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Autore: Wandering_Child    26/05/2015    6 recensioni
Alle sue spalle avverte chiaramente il suono di una spada che viene sguainata: non può che trattarsi di Enrico Tudor, deciso a portargli via la corona, deciso a togliergli la vita. Riccardo di colpo si alza, ha un ultimo lampo di orgoglio: non morirà dando le spalle al nemico. Gli York non indietreggiano mai. Un vero figlio di York non cede mai, fino alla fine della battaglia non si arrende ma anzi continua a lottare, anche se non vi sono possibilità di vittoria.
Genere: Introspettivo, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Richard Plantagenet / Richard III
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bosworth, 22 agosto 1485
 
Il re si guarda attorno in cerca di aiuto, un aiuto che non verrà: sa di essere rimasto solo. Non ha più il suo cavallo, ha solo la sua spada ed è circondato dai suoi nemici, gli stessi uomini che fino a pochi giorni fa gli promettevano lealtà e amicizia.
Il re è solo, circondato da traditori. Ma non si arrenderà.

Sguaina la spada e continua a combattere anche se i soldati rimasti a lui fedeli sono pochi, anche se sa che la sua vittoria è impossibile. Il re non si arrende e anzi combatte e affronta i nemici con forza, con determinazione. Non cede.

Mentre duella con coraggio, Riccardo non può fare a meno di pensare alla sua bella regina Anna, che lo ha lasciato da poco. Anna, con i suoi lunghi capelli dorati che lui tante notti ha liberato da trecce strette e soffocanti, che tante volte ha sciolto da acconciature complicate solo per farci scorrere le proprie dita. Rivede i suoi occhi grandi e chiari, tanto simili a quelli del loro adorato figlio Edoardo, il suo solo erede, il piccolo e fragile principe di York che troppo presto gli è stato portato via. Quella mattina Riccardo si è recato sul campo di battaglia senza la benedizione di sua moglie, senza stringere tra le braccia suo figlio e senza vederne il sorriso.
Quale eredità sta difendendo se non gli è rimasto più nessuno? Quella di suo fratello, il re Edoardo IV, il fratello maggiore che tante volte ha seguito in battaglia, con cui si è trovato spesso a combattere fianco a fianco, legato dal sangue e dalla lealtà, dall’onore. Sì, Riccardo è lì a difendere l’eredità del fratello e quello che rimane dell’eredità degli York. Quando il suo pensiero si sposta su Edoardo, il re non riesce ad impedirsi di pensare automaticamente anche ai suoi due nipoti, ai due piccoli principi rinchiusi nella Torre di Londra, quella stessa Torre che li ha inghiottiti famelica, senza neanche restituire mai le loro ossa.
Il senso di colpa per la loro scomparsa lo perseguiterà per sempre, fino a che non avrà esalato il suo ultimo respiro. Lui avrebbe dovuto proteggerli e difenderli fino a che non fossero stati pronti per regnare sull’Inghilterra ma ha fallito e finché avrà vita, Riccardo sa che penserà a loro, ai due piccoli principi, i figli di suo fratello. Non smetterà mai di chiedersi che fine abbiano fatto, né potrà impedirsi di ritenersi in parte colpevole della loro scomparsa, anche se questo significherebbe non aver mantenuto la promessa fatta a suo fratello Edoardo. Riccardo sa di averlo deluso, sa di aver fallito come fratello, come zio, e forse anche come re. Il senso di colpa lo schiaccia, facendolo sentire più affaticato, più stanco che mai ma finché avrà la forza di difendersi dagli attacchi dei nemici, Riccardo non indietreggerà.

Improvvisamente, il re cade a terra in ginocchio, spossato. L’elmo e la corona sul suo capo si fanno più pesanti, più difficili da sopportare. Riccardo ha capito che sta per sopraggiungere la fine, è inevitabile. Questa volta non sarà un figlio di York a sedere sul trono, a vincere la battaglia, a regnare sull’Inghilterra.
Per un breve istante, Riccardo riesce quasi a scorgere il destino della sua patria, del suo amatissimo regno: il ragazzo gallese, Enrico Tudor, diventerà re dopo di lui e sposerà sua nipote Elisabetta, principessa di York, unendo finalmente le due rose inglesi. Avranno molti figli, tra cui due maschi, due eredi per il trono d’Inghilterra ma solo uno di loro regnerà. Riccardo vede il suo nome venire infangato, disprezzato, odiato, si vede accusare di tutto, anche di crimini che non ha mai commesso. Gli spezza il cuore vedere che sarà accusato della morte dei principini e che i suoi stessi sudditi lo riterranno colpevole anche della morte di suo figlio e di quella della regina Anna, la sua amata sposa, la bella e dolce Anna, che lui ha amato con tutto se stesso e che è sempre stata sua e mai di Edoardo di Lancaster. Niente di tutto questo per i posteri avrà importanza perché il vero antagonista della storia sarà individuato in lui e nella memoria degli inglesi sarà sempre Riccardo III ad essere l’usurpatore e mai il re. Davanti a quella terribile visione, Riccardo chiude gli occhi, affranto. È veramente questo ciò che il futuro gli riserva? È così che verrà ricordato in Inghilterra, nella stessa terra in cui lui è nato, cresciuto, diventato uomo e poi re? La patria che ama e per la quale ha versato del sangue lo tratterà davvero tanto ingiustamente, condannandolo all’infamia e al disprezzo della storia? Riccardo non riesce a crederci, ma allo stesso tempo sa di non essersi ingannato. Quello che ha visto è vero, reale.
Avrebbe veramente voluto essere un re migliore ma non ha mai avuto abbastanza tempo per mostrare cosa avrebbe potuto fare, chi sarebbe potuto diventare, che tipo di sovrano sarebbe potuto essere. Se quello che ha visto è ciò che lo aspetta nella memoria del popolo dell’Inghilterra, allora non c’è ragione per lui di combattere ancora. È finita. Arrendersi sarebbe la scelta migliore.

Alle sue spalle avverte chiaramente il suono di una spada che viene sguainata: non può che trattarsi di Enrico Tudor, deciso a portargli via la corona, deciso a togliergli la vita. Riccardo di colpo si alza, ha un ultimo lampo di orgoglio: non morirà dando le spalle al nemico. Gli York non indietreggiano mai. Un vero figlio di York non cede mai, fino alla fine della battaglia non si arrende ma anzi continua a lottare, anche se non vi sono possibilità di vittoria.
Affronta il giovane Tudor con tutta la forza di cui è capace, anche se le gambe cedono più di una volta e la schiena gli fa male; anche se il suo braccio destro, che impugna la spada, lo tradisce e si fa sempre più debole, più vulnerabile. Ma fino alla fine, almeno apparentemente, il re non dà alcun segno di cedimento e continua a combattere contro il ragazzo Tudor perché i tre soli di York non tramontano tanto facilmente.

Eppure, alla fine, sicuro e forte dei suoi venti anni, fresco e non logorato dalle tante battaglie passate, è Enrico Tudor ad avere la meglio, a prevalere sul re di York. La robusta rosa rossa soffoca con le sue spine la delicata rosa bianca; il drago sconfigge il cinghiale. Quando Riccardo avverte il metallo della spada lacerargli la carne, capisce di essere stato sconfitto. Ha perso, il suo regno è definitivamente perduto. È finita.
Il re cade di nuovo sulle ginocchia e ad accoglierlo c’è la terra, fredda, priva di vita, spoglia, immobile. Com’è diverso questo abbraccio del terreno rispetto a quello di Anna, la sua Anna, che era sempre dolce, amorevole, pieno di calore. Gli manca l’abbraccio di sua moglie, gli manca il suono della risata di suo figlio ma tra qualche momento li rivedrà, sarà di nuovo insieme a loro e ai suoi due fratelli: i tre splendenti soli di York saranno ancora una volta insieme. Tra qualche istante il re sarà finalmente libero da tradimenti, lontano dalle battaglie, lontano da tutte le difficoltà affrontate nel corso della sua esistenza.

Tuttavia, c’è quel peso che ancora non abbandona il suo cuore, nonostante quello batta sempre più lentamente: in quegli ultimi istanti di lucidità, Riccardo non può fare a meno di chiedersi se davvero verrà ricordato in quel modo, se tutto ciò che ha visto è vero, se tutto ciò che si dirà di lui sono quelle parole terribili e affilate come lame che ha udito pronunciare nella sua visione: “assassino”; “usurpatore”; “tiranno”.
Si domanda se sarà sempre e solo l’antagonista della storia, e per quanto si renda conto della futilità del pensiero ora che è prossimo alla fine, non può comunque fare a meno di chiederselo.

È un attimo, breve quanto un battito di ciglia ma non per questo meno reale: Riccardo scorge nuovamente il suo futuro e ciò che vede questa volta gli riscalda il cuore stanco e la pelle ormai fredda. Vede il suo feretro coperto dalla bandiera del paese, sulla quale sono state deposte delle rose bianche, essere accompagnato da migliaia di persone, degli sconosciuti, accorse a rendere omaggio al re, all’ultimo re di York. Sente le loro preghiere per lui, per l’ultimo re inglese, per l’ultima rosa bianca d’Inghilterra.
Avrà una degna cerimonia, una sepoltura da re d’Inghilterra. Non avverrà subito, ma in qualche modo il suo cuore dal battito sempre più debole ha di nuovo la certezza che ciò che ha visto è la verità. Re Riccardo avrà il suo luogo di riposo, troverà finalmente la sua pace e il suo nome non sarà più pronunciato con disprezzo ma egli sarà finalmente salutato come re Riccardo III d’Inghilterra.
Riccardo riesce a vedere tutto questo e solo a quel punto chiude gli occhi, più sereno. Il tempo gli renderà giustizia, adesso lo sa. Adesso può morire, può lasciare la sua amata patria, l’Inghilterra, e può cedere la corona al giovane gallese. Sa che non verrà dimenticato ma anzi che un giorno tutto il paese si riunirà per rendergli omaggio e pregare per lui, per l’ultimo re di York.
Questo pensiero è per lui un conforto e gli quieta la mente, l’anima. Il re si lascia cadere del tutto a terra e si consegna alla morte con l’assoluta certezza che l’immortalità lo attende.
 
 
Richard by Carol Ann Duffy

My bones, scripted in light, upon cold soil,
a human braille. My skull, scarred by a crown,
emptied of history. Describe my soul
as incense, votive, vanishing; your own
the same. Grant me the carving of my name.


These relics, bless. Imagine you re-tie
a broken string and on it thread a cross,
the symbol severed from me when I died.
The end of time – an unknown, unfelt loss –
unless the Resurrection of the Dead …


or I once dreamed of this, your future breath
in prayer for me, lost long, forever found;
or sensed you from the backstage of my death,
as kings glimpse shadows on a battleground.

 
  
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