Capitolo
X
Amici e nemici
Tempo rimanente alla fine dello Sfogo
Annuale: 9 ore e 55
minuti
Marianne
tentò in tutti i modi di
calmare Thia. Inginocchiata davanti a lei, le prese il volto fra le
mani e la
costrinse a guardarla, per poi sussurrarle implorante: «Thia,
Thia calmati, ti
prego!»
Nulla fu più efficace degli occhi
smeraldo della donna per calmare la ragazza, che decise di obbedire
solo per
fare un favore a quella donna a cui doveva praticamente la vita.
François non fu altrettanto accomodante.
Per calmare Dominick gli sferrò un sonoro ceffone.
«Contieniti ragazzo!» ordinò
bruscamente, con la stessa autorità di un generale
dell’esercito.
«AHIA!» protestò
Dominick con la guancia
in fiamme, riuscendo finalmente a smettere di urlare, senza
però non riuscire a
non pensare a come si sarebbe fatto chiedere scusa dall’uomo
per averlo colpito
in quel modo.
Ma non appena la calma tornò, i ragazzi
si ricordarono del motivo per cui avevano cominciato ad urlare. Gli
occhi di
Thia e Dominick si inchiodarono gli uni sugli altri. Da entrambe le
attonite
coppie di iridi fuoriusciva sbigottimento
a fiumi. Entrambi rimasero immobili, col respiro pesante,
a studiarsi a
vicenda, troppo affannati per poter perfino cogliere qualunque
dettaglio dei
loro volti, fuorché gli occhi apparentemente spaventati, che
però potevano
nascondere una minaccia.
Lo stesso fecero François e Marianne,
con l’unica differenza che i due erano armati. Con un gesto
scattante delle
braccia, si puntarono contro le rispettive armi, quasi
all’unisono. Dominick e
Thia, fino a quel momento rimasti seduti a terra, si rimisero in piedi
e si
nascosero dietro i rispettivi compagni, sperando che fossero loro a
risolvere
la situazione.
Thia si fidava ciecamente di Marianne,
sapeva che era una donna forte, con un grande carisma, che sarebbe
sicuramente
riuscita a farsi valere e l’avrebbe salvata, poco ma sicuro.
Lo Sfogo aveva
portato via fin troppe cose da loro due, non erano intenzionate a
perderne
ancora per colpa di un omaccione con un ridicolo paio di baffi e di un
ragazzino come tanti.
Dominick, dal canto suo, pensava più o
meno le stesse cose su François. Aveva visto di
cos’era capace in quell’asta
maledetta, avrebbe fatto il culo a quelle due pazzoidi che giravano di
notte
durante lo Sfogo, poco ma sicuro.
Prima di fare qualsiasi cosa, però,
François esitò. Non lo fece perché
quelle di fronte a lui erano delle donne,
durante lo Sfogo perfino un bambino potrebbe ucciderti. No, lo fece
semplicemente perché quella che impugnava la pistola ancora
non gli aveva
sparato. Poteva voler dire un milione di cose, quel gesto. Magari era
solo per
farli abbassare la guardia, magari l’arma era scarica. Non
poteva saperlo.
Sapeva però che, nella maggior parte dei casi, quelli che
non ti sparano a
sangue freddo durante lo Sfogo, lo fanno perché non vogliono
purificarsi.
Assottigliò lo sguardo per esaminare meglio le due. Una cosa
che subito saltò
ai suoi occhi era la bellezza di entrambe. Della donna che impugnava la
pistola
soprattutto, malgrado i suoi lunghi capelli la coprissero su buona
parte del
volto. Ma ciò comunque non faceva che renderla
più misteriosa, più attraente.
Poi notò le loro ferite, i loro graffi e il sangue secco che
copriva parte dei visi
di entrambe. Gli ricordarono immediatamente il ragazzo che aveva
accanto a lui.
Anche Dominick era ferito, graffiato, con un taglio sulla fronte ancora
ricoperto da sangue rinsecchito. A quel punto capì senza
troppe difficoltà che
quelle due non si trovavano per strada durante lo Sfogo per ammazzare
qualcuno,
quanto più perché costrette. Magari non avevano
una casa, o ne erano rimaste
chiuse fuori. Magari loro due, proprio come Dom aveva fatto con lui, si
erano
incrociate per caso e avevano deciso di stringere i denti insieme.
Abbassò il fucile, sorridendo
impercettibilmente,
colpito da quelle due e dalla loro resistenza. Dominick lo vide
compiere quel
gesto e partì alla carica. «Che cavolo stai
facendo, non...»
«Sono innocue, Dom. Calmati»
rassicurò
l’uomo, prima che il ragazzo cominciasse a parlare a vanvera.
«Cosa?» domandò il
ragazzo sbigottito, chiedendosi
per quale razza di
motivo François
potesse considerare innocuo qualcuno che puntava loro una pistola, ma
l’uomo lo
ignorò e si sporse verso le due. «Che ci fate qua
fuori?» domandò loro.
Marianne e Thia si lanciarono due
occhiate perplesse, sorprese entrambe dal comportamento
dell’uomo e dal suo
scambio di battute col ragazzo. Dopodiché, Mary decise di
abbassare la pistola
e di fare da portavoce per le due, il tutto, però, con una
certa titubanza: «Siamo...siamo
state rapite. Volevano...» si interruppe prima di entrare nei
particolari,
rabbrividendo. Inspirò e proseguì: «Ma
siamo riuscite a scappare...»
«Non volete purificarvi,
dunque?» indagò
ulteriormente l’uomo.
Entrambe scossero la testa. Marianne si
mise in piedi e aiutò la ragazza a fare lo stesso.
«Cerchiamo solo di
sopravvivere» concluse senza guardarli.
«Voi?» domandò Thia,
intuendo, come la
donna, che quei due non avrebbero fatto loro alcun male. In fondo, il
ragazzo
accanto all’uomo sembrava avere la sua stessa età,
nonché le medesime
condizioni e il medesimo aspetto sconvolto, ferito e spossato. E poi
quell’omaccione avrebbe potuto sparare loro con molta
facilità già da un pezzo.
Dal momento stesso in cui lui aveva puntato loro il mitra avrebbe
potuto
sancire la loro vita o morte, ma non l’aveva fatto. Anzi,
aveva detto al suo
compare, che invece sembrava molto più paranoico –
ma forse era per via della
paura – che loro due erano innocue. Thia fu sollevata di
incontrare, dopo di
Kevin, altre persone con un po’ di sanità mentale.
Anche se il ragazzo non le
sembrava proprio a posto. Si era messo all’improvviso a
fissare il vuoto di
fronte a sé, con sguardo vitreo.
«Io sto aiutando questo qui a non tirare
le cuoia» rispose François accennando a Dominick,
che sentendosi chiamato in
causa ritornò con i piedi per terra.
«Ehm...sì...ehm...»
brontolò il ragazzo,
non sapendo nemmeno con esattezza su cosa avesse appena concordato.
«Che...che significa?»
domandò Marianne
confusa.
François scosse la testa.
«Lascia
perdere. Facciamo così, noi proseguiamo per la nostra
strada, voi per la vostra
e chi si è visto si è visto, va bene?»
Non attese nemmeno la risposta di una
delle due. Afferrò Dominick per una spalla e lo
trascinò via. «Buona fortuna»
aggiunse, prima di avviarsi per proseguire il suo tour dei vicoli.
Thia e Marianne rimasero a fissarli
stranite. L’attenzione di Thia fu catturata dal ragazzo, che
si lasciava
trascinare quasi senza accorgersene dall’uomo. Avanzava per
inerzia e sembrava
insofferente verso il mondo intorno a lui. Era estraniato dentro una
sua bolla.
Una bolla che scoppiava ogni volta che qualcuno si rivolgeva a lui e
che
riappariva alla prima occasione. La ragazza inarcò un
sopracciglio. Che ci
faceva quel fuori di testa insieme a quel francese armato e
tutt’altro che
rassicurante?
Marianne invece stava meditando su
tutt’altra cosa. Lei e Thia erano imprigionate lì
fuori. Quell’uomo stava
proteggendo quel ragazzo e non voleva fare loro del male. Lei e Thia
non
avevano nessun posto sicuro dove andare. L’uomo se ne stava
andando. Lei, per
quanto avrebbe voluto, temeva che non sarebbe riuscita a fare lo stesso
con
Thia. A quel punto,
capì cosa, forse,
era meglio fare.
Aprì bocca per chiamarlo, ma il suono di
un veicolo che si arresta bruscamente sferzò
l’aria all’improvviso. Lo stridore
di freni, seppur lontano, giunse alle orecchie di tutti e quattro.
L’uomo si
arrestò di colpo, mentre il ragazzo vacillò per
un momento, ancora isolato
nella sua bolla. Si sentirono voi riecheggiare tra le mura fetide di
quell’ambiente, risate, schiamazzi, rumore di passi, di
corsa, più che altro.
Marianne e Thia persero ogni traccia di colore dai propri volti, mentre
avvertivano quelle presenze farsi sempre più vicine, cattive
e minacciose.
Sicuramente era qualche gruppo di uomini a caccia di vittime.
«Dominick!» urlò
François al suo
compagno, per farlo ridestare dal suo stato di trance, dovuto
all’orripilante
scoperta che aveva fatto poco prima e che probabilmente lo avrebbe
tormentato a
vita. Anche l’uomo aveva sentito quello stridore e aveva
realizzato che era
meglio andarsene da lì e al più presto.
Il ragazzo sussultò, sbatté
più volte le
palpebre, poi lo guardò con aria intontita.
«Sì?»
«Dobbiamo correre, ora!»
ordinò l’uomo.
Solo a quel punto il ragazzo sentì a sua
volta i preoccupanti rumore che avevano mandato in ansia il suo
compagno
d’avventure. Sbiancando a sua volta, annuì ed
entrambi partirono per la
direzione opposta alla quale provenivano i rumori.
«Andiamo Thia!» fece eco
Marianne prendendo
la ragazza per mano e iniziando a correre a seguito dei due. Thia
capì il
motivo di quella scelta. E non poteva trovarsi più
d’accordo.
François si accorse delle due donne a
suo seguito e vide con quella con i capelli neri, che lo aveva
affiancato nel
giro di pochi secondi. Era molto più atletica di quanto non
desse a vedere.
Perfino la ragazzina se la cavava, restando al passo con Dominick, il
quale
però si stava trattenendo parecchio per poter seguire
l’uomo. Con
il fiato pesante per via dello scatto
improvviso, arrischiò una conversazione con lei:
«Che stai facendo? Perché ci
seguite?»
Qualcuno dal fondo del vicolo urlò. Li
avevano trovati. Il gruppo allora girò immediatamente
l’angolo per cercare di
far perdere le proprie tracce. Avvertirono degli spari lontani,
fischiare
dietro di loro mentre, però, si trovavano già al
sicuro. Ciò non impedì a Thia
di lasciarsi scappare un grido di spavento e un imprecazione piuttosto
colorita
di Dominick.
«Pensavo che...»
iniziò a spiegare
Marianne, ansimando lievemente a sua volta. «...tu saresti
stato più bravo di
me a scappare da quei tizi...»
François roteò gli occhi.
«Oh,
grandioso! Adesso devo fare da babysitter a ben tre persone!»
sbottò adirato,
anche se, in fondo, non poteva pienamente biasimare la scelta di loro
due.
L’unione fa la forza, si dice. E nella notte dello Sfogo, la
forza era ciò che
più faceva comodo, per arrivare al mattino successivo.
«Ehi, se vuoi io e Thia ce ne andiamo,
ma lo faremo solo quando saremo lontani da quei pazzi che ci
inseguono!» ribatté
la donna nel frattempo, senza tracce di sarcasmo o altro nella voce.
«La tua amica si chiama Thia? E il tuo
nome qual è?» indagò
François mentre giravano l’ennesimo angolo. Se
proprio
doveva averla tra i piedi, almeno voleva sapere come si chiamava. E poi parlare in quel modo
tranquillo gli
faceva quasi dimenticare che stava scappando da qualche pazzo
tagliagole. Non
aveva paura, sia chiaro, però era meglio evitare gli
scontri, per quanto
possibile. Doveva risparmiare energie per le aste alle quali avrebbe
partecipato non appena fosse riuscito a scaricare Dominick.
«Marianne» rispose intanto la
donna. «Il
tuo?»
«François.»
«Beh, François, lieta di fare
la tua
conoscenza in questa situazione di merda...»
brontolò Marianne, con fiato
sempre più pesante.
François riuscì a
ridacchiare, quasi non
sembrava che stesse venendo inseguito da qualche pazzo maniaco.
«Piacere mio...»
Dietro di loro, Dominick e Thia non
sembrarono aver trovato la stessa scioltezza, perché
correvano uno di fianco
all’altra nel silenzio più totale. Uno ancora
troppo inebetito dagli ultimi
eventi, l’altra troppo spaventata dagli inseguitori per
riuscire a trovare la
forza di parlare con qualcuno.
I quattro proseguirono la loro rincorsa
alla salvezza lungo quei vicoli angusti. François guidava il
gruppo, dando più
fondo al suo istinto che alla sua scarsa conoscenza della planimetria
dei
vicoli della città. La sua unica speranza era quella di non
finire in un vicolo
cieco o trovarsi con le spalle al muro. Ma qualcosa gli suggeriva che,
con due
rompiscatole in più, le cose si sarebbero complicate,
anziché semplificarsi. E Dominick
non sembrava essersi ancora ripreso dall’incontro con Lucas.
A quel punto, sperò
anche che Marianne fosse una donna in gamba e che non si rivelasse un
peso. Anche
se, per il momento, non aveva ancora dato l’impressione di
essere un’incapace.
Tutt’altro. Se avesse continuato di quel passo, sarebbero
andati d’amore e d’accordo,
perlomeno fino a quando François non avesse trovato il modo
per scaricarli e
proseguire la sua opera di pulizia delle aste.
Girarono l’ennesimo vicolo e si trovarono
di fronte ad una rete. François si bloccò, poi
guardò prima Thia, poi Marianne,
chiedendo loro mentalmente se sarebbero riuscite a scavalcarla. Quasi
immediatamente, senza dire nulla, le due si arrampicarono sulla rete
con
rapidità. François annuì compiaciuto e
iniziò a salire a sua volta.
Dominick fece per imitarli. Piantò il
piede in un buco e afferrò i bordi di altri con le mani, per
poi bloccarsi a
mezz’aria. I pensieri che fino al momento della corsa erano
stati alla larga da
lui lo schiacciarono all’improvviso. Perché
scappare? Perché combattere ancora?
L’ultima persona di cui si fidava lo aveva fottuto nella
maniera più atroce
possibile. Certo, aveva detto che tra loro era finita, ma non riusciva
a
credere con che velocità Hester si fosse buttata tra le
braccia di Lucas.
Credeva, sperava, di riuscire a
rivederla entro la fine dello Sfogo, di riuscire a farsi perdonare. Di
ritornare
insieme a lei. Invece non c’era più. Non
c’era più lei, non c’erano
più i suoi
genitori, non c’era più nessuno. Suo zio, forse,
ma quell’uomo era l’unico che
Dom avrebbe preferito sparisse. Che diavolo di senso aveva continuare?
Tanto
non sarebbe nemmeno mai riuscito a vendicare i genitori, codardo e
pappamolle
com’era. Tanto valeva restare lì, farsi catturare,
uccidere, qualunque cosa, e
smettere di infastidire il povero François, che aveva di
meglio da fare che
badare a lui. Sospirò e abbassò il piede. Rimase
in piedi, immobile, a fissare
gli altri tre aggirare la rete e cadere dall’altra parte.
Una volta superato l’ostacolo,
François
fece per ricominciare a correre, ma Marianne lo trattenne afferrandolo
per un
braccio. «Aspetta!»
«Cosa?» brontolò
l’uomo voltandosi verso
di lei, per poi vederla mentre accennava alla rete con il mento.
«Il tuo amico
non viene?»
François vide Dominick ancora fermo e si
accigliò. «Ragazzo, che diamine stai facendo?!
Sbrigati!»
Dominick scosse appena la testa. «E che
senso ha?» borbottò quasi impercettibilmente.
«Ormai posso anche morire...non
so nemmeno perché sono arrivato fin qui con voi...non ho
più alcun motivo per
continuare a resistere...»
François non credette alle proprie
orecchie. Poteva benissimo immaginare che Dom fosse giù di
morale, ma fino a
quel punto? Mai più. «Non dire idiozie, Dom! Non
ho rischiato il culo per
salvarti solo per poi vederti morire così! Scavalca la rete
e sbrigati!» cercò
di farlo ragionare.
Dominick rimase immobile. Non sembrava
quasi averlo sentito. Aveva lo sguardo basso e sembrava non volesse
alzarlo. «Andate
avanti senza di me. Sarei solo un peso.»
«Dom...» provò a
dire François un’altra
volta, per poi interrompersi. Non era un mago nei discorsi di
incoraggiamento. Sapeva
che Dom ne aveva bisogno, ma l’uomo non trovava nessuna
parola utile alla
situazione.
Marianne fissò il ragazzo perplessa,
domandandosi cosa potesse essergli successo che lo avesse spinto al
punto da
volere la morte. Magari lo Sfogo gli aveva portato qualche caro...una
sensazione che Mary conosceva fin troppo bene. Anche lei non credeva
che
sarebbe riuscita ad andare avanti dopo l’omicidio del marito.
Poi, però, aveva
incontrato Thia. A quel pensiero, sgranò gli occhi e vide la
ragazzina alla sua
destra. Aveva la stessa espressione furente, seria e decisa che
l’aveva
caratterizzata due anni prima, quando si erano incontrate. E, questa
volta, la
stava puntando esattamente verso di Dominick.
Thia odiava, odiava,
quelli che si comportavano come Dominick. Quelli che
dicevano di volerla far finita solo perché postumi da dei
traumi. Quelli che
credevano che la vita potesse essere buttata via solo perché
si trovavano in un
brutto momento di essa. Come se dopo quel brutto momento non potessero
arrivarne altri di migliori.
«Ma che diavolo stai dicendo?!»
inveì. Malgrado
fosse la prima volta che si rivolgeva al ragazzo, fu decisamente poco
garbata. «Scavalca
la rete, razza di ebete!»
Dominick sgranò gli occhi e
alzò la
testa, per poi fissare con sguardo raggelante Thia. «Come,
prego?»
Thia strinse i pugni e si sporse verso
di lui. «Hai sentito, non fare il piagnone e scavalca questa
dannata rete!»
«Credi di potermi dare ordini?»
domandò
minaccioso il ragazzo, avvicinandosi a lei a sua volta.
«Non voglio darti
nessun’ordine, voglio
solo farti capire che la tua decisione è la più
colossale cazzata che tu
probabilmente abbia pensato!» ribatté Thia
avvicinandosi ulteriormente. Ora erano
faccia a faccia, a pochi centimetri di distanza, separati solo dalla
rete.
«E tu che ne sai?»
indagò ulteriormente
lui, infastidito.
«Ne so abbastanza per poterti dire che la
vita è un dono e che non va sprecata solo perché
sei triste!» proseguì lei
decisa. «Ho capito cosa ti sta succedendo, sai? Ho capito
perché vuoi farla finita!»
Dominick fece una smorfia. «Ma per
piacere, tu non puoi capire...»
«Oh, sì che posso!»
esclamò lei alzando
la voce, facendo temere a Mary e François che i loro
cercatori potessero
sentirli. «Posso eccome! Non ho idea di cosa ti sia successo
con esattezza,
vero, ma non pensare anche solo per un momento che io non abbia mai
sofferto in
vita mia! Non pensare che il dolore per la perdita di un mio caro non
sia quasi
stato tale da spezzarmi in due, come sta succedendo a te. Non. Osare.
Pensarlo.»
Sferzò l’aria con un braccio e i suoi occhi si
inumidirono. «Io ho perso tutto.
TUTTO! Eppure guarda, sono ancora qui, e combatto per poter salvare il
poco
niente che mi è rimasto! Sto cercando di andare avanti, di
lasciarmi il passato
alle spalle!» Lei non aveva più la sua famiglia.
Nessuno. Suo fratello, l’ultimo
rimasto, era morto di fronte a lei due anni prima. Credeva che non
sarebbe
riuscita ad andare avanti. Ma poi aveva reagito, aveva lottato. E aveva
incontrato Mary. E la sua vita aveva di nuovo preso una piega felice.
Nel frattempo l’espressione di Dominick
non
mutò affatto, mentre la ragazza lo travolgeva con le sue
parole: «Io VOGLIO
vivere! Anche se ho perso le persone più care che avevo,
sono andata avanti! E
ne ho trovate altre, per cui valeva la pena vivere! Solo
perché sei un po’ giù
di morale, non significa che tu debba farti ammazzare! E adesso
scavalca questa
maledetta rete!»
Finalmente, qualcosa sembrò smuoversi
dentro al ragazzo, perché distolse lo sguardo da lei e
assunse l’aria di uno
che stava rimuginando su qualcosa.
«Ti muovi?!» lo
incalzò ulteriormente
Thia, stanca del comportamento idiota di Dominick. «Se non
scavalchi la rete
giuro che ti trascino da questa parte per le orecchie!»
Dominick digrignò i denti.
«SÌ, SÌ, ho
capito!» Afferrò la rete con un gesto rabbioso,
puntò i piedi e nel giro di poco
tempo riuscì a raggirarla.
François e Marianne fissarono sbigottiti
il ragazzo compiere quel gesto, sorpresi da come Thia fosse riuscita a
persuaderlo. C’era voluto un po’ di tempo, e
maniere un po’ grezze, ma alla
fine era riuscita a
far ragionare il
ragazzo. François fu colpito dalla ragazzina. Aveva molta
più grinta di quanto
quel suo visino gracile desse a vedere.
Dominick nel frattempo saltò
giù dalla
rete, guardando Thia. «Razza di rompipalle che non sei altro!
Ti conosco da
cinque minuti...» Atterrò accanto a lei con un
pesante tonfo. Si mise in piedi
e spolverò la giacca, poi concluse la frase avvicinando di
nuovo il volto a
quello della ragazza e rivolgendole un’altra occhiataccia.
«...e già mi hai scartavetrato
i coglioni!»
Thia assottigliò le labbra e
ricambiò lo
sguardo di sfida del ragazzo, per nulla intimidita. «E tu
sei...»
«Thia, basta» la interruppe
Marianne
trascinandola via da Dominick.
«Anche tu Dom, falla finita»
brontolò
François afferrando il ragazzo per la giacca.
I due ragazzi non si ribellarono, ma si
rivolsero un’altra occhiata furente. E, non appena
realizzarono che quello era
l’inizio della loro collaborazione, ad entrambi venne la
nausea. Evitando molto
attentamente di non guardarsi più tra loro, ripresero a
correre a seguito di
Mary e François, sperando di non incrociare altri problemi
lungo il tragitto.
***
Tempo rimanente alla fine dello Sfogo
Annuale: 9 ore e 21
minuti
Consegnare quell’uomo alla fine non era stato poi così traumatico, per Kevin. Dopotutto, Troy gli aveva semplicemente sparato in testa, poco soddisfatto. L’uomo voleva una vittima degna di un uccisione di classe, quel tizio mezzo morto che Kevin gli aveva portato non entrava nei giusti parametri. Un’altra conferma per Kevin di quanto Troy fosse fuori di testa.
Sospirò esausto, abbandonando la testa contro la parete dietro di lui, sempre su quel pulmino scolastico. Navigò fra le tasche e trovò il suo pacchetto di sigarette. Lo estrasse e lo aprì, per poi prenderne una. Solo quando se la mise in bocca, però, ricordò che aveva ceduto il suo stupendo clipper pagato un dollaro a quella donna, Marianne. O Mary. Un pensiero che lo faceva sorridere e storcere il naso contemporaneamente. Sorridere perché per lo meno aveva salvato quella donna e la sua amica, storcere il naso perché, per l’appunto, non aveva più modo per accendere la sigaretta che stringeva tra le labbra. Sospirò di nuovo e si guardò intorno, per poi vedere ciò che faceva al caso suo, un uomo che gettava un mozzicone fuori dal finestrino. Sicuramente era un fumatore e, perciò, doveva avere un accendino.
Si alzò dal suo posto e si avvicinò a lui. Era un po’ titubante all’idea di rivolgersi ad uno di quei brutti ceffi, però si ricordò che nessuno di loro praticamente lo considerava. Inoltre era sotto l’ala protettrice di Troy, senza considerare il fatto che, quando aveva portato quell’uomo semisvenuto da loro, aveva inventato la balla di averlo steso con un pugno e ciò spiegava il suo stato. Stranamente gli avevano creduto, perciò era anche passato per un duro, ai loro occhi. Pertanto non doveva preoccuparsi troppo di come lo avrebbero trattato. Quel tizio gli avrebbe prestato l’accendino senza neanche guardarlo. Si avvicinò e richiamò la sua attenzione toccandolo appena su una spalla. L’uomo, stravaccato per terra e con lo sguardo assente, grugnì e spostò gli occhi su di lui.
Kevin
si inginocchiò accanto a
lui, mimando il gesto dell’accendono davanti alla sua
sigaretta ancora premuta
fra i denti. «Non è che hai l’accendino?»
L’uomo lo soppesò con lo
sguardo per un
attimo, poi sogghignò mostrando due stupende file di denti
marci. Gli strappò
la sigaretta di bocca e la pinzò con i suoi incisivi gialli,
dopodiché tirò
fuori il leggendario oggetto e si accese la sigaretta di Kevin davanti
ai suoi
stessi occhi. Il ragazzino lo guardò sbigottito, ma non
disse nulla. Non appena
l’uomo finì di accendersi la sua "nuova"
sigaretta, passò l’accendino
a Kevin con un sorriso sbilenco. Kevin lo prese, sentendosi preso per i
fondelli, a dir poco. Ma decise di non protestare. Era solo una
sigaretta,
aveva ancora il pacchetto mezzo pieno. Lo tirò nuovamente
fuori e lo aprì, per
prendersene un’altra. Non lo avesse mai fatto. Aprendo quel
pacchetto lì in
mezzo ottenne la stessa reazione che avrebbe ottenuto se fosse stato un
toast gigante
circondato da piccioni affamati. Nel giro di tre secondi si
ritrovò addosso uno
stormo di uomini che gli fregarono una sigaretta dietro
l’altra. Kevin venne
travolto dall’orda e non riuscì a capire nulla.
Non appena la sua vista tornò
nitida, riuscì a vedere tutti gli uomini guardarlo
divertiti, chi sogghignando
chi ridendo, ognuno con una sigaretta stretta tra i denti. Ancora
intontito,
Kevin abbassò lo sguardo e vide il suo pacchetto trasformato
da mezzo pieno a
mezzo vuoto. Normalmente avrebbe dato i numeri. Odiava anche solo
offrire le
sigarette ai suoi compagni di classe, figurarsi vedersi svuotare il
pacchetto
da sotto il naso. Ma ovviamente l’idea di trovare qualcosa da
ridire non gli
sfiorò neanche la mente. Prese un’altra sigaretta
e se la mise fra le labbra,
l’accese più in fretta che poté,
restituì l’accendino e si affrettò a
togliersi
dai piedi, prima che accadessero altre cose spiacevoli.
Non appena tornò al suo posto
cercò d
rilassarsi, coccolato dal fumo che gli entrava nei polmoni e lo
inebriava.
Sapeva che faceva male, ma non poteva farci nulla. Se proprio fumare lo
avrebbe
ucciso, allora sarebbe morto facendo ciò che amava. E poi ad
ogni tiro di
sigaretta gli sembrava che il peso del mondo gli si togliesse dalle
spalle. Se
c’era qualcosa che riusciva a placare tutto lo stress a cui
veniva
quotidianamente sottoposto, erano proprio le sigarette.
Paradossalmente, quella
volta il fumo gli fece tutt’altro che male. Se non avesse
avuto quella
sigaretta, probabilmente sarebbe rimasto a logorarsi dai dubbi e dalla
preoccupazione ancora a lungo. Fu piacevole riuscire a staccare il
cervello per
cinque minuti, fino a quando non gettò via la sigaretta
ormai ridotta ad un
mozzicone. Era quasi tentato dal fumarsene un’altra
– dopotutto, in mezzo a loro
non sarebbe nemmeno suonato strano fumarsi due sigarette di fila. O
tre. O
quattro... – ma accantonò l’idea. Aveva
di meglio a cui pensare. Quella pausa
era stata gradita, ma non doveva dimenticarsi che se voleva arrivare
vivo al
mattino successivo, doveva andarsene da quel gruppo di pazzi. Certo,
insieme a
loro era al sicuro, ma non poteva fidarsi. Troy era pazzo,
completamente. E
quei tipi erano imprevedibili. E la notte era ancora lunga. Avrebbero
potuto
cambiare idea su di lui in qualsiasi momento e magari ucciderlo senza
motivo.
Un pensiero che lo faceva rabbrividire.
Dio,
se penso che è tutta colpa di quel bastardo di Nicols...
Kevin sentì montare dentro di
sé la
rabbia. Giurò che se ce l’avesse fatta, il giorno
dopo avrebbe ucciso Nicols.
Letteralmente. Se si trovava lì era tutta colpa del
capriccio di uno stupido
ragazzino viziato. Si piantò le unghie nei palmi lasciando
dei profondi segni
senza neanche accorgersene.
«Ehi» salutò una
voce all’improvviso,
facendo trasalire il ragazzo. Si girò di scatto e vide chi l
aveva salutato. Un
uomo che fino ad allora era sfuggito al suo sguardo. Aveva i capelli
neri e
lunghi in centro, tirati all’insù, corti ai lati.
Un singolare pizzetto da
capra dello stesso colore dei capelli spuntava dal mento e di tanto in
tanto
l’uomo ci giocherellava. Aveva gli occhi marroni come quelli
di Kevin e lo
fissava con uno sguardo del tutto particolare. O meglio, lo era per
quell’ambiente, in cui tutti quanti o non lo guardavano, o lo
guardavano
minacciosi. Quello invece lo fissava come qualsiasi persona con un
briciolo di
cuore guarderebbe un ragazzo come Kevin ridotto in quelle condizioni.
Lo
guardava con compassione, quasi con pena. Una cosa del tutto nuova per
Kevin,
quella notte.
«Sei Kevin, dico bene?»
domandò l’uomo
sedendosi accanto a lui.
Kevin lo fissò sbigottito, trovando la
forza solamente per annuire. L’uomo sorrise e tese una mano.
«Io sono Rick,
piacere di conoscerti.»
Kevin esitò. Non sapeva cosa aspettarsi
da quell’uomo. Poi, però, notò il suo
sorriso rassicurante e, dai suoi occhi,
realizzò che quella forse era l’unica persona che
si avvicinava alla sanità
mentale dentro quell’autobus. E
comunque...cos’aveva da perdere? Ricambiò il
sorriso e strinse la mano. «Piacere mio.»
Separate le mani, Rick cominciò a far
vagare lo sguardo per l’autobus, sui suoi colleghi.
«Allora...non è esattamente
il luogo migliore per passare la sera, eh?»
Fu un tentativo piuttosto fiacco di
smorzare la tensione, ma a Kevin andò più che
bene. Annuì abbozzando un altro
sorriso. «Già...uscire con una ragazza sarebbe
decisamente meglio...»
Rick ridacchiò. «La prendi sul
ridere,
mi piace.»
«Beh, o quello, o mi metto a piangere
come un bambino fino a quando qualcuno non mi apre un buco in
fronte...»
borbottò Kevin tornando serio, rabbrividendo di nuovo dopo
quanto detto, senza
però darlo a vedere.
Il sorriso svanì dal volto di Rick, che
guardò il ragazzo con aria preoccupata.
«Come...» cominciò a dire,
interrompendosi. Studiò Kevin ancora per qualche istante,
poi annuì e si decise
a proseguire. «...come ci sei finito qui?»
«Dovresti chiederlo al tuo
capo...è lui
che ha deciso che dovevo far parte della sua cricca...»
borbottò Kevin stancamente.
Più pensava a come Troy lo aveva ficcato in quel casino per
motivi a lui
ignoti, più si sentiva esausto, nonché
arrabbiato.
Nel frattempo Rick scosse la testa. «Non
intendevo quello...volevo dire, cosa ci facevi in giro per i vicoli
nella notte
dello Sfogo? Ti sei bevuto il cervello?»
Pensare alla risposta di quella nuova
domanda, causava a Kevin ancora più irritazione. Strinse di
nuovo i pugni e si
rabbuiò. «Uno stronzo mi ha incastrato...lui e due
suoi amici mi hanno rapito,
portato in centro città e abbandonato lì a poco
dall’inizio dello Sfogo...»
«Oh.» Fu tutto quello che disse
Rick. Probabilmente
era rimasto senza parole. Certo, non capita tutti i giorni di sentire
una cosa
del genere. Anche se si trovavano durante la notte dello Sfogo, non
dovevano
trascurare il fatto che Kevin era stato rapito prima,
quando ancora una simile azione era legale. Kevin fu
sorpreso dalle reazioni di Rick. Gli sembrava quasi impossibile che
potesse
realmente preoccuparsi per lui e allo stesso tempo girare con quella
banda di
tagliagole.
«Tu invece?» domandò
per cercare di
tenere viva la conversazione, la prima vera e unica distrazione che
Kevin
avesse trovato fino ad allora, fuorché fumare.
«Che ci fai con Troy e i suoi?»
Rick si strinse nelle spalle. «Mi
servono soldi...»
Kevin inarcò un sopracciglio.
«In che
senso? Troy vi paga?»
«No, no...» Rick scosse la
testa, con lo
sguardo perso nel vuoto. Sembrava...triste. «Rapino i
poveracci che incontro. Di
solito non hanno molto, ma ci si accontenta...»
«Cos...perché lo
fai?» indagò
ulteriormente Kevin, che ancora faticava ad inquadrare bene
l’uomo che aveva
davanti.
Rick sospirò. «Ho...molti
debiti da
saldare. Anzi...la mia famiglia ne ha. Mi servono soldi. È
un modo schifoso per
procurarmene, lo so, però...non vedo altra
soluzione.» Sogghignò amaramente,
facendo schioccare la lingua. «Tsk...se solo qualcuno
assumesse i poveracci
come me, allora non sarei qui. Molte delle persone che vedi girare
durante la
notte dello Sfogo non lo farebbero. Ma ai ricchi conviene
così...noialtri
possiamo solo approfittare dello Sfogo per poter mangiare quei due o
tre giorni
in più...»
«Ma quindi...tu non uccidi?»
Rick scosse nuovamente la testa. «No.
Non le vittime come me e te, per lo meno. Ovvio che se cercano di
accopparmi
rispondo al fuoco senza esitazione.»
Kevin annuì, colpito dal discorso e
dalla persona che aveva davanti. Un altro come lui, uno che aborriva lo
Sfogo. Che
però, tuttavia, era costretto a farvi parte per poter
provvedere alla famiglia,
perché, altrimenti, non aveva altro modo per guadagnarsi da
vivere. Sicuramente
ciò che faceva Rick era sbagliato, però non
poteva biasimarlo completamente. O quello,
o elemosinare per strada. O farsi ammazzare durante lo Sfogo
perché
appartenente alla categoria dei poveri.
«Tu hai famiglia?»
Kevin annuì.
«Sì...i miei genitori...»
Sospirò e incassò la testa tra le spalle. Solo in
quel momento si rese conto
che i suoi genitori, probabilmente, stavano rivoltando il mondo da cima
a fondo
pur di trovarlo. Chissà cosa stavano pensando.
«Staranno sicuramente morendo di
preoccupazione...» disse più a sé
stesso che a Rick.
L’uomo annuì, ma Kevin non vi
fece caso.
Era ancora troppo preso dal pensiero dei suoi genitori che rischiavano
la vita
per salvarlo. Quanto avrebbe voluto risentirli, per dirgli anche solo
che stava
bene e che non dovevano preoccuparsi. Non troppo, perlomeno.
Ripensò al fatto
che forse, ma proprio forse, se
Troy
non lo avesse sequestrato sarebbe potuto tornare a casa tempo prima.
Oppure morire
durante il tragitto. Ma a lui piaceva di più la prima
opzione. Si voltò verso
di Rick, con il volto smorto. «Tu...hai idea del
perché Troy mi abbia ficcato
in questo casino?»
«Non credo di saperlo...»
rispose Rick
con un’altra negazione con la testa, per poi accennare col
capo agli uomini
stipati nel resto dell’autobus. «Loro si sono fatti
la stessa domanda, sai?
Alcuni pensano che Troy sia fuori di testa, altri dicono che vuole
tenerti come
ultima vittima della notte, altri...»
«Cosa?!» domandò
Kevin incredulo,
sentendo l’ultima teoria. Sentì le sue gambe
diventare di burro all’improvviso.
«Rilassati...»
rassicurò Rick. «...sono
solo loro teorie...io non le prenderei molto sul serio, dopotutto,
neanche loro
ci stanno molto con la testa. Io penso di essere l’unico con
un minimo di sale
in zucca, qua dentro. E ovviamente ci sei anche tu.»
Malgrado quelle parole, Kevin non riuscì
a rassicurarsi del tutto. Un’altra cosa gli venne in mente e
decise di tentare
di far luce anche su quella. «Alcune volte Troy mi ha
chiamato Travis anziché
Kevin...hai idea di cosa possa voler dire?»
Rick si prese il mento e corrucciò la
fronte. «Mh...Travis...» Meditò un
attimo sulla risposta, poi alzò le spalle. «Ho
già sentito questo nome, sempre dalla bocca di quelli
là...» E indicò con un
altro cenno gli uomini seduti che sghignazzavano tra loro.
«...ma non ho idea
di chi possa essere. So che riguarda Troy, però. Forse
questo Travis era un
altro ragazzo che, come te, Troy ha prelevato durante lo Sfogo, qualche
anno
fa...»
Quella risposta, per quanto potesse
essere utile sotto alcuni punti di vista, non fece altro che far
accapponare la
pelle di Kevin. Per il fatto che, se Troy un tempo aveva avuto a che
fare con
questo Travis, che fine aveva fatto lui? Era morto? Troy voleva
rimpiazzarlo
con Kevin? Sarebbe morto anche lui? Un giorno, prima o poi, Troy
avrebbe
prelevato un altro ragazzo e avrebbe cominciato a chiamarlo Kevin?
Sarebbe
diventato tutto un unico, grande, enorme, fottuto circolo vizioso? O
forse c’era
qualcos’altro sotto? Qualcosa di più grosso, di
più personale?
Non sapeva la risposta a nessuna di
quelle domande. Probabilmente non l’avrebbe mai avuta. Non
sapeva nemmeno se
ringraziare Rick per essere stato così disponibile, o
pentirsi di avergli posto
tutti quei quesiti.
Alla fine non ebbe il tempo per fare
nulla, perché l’autobus si fermò
all’improvviso, facendolo sbilanciare di lato.
Troy apparve dal sedile del passeggero con un’espressione
folle. Spostò quello
sguardo da psicopatico su tutti i presenti, poi annunciò
spalancando le
braccia: «Preparate i fucili, si scende!»
Rick e Kevin si scambiarono un’occhiata
perplessa, poi l’uomo si alzò, dicendo:
«Beh, buona fortuna ragazzo. Spero di
vederti di nuovo sull’autobus alla fine di
quest’altra pazzia.»
Kevin rimase ammutolito. Lo guardò
allontanarsi con sguardo vitreo, poi Troy apparve alla sua visuale e lo
issò in
piedi. «Avanti ragazzo, diamoci da fare!»
Kevin, che da lì a poco avrebbe vomitato
tutto ciò che teneva in corpo, si limitò ad
annuire, preparandosi
psicologicamente per l’ennesima folle scampagnata in mezzo a
quelle strade
piene di psicopatici.
Ok,
dopo secoli e secoli sono riuscito a pubblicare il capitolo 10! Evviva!
Scusate
il ritardo, voi pochi seguite, ma ho davvero tanto altro da
fare...trovare
posto per questa fic sta diventando sempre più difficile...