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Autore: _browneyes    27/05/2015    2 recensioni
Quei maledetti occhi.
Quegli occhi che l’avevano fottuta già da subito.
Quegli occhi che sono stati la sua rovina.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum Hood, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Occhi.
 
 
 
“Gli occhi molto belli sono insostenibili, bisogna guardarli sempre, ci si affoga dentro, ci si perde, non si sa più dove si è.”
 
 
 
Mia, la passione per il disegno l’ha sempre avuta.
È sempre stata una liberazione per lei, sin da quando era piccola, prendere in mano il blocco da disegno e una matita; è sempre stato la sua valvola di sfogo, il suo modo per sfuggire alla realtà, almeno per un po’.
Ed infatti, adesso ha proprio in mano il vecchio quaderno con i bordi rovinati, a cui sono stati strappati i fogli che adesso la circondano, malamente squarciati, e con la copertina giallo intenso scarabocchiata con l’uniposca blu, anche se ancora si scorge la scritta che Mia ha cercato di coprire. In realtà, non disegnava da un po’, Mia. ‘Chè finora ha solo cercato di scappare dalla realtà, ‘chè quando disegna non riesce a mentire a sé stessa come fa di solito. E adesso, per la prima volta, è bloccata.
Niente funziona, nemmeno l’odore della carta, che ha sempre amato, o il fruscio del carboncino che graffia il foglio, che è stato il suo suono preferito per anni.
O almeno finche non ha sentito per la prima volta la sua voce.
Finche non ha conosciuto lui.
Quel momento di un paio di anni prima le ha scombussolato la vita; lui è diventato la sua passione, la sua liberazione.
E poi, quando lei stava finalmente iniziando a fidarsi di lui, se n’è andato via, ha distrutto tutto.
Ha distrutto lei.
‘Chè a Calum distruggere le cose è sempre venuto meglio che aggiustarle, in realtà.
Maledetto Calum Hood, che è la causa di tutto il male di Mia.
Maledetta la sua voce melodica che le sussurrava parole dolci all’orecchio, fra un bacio ed un altro, nella solitudine delle cinque del mattino dopo aver fatto l’amore.
Maledette le sue mani, con i calli causati dal basso, suonato anche fin troppo spesso, che la sfioravano con quella delicatezza e quella possessività deliziose; quelle mani che le facevano venire i brividi ad ogni tocco.
Maledette quelle labbra, quelle di cui Mia ricorda ancora troppo bene il sapore, un misto di tabacco e vodka liscia, la prima volta che si sono scontrate con le sue, e il calore di queste; ricorda la dolcezza e l’ardore di certi baci, la lussuria e il romanticismo insieme.
Maledetti i suoi baci. Maledetti quelli lenti e dolci, quelli dati nei pomeriggi passati insieme, magari dopo che lui le aveva fatto sentire una nuova canzone; maledetti quelli pieni di passione della notte, con le labbra a volte fatte d’alcool, a volte solo d’amore; maledetti i baci salati, quelli dati appena usciti dal mare o sott’acqua. Maledetti i baci rubati, quelli che quando Mia si voltava, si ritrovava le labbra di Calum contro; maledetti i baci disperati dopo essersi presi a parolacce dopo una litigata, maledetti quelli pieni di gioia.
Maledetta la sua risata, che faceva sempre irrimediabilmente ridere anche lei e che gli faceva sempre venire le rughette, che Mia adorava, attorno agli occhi.
E quegli occhi.
Maledetti quegli occhi.
‘Chè Mia, adesso, non riesce a disegnare altro se non quei dannatissimi occhi. Quelli che non può più vedere, quelli che una parte di lei forse non vorrebbe più vedere. Infatti, adesso la sua mano sta correndo libera sul foglio bianco, senza che nemmeno lei debba pensare a cosa disegnare, già le sue dita e la sua matita sanno per lei. Vorrebbe smettere, Mia, di pensare a lui, di disegnarlo, eppure continua a farlo. Forse perché mettere i suoi occhi su carta, è l’unico modo che ha per rivederli davanti a sé. E intanto, mentre il carboncino corre e lei ricorda troppo, i suoi, di occhi, hanno cominciato a lacrimare.
 
Lo odiava, Calum, quando si conosciuti.
Lo odiava dal profondo del cuore.
Lo odia ancora, un po’.
Se lo ricorda ancora, quando ci ripensa spunta proprio quel sorriso amaro sul viso, come adesso, mentre rifinisce il contorno dell’iride.
Quando si sono conosciuti, in radio passava Good Riddance dei Green Day, Mia non li aveva mai sopportati, quelli là. Calum, di contro invece, li adorava.
Quella era stata proprio una giornataccia per Mia, a partire dai capelli rossi, che quella mattina parevano ancora più indomabili del solito, dalle calze nere che avevano un buco sulla coscia e se n’era accorta troppo tardi, per passare a Constance, che era finalmente riuscita a trascinarsela dietro allo Youth. ‘Chè è lì che va la gente “giusta”, le aveva detto la migliore amica facendo ondeggiare i capelli castani e guardandola con lo sguardo di chi la sa lunga; che poi a lei interessasse solo che lì ci andava Ashton Irwin, è un'altra cosa.
Come volevasi dimostrare, Constance l’aveva letteralmente mollata su uno sgabello e l’aveva guardata seria, «Socializza», le aveva ordinato e poi si era dileguata alla ricerca di Irwin. Mia aveva alzato gli occhi al cielo, ordinato un cappuccino e aperto il quaderno giallo; non aveva mai sentito il bisogno di socializzare, stava bene da sola con i suoi disegni, lei.
S’era concentrata tanto sul suo disegno, che non si era nemmeno accorta di chi si era seduto accanto a lei, o anche solo della presenza di qualcuno. L’aveva notato solo dopo aver alzato gli occhi al cielo nel sentire i Green Day, almeno prima gli Oasis erano decenti.
Calum aveva fatto una smorfia nel vedere la sua espressione, ‘chè come si fa ad alzare gli occhi al cielo con i Green Day? Poi aveva dato una sbirciata al suo foglio, poi al viso. La conosceva di vista, ma non l’aveva considerata proprio, fino a quel momento.
Mia se l’era sentito bruciare addosso, quello sguardo e quando aveva alzato il suo, l’aveva fulminato, «Cos’hai da guardare?».
Se Constance ci fosse stata, probabilmente l’avrebbe coperta d’insulti per aver parlato in quel modo ad uno degli amici più stretti di Irwin, ma lei non c’era. Comunque Calum Hood era quello che Mia detestava di più, tra quella massa di idioti dietro cui l’amica la trascinava sempre; gli altri erano facili, da capire, ma lui era proprio un mistero, sempre così distaccato e apatico.
Lo odiava.
Lui aveva riso e lei s’era sentita sciogliere. Poi il moro aveva stretto le labbra e alzato le spalle, «Se ti guardo ti consumi, principessina?».
E lei l’aveva incenerito con lo sguardo, «Coglione», aveva borbottato e l’aveva mollato lì, scordandosi pure il quaderno sul bancone.
Aveva raggiunto Constance, che stava ridendo allegramente con Michael Clifford, e se l’era trascinata dietro tra le sue proteste.
E mentre Mia aspettava che la bionda tornasse con la sua vecchia Opel verde bottiglia, qualcuno le aveva poggiato la mano sulla spalla.
«Avevi dimenticato il quaderno», le aveva detto la sua voce, il tono vagamente divertito ed era stato quando lei s’era girata per ringraziarlo, che li aveva notati.
Calum Hood aveva degli occhi scuri, nero pece quasi, così profondi da apparire come due luminosissimi buchi neri; e lei, in quegli occhi in un secondo, ci si era proprio persa. ‘Chè, a differenza del viso e dell’espressione apatica costantemente dipinta su di questo, i suoi occhi erano così profondi, così pieni che quasi sembravano parlare in una lingua sconosciuta, lingua che Mia aveva appena avuto il desiderio ardente di imparare. Ed era rimasta proprio senza parole, col fiato corto e lo stomaco in subbuglio; era rimasta ferma, rapita da quegli occhi carbone.
Scuri e pieni di pagliuzze e sfumature, Mia in quel momento non avrebbe voluto altro che un carboncino per disegnarli, così espressivi e al contempo indecifrabili.
Bellissimi.
Ed è stato allora che Mia aveva capito che occhi così non li avrebbe ritrovati, che degli occhi così valevano la pena di essere capiti e decifrati, aveva capito che lei voleva farlo.
Così aveva preso il quaderno, avrebbe scoperto una volta a casa che Calum c’aveva scarabocchiato sopra il suo numero con un pennarello nero, ancora in trance, ancora con gli occhi verdi puntanti in quelli neri di lui.
Gli occhi di Calum erano tanto magnetici per i suoi che parevano poli positivi che attiravano inequivocabilmente i suoi poli negativi e, almeno così a Mia sembrava, non l’avrebbero lasciati andare così presto se Contance non avesse suonato con così poca grazia il clacson.
Lui le aveva lasciato un ultimo sguardo prima di voltarsi, con un ghigno appena accennato sulle labbra e Mia era rimasta lì, ad immaginare quegli occhi.
Quei maledetti occhi.
Quegli occhi che l’avevano fottuta già da subito.
Quegli occhi che sono stati la sua rovina.
 
Lascia cadere la matita a terra, incurante del fatto che la mina potrebbe rompersi, Mia, con le iridi impregnate dai ricordi.
Si odia ‘chè continua a pensare a lui, a quel giorno.
Odia il fatto di non riuscire a fare a meno di lui, nonostante ci provi con tutta la sua volontà.
Odia lui, tantissimo.
‘Chè è Calum la causa di tutto il suo male, di tutto; lei stava bene, prima, da sola con i suoi disegni, con le matite e l’inchiostro, poi era arrivato lui e aveva sconvolto tutto. Prima di lui, in realtà, Mia non aveva mai creduto negli uomini, oggi sa che faceva bene. Calum aveva sempre avuto quel qualcosa che l’aveva fatta ricredere e lei continua a darsi dell’idiota per aver ceduto a lui.
Lui, che aveva rovinato tutto.
I ricordi tornano e Mia continua a rifinire l’occhio sinistro, ben sapendo che comunque non riuscirà mai, nemmeno con tutto il suo impegno, a renderlo lontanamente simile a quello del moro. Vorrebbe buttare tutto, ma non ce la fa. Disegna e sente una lacrima piena di rimorsi, rancore e, si, anche di quei dannatissimi ricordi che continuano a torturarla; e in quell’unica goccia che si lascia scappare, c’è anche la domanda che le rimbomba in mente da due mesi: perché? Perché se n’è andato?
Come ha potuto lasciarla da sola? Le aveva promesso che non l’avrebbe mai fatto. Come ha potuto distruggerla così?
Che poi, Mia non se l’aspettava proprio.
 
La notte prima che se ne andasse, avevano fatto l’amore per ore e Calum, poi, le aveva stretto un braccio attorno al fianco, tirandosela vicina. Tanto vicina, che lei sentiva il suo cuore battere contro la propria pelle candida. Le aveva sorriso, dolce, e le aveva lasciato un bacio sulla fronte. Se l’era stretta di più contro e l’aveva guardata negli occhi. I suoi, di occhi, erano luminosi, con quelle pagliuzze dorate che si accendevano solo quando era felice o sorrideva, e Mia ormai le conosceva a memoria tutte le sfumature dei suoi occhi.
L’aveva guardata come se vedesse davanti a sé qualcosa di unico, raro e bellissimo, quasi non ci credesse che lei fosse davvero lì stretta contro il suo petto; poi aveva chinato il viso verso il suo e s’era fermato a pochi centimetri dalle labbra rosee di lei. «Ti amo», le aveva sussurrato per la prima volta, con la voce appena tremante e così bassa e roca che Mia l’aveva capito a stento.
La mattina dopo s’erano svegliati abbracciati, i corpi tanto intrecciati l’uno all’altro che quasi non si capiva dove finiva Calum e dove iniziava Mia.
Lui l’aveva baciata, con le labbra al sapore di caffè come faceva tutte le mattine, prima di andare all’università. Solo che quella, di mattina, contro le sue labbra aveva sussurrato, colpevole, «Mi dispiace, Mia».
Quando quella sera non era tornato, l’aveva odiato da morire.
E quando aveva scoperto da Luke Hemmings che era partito, che non sarebbe tornato, l’aveva odiato ancora di più.
Il suo odio aveva raggiunto il culmine quando, scritte sulla copertina del vecchio quaderno giallo, proprio sotto al suo numero, aveva trovato le sue scuse. L’aveva odiato proprio.
“Mia, mi dispiace. Devo partire, ti spiegherò tutto quando e se tornerò. Mi dispiace non avertelo detto prima, non volevo rovinare con la malinconia gli ultimi giorni con te, volevo ricordarti con il sorriso in viso. Ti amo, Mia, anche troppo.
-Calum”.
 
Ha provato a cancellarla, quella scritta, ma tanto si vede sempre, comunque. Forse, una parte di lei non vuole sbarazzarsene, vuole tenere quell’ultimo ricordo concreto di Calum lì con lei.
Ora Mia sta guardando fisso il suo disegno ormai finito, l’ennesimo dei suoi maledettissimi occhi. Li fissa e per un attimo le sembra che loro possano ricambiare il suo sguardo allo stesso modo, le pare che Calum possa amarla ancora. Vorrebbe riuscire tanto ad illudersi, ma sa benissimo che è solo uno sguardo di carta, vuoto. Sa che quelli sono occhi disegnati e che non sono i suoi, che i suoi forse non li vedrà più.
Strappa il foglio dall’album in uno scatto, arrabbiata con tutti, soprattutto con sé stessa, e invasa dal rancore e dalla nostalgia. Lascia che il foglio cada ai suoi piedi e si unisca agli altri, agli altri ricordi che ha cercato di dimenticare, agli altri sguardi che voleva odiare.
Mia li fissa, tutti quegli occhi disegnati e la realtà schiacciante la colpisce; lei non c’ha mai provato manco per un attimo a dimenticare Calum, forse non l’ha nemmeno mai odiato davvero.
Anzi, certo che l’ha odiato, lo odia ancora, ma lo ama così tanto che questo annulla le ragioni del suo rancore.
E tutto quel dolore, solo per un paio di dannati bellissimi occhi scuri.
 
 
Writer’s wall.
Se devo essere sincera, questa os mi è uscita tutta di getto, non c’era nulla di programmato. È iniziato ieri durante la lezione di latino, quando mi sono messa a scarabocchiare sul quaderno finche non mi sono accorta che era un occhio e, prima che me ne rendessi conto, avevo iniziato a scrivere.
Mi rendo conto che Mia sia un personaggio alquanto controverso, ma alla fine è così che ci rende l’amore, illogici, irrazionali, controversi.
Non ho molto altro da dire, perciò vi ringrazio se avete perso tempo a leggere fin qui, mi farebbe tantissimo piacere sapere cosa ne pensate di questa piccolina.
Prima di sparire, se vi interessa vi lascio il link della mia long
Fobie
A Calum, che ha degli occhi meravigliosi.
A C. che i suoi occhi li guarderei tutto il giorno.
A M. che ha gli occhi bugiardi, ma un po’ era riuscito a fregarmi.
A papà, che gli occhi uguali a miei, ed è l’unica cosa che mi piace di me.
Un bacio,
-Mars
  
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