, blu nel verde e verde nel blu, entrambi passarono la serata più bella della loro vita, con le loro anime che che bruciavano all'unisono. Ormai, si erano ritrovati e tutto non poteva essere più perfetto di così.

La brandina, nonostante fosse piccola, era risultato il luogo migliore per entrambi, che adesso si trovavano distesi proprio lì, con Lou a cucchiaio dietro Harry e le loro mani intrecciate.
Avevano sonnecchiato un po' ma adesso entrambi erano svegli. "Louis?" chiese il minore.
"Mmh?" l'altro si sollevò sul gomito e iniziò a giocare con i ricci dell'altro con la mano, mentre la sua bocca gli piantava piccoli baci sulla spalla e sul collo.
"Penso che tra poco dovrei andare" disse.
Louis sospirò, ma non disse nulla. 
"Mi sento un po'... sporco" sussurrò il riccio, facendo ridere Louis.
"Grazie, Harold. Davvero carino sentirselo dire dopo che abbiamo fatto sesso" lo prese in giro.
"Abbiamo fatto l'amore, Lou" lo corresse, facendolo sorridere divertito. "E poi non intendevo quello, stupido. E' stato meraviglioso" disse rabbrivindendo a causa della bocca di Lou, che stava lasciando un succhiotto alla base del suo collo.
"Ce l'avete una doccia qui?" chiese Harry.
Louis rise. "Certo che ce l'abbiamo, amore".
"Grandioso, allora andiamo" disse, alzandosi in piedi e prendendo Louis per mano. Entrarono nella doccia insieme, mentre si baciavano e quando Harry accese l'acqua, imprecò. "Cazzo, ma è fredda!".
Louis rise: "Oops. Non te l'ho detto? Non abbiamo l'acqua calda qui".
Ed Harry lo guardò sconvolto. "No che non me lo hai detto, idiota".
Louis rise ancora di più e Harry, non resistendo lo baciò. E  certamente in quel modo nessuno dei due si curò più dell'acqua fredda. 

La loro relazione divenne l'unica cosa per cui i due ragazzi vivessero. Fremevano, aspettando le ore che avrebbero passato insieme la notte. E si amavano quando queste arrivavano.
Erano ormai un tutt'uno e Louis non smetteva di parlare di Harry a Niall, che era così felice di vedere il suo amico così raggiante.
E poi una sera, mentre parlavano del più e del meno, sulla brandina di Louis, Harry disse che era stanco di quella vita.
Louis sentì crescere il panico. "Che vuol dire? Sei stanco di me? Vuoi... lasciarmi?" chiese il maggiore, terrorizzato dall'idea.
"No, Lou, ma che dici? Non ho la minima intenzione di lasciarti. Ma... mi piacerebbe vivere con te sempre. Non soltanto di notte. Vorrei poter dire che sei mio al resto del mondo e fare ciò che amiamo".
"E come credi di fare, scusa? E' impossibile!" disse Louis, scuotendo la teta.
"E se riuscissimo ad andare via dall'isola?".
Louis lo guardò negli occhi, scrutandolo attentamente. "Pensi che riusciremmo a farlo?" gli chiese, interessato alla conversazione.
"Forse potremmo provarci. Con qualche aiuto" spiegò Harry. "Se ci riuscissimo, ti andrebbe di venire via con me?".
"E me lo stai anche chiedendo? Certo che sì, amore" disse Lou eccitato.
Harry rise gioioso. "Ti amo, Louis".
"Anche io ti amo, Harold" disse l'altro sporgendosi a baciarlo.
E poi, quando si staccarono il maggiore disse: "Ok ti ascolto. Qual è il tuo piano?".

Un mese, dodici giorni e venti ore dopo, tre ragazzi si trovavano sulla scogliera all'ora del tramonto. Louis ed Harry erano elettrizzati, ma allo stesso tempo spaventati dal fatto che potessero essere scoperti. I documenti falsi che Liam gli aveva procurato erano nelle loro mani e due zaini erano adagiati sulle loro spalle. 
Harry aveva salutato Liam qualche ora prima, ringraziandolo e augurandosi buona fortuna a vicenda. Liam aveva accettato di aiutare quei due furfanti, nonostante Harry per quasi cinque anni fosse stato uno stronzo con lui, ed Harry ne era grato. Si era scusato anche per quello.
Liam aveva semplicemente detto che comunque andando via una persona ricca e una povera, il numero della popolazione restava completamente inalterata ed equilibrata. Con molte probabilità nessuno del governo se ne sarebbe accorto. 
Avevano fatto tutto per bene e Niall aveva trovato una nave dei trasporti, con i giusti agganci, che avrebbe potuto portarli oltre oceano. Via da quella maledetta isola.
"Grazie, Niall. Mi mancherai tantissimo!" disse Louis abbracciando il biondino.
"Lou, non ringraziarmi. Mi farai piangere così. E ovviamente mi mancherai anche tu. Vivi la tua vita e sii felice" gli disse l'altro.
Louis annuì e i due si sorrisero. 
Anche Niall ed Harry si abbracciarono. Dopotutto senza l'aiuto del primo, Harry non sarebbe mai riuscito ad avere Louis. "E tu prenditi cura di lui, d'accordo? Ama mettersi nei guai. E' fatto così" disse Niall, parlando dell'amico.
Harry ridacchiò. "Lo terrò al sicuro" rispose con un sorriso. 
Niall annuì. "Adesso andate, forza. O potreste perdere la nave" li incitò spingendoli verso il porto.
Harry e Louis, mano nella mano, salirono furtivamente sulla nave e si sistemarono a bordo.
In poco tempo i motori furono accesi e la nave si mosse lasciandosi Midnight Island alle spalle.
I  due ragazzi si trovavano sulla terrazza della nave a guardare l'oceano blu sotto di loro. Entrambi non riuscivano a crederci di avercela fatta ed erano davvero eccitati. 
"Pensi che potremmo diventare dei cantanti?" chiese Harry sovrappensiero.
"Tu potrai di certo. E io sarò il tuo compositore. E gireremo per il mondo portando la nostra musica" affermò Louis con occhi sognati. 
Harry ridacchiò. "Solo se canterai con me".
Il più grande ci pensò un attimo. "Forse. Di questo ne riparleremo"  disse.
Harry sorrise e si voltò a guardare il suo ragazzo.
"Ce l'abbiamo fatta" disse con un sorriso luminoso, che fece spuntare le sue adorabili fossette.
Louis sorrise a sua volta. "Sei pronto per vedere le giraffe, Harold?".
Harry rise, guardando intensamente gli occhi blu del suo ragazzo. "Prontissimo".




Note dell'autrice: Salve!! La mia prima storia Larry è stata un AU. Wow! Non me lo aspettavo haha.
Posso annunciare di averla scritta di getto. Insomma, ho impiegato un giorno e mezzo per scriverla! E' stata quasi una sfida con me stessa xD
Devo precisare che non è tutta farina del mio sacco. Questa storia si basa sul sogno della mtica Pincopallina93 (su twitter). Quindi la ringrazio per avermi fatto nascere questa fanfiction. 
Spero che sia piaciuta. Se vi va, lasciate un commento! E scusate se ci sono degli errori, ma non ho avuto la forza di ricontrollarla tutta xD
Goodbye!! :)
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Manu_Green8