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Autore: genesisandapocalypse    30/05/2015    6 recensioni
Gli occhi di Luke sono vitrei, nascosti da una nube di pensieri e ricordi. Dice di aver superato tutto, ma nessuno ci crede, Eloise per prima, che riuscirebbe a mettere da parte il suo odio colossale per Michael Clifford, se potesse aiutare.
Essere scappata nell’università al centro di Sydney è stata un po’ una salvezza, per Gioia. E che lo sia pure per qualcun altro?
Ashton ha perso fiducia nelle donne da tempo e scorbutico com’è, riesce a togliersele di mezzo, ma ogni tanto sa anche essere gentile.
A Cardiff c’è stata per soli tre anni, Eva, abbastanza per tornare a Sydney con qualcosa di troppo e far rimanere secco Calum.
E Scarlett, non sa bene come, finisce più spesso in quel bar che in camera propria.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo
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Home is wherever I am with you.
 RICORDI.

"Bisogna stare attenti a tuffarsi nei ricordi, spesso, ci si fa male cadendo di cuore."
"Non c’è nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria."
 
Gioia è uscita presto, quella mattina. Sarà per dei messaggi strani che le ha mandato Luke, la notte stessa, sarà per il fatto che non è riuscita a dormire, o sarà per uno strano presentimento che l’ha avvolta per ore.
Arriva di fronte a un pub poco rassicurante e, sebbene lei cerchi sempre di starci alla larga da posti del genere, ingoia il groppo preoccupato che ha alla gola ed entra. All’interno c’è una gran puzza di alcol, poche persone, maggiormente mezze sdraiate nelle proprie sedie, ubriache lerce o addormentate, e un barista che pulisce il bancone con una smorfia schifata sul viso. D’altronde, come biasimarlo, se il costo del suo lavoro è ritrovarsi con gente del genere ogni mattina, dopo chissà quanto alcol venduto nella notte?
Scruta con gli occhi il posto, cercando di non sentire i commenti apprezzanti e maliziosi su di lei, e alla fine lo vede, seduto a darle la schiena, la testa sul bancone e le braccia che penzolano nel vuoto. Si incammina verso di lui e gli scuote una spalla.
«Luke, svegliati - borbotta, accarezzandogli la schiena. Cos’è che porta una persona aridursi in quel modo? Respira e sente il cuore stringersi, a quella vista - Luke, dannazione, svegliati!» lo scuote nuovamente e finalmente quello sembra svegliarsi, sbattendo le palpebre più volte e rivolgendole uno sguardo confuso.
Gli occhi, rossi, sono socchiusi.
«Gioia?» lui aggrotta la fronte, si muove a penzoloni, come se dovesse cadere da un momento all’altro, ma lei lo sorregge e annuisce.
«Proprio io, non credi sia ora di andare? Dai, ti accompagno a casa,» e lui fa un cenno d’assenso con la testa, sebbene riesca a stare in piedi a fatica, reggendosi dal bancone. Il barista gli dedica uno sguardo rattristato. Un ragazzo così giovane che ha già tanti problemi.
Gioia lo sorregge a fatica, ma non lo vuole abbandonare, e lo porta fuori, il sole che sorge piano e Luke che le dice dove andare, con la voce strascicata e un dondolio che le fa venire il mal di mare.
Quando arrivano di fronte a una casetta, lui tira fuori le chiavi, senza riuscire a infilarle nella serratura.
«Dai a me,» dice lei, afferrandole, prima di aprire la porta ed entrare.
«Sei arrabbiata con me, Gioia?» chiede lui, la voce ridotta a un singhiozzo, mentre sente la nausea prendere il sopravvento.
«No, Luke, non sono arrabbiata con te,» risponde lei, cercando di sorridergli delicatamente.
«Mi dispiace Gioia, non volevo,» sbiascica lui, quasi cadendole addosso, al suo urletto sente dei passi pensati che si avvicinano alla porta e una ragazza bionda appare, l’espressione preoccupata sul volto che subito si trasforma in una inferocita.
«Luke, porca puttana! - urla, afferrandolo dal braccio - come diamine ti sei ridotto? Sei incorreggibile, quando la smetterai? - si gira verso di lei, guardandola con occhi dispiaciuti e grati - l’hai portato tu a casa? Grazie mille,» la ringrazia, prima di vedere il ragazzo scappare verso il bagno.
Non gli corre dietro, sospira e guarda la ragazza.
«Scusami, avrai faticato molto a portarlo qui, ti prego, permettimi di offrirti qualcosa,» la prega Eloise, afferrandole una mano, mentre i primi coniati arrivano dal bagno.
«Perché lo fa?» è l’unica domanda che le porge Gioia, lo sguardo addolorato.
«È una storia lunga, ma siediti in salone, torno fra poco,» e sparisce all’interno del bagno, mentre Gioia rimane con le mani in mano. Si incammina al divano e si siede sopra, gli occhi lucidi perché ciò che ha visto ha fatto male quasi più a lei.
Perché si riduce in quel modo? Cos’è successo da renderlo così disperato?
Lo sente piangere rumorosamente tra le braccia della ragazza che ha incontrato, borbottare parole senza senso e impregnate di dolore, poi non sente più nulla.
Passano venti minuti, prima che la ragazza torni, e Gioia si prende un attimo per osservarla. Le occhiaie marcate sotto gli occhi azzurri, identici a quelli di Luke, e i capelli biondi e sfibrati legati in una crocchia.
Arriva da lei con una tazza fra le mani, che le offre. Gioia sorride nel ritrovarsi sotto il naso un po’ di the caldo.
«Ti tremano le mani.»
«Voglio bene a Luke, vederlo in queste condizioni mi destabilizza.»
«Lo so, ti capisco - la bionda la guarda, poi sorride pallida - sono Eloise, sua sorella, comunque.»
«Gioia, una sua compagna di corso.»
«Grazie, Gioia, puoi rimanere qui se vuoi, sarà felice di vederti quando si sveglierà.»
Gioia ci pensa su per un attimo, poi accetta, che l’avrà pure visto da ubriaco, che ha capito che ciò che le veniva detto era vero, ma non può lasciarlo solo.
Non ci riesce. 
 
Eva è sdraiata sul letto, tra le mani una foto che raffigura lei e Zoe, cinque anni prima. Sono giovani, sorridenti e felici, abbracciate l’una all’altra come poche volte hanno fatto, che alla mora le dimostrazioni d’affetto piacevano poco e niente.
Si asciuga l’ennesima lacrima, mentre afferra un pezzo di torta che sua madre, quella mattina, ha preparato con cura, dopo averla accolta tra le proprie braccia e aver ascoltato ciò che è successo.
E ancora non ci crede, Eva, che Zoe se n’è davvero andata. Che l’ha lasciata sola, davvero intende. Non solo fisicamente, ma anche mentalmente. Non sentirà più la sua voce, la sua risata, non la vedrà più sorridere, piangere. Non ha potuto nemmeno sentire una delle sue tipiche sbraitate, che si aspettava al loro incontro.
Zoe se n’è andata e non c’è nulla da fare, perché la morte non torna indietro.
Singhiozza, portandosi una mano sulle labbra, poi butta la foto all’interno della stanza e si alza, perché rimanere a piangere non la aiuterà. Si incammina verso il bagno e si sciacqua la faccia, appena in tempo per andare ad aprire la porta, dopo che il campanello ha risuonato per l’intera abitazione.
Si stira il vestitino bianco che indossa e, spalancata la porta, si ritrova di fronte il viso di Ashton, un sorriso leggero sul volto spigoloso.
«Ciao,» la saluta lui, leccandosi il labbro inferiore e provando a sorridere un poco di più.
«Che ci fai qui?» chiede lei, senza cattiveria. È semplicemente sorpresa, Ashton non era molto propenso ad accoglierla a braccia aperte.
Lui si stringe nelle spalle, poi le porge la borsa.
«L’hai dimenticata al bar, ieri, sai, dopo che.. hm, insomma, hai capito,» Eva annuisce, poi la prende lentamente e rimane a guardarlo per qualche secondo.
«Grazie - borbotta, mordendosi l’interno guancia - vuoi entrare?» aggiunge, che un po’ di compagnia non le farebbe male.
Ashton la guarda, gli occhi cangianti gli si illuminano e subito annuisce.
Eva apre di più la porta, permettendogli di entrare, e la richiude alle sue spalle. Poi si incammina verso la propria stanza, sicura che lui la stia seguendo.
«Questa casa non è cambiata di una virgola,» ridacchia lui, guardandosi attorno.
«I miei non amano molto i cambiamenti,» dice lei, alzando le spalle e sedendosi sul proprio letto, appena entrata nella propria stanza. Ashton si guarda attorno, si perde nell’osservare tutte le foto attaccate alla parete sopra il letto. Si avvicina con passo titubante, gli occhi fissati su tutte quelle che raffigurano loro anni prima, nel suo stesso bar.
«Non pensavo le avessi ancora,» borbotta lui, un sorriso sulle labbra e gli occhi che luccicano, tra il sorpreso e l’ammirato.
«Sono ricordi, perché avrei dovuto buttarle? - ribatte Eva, stringendosi nelle spalle - è bello, a volte, pensare ai vecchi tempi,» aggiunge, prima che Ashton si blocchi, portando gli occhi cangianti per terra, dove ha appena calpestato qualcosa.
Si piega e tira su una foto, quella stessa che stava guardando Eva poco prima. Sorride mesto, lo stomaco si stringe in una morsa.
«Ci manca terribilmente,» mormora, mentre Eva si morde il labbro inferiore e annuisce, cerca di sviare i pensieri su altro, ma non ci riesce.
«Com’è successo?» chiede, facendogli alzare il viso verso di lei. Ashton si avvicina, sospira, poi si siede.
«Un incidente - risponde, passandosi una mano fra i ricci scatenati - due anni fa, non aveva la cintura, è volata fuori dal finestrino - si morde il labbro inferiore e si dà forza, più per l’amica che per altro - è morta sul colpo, ha sbattuto forte la testa a terra,» aggiunge, stringendosi nelle spalle e chiudendo gli occhi al ricordo.
È così doloroso ed è ancora vivido.
Eva sente gli occhi inumidirsi nuovamente, ma si blocca e tira su con il naso, toccando la mano di Ashton, perso nei propri ricordi.
«Mi dispiace per ieri, non volevo urlarvi contro così,» cambia discorso, o si ritroverebbero a piangere l’uno nelle braccia dell’altra. Ashton sorride di risposta, scuotendo la testa.
«È comprensibile, Eva, non devi scusarti - poi si alza, dondolando sui talloni - mi conviene andare, mi sa, il Nirvana non si gestisce da solo,» Eva lo segue, poi lo accompagna all’uscita e gli sorride un’ultima volta.
«Grazie, Ashton,» sbiascica, incrociando le braccia al petto, al che lui si porta le mani nelle tasche.
«Mi sei mancata, Eva,» e sorride, dandole una veloce carezza sulla guancia, prima di sparire nella via.
Ed Eva sorride, sebbene abbia il cuore distrutto e gli occhi rossi di pianto.
Sorride perché le è mancato anche a lei, Ashton. 
 
Aspira dalla sigaretta, buttando fuori il fumo a sbuffi, prima che un rombo di una moto non gli stuzzichi l’udito, facendogli alzare di scatto il viso, perché lui sa a chi appartiene. una moto rossa fiammante si accosta al marciapiede di fronte a lui e, da sopra, ne scende Michael, i capelli tinti di nero da poco e la giacca in jeans che a lui sta dannatamente bene.
Michael lo guarda, posa il casco sul sellino e infine si avvicina lentamente, accennando un sorriso all’amico, con cui non parla da un po’ di giorni, precisamente da quando ci ha litigato.
«Ehi, Cal!» fa un cenno con la mano e si siede al suo fianco, sebbene il moro sbuffi e aspiri per l’ennesima volta dalla sigaretta, fino ad arrivare quasi a metà, tanto è il fastidio. Non gli risponde, ce l’ha ancora con lui. Ciò che gli ha detto non è stato affatto carino, specie perché si tratta di Michael, suo amico.
Quest’ultimo sospira, i sensi di colpa che l’hanno preso da un po’ di giorni gli fanno passare una mano tra i ciuffi scuri.
«Senti, Cal, lo so che ce l’hai con me per l’altra volta, ok? Ma sono venuto qui per scusarmi, non avrei dovuto dirti quelle cose,» e va bene, non è uno che si scusa facilmente, ma per le persone che ama è capace di schiacciare la propria dignità con i propri piedi.
«Lo stai facendo solo perché ieri ho consolato Eva,» borbotta il moro, indispettito.
«No, lo sto facendo perché ammetto di essere stato troppo cattivo.. e sei il mio migliore amico, Calum, non mi piace saperti che ce l’hai con me,» dichiara lui, scuotendo la testa e stringendo le labbra carnose in un’unica linea.
Calum rimane in silenzio, non sa cosa dire. Ci è rimasto male per ciò che gli ha detto, ma avercela con lui non aiuterà le cose.
Si gira a guardarlo, allora, e lo trova con un sorriso candido sul viso delicato.
«Mi hai fatto sentire una merda, Michael,» commenta, imbronciato, al che l’amico annuisce.
«Sì, lo so, e mi dispiace tantissimo Calum, io non le penso quelle cose, ma lo sai che quando mi agito tendo a dire cose false,» dice, sicuro, il tono supplicante. È che non vuole perdere anche lui, uno dei suoi più grandi amici.
Calum allora si morde il labbro inferiore e lo sa, che è così, ma sa anche che Michael quelle cose le pensava davvero. Dargli torto? No, Calum sa persino che ha ragione. Si stringe nelle spalle e annuisce, allora, perché nemmeno lui vuole perdere un amico come Michael, sebbene le sue parole continuano a rimbombargli nelle orecchie.
Allora stanno in silenzio, Michael che non ha ben capito se è stato perdonato o meno ma non ha voglia di indagare.
«Tu la ami ancora, vero?» chiede, titubante, al che Calum alza il viso e lo fulmina.
«Cosa?»
«Tu la ami, si vede - Michael sorride delicato - non hai mai smesso di farlo, non è così? Ciò che hai fatto ieri.. se l’avessi davvero odiata, l’avresti lasciata a piangere miseramente,» e Calum scuote la testa, punto sul vivo. No, assolutamente, lui non la ama più.. vero?
«Era disperata, come potevo lasciarla in quelle condizioni?»
«Oh, ti prego, ti conosco meglio di me stesso, Hood! - commenta Michael, ridendo - tu la ami ancora, è così palese, e vederla a pezzi ti distrugge
«Stai dicendo un mucchio di stronzate,» ringhia lui, infuriato.
«No, sto dicendo la verità, solo che tu non vuoi starci - Michael si stringe nelle spalle - non vuoi ammettere che la ami ancora, dopo tutto il dolore che ti ha procurato, ma è così Cal, non mentire a te stesso,» gli tocca la spalla e lo vede stringersi su sé stesso, la sigaretta ormai a terra e finita.
«Smettila - sbiascica, portandosi le mani fra i capelli - io la odio,» aggiunge, scuotendo la testa. Michael si alza, sospira, sa che non lo ammetterà facilmente, e come biasimarlo? Eva l’ha fatto soffrire così tanto, ma Calum non ha mai smesso di amarla, ne è sicuro.
Perché tutte le volte che, in tre anni, l’ha visto perso nei suoi pensieri, è sicuro che pensava a lei. Perché tutte le volte che sorrideva mesto al vuoto, è sicuro che ricordava i loro momenti. Perché tutte le volte che ha cacciato una bella ragazza che ci provava, è sicuro che lo faceva perché nessuna riusciva il confronto con Eva.
«Credila come vuoi, Calum - sbuffa l’altro, dandogli una pacca sulla spalla - ma i tuoi occhi parlano chiaro: brillano, in sua presenza,» e lo lascia così, sale sulla moto e parte.
E Calum vorrebbe che non fosse così, ma sa che Michael ha ragione.
La ama di nuovo.
O non ha mai smesso di farlo?
 
Gioia è seduta su una seggiola che le ha dato Eloise, è di fronte a un letto scombinato e un Luke addormentato, la bocca schiusa e dei segni sulle guance, segno che i singhiozzi di prima non sono finiti nemmeno nei sogni.
Osserva con attenzione il viso angelico, il principio di barba bionda che gli circonda il mento e le guance, i capelli biondi e spettinati che ricadono sul cuscino e sulla sua fronte, infine le palpebre chiuse, a celare la bellezza di due pozze d’acqua limpida.
Porta con delicatezza la mano sul viso di lui, accarezzandone la fronte e scostandogli i ciuffi chiari, prima di farla scendere giù fino alla guancia. Le palpebre di lui tremano, prima di alzarsi lentamente, sbattendo più volte per far abituare la vista alla luce.
Sorride candida al ragazzo, appena incrocia i suoi occhi.
«Ben svegliato, Luke,» bisbiglia, ‘ché ha quasi paura di disturbarlo, se parlasse ad alta voce.
«Gioia - gracchia, sbattendo nuovamente le palpebre - sei rimasta,» aggiunge, prima di sospirare e sorride leggermente, grato che non se ne sia scappata alla vista di un lui ubriaco.
«Certo che no, come potevo?» dice lei, scuotendo la testa, con le dita segue i contorni della sua mascella e fa movimenti circolari, con il potere di farlo rilassare ulteriormente.
Luke rimane in silenzio qualche secondo, prima di posare la propria mano su quella della ragazza, fermandone il movimento. Gli occhi si socchiudono leggermente, si velano di vergogna e paura, la guardano a fatica e con timore.
«Gioia, io... io ti faccio schifo?» chiede lui, in un borbottio strozzato e sofferente. La ragazza, in risposta, sussulta e sgrana gli occhi.
E questo ciò che pensa? Che solo perché l’ha beccato ubriaco, ora le fa schifo? Non ne sa le motivazioni, come fa a provare disgusto per lui solo per uno sbaglio? Quanti ne avrà fatti lei.
«No, Luke, non mi fai schifo,» ride tristemente, gli occhi tremolanti e la mano che ricomincia i movimenti circolari, con quella di lui sopra, che la stringe leggermente alla risposta.
 Luke sospira, scontra i loro occhi e si morde il labbro inferiore.
«Mi dispiace.. sì, beh, per ciò che è successo - soffia, dispiaciuto realmente - e per averti, probabilmente, svegliata questa notte, non avrei dovuto,» e Gioia scuote la testa, sorridendo delicatamente.
«Hai fatto bene, Luke! E non dispiacerti, non sono arrabbiata con te,» gli risponde.
Rimangono in silenzio per qualche secondo, l’uno toccato dalla gentilezza della ragazza, l’altra che lo guarda con ammirazione, non curante di ciò che fa. Perché lei lo crede, Luke è buono, migliore di ciò che pensa lui stesso. Tutti sbagliano, nessuno escluso.
«Posso.. hm, posso però chiederti perché lo fai?» chiede allora lei, mordendosi il labbro inferiore. Non è solo curiosa, lei. Vuole anche aiutarlo, e per aiutare qualcuno, bisogna saperle le cose.
Luke sorride mesto, abbassa lo sguardo sulle gambe di Gioia, coperte da dei semplici jeans chiari, e stringe le dita sulla mano di lei.
«I ricordi fanno male,» risponde, in un sospiro strozzato e tremolante. Gioia lo accarezza più delicatamente e annuisce, prima di slanciarsi leggermente verso di lui, fino a baciarlo in mezzo agli occhi, facendogli chiudere quest’ultimi. Luke respira prepotentemente, sentendo il profumo della ragazza solleticargli le narici.
Gioia si stacca poco dopo, sorridendogli candida, e soffoca una risata alle guance rosee di Luke.
«Per quella pizza ci stai ancora?» borbotta poco dopo lui, in imbarazzo, al che Gioia ridacchia, ma annuisce prontamente.
«Assolutamente sì! - dichiara, con la voce intrisa di decisione e felicità - ma magari facciamo domani, che ne dici? Posso resistere un altro giorno,» al che lui annuisce, perché gli sembra la cosa più giusta.
«Ora credo di dover andare, è ora di pranzo,» ed è pronta ad alzarsi, quando la mano di lui la stringe. Luke scuote la testa.
«Rimani qui a mangiare.»
«Ma no, non mi sembra il caso, Luke.»
«Rimani qui, te lo devo - le stringe la mano più forte - ti prego,» aggiunge, subito dopo.
E Gioia non ha proprio voglia di negare nuovamente.
Stare un po’ di più con lui non può che farla star bene.
 
***
Ehilà,
come va?
Eccomi con un nuovo capitolo, in anticipo. Siete contente?
Allora, qui manca la nostra carissima Scarlett, e mi dispiace parecchio, ma ho dovuto lasciare più spazio a Gioia e a Luke.
Luke ubriaco e Gioia che lo riporta a casa, incontrando Eloise - incazzata come sempre.
C’è Eva in lacrime e Ashton che le riporta la borsa, poi rimane a raccontarle ciò che è successo a Zoe.
Michael e Calum si parlano, quest’ultimo viene a patti con sé stesso.
Infine, nuovamente Gioia e Luke, in un momento super fluff, dove lei tranquillizza Luke e gli assicura l’uscita per andarsi a prendere una pizza.
Devo scappare, ma spero vivamente che vi sia piaciuto. Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.
Bye bye,

Judith. 
 
  
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