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Autore: edoardo811    28/05/2015    1 recensioni
[Anarchia: La notte del giudizio]
America 2025
La disoccupazione è ridotta al 3%, la criminalità è quasi inesistente e ogni anno sempre meno persone vivono sotto la soglia di povertà
[...]
"Questo non è un test. E’ attivo il vostro programma di emergenza che annuncia l’inizio dello Sfogo annuale sancito dal nostro governo. Possono essere utilizzate tutte le armi di classe 4 o inferiore, le altre sono proibite. Ai funzionari amministrativi di livello 10 viene concessa l’immunità. Al suono della sirena, ogni crimine, incluso l’omicidio, sarà legale per le successive dodici ore. Tutti i servizi di emergenza saranno sospesi. Il governo vi ringrazia per la vostra partecipazione."
La notte dello Sfogo, un'occasione annuale per potersi liberare di ciò che ci opprime e purificare le nostre anime. Quattro persone si ritroveranno nel posto sbagliato al momento sbagliato, riusciranno a sopravvivere?
Fic ispirata all' omonimo film.
[SOSPESA][MORTA]
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Violenza
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Capitolo

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Amici e nemici

 

 

Tempo rimanente alla fine dello Sfogo Annuale: 9  ore e 55 minuti

Marianne tentò in tutti i modi di calmare Thia. Inginocchiata davanti a lei, le prese il volto fra le mani e la costrinse a guardarla, per poi sussurrarle implorante: «Thia, Thia calmati, ti prego!»

Nulla fu più efficace degli occhi smeraldo della donna per calmare la ragazza, che decise di obbedire solo per fare un favore a quella donna a cui doveva praticamente la vita.

François non fu altrettanto accomodante. Per calmare Dominick gli sferrò un sonoro ceffone. «Contieniti ragazzo!» ordinò bruscamente, con la stessa autorità di un generale dell’esercito.

«AHIA!» protestò Dominick con la guancia in fiamme, riuscendo finalmente a smettere di urlare, senza però non riuscire a non pensare a come si sarebbe fatto chiedere scusa dall’uomo per averlo colpito in quel modo.

Ma non appena la calma tornò, i ragazzi si ricordarono del motivo per cui avevano cominciato ad urlare. Gli occhi di Thia e Dominick si inchiodarono gli uni sugli altri. Da entrambe le attonite coppie di iridi fuoriusciva sbigottimento  a fiumi. Entrambi rimasero immobili, col respiro pesante, a studiarsi a vicenda, troppo affannati per poter perfino cogliere qualunque dettaglio dei loro volti, fuorché gli occhi apparentemente spaventati, che però potevano nascondere una minaccia.

Lo stesso fecero François e Marianne, con l’unica differenza che i due erano armati. Con un gesto scattante delle braccia, si puntarono contro le rispettive armi, quasi all’unisono. Dominick e Thia, fino a quel momento rimasti seduti a terra, si rimisero in piedi e si nascosero dietro i rispettivi compagni, sperando che fossero loro a risolvere la situazione.

Thia si fidava ciecamente di Marianne, sapeva che era una donna forte, con un grande carisma, che sarebbe sicuramente riuscita a farsi valere e l’avrebbe salvata, poco ma sicuro. Lo Sfogo aveva portato via fin troppe cose da loro due, non erano intenzionate a perderne ancora per colpa di un omaccione con un ridicolo paio di baffi e di un ragazzino come tanti.

Dominick, dal canto suo, pensava più o meno le stesse cose su François. Aveva visto di cos’era capace in quell’asta maledetta, avrebbe fatto il culo a quelle due pazzoidi che giravano di notte durante lo Sfogo, poco ma sicuro.

Prima di fare qualsiasi cosa, però, François esitò. Non lo fece perché quelle di fronte a lui erano delle donne, durante lo Sfogo perfino un bambino potrebbe ucciderti. No, lo fece semplicemente perché quella che impugnava la pistola ancora non gli aveva sparato. Poteva voler dire un milione di cose, quel gesto. Magari era solo per farli abbassare la guardia, magari l’arma era scarica. Non poteva saperlo. Sapeva però che, nella maggior parte dei casi, quelli che non ti sparano a sangue freddo durante lo Sfogo, lo fanno perché non vogliono purificarsi. Assottigliò lo sguardo per esaminare meglio le due. Una cosa che subito saltò ai suoi occhi era la bellezza di entrambe. Della donna che impugnava la pistola soprattutto, malgrado i suoi lunghi capelli la coprissero su buona parte del volto. Ma ciò comunque non faceva che renderla più misteriosa, più attraente. Poi notò le loro ferite, i loro graffi e il sangue secco che copriva parte dei visi di entrambe. Gli ricordarono immediatamente il ragazzo che aveva accanto a lui. Anche Dominick era ferito, graffiato, con un taglio sulla fronte ancora ricoperto da sangue rinsecchito. A quel punto capì senza troppe difficoltà che quelle due non si trovavano per strada durante lo Sfogo per ammazzare qualcuno, quanto più perché costrette. Magari non avevano una casa, o ne erano rimaste chiuse fuori. Magari loro due, proprio come Dom aveva fatto con lui, si erano incrociate per caso e avevano deciso di stringere i denti insieme.

Abbassò il fucile, sorridendo impercettibilmente, colpito da quelle due e dalla loro resistenza. Dominick lo vide compiere quel gesto e partì alla carica. «Che cavolo stai facendo, non...»

«Sono innocue, Dom. Calmati» rassicurò l’uomo, prima che il ragazzo cominciasse a parlare a vanvera.

«Cosa?» domandò il ragazzo sbigottito, chiedendosi  per quale razza di motivo François potesse considerare innocuo qualcuno che puntava loro una pistola, ma l’uomo lo ignorò e si sporse verso le due. «Che ci fate qua fuori?» domandò loro.

Marianne e Thia si lanciarono due occhiate perplesse, sorprese entrambe dal comportamento dell’uomo e dal suo scambio di battute col ragazzo. Dopodiché, Mary decise di abbassare la pistola e di fare da portavoce per le due, il tutto, però, con una certa titubanza: «Siamo...siamo state rapite. Volevano...» si interruppe prima di entrare nei particolari, rabbrividendo. Inspirò e proseguì: «Ma siamo riuscite a scappare...»

«Non volete purificarvi, dunque?» indagò ulteriormente l’uomo.

Entrambe scossero la testa. Marianne si mise in piedi e aiutò la ragazza a fare lo stesso. «Cerchiamo solo di sopravvivere» concluse senza guardarli.

«Voi?» domandò Thia, intuendo, come la donna, che quei due non avrebbero fatto loro alcun male. In fondo, il ragazzo accanto all’uomo sembrava avere la sua stessa età, nonché le medesime condizioni e il medesimo aspetto sconvolto, ferito e spossato. E poi quell’omaccione avrebbe potuto sparare loro con molta facilità già da un pezzo. Dal momento stesso in cui lui aveva puntato loro il mitra avrebbe potuto sancire la loro vita o morte, ma non l’aveva fatto. Anzi, aveva detto al suo compare, che invece sembrava molto più paranoico – ma forse era per via della paura – che loro due erano innocue. Thia fu sollevata di incontrare, dopo di Kevin, altre persone con un po’ di sanità mentale. Anche se il ragazzo non le sembrava proprio a posto. Si era messo all’improvviso a fissare il vuoto di fronte a sé, con sguardo vitreo.

«Io sto aiutando questo qui a non tirare le cuoia» rispose François accennando a Dominick, che sentendosi chiamato in causa ritornò con i piedi per terra.

«Ehm...sì...ehm...» brontolò il ragazzo, non sapendo nemmeno con esattezza su cosa avesse appena concordato.

«Che...che significa?» domandò Marianne confusa.

François scosse la testa. «Lascia perdere. Facciamo così, noi proseguiamo per la nostra strada, voi per la vostra e chi si è visto si è visto, va bene?» Non attese nemmeno la risposta di una delle due. Afferrò Dominick per una spalla e lo trascinò via. «Buona fortuna» aggiunse, prima di avviarsi per proseguire il suo tour dei vicoli.

Thia e Marianne rimasero a fissarli stranite. L’attenzione di Thia fu catturata dal ragazzo, che si lasciava trascinare quasi senza accorgersene dall’uomo. Avanzava per inerzia e sembrava insofferente verso il mondo intorno a lui. Era estraniato dentro una sua bolla. Una bolla che scoppiava ogni volta che qualcuno si rivolgeva a lui e che riappariva alla prima occasione. La ragazza inarcò un sopracciglio. Che ci faceva quel fuori di testa insieme a quel francese armato e tutt’altro che rassicurante?

Marianne invece stava meditando su tutt’altra cosa. Lei e Thia erano imprigionate lì fuori. Quell’uomo stava proteggendo quel ragazzo e non voleva fare loro del male. Lei e Thia non avevano nessun posto sicuro dove andare. L’uomo se ne stava andando. Lei, per quanto avrebbe voluto, temeva che non sarebbe riuscita a fare lo stesso con Thia. A quel  punto, capì cosa, forse, era meglio fare.

Aprì bocca per chiamarlo, ma il suono di un veicolo che si arresta bruscamente sferzò l’aria all’improvviso. Lo stridore di freni, seppur lontano, giunse alle orecchie di tutti e quattro. L’uomo si arrestò di colpo, mentre il ragazzo vacillò per un momento, ancora isolato nella sua bolla. Si sentirono voi riecheggiare tra le mura fetide di quell’ambiente, risate, schiamazzi, rumore di passi, di corsa, più che altro. Marianne e Thia persero ogni traccia di colore dai propri volti, mentre avvertivano quelle presenze farsi sempre più vicine, cattive e minacciose. Sicuramente era qualche gruppo di uomini a caccia di vittime.

«Dominick!» urlò François al suo compagno, per farlo ridestare dal suo stato di trance, dovuto all’orripilante scoperta che aveva fatto poco prima e che probabilmente lo avrebbe tormentato a vita. Anche l’uomo aveva sentito quello stridore e aveva realizzato che era meglio andarsene da lì e al più presto.

Il ragazzo sussultò, sbatté più volte le palpebre, poi lo guardò con aria intontita. «Sì?»

«Dobbiamo correre, ora!» ordinò l’uomo.

Solo a quel punto il ragazzo sentì a sua volta i preoccupanti rumore che avevano mandato in ansia il suo compagno d’avventure. Sbiancando a sua volta, annuì ed entrambi partirono per la direzione opposta alla quale provenivano i rumori.

«Andiamo Thia!» fece eco Marianne prendendo la ragazza per mano e iniziando a correre a seguito dei due. Thia capì il motivo di quella scelta. E non poteva trovarsi più d’accordo.

François si accorse delle due donne a suo seguito e vide con quella con i capelli neri, che lo aveva affiancato nel giro di pochi secondi. Era molto più atletica di quanto non desse a vedere. Perfino la ragazzina se la cavava, restando al passo con Dominick, il quale però si stava trattenendo parecchio per poter seguire l’uomo.  Con il fiato pesante per via dello scatto improvviso, arrischiò una conversazione con lei: «Che stai facendo? Perché ci seguite?»

Qualcuno dal fondo del vicolo urlò. Li avevano trovati. Il gruppo allora girò immediatamente l’angolo per cercare di far perdere le proprie tracce. Avvertirono degli spari lontani, fischiare dietro di loro mentre, però, si trovavano già al sicuro. Ciò non impedì a Thia di lasciarsi scappare un grido di spavento e un imprecazione piuttosto colorita di Dominick.

«Pensavo che...» iniziò a spiegare Marianne, ansimando lievemente a sua volta. «...tu saresti stato più bravo di me a scappare da quei tizi...»

François roteò gli occhi. «Oh, grandioso! Adesso devo fare da babysitter a ben tre persone!» sbottò adirato, anche se, in fondo, non poteva pienamente biasimare la scelta di loro due. L’unione fa la forza, si dice. E nella notte dello Sfogo, la forza era ciò che più faceva comodo, per arrivare al mattino successivo.

«Ehi, se vuoi io e Thia ce ne andiamo, ma lo faremo solo quando saremo lontani da quei pazzi che ci inseguono!» ribatté la donna nel frattempo, senza tracce di sarcasmo o altro nella voce.

«La tua amica si chiama Thia? E il tuo nome qual è?» indagò François mentre giravano l’ennesimo angolo. Se proprio doveva averla tra i piedi, almeno voleva sapere come si chiamava.  E poi parlare in quel modo tranquillo gli faceva quasi dimenticare che stava scappando da qualche pazzo tagliagole. Non aveva paura, sia chiaro, però era meglio evitare gli scontri, per quanto possibile. Doveva risparmiare energie per le aste alle quali avrebbe partecipato non appena fosse riuscito a scaricare Dominick.

«Marianne» rispose intanto la donna. «Il tuo?»

«François.»

«Beh, François, lieta di fare la tua conoscenza in questa situazione di merda...» brontolò Marianne, con fiato sempre più pesante.

François riuscì a ridacchiare, quasi non sembrava che stesse venendo inseguito da qualche pazzo maniaco. «Piacere mio...»

Dietro di loro, Dominick e Thia non sembrarono aver trovato la stessa scioltezza, perché correvano uno di fianco all’altra nel silenzio più totale. Uno ancora troppo inebetito dagli ultimi eventi, l’altra troppo spaventata dagli inseguitori per riuscire a trovare la forza di parlare con qualcuno.

I quattro proseguirono la loro rincorsa alla salvezza lungo quei vicoli angusti. François guidava il gruppo, dando più fondo al suo istinto che alla sua scarsa conoscenza della planimetria dei vicoli della città. La sua unica speranza era quella di non finire in un vicolo cieco o trovarsi con le spalle al muro. Ma qualcosa gli suggeriva che, con due rompiscatole in più, le cose si sarebbero complicate, anziché semplificarsi. E Dominick non sembrava essersi ancora ripreso dall’incontro con Lucas. A quel punto, sperò anche che Marianne fosse una donna in gamba e che non si rivelasse un peso. Anche se, per il momento, non aveva ancora dato l’impressione di essere un’incapace. Tutt’altro. Se avesse continuato di quel passo, sarebbero andati d’amore e d’accordo, perlomeno fino a quando François non avesse trovato il modo per scaricarli e proseguire la sua opera di pulizia delle aste.

Girarono l’ennesimo vicolo e si trovarono di fronte ad una rete. François si bloccò, poi guardò prima Thia, poi Marianne, chiedendo loro mentalmente se sarebbero riuscite a scavalcarla. Quasi immediatamente, senza dire nulla, le due si arrampicarono sulla rete con rapidità. François annuì compiaciuto e iniziò a salire a sua volta.

Dominick fece per imitarli. Piantò il piede in un buco e afferrò i bordi di altri con le mani, per poi bloccarsi a mezz’aria. I pensieri che fino al momento della corsa erano stati alla larga da lui lo schiacciarono all’improvviso. Perché scappare? Perché combattere ancora? L’ultima persona di cui si fidava lo aveva fottuto nella maniera più atroce possibile. Certo, aveva detto che tra loro era finita, ma non riusciva a credere con che velocità Hester si fosse buttata tra le braccia di Lucas. Credeva, sperava, di riuscire a rivederla entro la fine dello Sfogo, di riuscire a farsi perdonare. Di ritornare insieme a lei. Invece non c’era più. Non c’era più lei, non c’erano più i suoi genitori, non c’era più nessuno. Suo zio, forse, ma quell’uomo era l’unico che Dom avrebbe preferito sparisse. Che diavolo di senso aveva continuare? Tanto non sarebbe nemmeno mai riuscito a vendicare i genitori, codardo e pappamolle com’era. Tanto valeva restare lì, farsi catturare, uccidere, qualunque cosa, e smettere di infastidire il povero François, che aveva di meglio da fare che badare a lui. Sospirò e abbassò il piede. Rimase in piedi, immobile, a fissare gli altri tre aggirare la rete e cadere dall’altra parte.

Una volta superato l’ostacolo, François fece per ricominciare a correre, ma Marianne lo trattenne afferrandolo per un braccio. «Aspetta!»

«Cosa?» brontolò l’uomo voltandosi verso di lei, per poi vederla mentre accennava alla rete con il mento. «Il tuo amico non viene?»

François vide Dominick ancora fermo e si accigliò. «Ragazzo, che diamine stai facendo?! Sbrigati!»

Dominick scosse appena la testa. «E che senso ha?» borbottò quasi impercettibilmente. «Ormai posso anche morire...non so nemmeno perché sono arrivato fin qui con voi...non ho più alcun motivo per continuare a resistere...»

François non credette alle proprie orecchie. Poteva benissimo immaginare che Dom fosse giù di morale, ma fino a quel punto? Mai più. «Non dire idiozie, Dom! Non ho rischiato il culo per salvarti solo per poi vederti morire così! Scavalca la rete e sbrigati!» cercò di farlo ragionare.

Dominick rimase immobile. Non sembrava quasi averlo sentito. Aveva lo sguardo basso e sembrava non volesse alzarlo. «Andate avanti senza di me. Sarei solo un peso.»

«Dom...» provò a dire François un’altra volta, per poi interrompersi. Non era un mago nei discorsi di incoraggiamento. Sapeva che Dom ne aveva bisogno, ma l’uomo non trovava nessuna parola utile alla situazione.

Marianne fissò il ragazzo perplessa, domandandosi cosa potesse essergli successo che lo avesse spinto al punto da volere la morte. Magari lo Sfogo gli aveva portato qualche caro...una sensazione che Mary conosceva fin troppo bene. Anche lei non credeva che sarebbe riuscita ad andare avanti dopo l’omicidio del marito. Poi, però, aveva incontrato Thia. A quel pensiero, sgranò gli occhi e vide la ragazzina alla sua destra. Aveva la stessa espressione furente, seria e decisa che l’aveva caratterizzata due anni prima, quando si erano incontrate. E, questa volta, la stava puntando esattamente verso di Dominick.

Thia odiava, odiava, quelli che si comportavano come Dominick. Quelli che dicevano di volerla far finita solo perché postumi da dei traumi. Quelli che credevano che la vita potesse essere buttata via solo perché si trovavano in un brutto momento di essa. Come se dopo quel brutto momento non potessero arrivarne altri di migliori.

«Ma che diavolo stai dicendo?!» inveì. Malgrado fosse la prima volta che si rivolgeva al ragazzo, fu decisamente poco garbata. «Scavalca la rete, razza di ebete!»

Dominick sgranò gli occhi e alzò la testa, per poi fissare con sguardo raggelante Thia. «Come, prego?»

Thia strinse i pugni e si sporse verso di lui. «Hai sentito, non fare il piagnone e scavalca questa dannata rete!»

«Credi di potermi dare ordini?» domandò minaccioso il ragazzo, avvicinandosi a lei a sua volta.

«Non voglio darti nessun’ordine, voglio solo farti capire che la tua decisione è la più colossale cazzata che tu probabilmente abbia pensato!» ribatté Thia avvicinandosi ulteriormente. Ora erano faccia a faccia, a pochi centimetri di distanza, separati solo dalla rete.

«E tu che ne sai?» indagò ulteriormente lui, infastidito.

«Ne so abbastanza per poterti dire che la vita è un dono e che non va sprecata solo perché sei triste!» proseguì lei decisa. «Ho capito cosa ti sta succedendo, sai? Ho capito perché vuoi farla finita!»

Dominick fece una smorfia. «Ma per piacere, tu non puoi capire...»

«Oh, sì che posso!» esclamò lei alzando la voce, facendo temere a Mary e François che i loro cercatori potessero sentirli. «Posso eccome! Non ho idea di cosa ti sia successo con esattezza, vero, ma non pensare anche solo per un momento che io non abbia mai sofferto in vita mia! Non pensare che il dolore per la perdita di un mio caro non sia quasi stato tale da spezzarmi in due, come sta succedendo a te. Non. Osare. Pensarlo.» Sferzò l’aria con un braccio e i suoi occhi si inumidirono. «Io ho perso tutto. TUTTO! Eppure guarda, sono ancora qui, e combatto per poter salvare il poco niente che mi è rimasto! Sto cercando di andare avanti, di lasciarmi il passato alle spalle!» Lei non aveva più la sua famiglia. Nessuno. Suo fratello, l’ultimo rimasto, era morto di fronte a lei due anni prima. Credeva che non sarebbe riuscita ad andare avanti. Ma poi aveva reagito, aveva lottato. E aveva incontrato Mary. E la sua vita aveva di nuovo preso una piega felice.

Nel frattempo l’espressione di Dominick non mutò affatto, mentre la ragazza lo travolgeva con le sue parole: «Io VOGLIO vivere! Anche se ho perso le persone più care che avevo, sono andata avanti! E ne ho trovate altre, per cui valeva la pena vivere! Solo perché sei un po’ giù di morale, non significa che tu debba farti ammazzare! E adesso scavalca questa maledetta rete!»

Finalmente, qualcosa sembrò smuoversi dentro al ragazzo, perché distolse lo sguardo da lei e assunse l’aria di uno che stava rimuginando su qualcosa.

«Ti muovi?!» lo incalzò ulteriormente Thia, stanca del comportamento idiota di Dominick. «Se non scavalchi la rete giuro che ti trascino da questa parte per le orecchie!»

Dominick digrignò i denti. «SÌ, SÌ, ho capito!» Afferrò la rete con un gesto rabbioso, puntò i piedi e nel giro di poco tempo riuscì a raggirarla.

François e Marianne fissarono sbigottiti il ragazzo compiere quel gesto, sorpresi da come Thia fosse riuscita a persuaderlo. C’era voluto un po’ di tempo, e maniere un po’ grezze, ma alla fine era  riuscita a far ragionare il ragazzo. François fu colpito dalla ragazzina. Aveva molta più grinta di quanto quel suo visino gracile desse a vedere.

Dominick nel frattempo saltò giù dalla rete, guardando Thia. «Razza di rompipalle che non sei altro! Ti conosco da cinque minuti...» Atterrò accanto a lei con un pesante tonfo. Si mise in piedi e spolverò la giacca, poi concluse la frase avvicinando di nuovo il volto a quello della ragazza e rivolgendole un’altra occhiataccia. «...e già mi hai scartavetrato i coglioni!»

Thia assottigliò le labbra e ricambiò lo sguardo di sfida del ragazzo, per nulla intimidita. «E tu sei...»

«Thia, basta» la interruppe Marianne trascinandola via da Dominick.

«Anche tu Dom, falla finita» brontolò François afferrando il ragazzo per la giacca.

I due ragazzi non si ribellarono, ma si rivolsero un’altra occhiata furente. E, non appena realizzarono che quello era l’inizio della loro collaborazione, ad entrambi venne la nausea. Evitando molto attentamente di non guardarsi più tra loro, ripresero a correre a seguito di Mary e François, sperando di non incrociare altri problemi lungo il tragitto.

 

***

 

Tempo rimanente alla fine dello Sfogo Annuale: 9  ore e 21 minuti

Consegnare quell’uomo alla fine non era stato poi così traumatico, per Kevin. Dopotutto, Troy gli aveva semplicemente sparato in testa, poco soddisfatto. L’uomo voleva una vittima degna di un uccisione di classe, quel tizio mezzo morto che Kevin gli aveva portato non entrava nei giusti parametri. Un’altra conferma per Kevin di quanto Troy fosse fuori di testa.

Sospirò esausto, abbandonando la testa contro la parete dietro di lui, sempre su quel pulmino scolastico. Navigò fra le tasche e trovò il suo pacchetto di sigarette. Lo estrasse e lo aprì, per poi prenderne una. Solo quando se la mise in bocca, però, ricordò che aveva ceduto il suo stupendo clipper pagato un dollaro a quella donna, Marianne. O Mary. Un pensiero che lo faceva sorridere e storcere il naso contemporaneamente. Sorridere perché per lo meno aveva salvato quella donna e la sua amica, storcere il naso perché, per l’appunto, non aveva più modo per accendere la sigaretta che stringeva tra le labbra. Sospirò di nuovo e si guardò intorno, per poi vedere ciò che faceva al caso suo, un uomo che gettava un mozzicone fuori dal finestrino. Sicuramente era un fumatore e, perciò, doveva avere un accendino.

Si alzò dal suo posto e si avvicinò a lui. Era un po’ titubante all’idea di rivolgersi ad uno di quei brutti ceffi, però si ricordò che nessuno di loro praticamente lo considerava. Inoltre era sotto l’ala protettrice di Troy, senza considerare il fatto che, quando aveva portato quell’uomo semisvenuto da loro, aveva inventato la balla di averlo steso con un pugno e ciò spiegava il suo stato. Stranamente gli avevano creduto, perciò era anche passato per un duro, ai loro occhi. Pertanto non doveva preoccuparsi troppo di come lo avrebbero trattato. Quel tizio gli avrebbe prestato l’accendino senza neanche guardarlo. Si avvicinò e richiamò la sua attenzione toccandolo appena su una spalla. L’uomo, stravaccato per terra e con lo sguardo assente, grugnì e spostò gli occhi su di lui.

Kevin si inginocchiò accanto a lui, mimando il gesto dell’accendono davanti alla sua sigaretta ancora premuta fra i denti. «Non è che hai l’accendino?»

L’uomo lo soppesò con lo sguardo per un attimo, poi sogghignò mostrando due stupende file di denti marci. Gli strappò la sigaretta di bocca e la pinzò con i suoi incisivi gialli, dopodiché tirò fuori il leggendario oggetto e si accese la sigaretta di Kevin davanti ai suoi stessi occhi. Il ragazzino lo guardò sbigottito, ma non disse nulla. Non appena l’uomo finì di accendersi la sua "nuova" sigaretta, passò l’accendino a Kevin con un sorriso sbilenco. Kevin lo prese, sentendosi preso per i fondelli, a dir poco. Ma decise di non protestare. Era solo una sigaretta, aveva ancora il pacchetto mezzo pieno. Lo tirò nuovamente fuori e lo aprì, per prendersene un’altra. Non lo avesse mai fatto. Aprendo quel pacchetto lì in mezzo ottenne la stessa reazione che avrebbe ottenuto se fosse stato un toast gigante circondato da piccioni affamati. Nel giro di tre secondi si ritrovò addosso uno stormo di uomini che gli fregarono una sigaretta dietro l’altra. Kevin venne travolto dall’orda e non riuscì a capire nulla. Non appena la sua vista tornò nitida, riuscì a vedere tutti gli uomini guardarlo divertiti, chi sogghignando chi ridendo, ognuno con una sigaretta stretta tra i denti. Ancora intontito, Kevin abbassò lo sguardo e vide il suo pacchetto trasformato da mezzo pieno a mezzo vuoto. Normalmente avrebbe dato i numeri. Odiava anche solo offrire le sigarette ai suoi compagni di classe, figurarsi vedersi svuotare il pacchetto da sotto il naso. Ma ovviamente l’idea di trovare qualcosa da ridire non gli sfiorò neanche la mente. Prese un’altra sigaretta e se la mise fra le labbra, l’accese più in fretta che poté, restituì l’accendino e si affrettò a togliersi dai piedi, prima che accadessero altre cose spiacevoli.

Non appena tornò al suo posto cercò d rilassarsi, coccolato dal fumo che gli entrava nei polmoni e lo inebriava. Sapeva che faceva male, ma non poteva farci nulla. Se proprio fumare lo avrebbe ucciso, allora sarebbe morto facendo ciò che amava. E poi ad ogni tiro di sigaretta gli sembrava che il peso del mondo gli si togliesse dalle spalle. Se c’era qualcosa che riusciva a placare tutto lo stress a cui veniva quotidianamente sottoposto, erano proprio le sigarette. Paradossalmente, quella volta il fumo gli fece tutt’altro che male. Se non avesse avuto quella sigaretta, probabilmente sarebbe rimasto a logorarsi dai dubbi e dalla preoccupazione ancora a lungo. Fu piacevole riuscire a staccare il cervello per cinque minuti, fino a quando non gettò via la sigaretta ormai ridotta ad un mozzicone. Era quasi tentato dal fumarsene un’altra – dopotutto, in mezzo a loro non sarebbe nemmeno suonato strano fumarsi due sigarette di fila. O tre. O quattro... – ma accantonò l’idea. Aveva di meglio a cui pensare. Quella pausa era stata gradita, ma non doveva dimenticarsi che se voleva arrivare vivo al mattino successivo, doveva andarsene da quel gruppo di pazzi. Certo, insieme a loro era al sicuro, ma non poteva fidarsi. Troy era pazzo, completamente. E quei tipi erano imprevedibili. E la notte era ancora lunga. Avrebbero potuto cambiare idea su di lui in qualsiasi momento e magari ucciderlo senza motivo. Un pensiero che lo faceva rabbrividire.

Dio, se penso che è tutta colpa di quel bastardo di Nicols...

Kevin sentì montare dentro di sé la rabbia. Giurò che se ce l’avesse fatta, il giorno dopo avrebbe ucciso Nicols. Letteralmente. Se si trovava lì era tutta colpa del capriccio di uno stupido ragazzino viziato. Si piantò le unghie nei palmi lasciando dei profondi segni senza neanche accorgersene.

«Ehi» salutò una voce all’improvviso, facendo trasalire il ragazzo. Si girò di scatto e vide chi l aveva salutato. Un uomo che fino ad allora era sfuggito al suo sguardo. Aveva i capelli neri e lunghi in centro, tirati all’insù, corti ai lati. Un singolare pizzetto da capra dello stesso colore dei capelli spuntava dal mento e di tanto in tanto l’uomo ci giocherellava. Aveva gli occhi marroni come quelli di Kevin e lo fissava con uno sguardo del tutto particolare. O meglio, lo era per quell’ambiente, in cui tutti quanti o non lo guardavano, o lo guardavano minacciosi. Quello invece lo fissava come qualsiasi persona con un briciolo di cuore guarderebbe un ragazzo come Kevin ridotto in quelle condizioni. Lo guardava con compassione, quasi con pena. Una cosa del tutto nuova per Kevin, quella notte.

«Sei Kevin, dico bene?» domandò l’uomo sedendosi accanto a lui.

Kevin lo fissò sbigottito, trovando la forza solamente per annuire. L’uomo sorrise e tese una mano. «Io sono Rick, piacere di conoscerti.»

Kevin esitò. Non sapeva cosa aspettarsi da quell’uomo. Poi, però, notò il suo sorriso rassicurante e, dai suoi occhi, realizzò che quella forse era l’unica persona che si avvicinava alla sanità mentale dentro quell’autobus. E comunque...cos’aveva da perdere? Ricambiò il sorriso e strinse la mano. «Piacere mio.»

Separate le mani, Rick cominciò a far vagare lo sguardo per l’autobus, sui suoi colleghi. «Allora...non è esattamente il luogo migliore per passare la sera, eh?»

Fu un tentativo piuttosto fiacco di smorzare la tensione, ma a Kevin andò più che bene. Annuì abbozzando un altro sorriso. «Già...uscire con una ragazza sarebbe decisamente meglio...»

Rick ridacchiò. «La prendi sul ridere, mi piace.»

«Beh, o quello, o mi metto a piangere come un bambino fino a quando qualcuno non mi apre un buco in fronte...» borbottò Kevin tornando serio, rabbrividendo di nuovo dopo quanto detto, senza però darlo a vedere.

Il sorriso svanì dal volto di Rick, che guardò il ragazzo con aria preoccupata. «Come...» cominciò a dire, interrompendosi. Studiò Kevin ancora per qualche istante, poi annuì e si decise a proseguire. «...come ci sei finito qui?»

«Dovresti chiederlo al tuo capo...è lui che ha deciso che dovevo far parte della sua cricca...» borbottò Kevin stancamente. Più pensava a come Troy lo aveva ficcato in quel casino per motivi a lui ignoti, più si sentiva esausto, nonché arrabbiato.

Nel frattempo Rick scosse la testa. «Non intendevo quello...volevo dire, cosa ci facevi in giro per i vicoli nella notte dello Sfogo? Ti sei bevuto il cervello?»

Pensare alla risposta di quella nuova domanda, causava a Kevin ancora più irritazione. Strinse di nuovo i pugni e si rabbuiò. «Uno stronzo mi ha incastrato...lui e due suoi amici mi hanno rapito, portato in centro città e abbandonato lì a poco dall’inizio dello Sfogo...»

«Oh.» Fu tutto quello che disse Rick. Probabilmente era rimasto senza parole. Certo, non capita tutti i giorni di sentire una cosa del genere. Anche se si trovavano durante la notte dello Sfogo, non dovevano trascurare il fatto che Kevin era stato rapito prima, quando ancora una simile azione era legale. Kevin fu sorpreso dalle reazioni di Rick. Gli sembrava quasi impossibile che potesse realmente preoccuparsi per lui e allo stesso tempo girare con quella banda di tagliagole.

«Tu invece?» domandò per cercare di tenere viva la conversazione, la prima vera e unica distrazione che Kevin avesse trovato fino ad allora, fuorché fumare. «Che ci fai con Troy e i suoi?»

Rick si strinse nelle spalle. «Mi servono soldi...»

Kevin inarcò un sopracciglio. «In che senso? Troy vi paga?»

«No, no...» Rick scosse la testa, con lo sguardo perso nel vuoto. Sembrava...triste. «Rapino i poveracci che incontro. Di solito non hanno molto, ma ci si accontenta...»

«Cos...perché lo fai?» indagò ulteriormente Kevin, che ancora faticava ad inquadrare bene l’uomo che aveva davanti.

Rick sospirò. «Ho...molti debiti da saldare. Anzi...la mia famiglia ne ha. Mi servono soldi. È un modo schifoso per procurarmene, lo so, però...non vedo altra soluzione.» Sogghignò amaramente, facendo schioccare la lingua. «Tsk...se solo qualcuno assumesse i poveracci come me, allora non sarei qui. Molte delle persone che vedi girare durante la notte dello Sfogo non lo farebbero. Ma ai ricchi conviene così...noialtri possiamo solo approfittare dello Sfogo per poter mangiare quei due o tre giorni in più...»

«Ma quindi...tu non uccidi?»

Rick scosse nuovamente la testa. «No. Non le vittime come me e te, per lo meno. Ovvio che se cercano di accopparmi rispondo al fuoco senza esitazione.»

Kevin annuì, colpito dal discorso e dalla persona che aveva davanti. Un altro come lui, uno che aborriva lo Sfogo. Che però, tuttavia, era costretto a farvi parte per poter provvedere alla famiglia, perché, altrimenti, non aveva altro modo per guadagnarsi da vivere. Sicuramente ciò che faceva Rick era sbagliato, però non poteva biasimarlo completamente. O quello, o elemosinare per strada. O farsi ammazzare durante lo Sfogo perché appartenente alla categoria dei poveri.

«Tu hai famiglia?»

Kevin annuì. «Sì...i miei genitori...» Sospirò e incassò la testa tra le spalle. Solo in quel momento si rese conto che i suoi genitori, probabilmente, stavano rivoltando il mondo da cima a fondo pur di trovarlo. Chissà cosa stavano pensando. «Staranno sicuramente morendo di preoccupazione...» disse più a sé stesso che a Rick.

L’uomo annuì, ma Kevin non vi fece caso. Era ancora troppo preso dal pensiero dei suoi genitori che rischiavano la vita per salvarlo. Quanto avrebbe voluto risentirli, per dirgli anche solo che stava bene e che non dovevano preoccuparsi. Non troppo, perlomeno. Ripensò al fatto che forse, ma proprio forse, se Troy non lo avesse sequestrato sarebbe potuto tornare a casa tempo prima. Oppure morire durante il tragitto. Ma a lui piaceva di più la prima opzione. Si voltò verso di Rick, con il volto smorto. «Tu...hai idea del perché Troy mi abbia ficcato in questo casino?»

«Non credo di saperlo...» rispose Rick con un’altra negazione con la testa, per poi accennare col capo agli uomini stipati nel resto dell’autobus. «Loro si sono fatti la stessa domanda, sai? Alcuni pensano che Troy sia fuori di testa, altri dicono che vuole tenerti come ultima vittima della notte, altri...»

«Cosa?!» domandò Kevin incredulo, sentendo l’ultima teoria. Sentì le sue gambe diventare di burro all’improvviso.

«Rilassati...» rassicurò Rick. «...sono solo loro teorie...io non le prenderei molto sul serio, dopotutto, neanche loro ci stanno molto con la testa. Io penso di essere l’unico con un minimo di sale in zucca, qua dentro. E ovviamente ci sei anche tu.»

Malgrado quelle parole, Kevin non riuscì a rassicurarsi del tutto. Un’altra cosa gli venne in mente e decise di tentare di far luce anche su quella. «Alcune volte Troy mi ha chiamato Travis anziché Kevin...hai idea di cosa possa voler dire?»

Rick si prese il mento e corrucciò la fronte. «Mh...Travis...» Meditò un attimo sulla risposta, poi alzò le spalle. «Ho già sentito questo nome, sempre dalla bocca di quelli là...» E indicò con un altro cenno gli uomini seduti che sghignazzavano tra loro. «...ma non ho idea di chi possa essere. So che riguarda Troy, però. Forse questo Travis era un altro ragazzo che, come te, Troy ha prelevato durante lo Sfogo, qualche anno fa...»

Quella risposta, per quanto potesse essere utile sotto alcuni punti di vista, non fece altro che far accapponare la pelle di Kevin. Per il fatto che, se Troy un tempo aveva avuto a che fare con questo Travis, che fine aveva fatto lui? Era morto? Troy voleva rimpiazzarlo con Kevin? Sarebbe morto anche lui? Un giorno, prima o poi, Troy avrebbe prelevato un altro ragazzo e avrebbe cominciato a chiamarlo Kevin? Sarebbe diventato tutto un unico, grande, enorme, fottuto circolo vizioso? O forse c’era qualcos’altro sotto? Qualcosa di più grosso, di più personale?

Non sapeva la risposta a nessuna di quelle domande. Probabilmente non l’avrebbe mai avuta. Non sapeva nemmeno se ringraziare Rick per essere stato così disponibile, o pentirsi di avergli posto tutti quei quesiti.

Alla fine non ebbe il tempo per fare nulla, perché l’autobus si fermò all’improvviso, facendolo sbilanciare di lato. Troy apparve dal sedile del passeggero con un’espressione folle. Spostò quello sguardo da psicopatico su tutti i presenti, poi annunciò spalancando le braccia: «Preparate i fucili, si scende!»

Rick e Kevin si scambiarono un’occhiata perplessa, poi l’uomo si alzò, dicendo: «Beh, buona fortuna ragazzo. Spero di vederti di nuovo sull’autobus alla fine di quest’altra pazzia.»

Kevin rimase ammutolito. Lo guardò allontanarsi con sguardo vitreo, poi Troy apparve alla sua visuale e lo issò in piedi. «Avanti ragazzo, diamoci da fare!»

Kevin, che da lì a poco avrebbe vomitato tutto ciò che teneva in corpo, si limitò ad annuire, preparandosi psicologicamente per l’ennesima folle scampagnata in mezzo a quelle strade piene di psicopatici.

 

 

 

Ok, dopo secoli e secoli sono riuscito a pubblicare il capitolo 10! Evviva! Scusate il ritardo, voi pochi seguite, ma ho davvero tanto altro da fare...trovare posto per questa fic sta diventando sempre più difficile...

 

 

 

 

 

   
 
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