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Autore: Hope_mybrandnewname    28/05/2015    6 recensioni
Castiel e Gabriel Novak abbandonano New York dopo la morte di Balthazar, il fratello maggiore, e tornano nella monotona cittadina di Lawrence, Kansas, dove sono cresciuti, per occuparsi del negozio di dischi di famiglia e dei debiti del fratello scomparso. Sarà lì che Castiel incontrerà Dean Winchester e la sua famiglia, e scoprirà che il ritorno a Lawrence nasconde un secondo fine.
[Destiel] [AU]
Dalla storia, capitolo 1:
-Dico sul serio, Cas. Non fare quella faccia. Sembri… triste.-
-Sul serio? Sai com’è. Viviamo in un cazzo di paesino sperduto da cui ero convinto di essermene andato una volta per tutte. E invece sono ancora qui. Credi che sia facile per me?-
Gabriel posò i piatti sul tavolo e guardò il fratello minore dritto negli occhi.
-Cosa vuoi fare, allora? Mollare tutto e tornare a New York?-
Castiel abbassò lo sguardo e scosse la testa.
-No. Certo che no. Non possiamo lasciare il negozio di Balthazar.-
-Ma sai cosa mi frega del negozio, Cas? Diamine. Possiamo venderlo e tornarcene a casa.-
-Non è quello che Balthazar vorrebbe.-
Genere: Angst, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Hello, is there anybody out there?
 

Castiel Novak sapeva leggere le persone. Gli bastava uno sguardo veloce per capire la storia di chi aveva davanti. La maggior parte delle persone che incontrava durante il lavoro, nel negozio di dischi a Lawrence, Kansas, erano liceali con la passione per la musica: fan accaniti, se decidevano di uscire di casa e comprare un cd, invece che stare seduti davanti un computer e scaricarlo illegalmente. Oppure c’erano i quarantenni, affascinati dai vinili che avevano visto in casa quando erano piccoli, e sorpresi dal fatto che li producessero ancora nel 2015.
Certo, le eccezioni capitavano sempre. Una volta la moglie del sindaco, la signora Naomi Fuller, aveva chiesto aiuto a Castiel, ma solo dopo aver contato con uno sguardo preoccupato i piercing sulla faccia del ragazzo e i tatuaggi sulle sue braccia, lasciate scoperte dalla maglietta a maniche corte; in seguito gli aveva rivelato che per il compleanno del marito voleva comprare un cofanetto di vinili in edizione limitata di “una certa band degli anni novanta. Inglesi. Fissati con i muri. Probabilmente un gruppo di hippie allucinati.” Castiel non ci aveva messo molto a capire che stava parlando dei Pink Floyd, e per un intero minuto, mentre cercava il suddetto cofanetto, si era chiesto se avrebbe dovuto correggere la signora perché:
1. I Pink Floyd non erano allucinati.
2. Non si erano formati negli anni novanta.
3. Non era un muro, era un’idea. La distanza tra band e pubblico. Tra una persona e la sua famiglia o gli amici. L’alienazione. Il desiderio di allontanarsi e separarsi dalla realtà, finché non si trova la forza di tornare nel mondo reale. Quindi, no, non erano fissati con i muri.
4. Seriamente, i Pink Floyd non erano allucinati. Okay, Syd Barrett aveva avuto problemi con la droga, ma aveva lasciato il gruppo prima che diventassero famosi. E okay, una parte dei loro fan assumeva LSD prima di andare ai loro concerti, ma c’era bisogno di fare di tutta l’erba un fascio?
Ad ogni modo, aveva preso un respiro profondo e aveva lasciato perdere, perché iniziare una discussione con la moglie del sindaco quando stava per comprare un cofanetto da 180 dollari era semplicemente una follia. E in fondo sperava che il sindaco, Zachariah Fuller, riuscisse ad istruirla. Di sicuro, dopo aver ascoltato un paio di volte The Dark Side Of The Moon, sarebbe rinsavita e avrebbe amato i Pink Floyd per il resto dei suoi giorni. Ma Castiel era un sognatore, e Naomi Fuller che ascoltava On The Run senza chiedersi che senso logico avessero quei suoni sarebbe stato un miracolo. Le aveva venduto il cofanetto e aveva lasciato che tornasse alla sua auto, con la radio sintonizzata sulla stazione del predicatore locale. Non che fosse mai salito sulla sua auto, una berlina grigia e anonima, ma tenuta in modo impeccabile, o che avesse sentito la radio dai finestrini aperti. Lo sapeva e basta.
Quando uno studente del college, che era stato un asso nello sport fin dai primi anni del liceo, alto e piuttosto attraente, popolare, con un’alta considerazione di se stesso e probabilmente anche molto snob, entrò nel negozio, Castiel pensò che si fosse perso. Eppure sembrava a suo agio, mentre si dirigeva con sicurezza verso il reparto dei vinili, sezione hard rock, e scorreva i dischi con attenzione. Castiel per la prima volta nella sua vita si sentì incerto riguardo le sue supposizioni, mentre quel ragazzo sfilava dal cesto un album degli Asia, estasiato, e si lasciava sfuggire qualche gridolino dalla contentezza. Si ritrovò a fissare la schiena di quel ragazzo, con gli occhi socchiusi, inclinando la testa senza rendersene conto. Quanti giocatori di football belli, popolari e di successo, con una buona famiglia alle spalle conoscevano gli Asia e fangirleggiavano su un loro album nel mezzo di un negozio?
Diamine, avrebbe dovuto fargli una foto e metterla su tumblr finché era in tempo, ma decise di smetterla di fissare quell’estraneo e si dedicò agli ordini che doveva compilare.
Cos’aveva detto Gabriel? Trenta magliette dei One Direction? O venti? Forse erano di più? Merda. Si era perso nel suo discorso riguardo lo sfruttamento della musica ai fini di lucro, e il manipolare giovani menti, o qualcosa di simile, e aveva dimenticato quante magliette suo fratello gli aveva detto di ordinare. Scosse la testa, mentre cercava di ricordare, ed era così immerso nei suoi pensieri che quando il ragazzo di poco prima appoggiò il vinile che aveva scelto sul bancone, Castiel quasi sobbalzò. Alzò in fretta lo sguardo, e incontrò gli occhi più straordinari che avesse mai visto, di un verde particolarmente vivo. Come si era sbagliato, riguardo a quell’estraneo. Nel suo sguardo non c’era traccia della superbia che aveva visto nel suo portamento: era solo una facciata, costruita ad arte per intimorire gli altri, se necessario. Tutto quello che Castiel riusciva a vedere nei suoi occhi, invece, era la genuina felicità di un ragazzo che finalmente aveva trovato il suo vinile preferito in edizione originale. Un ragazzo capace di entusiasmarsi così tanto per un disco di plastica dell’altro secolo non poteva certo essere uno stronzo altezzoso.
-Scusa, sei impegnato?- chiese quel ragazzo, sorridendo, e Castiel rimase sorpreso dalla gentilezza in quella voce roca, con una leggera inflessione del sud nella pronuncia. Pensò improvvisamente e senza alcuna ragione al proprio aspetto trasandato, a partire dai suoi jeans strappati, alla maglietta degli Zeppelin che gli stava troppo larga e alla matita nera che metteva sempre intorno agli occhi, per fare un dispetto a Gabriel. Chissà in che stato si era ridotta, ormai, a fine giornata.
-No, certo che no- rispose Castiel, in fretta. Controllò il prezzo del vinile e batté lo scontrino, mentre il ragazzo gli passava le banconote, e rimaneva in attesa del resto, fissando Castiel tanto intensamente quanto aveva fatto lui stesso poco prima.
-Diamine, non venivo qui da un secolo- disse lo sconosciuto, improvvisamente. -Mi ricordo che qui ci lavorava… come si chiama… Buddy.-
-Balthazar- lo corresse Castiel, sovrappensiero, contando il resto.
-Ah, sì. Giusto. Non sono bravo con i nomi complicati. Comunque, non lo vedo da un sacco. Lavora ancora qui?-
Castiel fece scivolare lentamente i soldi sul bancone, senza guardare lo sconosciuto in faccia.
-Non c’è più. Balthazar… è morto. Circa tre mesi fa. Era mio fratello maggiore. Ad occuparci di questo posto adesso ci siamo io e Gabe. Ma, vabbè, Gabe non si vede quasi mai, qui. Dubito che tu lo conosca.-
-Mi dispiace- disse il ragazzo, con un intenzione nella voce che fece pensare a Castiel che forse anche lui aveva perso qualcuno di caro.
-Grazie- rispose Castiel. Lo sconosciuto fece un piccolo sorriso tirato, mise il resto in tasca e prese il sacchetto con il vinile.
-Ci vediamo, allora- disse il ragazzo, sorridendo di nuovo, ma stavolta le sue labbra si curvarono in un sorriso imbarazzato. Le sue guance diventarono improvvisamente più rosse, e fecero contrasto con la camicia azzurro chiaro che lo sconosciuto stava indossando sotto un pullover blu.
-Ci vediamo- ripeté Castiel, scoprendo che stava ricambiando il sorriso, spontaneamente. Seguì il ragazzo con lo sguardo finché non uscì dal negozio, chiedendosi quand’era stata l’ultima volta che si era ritrovato a sorridere. Non riusciva nemmeno a ricordarlo. Era passato davvero tanto tempo.
 
Quella sera la trascorse davanti allo stereo, con i Black Keys ad alto volume e una birra tra le mani. Gli mancava New York. Da quando si era trasferito in Kansas, per gestire il negozio di Balthazar, si era sentito abbandonato, isolato dal mondo. Controllò per l’ultima volta il cellulare, ma anche stavolta non c’erano nuovi messaggi. Mike e gli altri del gruppo non gli avevano più scritto. Che bastardi. Erano bastati tre mesi. Tre fottuti mesi. E si erano già dimenticati del bassista. Probabilmente pensavano che non era il caso di perdere tempo a mantenere i contatti con uno disperso nel sud del Paese. Magari, nella loro testa, Castiel era diventato un cowboy con tanto di pistole e camicia in plaid che sbraitava durante i rodeo.
Forse doveva smettere con la birra, almeno per quella sera.
Alzò il volume ancora un po’, e quando Gabriel tornò non lo sentì nemmeno.
-Ah, il povero piccolo Cas. Non ti sei ancora rassegnato all’atmosfera del Kansas?- lo prese in giro Gabriel, mentre cercava di raggiungere il tavolo in soggiorno evitando le numerose scatole che avevano lasciato in giro per casa dal giorno del trasloco, nonostante fossero trascorsi mesi.
-Fanculo, Gabe- bofonchiò Castiel.
-Ho la pizza.-
-Non ho fame.-
-Diamine, Cas. Ma quanti anni hai? Dodici? Sei nella tua fase emo?-
Castiel sbuffò e decise di alzarsi. Raggiunse suo fratello e lo aiutò ad apparecchiare la tavola. Notò che Gabriel lo stava osservando di sottecchi, così lo fissò.
-Che c’è? Se è per la matita, sappi che…- cominciò Castiel, già irritato.
-Non è per la matita, stupido. Anche se sai che non approvo. Ma tanto tu fai sempre di testa tua, quindi… No, non è per quello. Sono preoccupato per te, Cas.-
Castiel alzò gli occhi al cielo e meditò di andare a chiudersi in camera, perché non voleva davvero subirsi una paternale.
-Dico sul serio, Cas. Non fare quella faccia. Sembri… triste.-
-Sul serio? Sai com’è. Viviamo in un cazzo di paesino sperduto da cui ero convinto di essermene andato una volta per tutte. E invece sono ancora qui. Credi che sia facile per me?-
Gabriel posò i piatti sul tavolo e guardò il fratello minore dritto negli occhi.
-Cosa vuoi fare, allora? Mollare tutto e tornare a New York?-
Castiel abbassò lo sguardo e scosse la testa.
-No. Certo che no. Non possiamo lasciare il negozio di Balthazar.-
-Ma sai cosa mi frega del negozio, Cas? Diamine. Possiamo venderlo e tornarcene a casa.-
-Non è quello che Balthazar vorrebbe.-
-Beh, Balthazar non è qui- disse Gabriel, sprezzante, ma con un’occhiata Castiel capì che il fratello aveva reagito così solo perché era davvero addolorato. Notò i suoi occhi lucidi e distolse lo sguardo.
-Manca anche a me- mormorò Castiel.
-Già. Sì- borbottò Gabriel. Prese due birre dal frigo, le aprì e ne offrì una al fratello, prima di mettersi a tavola. Castiel prese un sorso e si sedette di fianco a lui. Osservò la pizza, incerto, ma poi si decise a prenderne un pezzo, e Gabriel fece un piccolo sorriso.
-Non sarà così per sempre, Cas- disse Gabriel, mentre addentava a sua volta un pezzo di pizza. -Dammi altri sei mesi per mettere a posto il negozio, e poi ce ne torniamo a New York. No, anzi. Andiamo in California. Non so tu, ma io non vedo l’ora di conoscere ragazze californiane.-
-Le ragazze californiane non possono dire lo stesso di te, purtroppo- decretò Castiel con una smorfia.
-Whoa, Cas. Oggi sei davvero un dodicenne emo particolarmente antipatico, lo sai?-
-Stai zitto.-
-Tu stai zitto. Ricorda che io sono più grande di te.-
-Più vecchio, se permetti. E poi io sono più alto.-
-Ma io sono più bello. Prima o poi, Cas, dovrai accettare la realtà.-
Castiel scoppiò a ridere, e Gabriel si unì alla sua risata. Finalmente Castiel smise di sentirsi addosso quella sensazione soffocante, e riuscì a ridere un po’. Le cose ultimamente non erano state per niente facili. Era bello avere finalmente un attimo di tregua, e dimenticarsi dei problemi per un po’. Pensò improvvisamente a quel pomeriggio, al ragazzo che lo aveva fatto sorridere al negozio. Doveva ammettere che quegli occhi verdi gli erano rimasti impressi. Erano così… verdi? Non mezzi marroni, o grigi, come tutti. Verdi. Erano belli. Ma tanto sapeva che non valeva la pena di stare a pensarci. Probabilmente, non lo avrebbe più rivisto.
E invece, scoprì di essersi sbagliato. Due giorni dopo quel ragazzo tornò al negozio. Parcheggiò la sua auto d’epoca davanti alla vetrina e una volta entrato gli rivolse subito un sorriso. Diamine, quel ragazzo continuava a farlo sbagliare. Non si era aspettato una Chevy Impala da uno così. Un Mercedes, sì. Un BMW, magari. Un SUV Porsche se proprio fosse stato ricco di famiglia, ma non un’auto vintage. Quello sconosciuto continuava a trarlo in inganno, e non sapeva nemmeno il suo nome.
Quel giorno il ragazzo comprò l’ultimo album degli Arctic Monkeys, e quando Castiel alzò lo sguardo dal bancone, confuso (davvero, non si aspettava quell’album da lui. Guidava un’auto d’epoca, ascoltava gli Asia, gli piacevano i vinili. Cosa centrava una band britannica contemporanea?), il ragazzo fece un sorriso imbarazzato e scosse le spalle. -Volevo provare a sentire qualcosa di nuovo- ammise, guardando Castiel negli occhi, intuendo i suoi pensieri. -Tu che ne pensi?- chiese, indicando il cd.
Castiel spalancò gli occhi, spiazzato, ma si riprese subito.
-Sono davvero bravi. Personalmente, preferisco Humbug, ma anche AM è notevole.-
-Humbug, eh? Me lo ricorderò- disse il ragazzo, posando le banconote sul bancone. Castiel batté lo scontrino mentre sentiva lo sguardo dello sconosciuto sulle spalle. Immaginò che stesse contando i suoi tatuaggi, come facevano tutti, dato che quel giorno indossava una maglietta dei Beatles con le maniche tagliate, che li lasciava scoperti; quando si girò per dargli lo scontrino, però, non trovò un’espressione di disapprovazione o di sgomento, anzi. Lo guardava con ammirazione e sembrava voler dire qualcosa.
-Occupa tutta la schiena?- si decise a chiedere il ragazzo, alla fine.
Castiel lo guardò, confuso. -Cosa?-
-Il tatuaggio delle ali.-
-Oh. Più o meno, sì. Schiena, spalle e parte delle braccia.-
-Però. È molto bello.-
Castiel si sentì sul punto di arrossire e si diede mentalmente dello stupido.
-Grazie…-
-Dean- lo interruppe il ragazzo, sorridendo. -Mi chiamo Dean. Dean Winchester.-
-Castiel- rispose, ricambiando il sorriso.
Il sorriso di Dean diventò un po’ più ampio, mentre lo osservava. Dean prese il cd e gli rivolse una strana occhiata, uscendo.
-Beh, a presto, Castiel. Piacere di averti conosciuto.-
Castiel si mise a ridere e scosse la testa, sottraendosi all’occhiata. -A presto, Dean.-


Primo capitolo di una Destiel in fase di scrittura. Sentitevi liberi di lasciare un parere se vi va. Grazie a tutti voi che siete arrivati fino a qui. 
Vee

 
  
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