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Autore: Sophie_moore    26/05/2015    2 recensioni
Era tutto buio. Aveva gli occhi aperti, ma la luce non filtrava da nessun angolo o finestra di sorta. Si guardava comunque intorno, muoveva il collo e roteava gli occhi, ma non riusciva a percepire nessun oggetto, non poteva vedere assolutamente niente.
Esperimento un po' angstoso, spero vi piaccia comunque! Critiche e suggerimenti sono ben accetti!!
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uno, due, tre

 


Uno, due, tre.

 

Era tutto buio. Aveva gli occhi aperti, ma la luce non filtrava da nessun angolo o finestra di sorta. Si guardava comunque intorno, muoveva il collo e roteava gli occhi, ma non riusciva a percepire nessun oggetto, non poteva vedere assolutamente niente. Non sapeva dire se fosse in una stanza, in una cantina, in un magazzino o anche per strada, in un bosco. Non sapeva se fosse all'aperto o al chiuso, se fosse notte o se fosse giorno.

Il buio che lo avvolgeva era anche più scuro della notte, niente stelle e niente luna. Solo nero. Nero ovunque.

 

Uno, due tre.

 

Harvin Roybook era stato scelto per il torneo annuale di freccette che si svolgeva in azienda. Niente di speciale, ma per la prima volta in vita sua, Harvin era stato considerato, e addirittura nominato capitano. Non era com'essere nominati capitani di una squadra di football, certamente, eppure Harvin era stato felice e si era accontentato.

L'avvenimento più felice nella vita di Harvin fu il matrimonio. No, non era vero. Il momento più felice della sua vita fu quando vinse quel torneo di Poker on-line, portando a casa qualche migliaio di dollari. Era stata un'emozione forte, un qualcosa id mai provato prima. Per cui ci aveva riprovato svariate ed innumerevoli volte, sempre tornei on-line, sempre lo stesso stile di gioco. Non era mai più successo, e tutte le volte perdeva centinaia di dollari.

 

Uno, due, tre.

 

L'aria in quella stanza si faceva sempre più pesante. L'unico rumore che riusciva a sentire era il debole ticchettio di un orologio. Probabilmente era lontano da lui, perchè il suono non era così distinto.

Tendeva le orecchie, comese, così facendo, avesse avuto la possibilità di sentire qualcosa di diverso come dei passi, dei respiri, qualcosa che gli facesse capire di non essere solo in quel posto, come qualsiasi cosa producesse un suono potesse essere la sua salvezza per andarsene. Non poteva spegnere l'orologio, e questo lo infastidiva.

 

Uno, due, tre.

 

Faceva il contabile nell'azienda. Fondamentalmente era una piccola impresa di tendaggi, niente di speciale, ma era un buon lavoro e si trovava bene con i colleghi. L'avevano scelto come capitano, qualcosa doveva pur significare, no?

Lavorava tutto il giorno dietro ad un computer, per otto ore fissava il monitor finchè gli occhi non gli si incrociavano, e spesso si fermava fino a sera per mettere a posto i disastri che facevano i suoi colleghi.

I numeri erano tutto il suo mondo, tutto quello che lui riusciva a capire senza troppi problemi. Probabilmente si sentiva meglio circondato da cifre piuttosto che dalle persone dell'ufficio, o dalla sua famiglia in casa. I numeri non si aspettavano nulla da lui, i numeri lo avrebbero sempre accettato per risolvere i loro problemi.

 

Uno, due, tre.

 

Deglutì, ma lo trovò difficile. In bocca aveva qualcosa che gli ostacolava la corretta salivazione, un qualcosa di duro e metallico. Forse era una pallina di ferro, o un qualcosa del genere, che gli teneva la bocca aperta e gli impediva dei movimenti con la lingua: niente, era bloccato. Sembrava acciaio, lo sentiva dal sapore, ma non avendo mai assaggiato l'acciaio non poteva esserne sicuro al cento per cento. Provò a sputare quella palla un paio di volte: si arrese quando constatò che era legata alla nuca, e che quindi non sarebbe mai e poi mai riuscito a liberarsi.

 

Uno, due, tre.

 

Sua moglie, Ella Roybook, era speciale. Tutto l'ufficio di Harvin la conosceva, tutti le volevano bene, soprattutto gli uomini. Forse perchè era una bella donna, molto simpatica ed intelligente? Harvin non l'aveva mai capito, ma era grato di avere una donna come lei al suo fianco. Spesso, se al lavoro le cose non andavano bene, Ella gli faceva una sorpresa in ufficio e gli rallegrava la giornata.

Non si era mai neanche chiesto come facesse ad arrivare in ufficio, essendo lei senza macchina e non essendoci pullman che includevano l'ufficio nel percorso.

Però lo dicevano tutti, Ella era speciale per davvero.

 

Uno, due, tre.

 

L'odore che prevaleva nel posto, qualunque posto fosse, era un pungente odore di chiuso e sudore, anche di muffa ed umidità. Da quell'odore, era come se lui capisse di non essere stato il solo. Era puzza di vecchio, di stantio, di marcio... brutti odori, per niente rassicuranti. Harvin aveva la sensazione che non fosse mai successo nulla di buono, e quindi dubitava di essere il primo a cui accadesse.

Si fece prendere dal panico.

 

Uno, due, tre.

 

Harvin non aveva molti ricordi della sua infanzia: sua madre se n'era andata quando aveva cinque anni per nessuno sapeva quale motivo (tranne suo padre: a suo dire era scappata col postino, ma sembrava l'unico a pensarla così) e così suo padre era stato costretto a crescerlo da solo. Si sa, un uomo lasciato a se stesso senza una compagna, non sa come gestire le isterie di un bambino particolarmente vivace, per cui se lo portava in ufficio ogni giorno, dove la sua spensieratezza di bambino venne presto spodestata da un attaccamento morboso al denaro e alla vita d'ufficio.

Era probabilmente per quello che aveva trovato lavoro subito e non aveva aspirazioni per il futuro.

 

Uno, due, tre.

 

Provò a divincolarsi, a muoversi da lì. Sentiva contro la schiena una colonna al quale era legato con della stoffa. La colonna era squadrata, la sentiva contro le scapole, e fredda. Gelida, anzi. Probabilmente era in acciaio o qualcosa di simile, anche se non aveva mai provato la consistenza del ferro sulla pelle.

Cominciava a non sentire più le braccia, era come se si fossero addormentate e non era piacevole. Non poteva neanche mettersi in piedi: le caviglie nude erano legate tra loro con degli spessi fili di nylon.

 

Uno, due, tre.

 

Una porta si aprì alle sue spalle.

 

Uno, due, tre.

 

Dei passi che entravano nella stanza.

 

Uno, due...

  
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