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Autore: Manto    29/05/2015    11 recensioni
"Lui si chinò verso di me, e io indietreggiai.
Le sue mani erano ancora sporche del sangue di mio padre.
Con quelle mani, mi prese il volto, me lo alzò.
Lo fissai, il gigante che chiamavano Aiace, cercando di apparire coraggiosa.
Vidi i suoi occhi cangianti, ne rimasi rapita.
La mia sete di vendetta, i miei impulsi suicidi si sfaldarono, sotto la forza di qualcosa che ancora non potevo capire."
Frigia, al tempo della grande Guerra di Troia.
Da una parte la giovane Tecmessa, principessa di un regno ridotto in cenere, prigioniera di un terribile nemico venuto dal Grande Mare; dall'altra, Aiace Telamonio, campione dell'esercito greco con la sofferenza nel nome, dall'aspetto di un gigante e dal coraggio di un leone.
Un solo sguardo, e una forza più grande della guerra stessa giocherà con i loro destini, portandoli all'immortalità.
Ispirato alla bellissima tragedia "Aiace" di Sofocle, il personale omaggio a una delle coppie più belle, e purtroppo poco conosciute, della mitologia greca.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Immortali'
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Figli del Sole




I - Ombre




Il vento, ancora.
Penso che quest'isola sia fatta interamente di esso: un vento violento che strappa lacrime e pensieri e li porta ovunque, forse anche negli Inferi, dove le anime dei morti li attendono con avida tristezza. Che tu possa sentirli, amore mio.


Anche quel giorno, tanti anni fa, c'era il vento. Lo percepii lieve, inizialmente, come un dolce respiro. Per un momento, un solo istante, mi parve anche di sentire voci lontane, tutte quelle che recava con sé. Poi la sua potenza aumentò, mi strappò dalle mani i magnifici fiori che avevo portato dal palazzo e tentò di rapirmi il velo che mi copriva il capo. Non riuscii a trattenere un grido, e Leuca si agitò.
Il vento ritornò, dolce e profumato, una promessa di estate, e gonfiò la nera criniera della cavalla rendendola ancora più maestosa. Fissai lo sguardo su di essa per non vedere la grotta che ci aspettava alla fine del sentiero, l'enorme voragine nera.
Più ci avvicinavamo, più sentivo il mio cuore aumentare i battiti.
Io la temevo fin da bambina, fin da quando vedevo dalle mie stanze le sue lugubre pareti risplendere alle luci dei fuochi, ogni notte. Il Sole non l'aveva mai baciata e il vento stesso che giocava con noi non l'aveva mai rinfrescata; incassata nell'azzurra montagna, come un gigantesco occhio nel volto di un gigante osservava ogni nostro movimento, e avevo sempre la sgradevole sensazione che fissasse in particolare i miei.
Mio padre, il re Teleuta, si voltò verso di me sorridendo. “Tecmessa, devi entrare sola.”
Io lo guardai con spavento. Il panico che avevo cercato di controllare fino a quel momento eruppe come sangue da una ferita, e Leuca nitrì irrequieta. Smontai, tremante, accarezzandole la criniera per calmare entrambe. La lasciai con mio padre e iniziai l'ultimo tratto di sentiero.
Sei una codarda, Tecmessa. Guardala, é solo un'incisione. Una brutta, sgraziata incisione di una donna grassa. Perché la temi?
Un nauseante odore di decomposizione mi mozzò il fiato quando varcai l'entrata. Alzai gli occhi: l'immagine della Dea era lì, a pochi passi da me, incisa sulla parete. Teneva le braccia aperte, intenta ad accarezzare i leoni che le erano ai fianchi; i suoi seni erano enormi, come le sue natiche.
Eccola, la potente Dea: la Madre Terra, Kubile, l'incarnazione della fertilità, il potere femminile racchiuso in quel grembo umido di vita di cui la grotta era rappresentazione.
Tesi una mano davanti a me e sfiorai l'immagine, i suoi seni pieni di latte, il grande pube inciso che generava in me turbamento. “Lo sai perché sono qui, vero, Grande Dea? Un sogno mi perseguita ogni notte. E tu ne sai il motivo.”
Il contatto con la pietra non mi diede alcun effetto. Era pietra, materia morta; ero io che insistevo a darle vita.
Quando lasciai la grotta, mio padre mi prese il volto tra le mani. Lo guardai, quindi scossi il capo.

“Concubina e Madre” è il significato del mio nome. Mia madre me lo assegnò, ma non ebbe il tempo per dirmi il motivo.
Concubina e Madre, in questo nome si celava il mio destino. Ancora non lo sapevo.
Come ancora non sapevo il significato di quell'immagine: un piccolo fiore che stillava lacrime umane e portava impresse sui petali scarlatti due parole: Ai, Ai. Io continuavo a sognarlo e quando mi svegliavo, nella notte nera, le lacrime mi rigavano il volto, i singhiozzi riecheggiavano nel palazzo.
Sempre.


NOTE

Il significato del nome Tecmessa non è inventato, ma è un'ipotesi riportata nel “Dizionario Etimologico della Mitologia Greca”. Qua viene detto che il nome, se dipendesse dall'indoeuropeo, potrebbe essere l'unione della radice teuk- (concubina) con mater (madre).
Il fatto che il nome si presenti non Tecmetra ma Tecmessa dipende dal fatto che era un nome pregreco orientale, quindi al posto di -tr- presenta doppia sigma (-ss-).
   
 
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