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Autore: MaraschinoCherry    28/05/2015    1 recensioni
Questa storia parte da una domanda: E se Voldemort non fosse stato potente come nei libri? Infanzia difficile, odio per babbani e mezzosangue, ambizioni di totale controllo, indole manipolativa e crudele, a Tom Riddle non manca niente per diventare il cattivo perfetto. Questo se non fosse un mago terribilmente mediocre, ecco. Come se questo non bastasse, ci si mette di mezzo una profezia ad intralciare il cammino verso il potere di Tom. A quanto pare, per poter proseguire per la sua strada, Voldemort dovrà uccidere un bambino di poco più di un anno o, altrimenti, quello ucciderà lui. Peccato che l'attacco del 31 ottobre 1981 ai danni di Harry sia stato un flop colossale. Da allora i Potter vivono fra i babbani, in una casa sotto l'effetto dell'incantesimo Fidelius, questa volta con un custode segreto più affidabile. Ma che effetti avrà avuto questo battito d'ali di farfalla nel mondo magico? E la profezia è davvero quello che sembra?
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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King's Cross pullulava di persone, così come ogni mattina, di ogni giorno dell'anno. Erano le otto e la gente che affollava l'ampio atrio della stazione andava di fretta, ognuno in una direzione diversa, ognuno per le ragioni più disparate.

C'era l'uomo d'affari che camminava con passo marziale, il manico della valigetta stretto in pugno, e che lanciava sguardi fugaci al Rolex perché erano già le otto e dieci e il treno per Birmingham partiva alle sette meno cinque e non si sarebbe mai potuto perdonare se avesse mandato a monte l'affare della sua vita – il terzo quel mese.

C'era la ragazza che avanzava a testa bassa per nascondere il viso dietro ai capelli, per non far vedere le lacrime che le scorrevano giù per le guance. Non voleva più nemmeno sentir nominare il nome di quel bastardo, lei se ne tornava a Bristol dai suoi genitori perché invaghirsi di lui era stato uno sbaglio, un'enorme, grossolano sbaglio.

Ed infine, c'era una coppia di trentenni che seguiva a ruota quello che, indubbiamente, si trattava di loro figlio, un ragazzino che avrà avuto sì e no undici anni dai capelli scuri e gli occhiali da vista. Spingeva un carrello con sopra due valigie dall'aspetto antiquato – ma forse sarebbe meglio chiamarli bauli visto che sembravano usciti fuori da un film di serie B ambientato su una nave di pirati – e uno zaino un po' più moderno in cima.

Ogni tanto si voltava per assicurarsi che i suoi genitori lo stessero seguendo, e quando lo faceva veniva sempre rassicurato dal sorriso incoraggiante dei due.

Quello si trattava di un giorno molto importante per il bambino, che di nome faceva Harry Potter. Il primo settembre del 1991 avrebbe infatti cominciato a frequentare la scuola. Ovviamente non si sarebbe trattato della prima volta in assoluto in cui Harry metteva piede in un aula scolastica, poichè questo era già successo cinque anni prima ed era stato un evento abbastanza traumatico di per sé, senza bisogno di ripeterlo una seconda volta.

No, questa non si trattava di una scuola normale, anzi! Per i nostri standard chiamarla scuola sembrerebbe riduttivo. Hogwarts era infatti un istituto dove giovani maghi e streghe si recavano ormai da centinaia di anni per imparare la sottile arte degli incantesimi, quindi il nervosismo e l'eccitazione di Harry di fronte a questa prospettiva erano totalmente giustificabili.

I suoi genitori, maghi pure loro, lo avevano accompagnato quella mattina alla stazione di King's Cross a Londra per salutarlo prima che salisse a bordo del treno che lo avrebbe portato in Scozia.

Ma il treno, essendo un treno costruito dai maghi per i maghi, era nascosto agli occhi del pubblico non-magico, per la precisione dietro al muro che separava il binario nove dal dieci.

Era un muro di mattoni solidissimo all'apparenza – e per i non-magici lo era davvero – ma per le creature di sangue magico si trattava soltanto un'illusione ottica, un ologramma dietro al quale si trovava il binario 9 e ¾ e potevano passarci attraverso senza problemi.

“Sei pronto, tesoro?”

La voce di Lily Evans era più dolce del solito rivolgendosi al figlio in procinto di partire.

“Mh-hm.” mugugnò Harry facendo di sì con la testa.

“Ricorda cosa ti ho detto:” lo raccomandò suo padre James “è meglio se corri dritto verso il muro senza pensarci tanto, altrimenti può darsi che l'incantesimo non funzioni.”

“James! Una cosa del genere non è mai successa!” esclamò sua moglie. Poi, rivolgendosi al figlio: “Non ti preoccupare Harry, non c'è pericolo che tu vada a sbattere contro il muro.”

Il bambino roteò gli occhi con l'aria di chi ha già sentito la stessa discussione ripetersi per le ultime due settimane.

“Mamma, papà, lo so. Queste cose me le avete già dette. Parecchie volte”

“Oh.” Entrambi i suoi genitori avevano dipinta in viso l'espressione mortificata di un bambino rimproverato.

“Hai ragione.” constatò James.

“Sì, ma adesso sbrighiamoci altrimenti il treno parte senza di noi.” Lily fece un cenno con la testa in direzione del muro di mattoni “Harry.”

Il bambino annuì vigorosamente e, una volta appuratosi che nessuno lo stesse guardando, cominciò a correre verso la parete. Tempo un battito di ciglia e gli era già scomparso dietro.

James e Lily non seguirono subito loro figlio. Si erano concessi qualche secondo di silenzio e di riflessione prima della fine.

“E' cresciuto in fretta, eh?” sussurrò Lily.

“Anche troppo.” le rispose il marito, anche se sicuramente si trattava di una domanda retorica.

Ancora qualche momento di silenzio seguì queste parole, prima che James interrompesse il flusso di pensieri di entrambi indicando con un ampio movimento del braccio il muro dietro cui si era volatizzato loro figlio.

“Prima le signore.” disse in tono eccessivamente pomposo.

Lily non sembrò colpita dalla galanteria.

La donna gli lanciò un'occhiata leggermente infastidita prima di accennare una corsa in direzione della parete, scomparendo nell'istante in cui il suo corpo avrebbe dovuto collidere col muro.

James la seguì a ruota.

 

 

********

 

Harry constatò che il mondo al di là del muro era tutta un'altra cosa, un po' come Berlino Est e Berlino Ovest.

La piattaforma di attesa era piena di persone, la maggior parte vestite con abiti tradizionali della Gran Bretagna magica, cosa che fece sentire Harry inadeguato, con la sua felpa grigia e i jeans indosso. Gufi e civette, chiusi in gabbia per via che non svolazzassero ovunque durante il viaggio in treno verso Hogwarts, strillavano indignati e mordevano con disperata voracità le sbarre di ferro.

Non capitava spesso che Harry si trovasse in mezzo a folle composte esclusivamente da maghi e streghe, visto che abitava in una zona particolarmente non-magica di Londra. Perlopiù sua madre era nata da una coppia di non-magici e ci teneva che il figlio crescesse influenzato in egual misura dalla cultura magica così come da quella non. Certo, anche i non-magici si erano dati il loro bel daffare per raggiungere il livello di costante meraviglia che provoca la magia nell'animo di chi la osserva, la studia e la pratica. Chopin, Salvador Dalì per esempio, diceva sua mamma.

Harry, in cuor suo, trovava che il tentativo meglio riuscito di imitare la magia da parte dei semplici umani era il Nintendo Entertainment System di suo cugino Dudley, ma ad ognuno il suo.

“Ci siamo.”

Harry si voltò notando che, mentre lui era perso nei suoi vagheggi mentali, suo padre e sua madre l'avevano raggiunto.

“Già.” All'improvviso Harry si trovava a corto di parole. Dopo due mesi passati a parlare quasi esclusivamente della sua eventuale dipartita per Hogwarts, adesso che era arrivato il momento si sentiva la bocca dello stomaco chiusa in una morsa, le budella attorcigliate in un labirinto di dubbi.

“Allora? Cos'è quella faccia seria? Non dici niente al tuo vecchio prima di abbandonarlo in balia di sé stesso?” Suo padre cercò di tirargli su il morale come faceva ormai da undici anni a questa parte, ovvero da quando Harry era venuto al mondo: esagerando l'aspetto melodrammatico delle cose.

Harry sorrise senza troppa convinzione e gettò le braccia al collo di James.

Fu un abbraccio breve, disperato nella sua impulsività, e così anche quello che diede a sua madre.

Harry era confuso e non riusciva a nasconderlo, perché fino al giorno precedente era un bambino che si sentiva troppo grande per le quattro pareti della sua stanzetta - gli sembrava di strabordare, di essere sempre sul punto di esplodere - e invece oggi era un ragazzino, un piccolo uomo che era sul punto di abbandonare quella sua stanza troppo piccola per tre mesi – fino alle vacanze di fine dicembre – ma che adesso sembravano un oceano di tempo, così profondo e vasto da poterci affogare dentro.

Sua madre, vedendolo a disagio, gli accarezzò la guancia col dorso della mano.

“Non ti preoccupare. Vedrai che andrà tutto bene, credimi.”

“Ci siamo passati tutti Harry, è normale essere un po' nervosi.” aggiunse suo padre.

Harry annuì soltanto, per paura che, se avesse aperto la bocca, la voce gli sarebbe venuta fuori flebile e tremula, e non aveva certo bisogno di essere accarezzato sulla guancia dalla mamma per una seconda volta di fronte al branco di adolescenti che li circondava, assetati di materiale utile ad affibbiare spiacevoli nomignoli che lo avrebbero perseguitato per il resto della sua carriera scolastica.

Il ragazzino fece un respiro profondo per calmarsi. C'erano molti dubbi che affollavano la sua mente, molti dei quali si sarebbero dissipati soltanto una volta arrivato a destinazione ed aver provato le cose sulla sua pelle, ma una domanda pungente lo infastidiva, un moscone che ronzava parole maligne dentro al suo orecchio e non importa quante volte avesse provato a scacciarlo via con la mano, quello tornava sempre, un rumore di sottofondo che non lo lasciava mai in pace.

Forse era arrivato il momento di schiacciarlo e farlo tacere.

Harry alzò la testa e guardò in faccia i suoi genitori, prima l'uno, poi l'altro, soffermandosi per più tempo su suo padre. Specialmente su suo padre.

Un altro respiro profondo.

“Per quanto riguarda lo smistamento, una casa vale l'altra, vero?”

E così la bomba era stata sganciata.

Lily non perse tempo a rispondere: “Certo, Harry.”

Suo figlio le sorrise, il primo sorriso rilassato da quando si era alzato dal letto quella mattina. La donna ricambiò generosamente, per poi rivolgersi al marito: “Diglielo anche tu, James.”

L'uomo si prese il suo tempo. Si aggiustò gli occhiali spingendoli più su da dove gli erano scivolati sulla punta del naso, poi spostò il peso da un piede all'altro per un paio di volte, gli occhi nocciola che puntavano in ogni direzione tranne quella dove si trovava suo figlio. Alla fine, si decise ad aprir bocca, mentre osservava con un interesse per l'architettura mai mostrato prima l'impalcatura di metallo che sorreggeva il soffitto di vetro della stazione.

“Come ha detto tua mamma, Harry. Grifondoro, Tassorosso, Corvonero, vanno tutti bene per me.” Harry notò la deliberata omissione del padre, ma decise di non dire niente in proposito.

Alla fine il moscone, anche se morto, aveva dimostrato di avere ragione.

Lily staccò lo sguardo da suo marito e lo spostò su di Harry, l'ombra di una scusa silenziosa che le attraversava gli occhi verdi.

“L'importante è che sia felice tu, nient'altro.” cercò di rimediare in ultimatum la donna.

Harry fece un sì poco convinto con la testa, per poi abbassare il capo e mettersi a guardare una vecchia gomma da masticare ingrigita, schiacciata e attaccata al pavimento.

Un fischio acuto e penetrante, così forte da coprire tutte le voci, gli strepiti e il trambusto della stazione, gli fece risollevare la testa di scatto.

“Il treno sta per partire.” disse Lily, lanciando uno sguardo fugace in direzione della locomotiva “E' meglio se ti sbrighi a salire.”

“Lo penso anch'io.” Harry, che fino a quel momento se ne era stato a braccia incrociate, con gli avambracci appoggiati sul manico del carrello e la schiena curva in avanti, si raddrizzò e ispezionò il treno con gli occhi per vedere dove fosse l'entrata più vicina. La trovò, a qualche passo più avanti da dove si trovava con i suoi genitori. In quel momento stava salendo sopra, provvisto di un carico di bauli spropositato, un ragazzino dai capelli biondi, chiarissimi, che, a giudicare dall'aspetto, doveva avere più o meno la sua stessa età. Un altro primino, probabilmente.

Harry si voltò verso i suoi per un'ultima volta prima di salire a bordo.

“Allora io- io vado.”

La risposta che ricevette fu alquanto insoddisfacente, con sua mamma che sorrideva come un automa e James che faceva ciao-ciao con la mano.

Se non avesse avuto altro per la testa, avrebbe provato imbarazzo per quella scenetta da film comico.

Si limitò a salutarli entrambi con un cenno della testa, poi cominciò a spingere il carrello verso la porta del treno. Lì accanto c'era un uomo sulla sessantina, con un paio di folti baffi grigi da tricheco, vestito con un'uniforme da ferroviere – molto diversa da quella dei normali impiegati di King's Cross, notò Harry – che aiutava gli studenti più mingherlini a spostare valigie e bauli sul treno.

“Buongiorno! Bisogno di una mano?”

L'uomo gli si rivolse con un sorriso stampato in viso. Aveva appena finito di far scivolare all'interno del vagone l'ultimo dei bauli del ragazzo-quasi-albino.

“Sì, grazie.” rispose Harry educatamente, infilandosi lo zaino, che aveva preparato in fretta e furia quella mattina, in spalla. Ci aveva infilato dentro un po' di libri, fotografie ed oggetti non-magici a casaccio, giusto per non dimenticarsi di quella parte della sua vita mentre ne sarebbe dovuto stare lontano per un tempo considerevole.

“Dammi qua allora.” L'uomo protese le braccia verso il baule posto più in cima e lo sollevò con un 'oh issa!' esclamato sottovoce. Harry intanto cominciò a salire sul vagone.

A quel punto pensava che i suoi genitori avessero già girato i tacchi per tornare a casa, ma quella teoria venne presto smentita dalla voce di suo padre, che aveva chiamato il suo nome in tono decisamente troppo alto per un luogo pubblico.

“HARRY!”

Che cosa voleva adesso?

Il bambino si fermò, un piede sulla piattaforma della stazione e uno già sul pavimento del treno. Anche se non le vedeva, sapeva che probabilmente parecchie persone si erano girate in direzione di James, incuriosite dall'entusiastico grido dell'uomo.

L'idea di ignorare lo strepito del padre facendo finta di niente e proseguendo per la sua strada lo sfiorava, allettante, invitante. Ma il senso del dovere nei confronti dei suoi genitori – o forse sarebbe meglio dire la sua mancanza di senso di preservazione - lo spinse a voltarsi, il che equivaleva a dire che sì, Harry era lui e sì, quell'idiota che aveva appena urlato il suo nome nel bel mezzo di una stazione affollata era l'uomo che lo aveva messo al mondo.

“Non mi importa in che casa verrai smistato, l'importante è che entri nella loro squadra di quidditch!” disse James, questa volta con voce leggermente più bassa. “Non deludere tuo padre!”

Lily borbottò qualcosa che Harry non riuscì ad udire se non per qualche sparsa parola, probabilmente riguardo al fatto che gli studenti del primo anno non potevano diventare membri ufficiali delle quattro squadre di quidditch di Hogwarts.

Harry abbassò il capo, visibilmente imbarazzato. Si grattò la nuca, mormorando un “Certo” che suo padre probabilmente non aveva neanche sentito. Ma James sorrideva e sembrava contento, ed era sempre meglio che vederlo dribblare ostinatamente un argomento che sapeva essere importante per suo figlio come aveva fatto poco prima.

O forse no, forse non sapeva proprio niente.

Salutò Harry per un'ultima volta con un cenno della mano prima che sia lui che sua moglie voltassero le spalle al treno e si incamminassero verso il muro di mattoni che li avrebbe riportati nella parte non-magica di Londra.

Harry si riscosse dai suoi pensieri e si girò verso il signore che lo stava aiutando a portare i suoi bauli sul treno. Quando quello si accorse che gli occhi verdi del bambino lo stavano osservando da dietro le lenti degli occhiali, fece di tutto per far sembrare di non essersi interessato allo scambio di battute fra famigliari con la divertita delizia che si prova soltanto facendosi gli affari degli altri e si rimise subito al lavoro.

Dopo un minuto di sollevamento pesi da parte del vecchio signore, i bauli di Harry erano a bordo del treno.

Adesso non restava che trovarsi uno scompartimento, dove sistemarsi per il resto del lungo viaggio verso nord. Harry afferrò i suoi due bauli, uno per mano, per le maniglie laterali e se li trascinò dietro con l'aiuto delle rotelle. Avendo entrambe le mani occupate, aprì la porta del corridoio spostando la maniglia in giù con il mento, sperando che non fosse entrata in contatto ravvicinato con troppe schifezze. Dopo aver sentito il 'click' che segnalava lo scattare della serratura, la spalancò con una spallata.

Avrebbe fatto meglio a trovarsi un posto a sedere prima che il treno avesse cominciato a muoversi. Harry cominciò a risalire il corridoio trascinandosi dietro i bauli e voltando la testa a destra e a sinistra, sperando di intravedere attraverso il vetro delle porte degli scompartimenti una panca vuota, o che non fosse già occupata da studenti più grandi e dall'aspetto poco amichevole.

Era giunto quasi alla fine del vagone quando si imbattè in una cabina semi-vuota alla sua sinistra, i cui unici occupanti erano un ragazzino cicciottello che si guardava ostinatamente le punte dei piedi e una bambina dai capelli arruffati con lo sguardo perso da qualche parte fuori dal finestrino – che cosa ci fosse di interessante da osservare a parte una serie di rotaie rugginose, sassi ed erbacce, Harry non riusciva a capirlo. Ma una cabina libera si era rivelata impossibile da trovare quasi quanto un biglietto per gli Hobgoblins il giorno prima del concerto e quei due sembravano abbastanza innocui.

Harry spalancò la porta che lo separava dagli altri due ragazzini ed esordì, col tono di voce più confidente che gli riuscisse di tirar fuori: “Sono occupati questi posti?”

Indicò le due sedute rimaste libere.

Il bambino grassottello staccò lo sguardo da terra per guardarlo con due occhi spalancati come fanali. Boccheggiò qualcosa di inudibile, aprendo e chiudendo la bocca senza emettere alcun suono, in un'involontaria imitazione di un pesce rosso.

Non sembrava molto sveglio.

La ragazzina sembrò metterci un po' di tempo prima di registrare la voce di Harry e voltare la testa verso di lui.

“Sì, certo.” disse in tono squillante “Accomodati pure.”

Il ragazzino chiuse la bocca e, con il viso segnato dalla rassegnazione, tornò a studiare le punte delle sue scarpe di cuoio, lucide e marroni.

Harry mugugnò un “Grazie.” e fece passare – non con poca fatica – i suoi due bauli dallo stretto passaggio per entrare nello scompartimento.

Una volta all'interno, ne afferrò uno con entrambe le braccia per sistemarlo nel portabagagli posto sopra le loro teste, ma era decisamente un oggetto troppo pesante per Harry da sollevare così in alto. Il peso del baule lo sbilanciò all'indietro.

“Attento!” esclamò la ragazzina.

Era bastato un millisecondo ad Harry per via che nella sua mente si formasse l'immagine del suo cranio spaccato in due dal bordo di legno della panca, che grondava sangue e materia grigia sull'imbottitura della seduta e sul grembo del bambino grassottello, che aveva – se possibile – gli occhi più spalancati di prima e la bocca aperta in un muto urlo di terrore e disgusto.

Era stata una vita così breve, la sua. Non aveva neanche fatto in tempo a completare il suo primo giorno di scuola ad Hogwarts, che già doveva dire addio alla sua esistenza su questo pianeta.

Ma, invece di collidere con il duro legno della panca, Harry si sentì afferrare per le spalle dal ragazzino cicciottello, cosa che gli ridiede quel poco di equilibrio necessario per impedirgli di cadere rovinosamente a terra.

“Ti sei fatto male?” gli chiese, quasi sottovoce, il suo salvatore.

“Sto- sto bene.” si affrettò a rispondere Harry.

Si ricompose, tirandosi su da dove era finito a sedere accanto all'altro ragazzino e raccogliendo il baule, che nel cadere all'indietro gli era scivolato di mano, da terra.

“Vieni, ti aiuto io a metterlo su.” si offrì la ragazzina dai capelli arruffati, alzandosi in piedi e porgendo le braccia verso il pesante bagaglio.

Harry accettò di buon grado.

Una volta che entrambi i bauli furono sistemati al sicuro sopra le loro teste, Harry si sedette accanto alla ragazzina, dalla parte che dava sul corridoio.

“Io mi chiamo Hermione, mentre lui è Neville.” disse la ragazzina – Hermione - mentre indicò con un gesto del braccio in direzione del ragazzino – Neville – quando fece il suo nome. Harry lo guardò e lui scosse la mano in segno di saluto, sorridendo imbarazzato. “Tu sei…?”

“Oh. Mi chiamo Harry.”

“Piacere di conoscerti, Harry.” Hermione gli sorrise, mettendo in mostra un paio di grossi, bianchissimi incisivi. “Anche tu del primo anno come noi?”

Harry annuì con il capo, ricambiando il sorriso di lei. Aprì la bocca per risponderle anche a parole ma non ci fu verso, poiché Hermione si lanciò subito in un intricato discorso riguardo alla sua lettura estiva del libro “Storia di Hogwarts”, snocciolando fatti riguardo alle restrizioni a cui erano sottoposti gli studenti del primo anno e alle materie di base che avrebbero dovuto studiare prima di passare alle pozioni e agli incantesimi più complicati - e dunque più interessanti -, cosa che fece scambiare ad Harry e Neville uno sguardo perplesso.

Senza che se ne accorgessero il treno aveva cominciato a borbottare e a muoversi, con il paesaggio fuori dal finestrino che scorreva alle loro spalle sempre più velocemente. I grattacieli della City mutavano in case di mattoni scuri, che a loro volta scomparivano per lasciare spazio ad ampie distese di verde.

Sarebbe stato un lungo viaggio.

 

**********

 

James e Lily avevano camminato fino all'uscita della stazione di King's Cross in riserbato silenzio, interrotto soltanto dall'incontro di Lily con Arthur Weasley, suo collega al Ministero. Anche lui aveva accompagnato i figli a prendere il treno per Hogwarts e, dopo il breve scambio di battute di rito, si erano dati l'arrivederci.

Una volta fuori i due coniugi si fermarono nello spiazzo davanti all'edificio della stazione, immobili nell'aria frizzante della mattina, circondati da un marasma di persone che camminavano, correvano e sbattevano gli uni contro gli altri.

Se ne stettero zitti per diversi minuti, fino a che James non si assunse l'incarico di rompere il ghiaccio.

“E' andata bene, no?” disse, lo sguardo fisso su un punto non precisato dall'altra parte della strada.

“Mh-mh.” rispose Lily, chiaramente non dell'umore per chiacchiere vacue. Si voltò verso suo marito.

“Pensi che sarà un problema per lui frequentare Hogwarts?”

James se ne stette un momento in silenzio prima di rispondere – questo se porre un'altra domanda conta come risposta.

“In che senso?”

“Oh, insomma! Lo sai in che senso.” sbraitò Lily.

L'uomo si concesse qualche altro attimo di riflessione. Alla fine l'unica cosa che riuscì a dire – che aveva senso dire – fu: “Non lo so. Non lo so, Lily. Non ne ho la più pallida idea, Silente è sempre così vago quando finiamo sull'argomento che, sinceramente, non so cosa pensare.” Si fermò per un momento a riflettere. “Silente dice che Harry sarà al sicuro ad Hogwarts, che non c'è niente di cui preoccuparsi, e l'unica cosa che posso fare io è credergli. Perchè se non credo a lui, alla fine a chi altri dovrei credere?”

Lily chiuse gli occhi e fece un sospiro lungo e frammentato. Si premette i palmi delle mani contro le palpebre perché non era decisamente il momento di mettersi a piangere, così ricacciò indietro le lacrime. Si sarebbe lasciata andare allo sconforto una volta tornata a casa, quando fosse stata da sola.

“E dovresti farlo anche tu.”

“Dovrei fare cosa?” Lily notò con disappunto che la sua voce era più incrinata di quanto avrebbe voluto.

“Credere a Silente.” disse James, con una punta di durezza nella voce che da sola era un avvertimento che sarebbe stato meglio per tutti e due chiudere la discussione lì.

“Io non credo più a nessuno, figurarsi se faccio eccezione per Silente.”

Ecco, lo sapeva.

Aveva appena versato la proverbiale goccia che aveva fatto traboccare il proverbiale vaso. Perchè dopo trentun anni di vita non aveva ancora imparato quando era il momento di tenere la bocca chiusa?

La mascella di James si era irrigidita, i denti serrati e lo sguardo dietro alle lenti degli occhiali era diventato duro e impenetrabile, un perfetto muro di difesa da cui non traspariva niente.

“Va bene. Fa' come ti pare.” James smise di parlare per un secondo e guardò sua moglie in faccia, e se fosse stato possibile dar fuoco alle cose con gli occhi, in quel momento di Lily non sarebbe rimasto che un mucchietto di cenere. “Sto a dormire da Sirius stanotte.”

“Che novità.”

“Ci vediamo domani sera, quando torno dal lavoro.”

Lily annuì. James, sentendo di aver detto tutto quello che aveva da dire, girò i tacchi e si incamminò in direzione di Grimmauld Place, che si trovava a pochi isolati di distanza da King's Cross, ad Islington. Lily rimase per qualche minuto in piedi, ferma in mezzo al marciapiede come un'idiota, o un bambino smarrito, o un cane abbandonato. In quel momento si sentiva un po' tutti e tre.

La riscosse dalla sua trance una fitta particolarmente dolorosa alla bocca dello stomaco, seguita da un rumoroso gorgoglio.

Quella mattina, presa com'era dall'imminente partenza di Harry, si era scordata perfino di buttare giù qualcosa per colazione. Fortunatamente per lei, si trovava nel centro pulsante di una metropoli e non in mezzo ai campi dell'Hampshire, a miglia di distanza dal punto di ristoro più vicino. Proprio in un vicolo laterale di Pentonville Road si trovava un piccolo locale, aperto al pubblico generale ma gestito da maghi, 'The Greedy Pig'. Appena entrati si veniva accolti da un cafè londinese piuttosto generico, dall'arredamento minimalista e la vetrina espositiva piena fino all'orlo di goduriosi dolcetti da accompagnare al caffè – o al tè, se vi si capitava di pomeriggio - ma il retro del negozio era riservato soltanto a maghi e streghe, arredato con un gusto più eclettico e consono alla clientela che lo frequentava. Bastava sussurrare la segretissima parola d'ordine, che adesso non rivelerò per ovvie ragioni, al cassiere di turno e quello ti apriva le porte alla parte magica dell'attività.

A Lily sembrò una valida opzione.

La donna cominciò a risalire Pentonville Road, per poi svoltare a sinistra e infilarsi in un vicolo stretto e piuttosto buio rispetto alla strada principale. Un insegna con sopra inciso un grasso maiale umanoide seduto davanti ad un piatto di bacon e munito di coltello e forchetta penzolava appesa ad una sbarra di metallo, sopra ad una porta dall'aspetto piuttosto anonimo. Lily spinse la porta aperta ed entrò. L'interno era deserto, fatta eccezione per un paio di ragazze che parlavano sottovoce sedute ad un tavolo davanti a delle tazze di tè e l'uomo in piedi dietro al bancone, che la accolse con un “Buongiorno” svogliato. Lily contraccambiò il saluto ed andò dritta verso di lui, sporgendosi in avanti sopra il bancone e avvicinando la bocca all'orecchio del proprietario.

Quello, udendo la segretissima parola d'ordine, fece cenno alla donna dai capelli rossi che gliel'aveva sussurrata di seguirlo con un gesto della mano. Tirò fuori dalla tasca del grembiule una piccola chiave, che usò per aprire la porta che avrebbe dovuto portare al ripostiglio.

Lily mormorò un “Grazie.” concitato e si affrettò ad entrare, chiudendosi la porta alle spalle.

Le si parò davanti una stanza angusta quanto quella che l'aveva accolta, ma dall'aspetto completamente diverso.

Se il cafè principale sembrava uscito da un catalogo dell'Ikea, tanto era uniforme e anonimo lo stile di arredamento, il locale nascosto agli occhi del pubblico era un'accozzaglia di stili. Le sedie intorno ai tavolini erano tutte diverse; basse, alte, imbottite, di legno, di metallo. L'aspetto della stanza era vecchio, con i muri macchiati da chiazze di umido, ma era piuttosto facile dimenticarsene. Infatti, appesi alle pareti, c'erano diversi quadri magici, con i loro abitanti bidimensionali che si agitavano sulle tele. Il risultato finale era più organico e stranamente accogliente rispetto alla parte del locale riservata ai non-magici.

“Buongiorno! Cosa le porto?”

Una signora di mezz'età, la moglie dell'uomo al bancone, si rivolse a Lily in tono gentile, andandole incontro.

“Un caffè, grazie.”

La signora annuì, sorridendole, e fece per dirigersi verso l'angolo cucina del locale.

“E, se ce l'avete, anche uno di quei muffin al limone e semi di papavero.”

“Certo. Sarò da lei in un attimo.”

La signora indicò in direzione dei tavoli, invitando silenziosamente Lily a mettersi comoda in attesa della colazione.

Il retro del cafè era ancora più silenzioso rispetto alla parte che dava sulla strada ed, essendo Lily l'unica cliente in quel momento, gli unici rumori che interrompevano la quiete erano quelli provenienti dalla macchina per il caffè.

La donna si sedette su uno sgabello con un cuscino ricamato, di quelli che si possono trovare accatastati su divani di zie e nonne – e guai a spostarli! -, sistemato sopra per renderlo più comodo.

Una copia della Gazzetta del Profeta giaceva stropicciata sul piano del tavolo, Cornelius Caramell che muoveva freneticamente le braccia intento a spiegare qualche nuova riforma, stampato in prima pagina.

“Ecco qua.”

Lily alzò lo sguardo verso la signora che era venuta a portarle il muffin e il caffè che aveva ordinato. La donna dai capelli rossi le rivolse un sorriso, mormorò un ringraziamento e afferrò la tazza fumante e il dolcetto dalle mani della cameriera, che se ne tornò alla sua postazione nell'angolo cucina. Dopo essersi risistemata nella sua poltroncina, prese in mano il romanzo che aveva lasciato aperto sul bancone, si infilò gli occhiali e cominciò a leggere da dove era rimasta prima che venisse interrotta dall'arrivo della cliente.

Lily tirò via la carta sottile che ricopriva la parte inferiore del muffin e ne addentò un pezzo, l'acidulo del limone che formava un piacevole contrasto con il dolce zuccherino dell'impasto. Aprì la prima pagina di giornale e prese a sfogliarlo senza troppo entusiasmo, limitandosi a leggere i titoli.

Solo uno catturò la sua attenzione, a tal punto da farle smettere di masticare il pezzo di dolce che aveva in bocca, la mano che reggeva il muffin ferma a mezz'aria.

 

 

 

 

GLASGOW: NUOVO ATTACCO E MINACCE DA PARTE DEL GRUPPO DEI 'MANGIAMORTE'

 

Glasgow, 1 settembre 1991 Dopo aver mantenuto un profilo basso durante gli ultimi anni, con avvistamenti pressochè inesistenti, l'organizzazione criminale conosciuta come 'Mangiamorte' e guidata da Lord Voldemort, al secolo Tom Riddle, nella notte fra il 31 agosto e il 1 settembre ha sferrato un attacco ai danni della sede del Ministero della Magia di Glasgow. Si stima che siano entrati nell'edificio in un lasso di tempo che va dall'una di notte, quando gli ultimi impiegati rimasti se ne sono tornati a casa, e le sei di mattina, orario di apertura del Ministero. Per essere in grado di entrare senza ripercussioni, hanno abilmente disattivato tutti gli incantesimi di protezione volti ad impedire agli intrusi di infiltrarsi. Non ci sono stati feriti, poiché l'edificio era deserto, ma ci viene riportato che diversi documenti, all'apparenza non collegati fra loro, sono stati prelevati.

Ma questa è solo la parte più leggera dell'attacco.

I primi impiegati ad entrare di turno stamattina sono stati accolti da una spiacevole sorpresa: sparsi per le stanze dell'edificio sono infatti stati ritrovati resti umani, fra cui una testa mozzata appoggiata sopra a una scrivania che, secondo le prime indiscrezioni, apparterrebbero ad un senzatetto babbano di nome George Rockbell.

I 'Mangiamorte' sono tristemente noti per le loro politiche anti-babbane e questa non si tratta della prima volta che si sono macchiati del reato di omicidio.

Accanto alla testa decapitata è stato ritrovato un biglietto, scritto con la stessa calligrafia dei precedenti biglietti attribuiti ai 'Mangiamorte'. Di seguito ne riportiamo il contenuto:

 

“Era da tempo che non mi facevo sentire, mh? Immagino che questi ultimi anni siano stati insopportabilmente noiosi senza la mia presenza a movimentare un po' le cose.

Ma bando alle ciance!

Come avrete sicuramente già notato a questo punto, un povero babbano senza casa ha trovato rifugio durante la notte all'interno del vostro prezioso ministero. Tutto il giorno a girovagare senza meta per la città, era a pezzi, poverino! Sfortunatamente per voi, il ragazzo è stato distratto ed ha lasciato la porta d'ingresso aperta. Guarda caso, proprio in quel momento due miei amici sono passati di lì. Sapendo che un loro caro amico (che poi sarei io) aveva bisogno di certe cose che si trovavano lì dentro, ne hanno approfittato. Si tratta solo di qualche scartoffia di poco valore, non vi preoccupate.

Piuttosto, dovrebbero essere i vostri colleghi giù a Londra a preoccuparsi. In questi anni sono stato silenzioso, ma non fermo. Ho ascoltato voci, ho fatto ricerche, ho raccolto informazioni, e sono giunto alla conclusione che ciò che cerco ormai incessantemente da più di 10 anni, si trova nella sede del Ministero della Magia di Londra. Caramell farà meglio a prepararsi perché, quando arriverà il momento di prendermi ciò che mi spetta, non guarderò in faccia a nessuno.

 

L. V.”

 

Questo è tutto. Vi aggiorneremo se seguiranno ulteriori sviluppi.

 

Cormac Maclachlan, inviato della Gazzetta del Profeta, di sede in Scozia.

 

   
 
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