Fumetti/Cartoni americani > Phineas e Ferb
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Autore: bulmasanzo    28/05/2015    3 recensioni
"Aveva voglia di fermarsi a riposare, aveva voglia di addormentarsi, ma sapeva che se non fosse tornato a casa in tempo sarebbe potuto scoppiare il caos (...) Non doveva fermarsi, anche se stavolta aveva fatto una gran bella pazzia ad allontanarsi così tanto."
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ferb Fletcher, Perry, Phineas Flynn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Strascicava i piedi verso casa, era sfinito e aveva la schiena dolorante.

Dal taglio che si era procurato al ginocchio, il più profondo, perdeva parecchio sangue, che formava una specie di lunga scia rossa a segnalare il suo passaggio.

Non aveva idea di come si sarebbe potuto giustificare per l'aspetto pietoso in cui versava.

Non gli era mai capitato di compromettersi fino a quel punto.

La vista gli si stava annebbiando a causa del sudore che gli colava sugli occhi. Se lo asciugò passandosi il braccio sulla fronte e la sensazione di umido sui peli lo fece sentire un miserabile.

Fece un altro paio di passi e il bruciore si intensificò, strappandogli un gemito.

A causa del troppo camminare, le palme dei piedi gli si erano ricoperte di dolorose vesciche che si escoriavano in continuazione.

Era esausto ed era sicuro che alcune delle ferite che aveva riportato si stessero infettando. Se non le avesse disinfettate, presto avrebbe tremato per la febbre.

Aveva voglia di fermarsi a riposare, aveva voglia di addormentarsi, ma sapeva che se non fosse tornato a casa in tempo sarebbe potuto scoppiare il caos.

Già immaginava di vedere le sue fotografie stampigliate sul cartone del latte. La mamma che piangeva, il papà che si preoccupava, Candace che si sentiva in colpa -perché lei sotto quell'aria strafottente si sentiva sempre in colpa- Phineas che magari scappava di casa per andare a cercarlo... Il conseguente terrore, l'ansia. Avrebbe potuto cacciarsi in qualche pericolo, sapeva che ne sarebbe stato capace.

Non doveva fermarsi, anche se stavolta aveva fatto una gran bella pazzia ad allontanarsi così tanto.

Ma non aveva potuto impedirlo, era stato trascinato lontano suo malgrado e ora non aveva i mezzi per tornare indietro.

Sospirò e si accorse, con un sussulto, di aver proceduto per un pezzo nel mezzo della strada.

Si affrettò a risalire sul marciapiede, non intendeva certo farsi investire da un'auto. Non dopo tutto quello che aveva passato.

Vide di fronte a sé un cartellone stradale che recitava: Danville 100 km.

Non poteva crederci. Non aveva ancora percorso nemmeno metà della strada necessaria per tornare indietro.

In altre occasioni non sarebbe certo caduto nello sconforto, ci avrebbe riso su, ma quella volta era conciato proprio male, aveva perso i contatti con il mondo, faceva un freddo del diavolo che gli penetrava nelle ossa, che lo faceva rabbrividire, che lo stordiva, che gli intirizziva gli arti. E, in più, era appiedato e senza più energie.

Senza capire cosa gli stesse succedendo, si ritrovò schiantato contro il suolo a pancia sotto, le sue membra sembravano così pesanti da non permettergli più di rialzarsi.

La speranza di macinare quegli ultimi cento chilometri svaniva davanti ai suoi occhi e gli causava gli incubi.

Con la mente raggiunse a volo d'uccello la sua casa, ma questa era vuota, abbandonata. La sua famiglia era dispersa nel mondo, disgregata, lacerata per colpa sua, che non era stato in grado di tornare in tempo e di tenerla unita.

Non c'era nessuno che curava le sue ferite e ciò gli causava una morte lenta e infinitamente dolorosa.

Gli sembrò di essere diventato un pupazzo, una marionetta, i suoi movimenti erano estremamente limitati.

Ogni suo arto era collegato a cavi invisibili che venivano controllati a piacimento da colui che aveva mosso le fila di tutto.

Sentì la sua odiosa risata di scherno, ma non lo vedeva, così partì con un pugno alla cieca.

Subito le sue mani chiuse si trasformarono in cubi di legno che incontrarono una resistenza e si frantumarono in un milione di schegge, le quali andarono a conficcarsi come lame acuminate dritte nelle carni di Phineas.

Sì, era lui. Cosa ci faceva lì? Come aveva potuto metterlo in pericolo?

Lo straziarono e lo uccisero.

Gli avrebbe urlato di scansarsi, ma non sapeva articolare suoni umani, e lui con tutto ciò che sapeva fare, non era in grado né di comprenderlo né di costruire un aggeggio che traducesse i suoi versi. Ci aveva pure provato una volta, ma non aveva funzionato.

Arrivò uno tsunami di sangue che lo travolse, lo fece sprofondare giù per un abisso infinito, con le bollicine d'aria che fuggivano in alto verso la salvezza irraggiungibile.

La superficie di quel mare rosso si congelò, intrappolandolo.

Tentò di scalfirla con le unghie e praticò un foro, ma era talmente minuscolo che non poteva sperare di passarci. Non riusciva nemmeno a tirar fuori il becco per respirare.

Nel suo deliquio, si sentì sollevare dolcemente da qualcuno che aveva le mani giovani già non più morbide.

Sentì una voce che pronunciava il suo nome, era quella di Phineas. Era davvero lui, dunque era vivo, o si trattava ancora di un'illusione?

Era angosciato, stava annegando e lo implorava di salvarlo, ma lui non poteva far niente se non assistere all'inevitabile scadenza della sua vita.

Il tempo scorse in fretta, erano passati cento o forse duecentomila anni.

Lasciò andare il corpo ormai privo d'anima che aveva stretto a sé e da cui non aveva ricevuto nessun conforto.

Le sue lacrime si confusero con il sangue in cui era immerso.

Voleva che quel tormento smettesse, voleva svegliarsi, voleva morire.

Ingoiò tutto quello che vedeva finché i muscoli del ventre non si tesero pericolosamente.

A un passo da un'esplosione che avrebbe causato la devastazione dell'intera esistenza così come l'avevano conosciuta, finalmente smise di sentire il gelo e il terrore che lo avevano oppresso fino a quel momento. E si riprese.

Qualcuno lo aveva avvolto in una copertina di lana.

Aprì gli occhi e faticò per mettere a fuoco due facce amiche, molto familiari, molto preoccupate per lui. Le facce che meno si aspettava e che, tutto sommato, aveva più sperato di rivedere.

Che cosa ci facevano, così lontano da casa?

Non erano un po' troppo giovani per uscire addirittura dai confini della città pur di ritrovarlo?

“Perry!” disse di nuovo Phineas, stavolta la sua voce arrivò così chiara che fu sicuro di non sognare “Dov'eri finito? Ti abbiamo cercato per tutto il giorno.”

Si rivoltò leggermente tra le braccia che lo reggevano come se fosse un bambino in fasce.

Mandò un ringhio di saluto che alle sue stesse orecchie risultò debolissimo.

“Guarda, Ferb, guarda quanti tagli!” riprese Phineas in tono spaventato “Che cosa gli può essere successo? Dobbiamo portarlo dal veterinario?”

A quelle parole si agitò.

Se anche ne fosse stato in grado, non avrebbe certo potuto spiegare loro come fosse finito laggiù, né come si fosse procurato quelle ferite.

Ferb si mosse, come sempre senza parlare, lo depositò con molta cura e gentilezza, ancora avvolto nella copertina, dentro il cestino di quella che sembrava una bicicletta tandem.

Sembrava improbabile che fossero arrivati lì con quel mezzo insulso, ma subito notò i razzi attaccati sul retro.

Allora si sentì al sicuro e si rilassò.

Gli venne voglia di ridere, di piangere, di strillare di gioia.

Non fece nessuna di queste cose. Si abbandonò semplicemente.

Si svegliò qualche ora più tardi, non si era nemmeno accorto di essere svenuto ancora.

La zampa gli era stata fasciata e le ferite medicate.

Un piacevole calore si diffondeva nell'aria tutto intorno a lui. Lo appagava, lo scaldava.

Sollevò leggermente la testa per scoprirne la fonte.

Si accorse di essere nella sua cesta, sul pavimento del salotto di casa, sopra il tappeto, tra il caminetto acceso e il divano su cui stavano, stesi testa contro piedi, Phineas e Ferb, entrambi addormentati.

Qualcuno li aveva coperti con un plaid.

Forse avevano cercato di vegliarlo, ma erano crollati.

Beh, non poteva certo sorprendersene. Erano pur sempre dei bambini.

Ed entrambi avevano sul viso un'espressione tanto sfinita quanto dolce che nascondeva la loro apprensione.

Sembravano veramente in pace.

Era in momenti come quelli che avrebbe voluto poter dire loro quanto li apprezzava.

Nonostante i suoi continui, quotidiani abbandoni, loro avevano sempre continuato ad aspettarlo, a volergli bene, e non avevano mai e poi mai dubitato di lui.

Si sentì in colpa e si ritrovò a chiedersi come avrebbero reagito se avessero scoperto il motivo per cui se ne andava ogni giorno.

Ma se mai avesse fatto trapelare qualcosa, non avrebbe potuto più continuare a condurre la sua doppia vita, non avrebbe avuto altra scelta che abbandonarli, e ciò sarebbe stato incredibilmente doloroso.

La loro fiducia avrebbe vacillato.

In verità, già lo sapeva. Era già accaduto, ma loro non ricordavano più nulla.

E per fortuna, altrimenti avrebbe dovuto dir loro addio per sempre.

Però non poteva negare che, quando era successo ciò che per cinque anni aveva temuto, paradossalmente, si fosse scoperto quasi sollevato di non dover più tenere unicamente per sé il suo segreto.

In quella occasione, era stato costretto a vedere negli occhi di Phineas quella terribile aria di rimprovero, che così poco si addiceva a uno spirito come il suo, che sperava di non dover rivedere mai più.

Poi aveva capito di stare lentamente riconquistando la sua amicizia quando, nonostante il legittimo risentimento che aveva provato nei suoi confronti, era arrivato nella tana del cattivo in un seppur goffo tentativo di salvarlo.

Ciò che in seguito aveva letto nel suo sguardo era stato un divertimento puro e irrefrenabile, lo aveva visto sparare la sua improbabile palla da baseball radiocomandata contro gli avversari e distruggerli uno per uno con molta disinvoltura, come se fosse nato unicamente per fare quello.

Gli aveva salvato la vita e non s'era aspettato niente in cambio.

Si era ritrovato a considerare che, se non fosse stato un essere umano, avrebbe potuto avere tutte le qualità per unirsi alla loro organizzazione.

Era così in gamba, nonostante fosse ancora un bambino.

Gli aveva sorriso in quel modo così complice, avevano collaborato in perfetta sintonia, schiena contro schiena, difendendosi a vicenda. Aveva immediatamente capito tutto ciò che aveva voluto dirgli. Dopotutto, era abituato a interpretare i segnali silenziosi di qualcun altro e lui, intimamente, aveva sempre avuto la curiosità di mandargliene qualcuno, solo per vedere se lo avrebbe colto.

Ma la sua condizione gli aveva sempre impedito di prendersi anche quella seppur minima soddisfazione.

Mentre così ragionava, si accorse che il fuoco si attenuava, lasciando la stanza semibuia.

Perry si sollevò malamente sulle zampe e barcollò fino a raggiungere il divano.

Vi si arrampicò ficcando gli artigli nella stoffa che lo ricopriva.

Utilizzò la coda per mantenersi in equilibrio. Gli doleva ma non gli importava, doveva raggiungere i suoi padroncini.

Finalmente riuscì a issarsi sul cuscino.

Guardò con infinita tenerezza il viso angelico di Ferb che dormiva tranquillo. Poi, cercando di fare piano, abbassò il becco su di lui e lo baciò su una guancia.

Sentì un sospiro profondo, temette che stesse per svegliarsi, ma ciò non accadde. Ferb restò immobile.

Poi Perry si voltò a contemplare Phineas allo stesso modo.

Gli si accoccolò sotto il braccio e si sentì in pace con il mondo quando nel sonno, il ragazzino lo strinse a sé.

Si sentì pervadere da un calore rassicurante che non avrebbe mai pensato di sentire. Ottundeva completamente il dolore delle sue membra distrutte.

Sorrise a propria volta quando sulla bocca di Phineas si formò un sorriso, sapeva di aver trasmesso a lui lo stesso calore. Desiderò di non lasciarlo mai.

Chiuse gli occhi ma non dormì, rimase sveglio a riposare con lui fino al mattino pur di godere più a lungo di quella gioia che gli ispirava il contatto fisico.

Non erano soltanto i suoi padroni, non erano soltanto la sua copertura, erano la sua famiglia.

E avrebbe sempre fatto qualunque cosa pur di proteggerli. Tutti loro.









Spazio autrice: sono in lutto per la conclusione della serie ed era da tempo che volevo pubblicare qualcosa con protagonista Perry. Sì, lo so, avete tutto il diritto di rimproverarmi per aver detto che non avrei più toccato questa sezione. Ma sapete com'è l'ispirazione... se viene, viene.
I personaggi ivi presentati sono di proprietà della Disney

 

  
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